Nel punto in cui Croom's Hill curvava, dopo l'antico convento delle Orsoline, il camion dei rifiuti del servizio comunale di Greenwich venne bloccato al centro della carreggiata da un furgone bianco.
Alcuni minuti dopo, il camion continuò per la sua strada, risalendo la collina, e si fermò all'esterno della casa di Harteveld, come di consueto. Il furgone cambiò direzione e fece un ampio giro attraverso Blackheath, arrivando alla curva principale di Croom's Hill – nascosta dalla casa – giusto in tempo per incontrare nuovamente il camion. Il conducente prese due sacchi pieni d'immondizia dagli addetti, li passò a un collega nel retro del camion e chiuse le porte.
Ritornato al proprio posto, aggiustò lo specchietto di lato finché non riuscì a vedere, nel punto in cui la collina curvava, una Sierra grigia parcheggiata e quasi del tutto nascosta da una quercia gocciolante. L'autista del furgone non si girò. Con un movimento impercettibile allungò il pollice, tenendolo davanti al retrovisore.
Aspettò fino a che i due uomini nella Sierra non risposero, poi avviò il furgone e risalì la collina.
Nel suo giardino circondato da mura, Harteveld non si accorse dello scambio. Era appoggiato a una panchina di pietra e scrutava il mattino con occhi arrossati. Vicino a lui, in un prato di violette e margherite, giacevano una bottiglia vuota di pastis e un mucchietto di mozziconi di sigaretta. Era stato lì tutta la notte, ascoltando la tempesta e le sirene che s'inseguivano per Greenwich; non aveva cercato di ripararsi, ma aveva aspettato senza muoversi che le nuvole si gonfiassero ed esplodessero, riversandogli addosso la pioggia e trasformando il labirinto di sentieri in impetuosi canali di scolo. I lampi avevano reso blu la guglia color avorio della chiesa e, verso mattina, gli alberi da frutto avevano perso alcuni rami, i prati erano fangosi e gli incantevoli iris lungo il muro a ovest apparivano curvi, fiaccati. Le porte dell'aranciera erano aperte e la copia del Times, che era stata sollevata dal pavimento del salotto dal vento, giaceva sparpagliata nell'aranciera stessa e sulla veranda. La faccia di Kayleigh Hatch era appesa tra i rami del cedro del Libano.
Quando nel giardino le ombre presero a dileguarsi e il nuovo sole iniziò ad asciugare le ragnatele fradice di pioggia tra i faggi, Harteveld cominciò a svegliarsi.
Dentro la Sierra, Betts si girò e guardò Logan. Da qualche parte, nel vialetto vicino alla casa di Harteveld, un'auto era stata messa in moto. Poco dopo, le porte del garage si aprirono e una macchina verde, una meravigliosa auto d'epoca, uscì sul vialetto. Svoltò a sinistra su Croom's Hill e scomparve nel mattino luminoso.
La bocca di Betts si contorse leggermente mentre lui avviava il motore.
A cinque chilometri di distanza, a Shrivermoor, il telefono di Jack squillò.
«Detective Caffery? Sono Jane Amedure, la consulente della Scientifica. Ho ricevuto due sacchi per spazzatura col loro contenuto. Posso avviare le analisi del caso, confrontarli coi reperti autoptici e farle avere più tardi i risultati.» Poi, schiarendosi la voce, aggiunse: «Ah, stamattina mi è arrivato anche qualcos'altro dal sergente Essex».
«Sì», replicò Jack di malavoglia. Era esausto. «Quello era personale. Da parte mia.»
«Lo so, Essex mi ha informata. Se non ci saranno sviluppi, potrei farlo rientrare nell'operazione…»
«Buona idea.»
«Sì, be', ho saputo la storia.»
«C'è niente che possa dirmi?»
«Non molto, a prima vista. Si tratta di ossa vecchie e molto frammentate. Nel caso in cui venga provato che sono umane, effettuerò un test del DNA mitocondriale, quindi ho bisogno di sapere se sua madre è ancora viva… Pronto?»
«Sì, vada avanti.»
