«Signor Henry? Sono il detective Diamond. Ci siamo incontrati l'altro giorno al Dog and Bell.» Si udì armeggiare e il coperchio della cassetta della posta si sollevò: apparvero fugacemente un distintivo e un naso piccolo, abbronzato, familiare. «Infilerò alcune foto nella cassetta, credo che le abbia già viste.» Una pioggia d'ingrandimenti cadde poco dopo sul pavimento. Gemini, la schiena contro il muro, fissò senza parlare quelle facce. «Alcuni testimoni attendibili sostengono che almeno tre di queste ragazze facevano parte del suo giro. Ha qualcosa da dire in proposito?»
Gemini rimase muto. Dall'altra parte della porta, Diamond tossì.
«Forse potrebbe considerare l'idea di venire a fare due chiacchiere in centrale.» Rimase in attesa, ma Gemini non rispose: continuò a fissare la cassetta della posta, ad ascoltare il rumore di un foglio che veniva aperto. La madre dormiva ancora nella camera da letto in fondo al corridoio, e lui non voleva svegliarla, non voleva che venisse disturbata.
«Infilo anche una copia del mandato di perquisizione. In nome del Police and Criminal Evidence Act sono costretto a chiederle se acconsente alla perquisizione della sua auto, targa C966HCY, e le do l'opportunità di consegnarmi le chiavi.»
Gemini scivolò lungo il muro, fino a sedersi sul pavimento.
«Lo considererò un 'no'», disse infine il poliziotto. Una copia carbone cadde, svolazzando, sul pavimento. «Il mandato, signor Henry. Torneremo con un verbale di ciò che abbiamo sequestrato, il che, per quest'indagine, significa l'auto e il suo contenuto.»
«Non prenderete nessuna auto.»
«Sì?» Un occhio azzurro chiaro comparve nella buca per le lettere. «Sì?»
«Prenderete la mia macchina, non è così?»
«Sì.»
«Pensate che quelle ragazze ci siano salite? E perché?»
«Sa perché c'interessa, no?» Anche da lì Gemini poteva sentire l'alito acre di Diamond. «Giusto?»
«Forse», sussurrò Gemini. «Forse.»
«Non è Gemini», affermò Jack. «Non può essere lui.»
Maddox sollevò il colletto dell'impermeabile per proteggersi dagli ultimi strascichi di un temporale e lo guardò con gli occhi cerchiati di rosso. Si trovavano davanti a un condominio popolare, parte del Pepys Estate di Deptford, mente i tecnici della Scientifica, con le loro tute verdi, issavano la GTI rossa di Gemini sul carro attrezzi. In cielo, le nuvole venivano spinte lontano da Deptford, fin sul Tamigi, da venti invisibili. Era sabato, gli interrogatori al St. Dunstan's erano previsti per lunedì, e Jack non aveva nulla da fare. Aveva pertanto scelto di unirsi alla squadra.
«Ha sentito parlare di serotonina? D'istamina libera? Di primo e secondo stadio?»
«Non sono uno scienziato.»
«Le ferite sono state praticate dopo la morte», spiegò Jack. «Intendo molto dopo la morte.»
Maddox s'infilò le mani in tasca. «Lo sappiamo dall'autopsia.»
«No. Pensavamo che fossero state inferte nella frenesia del momento, poco dopo la morte, che, in un certo senso, facessero parte dell'atto omicida.» Lanciò un'occhiata al tecnico che stava applicando un'etichetta bianca con la scritta BENE SEQUESTRATO sul tergicristalli dell'auto. «Mi ascolti, Steve. Quelle donne sono state violentate. Ha usato un preservativo perché è un mostro 'pulito', oppure perché ha la fobia dell'AIDS e lo ha fatto dopo la morte.»
«Dopo la morte?»
«Per questo non ci sono segni di violenza, né contusioni dei genitali. I tessuti morti non reagiscono a un atto di violenza non invasivo.»
«Come ci sei arrivato?»
