Quella sera, Jack si sedette alla scrivania, nella stanza di Ewan, a fissare le nuvole di Windows 98 sul monitor. I rami superiori del vecchio faggio in fondo al giardino gettavano ombre mutevoli, color rame, sul soffitto. Non ayeva bisogno di voltarsi per sapere che le nuove foglie coprivano quasi interamente i chiodi pieni di ruggine, conficcati in profondità nell'albero, e le poche assi ricoperte di muschio: i resti della casetta in cui lui ed Ewan si rintanavano da piccoli, a gridare ai treni che passavano nella trincea della ferrovia.
Talvolta, nella sua solitudine, Jack si sforzava di ricordare com'era una volta, com'era lui una volta. In passato. Vedeva l'immagine di un bambino più leggero di una piuma: nulla gli avrebbe impedito di librarsi nel cielo azzurro, sopra i tetti.
E poi, quel giorno famoso. Ricostruito come una sequenza di scene mosse, sfocate, montate con scarsa cura, come se avesse imbrogliato e le avesse ricavate non da ricordi veri, ma da una 8mm nascosta in fondo alla soffitta dei genitori.
Era metà settembre, la giornata era soleggiata e ventosa, e le assi asciutte della casetta scricchiolavano insieme con l'albero, ancora flessuoso e verde per la linfa estiva, capace di piegarsi al vento. Jack ed Ewan avevano litigato per via di quattro tavole trovate in un cassonetto di rifiuti: Ewan desiderava costruire una vedetta tra i rami posti più a sud, per osservare i treni arrivare, oscillando, dalla stazione di Brockley. Jack la voleva invece a nord, in modo da poter scrutare i ponti fumosi di New Cross, lungo la linea, e le facce dei pendolari che tornavano a casa col loro London Evening News.
Jack – un bambino suscettibile e permaloso di otto anni – scagliò violentemente il fratello maggiore contro il tronco dell'albero. La risposta di questi fu aggressiva e inattesa. Recuperato l'equilibrio, protese le braccia robuste e, gridando: «Lo dirò… lo dirò…», passò al contrattacco. Mentre la saliva gli schizzava dalla bocca, concluse: «Lo dirò a papà!»
Jack perse l'equilibrio e, mulinando, finì sull'orlo della piattaforma di legno, metà dentro, metà fuori della casetta, i pantaloni strappati da un chiodo, le gambe penzoloni, il pollice della mano sinistra schiacciato tra due assi. Il dolore lo mandò su tutte le furie. «E allora diglielo, bastardo! Forza, diglielo!»
«Certo che lo farò», replicò Ewan, in preda al risentimento e al senso di colpa. Aggrottando le sopracciglia e protrudendo il labbro inferiore, esclamò: «Ti odio, pidocchio. Maledetto, maledetto, fottuto pidocchio».
Poi si voltò e scese lungo la scaletta di corda, il volto contratto per la rabbia, e balzò sul bordo della trincea della ferrovia. Imprecando, Jack liberò il pollice, rientrò nella casetta e lì rimase, respirando lentamente, la mano pulsante tra le ginocchia nude, infuriato.
Sotto la casa, là dove la sponda della trincea si appiattiva, lasciando il posto a un'ampia striscia di cespugli, i due fratelli avevano creato, per i loro giochi, una rete di sentieri, tutti attentamente esplorati, mappati e denominati: era una vera e propria ragnatela che si estendeva tra i convolvoli. Jack osservava dalla casa sull'albero mentre Ewan imboccava il sentiero diretto a sud, quello soprannominato «pista della morte» perché costeggiava un arrugginito riscaldatore a immersione («La vedi, Jack? È una bomba inesplosa. Una V2, probabilmente»). I capelli neri spuntarono un paio di volte dai cespugli, insieme con un pezzo di camicia color senape. Ewan raggiunse la radura che avevano chiamato «campo 1», oltre la quale si trovavano la zona demilitarizzata, la letale V2 e la «terra dei musi gialli».
Jack perse interesse per la faccenda. Ewan metteva troppo spesso il broncio, e lui ne era stufo. Infuriato e dolorante, scese dall'albero ed entrò in casa, a lamentarsi della mezzaluna gialla e nera che spiccava sotto l'unghia del suo pollice.