«Ho detto: sua madre è ancora viva?»
«Sì, è viva. Pensa siano umane?»
«Glielo farò sapere con certezza nel tardo pomeriggio… forse domani.»
«Grazie, dottoressa Amedure. Grazie mille.»
Jack riagganciò e si appoggiò alla sedia, guardando fuori della finestra per diversi minuti. Sentiva un dolore sordo tra gli occhi. Era andato a dormire alle quattro. Al ritorno di Betts, aveva lavorato con lui per un'ora: mentre Veronica avvolgeva i bicchieri della madre e li riponeva in due ceste di vimini, Paul si era rinchiuso in salotto, etichettando le ossa e mettendole in un sacco con estrema cautela, neanche stesse maneggiando le emozioni di Jack. Per le dieci del mattino, proprio mentre iniziava la proroga del fermo di Gemini, tutti a Shrivermoor conoscevano la storia, sapevano di Ewan e di Penderecki, e comprendevano un po' meglio Jack. Le addette all'archivio lo guardavano in modo diverso, con qualcosa negli occhi che lui pensava fosse curiosamente simile alla paura. Se si fosse lasciato andare, sarebbe crollato ancor prima che la Amedure stendesse il suo rapporto.
«Hai un minuto?» Maddox era sulla soglia. «C'è qualcuno che vuole vederti.»
«Sì. Va bene.»
«Vuole restare solo?» chiese Maddox alla persona in corridoio. «Posso andarmene, se lo desidera.»
«Per me…» North, il proprietario dell'area industriale, entrò nella stanza. Polo bianca sotto la giacca, una pesante catena d'oro al collo e scarpe lucide. Sudava abbondantemente. Si sedette sulla sedia che Maddox gli offrì.
«Mi sento un vero stronzo qua dentro… Scusate l'espressione», disse in tono turbato.
Jack e Maddox rimasero seduti, appoggiarono i gomiti sui tavoli e incrociarono le mani.
«Sembrerebbe che lei abbia qualcosa da dirci», esordì Maddox.
«Penso di doverlo fare.» L'uomo afferrò la piega del pantalone all'altezza del ginocchio e la scosse leggermente, guardandola mentre si rimetteva a posto. «Mi ha tormentato negli ultimi giorni, e mia moglie… Be', lei è su tutte le furie, non mi avrebbe fatto uscire di casa se non con la promessa di fare la cosa giusta e venire qui.»
«Che cosa intende?»
«Quel ragazzo di Greenwich…»
«Come sa di lui?»
«La verità?»
«Sì. Se è disposto a…»
«Ho un amico in questo dipartimento.»
Jack e Maddox si scambiarono un'occhiata.
«È un ragazzo di colore, vero?»
«È importante?»
«In un certo senso.» North fissò di nuovo la piega del pantalone e Jack comprese che quell'uomo stava disperatamente tentando di non farsi prendere dal panico. «Potrei aver detto qualcosa a qualcuno… qualcosa di sbagliato.»
«Quand'è stato interrogato?»
«No, no… Parlo di dopo, nel pub.» Sul suo volto la tensione parve diminuire. «Mel Diamond. Il detective Diamond…»
Maddox sospirò. «Sì. Riguarda lui?»
«È un vecchio amico. Siamo entrambi tifosi del Charlton.» North si morse il labbro. «Guardi, mia figlia vive nella zona est di Greenwich. Ha problemi coi vicini. Nigeriani. Rumore, cattivi odori, sono bestie ignoranti, c'hanno i topi che passano nei buchi dei muri, sotto le assi del pavimento e nella camera dei bambini.» Tacque per un attimo, poi continuò: «Non che io ce l'abbia con loro, ma vanno in giro con le loro macchine vistose e Dio solo sa come le hanno perché nessuno lavora e c'è mia figlia che si fa in quattro per tirare avanti e non riesce ad avere un lavoro perché tutti i posti vanno ai neri, visto che il mondo va come va…»
«Dove vuole arrivare, signor North?» lo interruppe Maddox.
«Ho mentito.»
«Mentito?»