«Il medico legale afferma che le ferite possono essere state inferte fino a tre giorni dopo il decesso.»
«Tre giorni?»
«Non riuscivamo a comprendere perché le vittime non erano state violentate. Ed ecco la spiegazione. Si è tenuto i corpi. Lo stupro è probabilmente avvenuto nello stesso momento delle mutilazioni, è stato probabilmente ripetuto più volte, dopo la fine del rigor mortis.» Jack notò che il viso di Maddox si era lievemente contratto. «È un necrofilo. Ciò non spiega la facilità con cui le ha uccise, ma spiega perché desidera uccidere in modo calmo, e perché non c'è traccia di contusioni né di occhi neri né…»
«Non voglio sentire altro.»
«La morte dev'essere rapida, priva di complicazioni. Non è interessato al momento del delitto, per lui non sta in quello il divertimento. Il divertimento è il cadavere. Se ne libera solo quando è ormai troppo decomposto.» Maddox tremò, come se il sole fosse improvvisamente tramontato dietro una montagna. Gli ultimi, deboli scrosci di pioggia cessarono. Jack si mise le mani in tasca e fece un passo in avanti, avvicinando la testa a quella di Maddox. «Birdm… L'assassino conserva i corpi per tre giorni e poi, quando l'omicidio è ormai un ricordo, allora li mutila. Sa che cosa significa?»
«Oltre al fatto che è più squilibrato di quello che pensiamo?»
«Significa ben di più.»
Maddox si morse il labbro. Un nuovo raggio di sole apparve tremolante sull'edificio di calcestruzzo, e lui sembrò improvvisamente vecchio. Sollevò lo sguardo verso il grattacielo più vicino, fino all'appartamento di Gemini. «Dispone di una notevole privacy?»
«Sì, e vive solo.» Jack seguì lo sguardo di Maddox, fino all'appartamento. Le tende erano tirate. «E, quasi sicuramente, ha un congelatore.»
Maddox si schiarì la gola. «Non possiamo ottenere un mandato per perquisire l'appartamento. Anche i magistrati amici sono ormai diventati 'politicamente corretti'…»
«D'accordo.» Jack s'incamminò verso l'ingresso del palazzo.
«Dove credi di andare?»
«Devo mostrarle qualcosa.»
«Ehi», esclamò Maddox, raggiungendolo. «Non voglio che tu lo infastidisca.»
«Non ne ho intenzione.»
Nell'atrio, una bambina sui dieci anni dai lunghi capelli biondi e, in braccio, un neonato dal nasino che colava, li fissò da dietro il vetro. Indossava una T-shirt rosa sporca e camminava strascicando i piedi nudi. Jack batté sul vetro. Lei aprì la porta, arretrò e li guardò senza parlare.
«Grazie.» Jack premette il pulsante dell'ascensore, e le porte si aprirono. Entrò, girandosi poi verso Maddox. «A che piano abita?»
«Al diciassettesimo. Ma non abbiamo intenzione di parlargli, non ancora.»
«No.» Jack premette il pulsante del diciassettesimo piano. «Entri e vediamo quante volte le porte si aprono tra qui e il diciassettesimo piano. Vediamo quanto sia plausibile l'idea di Mel Diamond.»
I due uomini rimasero immobili, le mani in tasca, il viso rivolto alla luce rossa che si spostava sul pannello sovrastante la porta. «Immagini di essere lui», riprese Jack. «Qui, sul pavimento, ha un cadavere in un sacco per le immondizie. È il corpo di una delle donne di cui stiamo parlando. Tagliato e raggomitolato. Puzza.»
L'ascensore saliva: nove, dieci, undici. Maddox taceva, osservando la luce rossa che si spostava. Dodici, tredici, quattordici. Si fermò e le porte si aprirono. Un'anziana con una borsa impermeabile per la spesa e un minuscolo e tremante terrier al guinzaglio li osservò.
«Scendete?»
«No, saliamo.»
«Salgo comunque con voi.» Ed entrò, sorridente, mettendosi un copricapo di plastica sui capelli permanentati. «Non sai mai se, scendendo, si ferma.»
