42

Con l'aiuto di mezza bottiglia di Glenmorangie riuscì a dormire profondamente per tre ore prima di esser svegliato di soprassalto da un pensiero: Susan Lister non era stata aperta.

Emise un sospiro e si rigirò sulla schiena, coprendosi gli occhi con le mani. Non le era stato cucito dentro nessun uccellino. Niente uccellino.

Perché? Perché questa volta non ci hai lasciato il tuo simbolo?

Non era un simbolo.

Jack si sollevò sui gomiti, sbatté le palpebre e sentì il cuore martellargli nel petto. Pareva quasi che qualcuno nella stanza gli avesse risposto.

Non è un simbolo? E allora che cos'è?

Susan Lister era viva. Niente uccellino. E quelle sei, misere carcasse all'obitorio? Un uccellino vivo, che ha lottato per sopravvivere. Che ha lottato tanto duramente da strappare persino il tessuto dalle ossa sottostanti. Sembrava opera di Harteveld, dall'oltretomba.

Il chiarore freddo della luna si spostò, colpendo il corpo di Jack che, steso a letto, ascoltava il battito del proprio cuore. Pensava di aver capito quale significato avesse l'uccellino. E pensava di sapere esattamente quale ruolo avesse nel puzzle. Ora sapeva dove andare a parare.


Sebbene alcuni dei suoi componenti avessero già portato via le loro cose, l'intera squadra F era stata contattata: doveva tornare a Shrivermoor in tempo per la riunione del mattino. Jack incontrò Maddox, Essex e la Kryotos un'ora prima. Erano tutti stanchi e abbattuti. Jack rimase immobile per alcuni minuti al centro della stanza, tenendo il bicchiere in mano, riflettendo e cercando di riordinare le idee, mentre Maddox stava seduto nell'angolo, con la testa tra le mani e lo sguardo fisso su di lui. Marilyn era in cucina a preparare il caffè. Poco dopo sentirono il tintinnio dei cucchiaini nelle tazze diffondersi in tutto il corridoio. La donna entrò nella stanza e servì il caffè canticchiando, pensando in tal modo di alleviare quell'atmosfera depressa.

«Bene», esclamò Maddox con un sospiro. Si passò le mani sul viso e alzò gli occhi verso Essex e la Kryotos. «Sapete entrambi che cos'è successo la notte scorsa.»

«Sì.»

«Sulla Jackson è stato trovato un capello che non siamo in grado d'identificare. Dobbiamo considerarlo di un'altra vittima, quindi non m'interessa se siete stanchi, se dovete sputare sangue su questo caso.» E, sollevando lo sguardo, chiese: «Jack? Sei pronto?»

«Sì.»

«Procedi pure», lo incitò Maddox, con un gesto della mano. «Racconta loro quello che mi hai detto.»

«Sì, d'accordo.» Jack esitò ancora un istante, fissando il pavimento. Poi s'infilò gli occhiali e si voltò verso di loro. «È Birdman», dichiarò semplicemente.

Paul e Marilyn si scambiarono un'occhiata.

«Un imitatore?» chiese Paul.

«No. Voglio dire che questo è Birdman. La stampa non si accontenta di un imitatore. Harteveld era l'assassino. Birdman è il mutilatore. Harteveld è morto, Birdman è ancora all'opera.»

Marilyn smise di mescolare il caffè e lo fissò. Paul aveva le sopracciglia aggrottate e faceva ruotare la tazza del caffè sopra il tappetino del mouse, di colore blu e grigio metallizzato. Maddox si soffregò il mento, studiando le reazioni del gruppetto, poi rivolse lo sguardo verso Jack. «Dovrai convincerli.»

«Posso farlo», rispose lui, aprendo la ventiquattrore e consegnando a Marilyn gli appunti presi alla Scientifica. «Jane Amedure sostiene che le ferite rilevate durante l'autopsia sul corpo di Peace Nbidi Jackson sono conformi alle altre: risalgono a tre giorni dopo la morte.»

«Che significa?»

«Significa che, quando sono state ammazzate, Harteveld era sotto sorveglianza oppure addirittura già morto. La Quinn e Logan non sono riusciti a trovare nessuna prova nell'appartamento di Halesowen Road in quanto non era Harteveld a compiere le mutilazioni, bensì qualcun altro.»