«Non riesce a capire la mia posizione? Anche lei lo avrebbe fatto se sua figlia vivesse dove vive la mia. Glielo assicuro.»
«Quando ha detto di aver mentito?»
«Va bene, va bene: ho detto a Mel Diamond che avevo visto un nigeriano in una macchina sportiva rossa che si aggirava nei dintorni.»
«Molti testimoni hanno confermato la segnalazione.»
North girò la fede nuziale sul dito grasso e livido. «Be', io non so, ma la pura verità è che non ho mai visto nessuno. Ecco. Ho fatto proprio una figura da stronzo. Spero siate contenti.»
«Signor North.» Maddox si alzò, tendendogli la mano. Il telefono squillò sulla sua scrivania. «Apprezziamo la sua onestà. Adesso, però, se vuole scusarci…»
Mentre North se ne andava, sollevò il ricevitore. Era Betts che chiamava per informare Jack che Harteveld aveva lasciato Croom's Hill.
L'interno della Cobra odorava di pelle e anche di catrame caldo, mentre il condizionatore risucchiava un po' del mondo esterno. Toby si fermò al semaforo nel punto in cui Tooley Street risaliva fino a incontrare il London Bridge. Era una giornata intensamente azzurra e il sole faceva scintillare i nuovi edifici lungo il Tamigi, facendoli somigliare a zollette di zucchero.
Dalla sua bolla ermetica, Toby fissava tutto con sguardo assente. Non aveva notato la Sierra grigia posizionata cinque macchine indietro, né i due uomini immobili dietro i loro occhiali da sole. Era molto magro, doveva aver perso almeno una dozzina di chili da Natale, ma sudava come se fosse obeso, nonostante l'aria condizionata, e una macchia gialla di sudore si era formata sul davanti della camicia.
Il semaforo scattò, ma la macchina di fronte non si mosse. Harteveld la notò a malapena. Le sue lunghe mani appoggiate al volante sembravano volersi artigliare su se stesse.
Forse il mio corpo sta cedendo, pensò. Quasi lo sperava.
Il solito brusio di persone che attraversavano la strada, vestiti neri, donne coi tacchi alti e calze color carne, la giacca bianca di un medico che usciva dal Guy's in gran fretta. Sulla sinistra di Harteveld la torre dell'ospedale, costellata di antenne satellitari, sembrava orientata su di lui, per spiarlo. Rabbrividì. Avrebbe dovuto parcheggiare: fermarsi, scendere e percorrere i pochi metri che lo separavano dalla clinica York. Ma gli sarebbe sembrato più facile portarsi sulle spalle la Terra attraverso la galassia.
Il suo piano era impreciso e disperato. Dopo aver desiderato per giorni che il cuore gli scoppiasse, liberandolo così dall'onere di dover prendere quella decisione, ormai sapeva che aveva bisogno di chiedere aiuto a uno psichiatra. Farlo in quella clinica, lì dove il seme era stato gettato, gli parve simbolico e giusto. Catartico, sempre che per lui esistesse una catarsi.
Tuttavia, mentre immaginava la scena, mentre immaginava di togliersi quel fardello dalle spalle e di lanciarlo a terra in una stanza austera, le lacrime gli salirono agli occhi. Neppure un professionista avrebbe potuto perdonarlo per ciò che aveva fatto. Persino un professionista sarebbe indietreggiato di fronte all'odore della merda. Era in trappola. Non aveva vie di fuga.
Se ne stava seduto lì, le mani strette sul volante. Il semaforo scattò una volta. Due. Il traffico non si mosse. Harteveld si spostò di lato e, dal riflesso del sole su un distintivo metallico, si rese conto che si trovava a due macchine di distanza da un blocco di polizia. Silenziosamente, sommessamente, cominciò a piangere.
Diamond raggiunse North fuori dell'edificio. «Cosa cazzo ci fai qui?»
«Dovevo dire la verità.»
«E sarebbe?»
«Che non ho visto nessuno.»
«Merda.»
«Mi dispiace, amico.»