Dopo, era stata la casa sull'albero a ferire più di qualsiasi altra cosa la madre. Jack la rivedeva, mentre un pensiero o un ricordo la bloccava a metà, durante la pulizia del forno o il lavaggio dei piatti, inducendola a uscire risolutamente in giardino, dove rimaneva in piedi, a fissare l'albero, con la schiuma che, dai guanti rosa di gomma, gocciolava sul terreno.
E poi lo scoppio d'ira, disperato, quasi isterico, rivolto al marito: «Spiegami quella casa sull'albero, Frank; se è ancora lì, perché non c'è anche lui? Spiegamelo, Frank. Dimmelo!»
Il padre di Jack si tappava le orecchie e sprofondava nella poltrona, mentre le pagine sportive s'incurvavano sulle sue ginocchia. Era incapace di tollerare l'angoscia della moglie, finché un giorno non afferrò un martello e uscì nel fango e nella pioggia con le pantofole a quadri ai piedi.
Jack era sgattaiolato in camera e, tremante, si era messo in piedi sul letto, in modo da poter raggiungere la finestra e vedere il legno che si spaccava, le assi che cadevano al suolo, gli schizzi di fango sulle calze della madre che singhiozzava sul prato devastato.
Poi, tra i rami degli alberi, dall'altra parte della trincea della ferrovia, vide qualcun altro.
Ivan Penderecki. Pallido, le braccia robuste appoggiate al recinto marcescente sul retro. Vide la pioggia grigia e il vago sorriso sul suo volto.
Penderecki rimase lì per circa venti minuti, la casa alle sue spalle ormai ridotta a una silhouette contro lo sfondo di nubi scure. Poi, come se fosse più che soddisfatto, si girò e si allontanò in silenzio.
Per Jack, nove anni, il nasino premuto contro il vetro appannato, quella fu la prova dell'inconcepibile e dell'indicibile che andava cercando. La polizia aveva definito il fatto impossibile perché «… abbiamo ispezionato ogni casa della zona, signora Caffery; amplieremo le ricerche lungo la trincea della ferrovia, oltre il ponte di New Cross…»
Jack sapeva, nel modo essenziale, istintivo con cui un bambino conosce cose che non gli sono mai state dette, che Penderecki avrebbe potuto indicare alla polizia il punto esatto in cui si trovava Ewan.
I Caffery rinunciarono a lottare quando Jack compì ventun anni. Tornarono a Liverpool, vendendogli la casa, in cambio, lui lo sapeva, di non dover più rivedere la sua faccia. Jack, l'antagonista, il difficile, quello che non obbediva, che non stava buono, che non sedeva tranquillo. Quello che avrebbero preferito perdere. Non lo dissero mai, ma lui lo leggeva sul volto della madre quando la sorprendeva a osservargli il pollice. L'ecchimosi nerastra si era rifiutata di scomparire, prova, agli occhi della madre, dell'intenzione del suo secondo figlio di ricordarle per sempre quel giorno. La scomparsa di Ewan aveva fatto ben più che sminuire Jack di fronte alla madre. Jack sapeva che lei aspettava ancora, in qualche parte della tentacolare periferia di Liverpool… che cosa? Che trovasse Ewan? Che morisse? Non sapeva che cosa volesse, quale tipo di compensazione desiderasse da lui, il figlio scartato. Ogni tanto, nonostante Veronica e le donne che l'avevano preceduta, si ritrovava quasi paralizzato dallo smarrimento e dalla solitudine.
Così impiegò tutta la sua energia per fare rapidamente carriera nella Met. Il nome di Penderecki fu il primo che inserì nel computer della polizia PC2. E allora scoprì la verità.
John (Ivan) Penderecki, arrestato per pedofilia, aveva scontato due condanne negli anni '60, prima di andare a vivere nelle stesse, oscure strade londinesi in cui abitavano Jack ed Ewan Caffery.