Jack guardò Maddox e sussurrò: «Si ricordi, lì, sul pavimento».
Una madre con due bambini piccoli salì al quattordicesimo piano e, dopo essersi fermato al diciassettesimo, l'ascensore continuò fino al ventesimo, l'ultimo piano. Ora c'erano sei persone e un cane nell'ascensore. Maddox si spostava nervosamente il peso del corpo da un piede all'altro. Durante la discesa si fermarono altre tre volte. Quando giunsero al pianterreno, l'ascensore era pieno.
«È giorno», obiettò Maddox mentre uscivano alla luce, sfregandosi stancamente il viso. La bambina col neonato premette il naso contro il vetro mentre i due uomini si allontanavano. «Li sposta di notte.»
«Sì, ma riesce a immaginare di scendere tutti quei piani, di notte come di giorno? Guardando i numeri come abbiamo fatto noi, per poi tirar fuori i sacchi dall'ascensore.» Jack prese a camminare in direzione del parcheggio. Sopra di loro, la GTI ondeggiava precariamente tra le grinfie del carro attrezzi. «Tutta questa strada, attraverso il cortile anteriore…» Quindi si fermò, le mani aperte. «Guardi su. Quante finestre ci sono?»
«Jack, questo è il Pepys. Chissà quanti trascinano fagotti strani in cortile nel cuore della notte.»
«Ha visto i reperti autoptici», continuò l'altro, abbassando la voce. «Non finga di non aver sentito l'odore. Già dopo tre giorni hanno odore, puzzano, lo sa. È un odore che non ci si dimentica, un odore che non si cancella.»
«Potrebbe avere un altro posto.»
«Certo», replicò Jack, sbuffando. «E lei si basi pure su questo, d'accordo. Si basi pure su questa speranza.»
L'espressione di Maddox cambiò. Una vena blu gli pulsò sulla tempia. Poi lui disse a voce bassa, quasi impercettibile: «Ho parlato col capo, stamattina: ha saputo che abbiamo un profiler nella squadra. Così, adesso mi tocca coprirti».
«Il capo preferisce forse le segnalazioni fasulle e le prove circostanziali?» ribatté Jack. «Steve, guardi le cose come stanno: la squadra F ha probabilmente bussato alla porta di ogni razzista di East Greenwich, e tutti vanno in estasi all'idea di sbattere in galera un disgraziato spacciatore locale. E lei lo tiri fuori, lo tolga dai loro artigli per qualche giorno. Il detective Diamond ama cose del genere, le ha nelle vene e mi chiedo, Steve, se lo faccia perché sa di poterlo fare, perché…» Infilandosi le mani in tasca, fissò i suoi occhi blu in quelli grigi di Maddox, lo sguardo intenso, provocatorio. «Perché lei lo lascia….»
«Jack, sei ancora nei tre mesi di prova. Non scordartelo.»
«Lo so.»
«Ci vediamo a Shrivermoor. Fai gli auguri a Veronica per la chemio.»
«Steve, aspetti…»
Ma Maddox si era già allontanato, e Jack dovette gridare per coprire il rumore del carro attrezzi. «Commissario Maddox!» urlò, e la sua voce riecheggiò tra i grattacieli. I bambini nell'atrio guardarono fuori, sorpresi dal rumore. «Proverò che avete preso l'uomo sbagliato, commissario Maddox… Proverò che non è nemmeno un nero!»
Ma il commissario continuò a camminare. Il carro attrezzi cambiò marcia e la GTI di Gemini, coperta da un telo cerato bianco, iniziò la sua parata attraverso le strade di Deptford, come se facesse parte di un barat indiano.
Il pub era vuoto. Un pastore tedesco, addormentato accanto a una stufa a gas, la testa posata sulle zampe, aprì un occhio per scrutare Jack che si avvicinava al bancone. Betty, la barista, con una camicetta scollata di pizzo sintetico, un paio di occhiali dalla montatura spessa e una catena al collo, non si curò di salutarlo. Spense la sigaretta e rimase semplicemente lì dove si trovava, le unghie laccate sulle spine della birra, in attesa che lui parlasse.