«Mi dispiace un cazzo. L'avevo presa per buona, quella pista, e mi ci sono gettato sopra. Ho costruito tutto sulla base di quello che mi avevi detto tu.»
North si fermò. Il sole luccicava sull'oro della sua catena. «Adesso sai che stavo mentendo», disse, fissando Diamond.
«Stronzate.»
«Naturalmente l'hai sempre saputo. Quando ti ho detto che un negro gironzolava nella zona degli omicidi, eri felice come una pasqua.»
Diamond s'infilò le mani in tasca e scosse la testa. «Non è quello che ricordo io, amico. No, non è proprio quello che ricordo.»
L'agente Smallbright, della stazione di polizia in Vine Street, si sentiva di buonumore. Era un uomo attraente e in più era innamorato. In quella bella, limpida giornata, il sergente aveva concesso loro d'indossare le camicie con le maniche corte sotto le divise fluorescenti degli addetti al traffico. E tutti e dieci i poliziotti si trovavano in quel momento sul London Bridge, con le camicie bianche che sventolavano nella brezza tiepida. Com'era bello essere vivi, pensò Smallbright, mentre si abbassava per guardare attraverso il finestrino della Cobra verde.
«Buongiorno, signore.» Il colorito terreo del conducente non impedì al poliziotto di continuare a sorridere. Bussò gentilmente sul finestrino. «Potrebbe…» Il finestrino si abbassò e la ventata di aria fredda, viziata, e la faccia giallastra lo fecero esitare. Si morse un labbro. «Mi scusi se la fermo, signore, ma stiamo effettuando un controllo. Semplice routine: diamo solo un'occhiata in giro, d'accordo?»
Interpretando il silenzio come un assenso, Smallbright si portò sul retro della Cobra, mentre uno strano senso di malessere gli serrava lo stomaco. Era strano, però sembrava proprio che quell'uomo al volante stesse piangendo.
Maddox appoggiò la fronte al vetro della finestra e sospirò. «Mi sto chiedendo che cos'ho fatto per meritarmi questo. Finirò per rimetterci le palle io, non Diamond.»
«Crede che si sia inventato gli interrogatori sul posto?»
«Tu che ne pensi?»
«Penso che dovremmo controllare. Se Gemini è rimasto a marcire in quella cella per tutto questo tempo a causa di una deposizione falsa…»
«Non dirlo, Jack. Non dirlo…»
Harteveld stava seduto, immobile come un sasso, mentre il poliziotto controllava il retro della Cobra, passava le dita lungo il paraurti, intorno ai fanali. Non sudava più. La luce del sole si rifletteva sull'acqua e sulle vetrate degli edifici. A nord del fiume scorse alcune nuvole che salivano verso il cielo sopra la cupola di Saint Paul, come se uno spirito stesse lasciando un corpo. Vapore che si sarebbe riformato in un altro strato dell'atmosfera, mescolandosi con altro vapore, cristallizzandosi, liquefacendosi per ricadere poi sulla Terra. Più puro. Incontaminato come il diamante.
«Chi è il 160?» gridò Jack agli addetti al ricevimento dati e ai detective presenti nella stanza. Era in maniche di camicia, una mano posata sulla scrivania, gli occhi fissi sul monitor. Un cursore lampeggiante in cima allo schermo evidenziò il messaggio: RECORD BLOCCATO PORTA 160. Qualcun altro nella stanza aveva aperto il file, negandogli l'accesso.
«Ho detto: chi è il 160?»
Sopra pile di moduli blu e di dossier color pelle, una dozzina di sguardi imperturbabili si rivolsero verso di lui. Nell'angolo, vicino alla stanza dei reperti, solo una persona non aveva sollevato lo sguardo.
La testa di Diamond, china sul monitor, sembrava brillare. Sopra il monitor, su una striscia di Dynotape blu, c'era il numero 160.
Caffery e Maddox attraversarono la stanza.
«Che cazzo stai facendo?»
Diamond li guardò con occhi miti. «Sto semplicemente inserendo alcune cose.»
«Quello è compito di Marilyn.»