Sugli scaffali dello studio – che però era sempre rimasto «la camera di Ewan» -, allineati e contrassegnati da colori diversi, si trovavano dodici raccoglitori, tutti pieni di ritagli, stecche di John Player avvolte da pellicola trasparente, scatole sbiadite contenenti graffette per fogli di carta, un chiodo arrugginito, un frammento di una bolletta del gas bruciata… Ordinarie testimonianze della vita di Penderecki raccolte da Jack, piccolo detective vittima di un'ossessione, in più di ventisei anni. Ora però aveva deciso di affidare il contenuto di quei raccoglitori alla memoria digitale.
S'infilò gli occhiali e aprì il database.
«Di nuovo lì?»
Jack iniziò a lavorare. Veronica stava sulla soglia, le braccia conserte, la testa inclinata di lato. Sorridendo, disse: «Ti stavo osservando».
«Vedo», replicò lui, togliendosi gli occhiali. «Sei entrata.»
«Volevo farti una sorpresa.»
«Hai fatto gli esami?»
«No.»
«È lunedì. Perché no?»
«Sono stata tutto il giorno in ufficio.»
«Tuo padre non ti avrebbe certo impedito di uscire!»
Accigliandosi, Veronica si massaggiò la gola. La giacca giallo zafferano era abbastanza scollata da rivelare il tatuaggio sullo sterno, memento della radioterapia effettuata nell'adolescenza. «Non c'è bisogno di arrabbiarsi.»
«Non sono arrabbiato, ma solo preoccupato. Perché non andiamo al pronto soccorso? Adesso?»
«Calmati. Domani chiamerò il dottor Cavendish. D'accordo?»
Lui si voltò verso lo schermo, mordendosi il labbro, cercando di concentrarsi sul lavoro, chiedendosi per l'ennesima volta perché mai le avesse dato le chiavi di casa. Lei lo osservava dalla soglia, sospirando e sistemandosi i capelli dietro le orecchie o passando le unghie sugli stipiti, mentre gli anelli e i braccialetti costosi – il miglior modo con cui un padre può dimostrare amore alla propria figlia – tintinnavano leggermente. Jack sapeva che desiderava essere guardata, e finse di non capire.
«Jack», sospirò infine, avvicinandosi alla sedia. Gli sollevò una ciocca di capelli neri e gli sfiorò la pelle col pollice. «Vorrei parlare con te del party. Mancano solo pochi giorni.» Poi strisciò verso la sedia e gli si appiccicò addosso, come olio, la bocca sulla guancia, le mani tra i capelli, la gamba sinistra sopra il bracciolo. I suoi capelli gli facevano il solletico sul collo. «Jackie? Hu-hu! Mi ascolti?» esclamò e gli premette le dita nella guancia, quelle dita che sapevano sempre di mentolo e di profumi costosi, e si dimenò, seduta sul suo inguine.
«Veronica…» Stava cominciando ad avere un'erezione.
«Che cosa?»
Jack si liberò. «Voglio restare qui, per un'ora.»
«Oddio», gemette lei e si alzò. «Sei malato, lo sai?»
«Probabilmente.»
«Comportamento ossessivo-compulsivo. Ci morirai, in questo posto, se non starai attento.»
«Ne abbiamo già parlato.»
«Siamo nel XXI secolo, Jack. Lo sai, si fanno passi in avanti, si migliora.» Davanti alla finestra, Veronica guardò fuori, in giardino. «Nella nostra famiglia siamo stati cresciuti con l'idea che è necessario allontanarci dalle nostre radici, migliorarci.»
«La tua famiglia è più ambiziosa di me.»
«Di quanto io non lo sia», lo corresse lei.
«Sì. Ci tiene più di me.»
«Di quanto io non ci tenga.»
«Santo cielo!»
«Che cosa?»
Jack posò gli occhiali e si sfregò gli occhi. Alcuni pesci tropicali sgargianti come caramelle attraversarono lo schermo. Trentaquattro anni, e non riusciva ancora a dire a quella donna che non l'amava. Dopo gli esami, dopo il party – vigliacco, Jack, vigliacco -, se gli esami fossero stati a posto, allora sarebbe stato facile. Allora gliel'avrebbe detto. Le avrebbe detto che era finita. E le avrebbe chiesto di restituirgli le chiavi.
«Che cosa c'è?» domandò lei. «Che cos'ho detto?»
«Niente», rispose lui, e riprese il lavoro.