Jack le mostrò il distintivo. «Polizia.»
«Sì, ricordo. Vuole bere qualcosa?»
«D'accordo. Un…» In quel locale non c'erano birre di puro malto. «Una Bells.» Mentre rovistava nelle tasche per trovare una moneta, domandò: «Come vanno gli affari?»
«Guardi il locale. Sono arrivati i cronisti e hanno fatto scappare metà dei clienti abituali.»
«Ha parlato con loro?»
Betty sbuffò, e i pendenti di turchese ondeggiarono. «Non prenderei mai il loro denaro sporco. A dire la verità, vorrei che non fosse successo niente di tutto ciò.»
«Lo vorremmo tutti.» Jack sollevò i piedi dalla moquette appiccicaticcia e si sedette su uno sgabello. «Betty, ricorda quel ragazzo che abbiamo interrogato qui?»
«Quello di colore? Quello che se l'è squagliata?»
«Sì.»
«Quello è Gemini. Danno ai bambini certi nomi strani, non le pare?» Poi gli fece un cenno con la mano solcata da una ragnatela di vene: non c'era nessuno nel locale, ma parve contenta quando Jack le si avvicinò al punto di consentirle di sussurrare. «Quel Gemini…» disse, afferrandogli il polso. «… I giornali dicono che le ragazze la prendevano, sa, la droga.»
«Sì.»
«Be', dovevano comprarla da qualche parte, non crede?» Si toccò il naso con aria di cospirazione e aggiunse: «E questo è tutto quello che posso dire». Pulì un bicchiere da bibita con un panno, lo esaminò e lo posò davanti a Jack. «Racconta che le porta solo in giro, ma io non sono cieca, so che dà a tutte la possibilità di fare le loro piccole… come dire… transazioni.»
«Joni lo conosce?»
«Certo.» Betty gli strizzò l'occhio e Jack osservò che la palpebra era lucida come il ventre di un martin pescatore. «Si fa sempre dare un passaggio da Gemini. Lei e anche Pinky, quando non viene con la bici.»
«Lei e chi?»
«La chiamavano Pinky, quando lavorava.»
«Intende Rebecca?» mormorò lui, stranamente imbarazzato.
«Sì. Adesso è un'artista. Si siede in quell'angolo del locale coi suoi colori, seria come non mai, senza dire una parola per interi pomeriggi.»
Improvvisamente il cane si alzò, ringhiando. Jack si girò in tempo per vedere la porta chiudersi e l'ombra di un uomo arretrare dietro il vetro smerigliato.
«Entra, tesoro, è aperto», gridò Betty, gettandosi il panno sulla spalla e uscendo da dietro il bancone. Aprì la porta e rimase immobile per un attimo, mordicchiandosi le unghie e fissando la strada, prima di rinunciare e richiuderla. «Uno dei soliti. Deve averla vista ed essersi convinto che è un giornalista.» Prese il bicchiere, pulì il bancone e lo posò su una salvietta nuova. «Oppure sapeva che lei è un poliziotto.»
Il pastore si sedette vicino alla stufa e si grattò l'orecchio con la zampa posteriore grigia, gli occhi socchiusi dal piacere.
Quando Jack uscì, le strade erano deserte. I marciapiedi si erano asciugati, ma gli alberi sgocciolavano ancora e i lombrichi strisciavano tra le crepe del selciato. All'improvviso si accorse di un'ombra sul marciapiede che lo seguiva allo stesso passo e del lieve cigolio degli ingranaggi di una bici. Si voltò.
«Salve, detective!»
Rebecca fermò la bicicletta e posò una lunga gamba sul cordolo, per mantenersi in equilibrio. Indossava un paio di pantaloncini marroni, una felpa larga color beige e aveva i capelli raccolti a coda di cavallo. Alla ruota posteriore era legata, con cinghie di canapa, una cartella di cuoio.