«Oops», esclamò lui, allontanando la tastiera. «Mi dispiace, spero di non aver incasinato niente.»
«Non ho voglia di passare la giornata… a parlare di menzogne e mistificazioni…» mormorò Maddox.
«Certamente, signore.»
Ma più tardi, quando la Kryotos controllò HOLMES, scoprì che i numeri civici delle case esaminate erano stati cancellati o non erano mai stati inseriti.
«Detective Diamond?» Maddox lo trovò coi piedi sulla scrivania nella stanza dei reperti.
«Signore?»
«Devo parlarti.»
Jack rimase in corridoio, guardando Maddox mentre apriva la porta dell'ufficio della squadra F, posava la mano sulla schiena di Diamond, lo spingeva gentilmente all'interno e si chiudeva la porta alle spalle con un leggero scatto.
Quando l'agente Smallbright ritornò, fu sbalordito dal cambiamento. Pareva che una mano invisibile fosse calata sul volto dell'uomo al volante, spianandogli tutte le rughe con la stessa facilità con cui si spiana una striscia di sabbia. Adesso quel viso esprimeva un'unica emozione: pace. Gli occhi fissavano un punto lontano, dall'altra parte del fiume.
«Lo sapeva che ha uno stop rotto, signore?»
«Davvero?» Harteveld aprì la portiera e uscì, estendendo il suo lungo, pallido corpo al sole. Rimase in silenzio, gli occhi chiusi, il viso rivolto al cielo, come se non avesse mai sentito il sole sulla pelle. Il vestito gli andava largo e le mani che penzolavano dalle maniche parevano due battagli di vecchie campane.
«Signore?»
«Sì.»
«È soltanto uno stop rotto. Niente di grave. Ha uno stop rotto.»
«Sì, certo. E, per favore, tenga in considerazione le ragazze morte.»
«Signore?»
«Dica loro cos'ho fatto, sia gentile.»
Smallbright lanciò un'occhiata nervosa al sergente, appoggiato al finestrino anteriore di una Mazda, poi si voltò di nuovo verso Harteveld. «Vuole dirci qualcosa, signore?»
«No, grazie… Molto gentile da parte sua, ma penso che ora me ne andrò.»
Smallbright non aveva mai visto nulla di simile a ciò che accadde di lì a poco. «Il fiume non era mai stato così bello, azzurro e luminoso», riferì in seguito. «Ma quell'uomo sembrava un cadavere… Sembrava proprio un morto: era giallastro, come latte andato a male…»
E mentre Harteveld individuava le coordinate del luogo della sua morte, due uomini non molto più giovani di lui, cinque macchine indietro, intuirono simultaneamente ciò che solo lui, Harteveld, sapeva. Si trovava al di fuori della loro zona operativa, ma Betts comprese l'emergenza.
«Vai, vai, vai!»
Schizzarono fuori dell'auto, facendo scappare i passanti, che si scostarono, impauriti, davanti a quei due uomini in completo scuro e occhiali da sole, con l'aria tesa e le cravatte che sventolavano. I due coprirono i cento metri fino al ponte in meno di venti secondi, ma Harteveld, pur muovendosi lentamente, mantenne il vantaggio. Si era reso conto della presenza di quegli uomini, ma la sua unica reazione fu un piccolo cenno del capo, come se avesse udito qualcosa di vagamente interessante. Superò il parapetto inferiore del ponte senza quasi perdere il ritmo, poi, come se il passo verso il nulla non fosse diverso da tutti gli altri, avanzò nell'aria tersa e scomparve.
Smallbright gridò. I due detective aggirarono la testa della colonna di auto e si precipitarono verso il parapetto. Smallbright corse verso di loro e li raggiunse alcuni secondi dopo. I tre uomini rimasero lì, ansimando, mentre, quindici metri più sotto, il volto impassibile di Toby Harteveld si scontrava con l'acqua. Poi l'uomo, assurdamente somigliante al ventre di un pesce giallo, si voltò, si contorse e mosse di scatto le braccia due volte, in modo meccanico, come un pupazzo. Infine si girò sulla schiena e scomparve sotto l'acqua verde.