Jack infilò le mani in tasca. «È una coincidenza?»
«Non esattamente.» Il lillà sotto cui si trovavano le gocciolava sulla felpa, facendo sbocciare alcune macchioline nere. «Ho continuato a venire al pub, sa, chiedendomi se… e l'ho vista uscire.»
«Capisco», rispose lui, intuendo che aveva qualcosa da dirgli. «Si è ricordata qualcosa?»
«Be', sì.» Torse la bocca, come se intendesse scusarsi. «Ma probabilmente non è nulla. Probabilmente per lei è una perdita di tempo.» Le sue unghie bianche e forti armeggiavano con le cinghie di canapa. Jack si era quasi scordato quanto fosse bella.
«Niente è mai niente.»
«D'accordo…» Becky parlava con circospezione, quasi si aspettasse di essere derisa. «Mi sono ricordata di un particolare che riguarda Petra.»
«Quale?»
«A volte, quando mi addormento… Ha presente quando si sta per sprofondare nel sonno e ritornano tutti i sogni della notte precedente?»
«Sì.» Jack lo conosceva fin troppo bene. Era il momento in cui spesso incontrava Ewan e Penderecki.
«Sono certa che non è importante, ma la notte scorsa, quando ormai ero mezza addormentata, mi è venuta in mente Petra che mi diceva di essere allergica al trucco. Non lo usava mai. Lo può vedere dai miei quadri. Era sempre pallida.» Il sole sbucò dalla coltre di nubi e proiettò l'ombra netta delle sue palpebre sulle iridi color verde oro. «In quella foto, nella sua valigetta, lei sembrava… una bambola. Avevo già visto gente morta, e aveva un'aria molto più reale di lei.»
«Mi spiace che l'abbia vista.»
«Non si preoccupi.»
«Rebecca?»
«Sì?» La ragazza chinò il capo e lo guardò. Una goccia di pioggia cadde dall'albero sulla sua guancia. «Che cosa c'è?»
«Perché non mi ha detto di Gemini?»
«Che gli è successo?»
«Quel giorno è uscito con Shellene. Perché non me l'ha detto?»
La giovane incrociò le braccia sotto i piccoli seni e si guardò la punta dei piedi. «Perché crede che non gliel'abbia detto?»
«Non ne ho idea.»
«Non faccia l'ingenuo. Lui spaccia droga, la vende a Joni, ecco perché.»
«Oh.» Jack scosse il capo, deluso. «Lei sa, Rebecca, sa quant'è grave la situazione, vero?»
«Certo che lo so. Non capisce che non penso ad altro?» E, mordendosi il labbro, aggiunse: «Gemini non c'entra assolutamente».
«Già, già», borbottò lui, sfregandosi la fronte. «Sono convinto che lei abbia ragione. Ma il problema è che sono l'unico a pensarlo. Tutti quelli che contano sono persuasi che Gemini sia il bersaglio giusto. Lui è nei guai, Rebecca, in guai maledettamente seri.»
«Non è stato lui. Non so come possiate pensare…»
«Io non lo penso! Gliel'ho appena detto: sono convinto che non sia stato lui.»
«Be'…» Lei voltò la bici nella direzione opposta, improvvisamente calma. «Non c'è bisogno di prendersela.»
«Rebecca… ascolti…» incominciò Jack, ma poi s'interruppe, sentendosi improvvisamente stupido. «Mi spiace. Io… ho solo bisogno di un po' d'aiuto. Ho bisogno di qualcuno che sia franco con me, che una volta tanto mi si lasci in pace.»
«Oh, per amor del cielo», mormorò lei. «Abbiamo tutti bisogno di essere lasciati in pace. E lei è pagato per risolvere i problemi.»
«Rebecca…»
Ma lei non lo ascoltava più. Pedalando rapidamente, se ne andò, mentre la felpa le scivolava su una spalla abbronzata, e Jack, infuriato e confuso, rimaneva a fissare il punto in cui la città aveva inghiottito quella ragazza.