«Come in un piccolo club.» Marilyn consegnò gli appunti a Paul e riprese a mescolare il caffè. «Sì, un club di necrofili. Con le regole dei circoli più retrogradi: nessun negro, nessun ebreo, nessun tossico nella sede del club…»

«No, no.» Maddox sollevò una mano. «Fallo andare avanti. Potremmo sempre farci una bella risata alla fine, quando avrà ricostruito i fatti.»

«Bene.» Jack si sedette di fronte a loro e appoggiò le mani sul tavolo. «Penso che sia andata così: Harteveld era un necrofilo, e su questo non ci sono dubbi. Ma, sotto un certo aspetto, era un necrofilo fuori del comune perché colto: sapeva quanta merda rischiava di piovergli addosso, quindi ha tenuto tutto nascosto. Ammesso che fosse un pervertito tipico, la sua malattia potrebbe essere rimasta latente per anni. Poi, circa sette mesi fa, è successo qualcosa: la mente di Harteveld ha 'cozzato' contro un fattore scatenante, forse una relazione finita male, un dramma professionale… Forse non sapremo mai che cos'è successo davvero, eppure qualcosa ha scatenato la sua… propensione. Ha agito senza pensare, se l'è spassata, e poi, una volta finito tutto, si è reso conto di trovarsi nei guai.»

«Si è ritrovato con un cadavere, insomma.»

«Ed era terrorizzato all'idea di doversene disfare. Ma anche quello, in fondo, non era un problema, perché lui conosceva qualcuno che lo poteva aiutare. Non un altro necrofilo, ma un opportunista. Un uomo sessualmente malato, un sadico. Qualcuno abbastanza malato da non badare al fatto che le vittime fossero vive o morte. È lui, non Harteveld, a liberarsi dei corpi.»

«A liberarsi di merce di seconda mano», mormorò Essex.

«La Quinn non ha trovato quel tipo di sapone a casa di Harteveld», intervenne Maddox, giocherellando col coperchio di una minuscola confezione di latte. «Qual era?»

«Il Wright's Coal Tar.»

«Hmm…» Maddox rimase in silenzio per alcuni secondi, poi versò il latte nel caffè e guardò pensieroso Jack. «Vai avanti. Sono a metà strada.» Gettò il piccolo contenitore nel cestino e si riappoggiò allo schienale della sedia. «Facci capire bene.»

«D'accordo. Ricordate che non riuscivamo a comprendere come mai Harteveld fosse così fottutamente abile nello scegliere vittime di cui non sarebbe stata denunciata la scomparsa? Ora, Logan ha mostrato a Gemini una foto di Harteveld e lui non ha reagito. Idem con la barista. Come se Harteveld non fosse mai stato al pub. Gemini quindi accompagnava le ragazze a Croom's Hill per un appuntamento già combinato da qualcun altro. Ecco quello che penso: e se fosse stato questo secondo criminale a preparare il terreno? A fare conoscenza con le ragazze, a scoprire quali sarebbero potute sparire senza problemi, a sbrigare tutti i preparativi? In tal modo, Harteveld non si faceva vedere al pub, e sapeva già qual era la prossima vittima perché qualcun altro l'aveva scelta per lui.»

«E lo stesso criminale entrava in scena più tardi?»

«Già. Ed era lui, non Harteveld, a occuparsi degli ornamenti: trucco, parrucche…»

«E così arriviamo all'aggressore della Lister…» La Kryotos non sembrava più scettica. «Ci stai suggerendo che il 'secondo criminale', come tu l'hai chiamato, ha agito da solo?»

«Esattamente. Ormai ci ha preso gusto.»

«Questo risponderebbe a molti interrogativi», commentò Essex.

«Per esempio al perché quella donna di Royal Hill non si è accorta che nel suo cassonetto c'era un cadavere da due giorni. Forse si trovava lì solo dalla sera prima, come lei stessa ha dichiarato. Forse l'altro ha gettato via il corpo dopo che Harteveld si è esibito per l'ultima volta.»

«Ora», proseguì Jack, «la Jackson aveva i capelli sporchi di polvere di cemento, lo stesso cemento presente sulle altre vittime. All'inizio tutti abbiamo pensato che provenisse dall'area industriale, ma la Jackson non è mai stata lì. Come pure la Lister: anche su di lei la Scientifica ha rilevato una polvere grigia. Forse siamo in presenza di un altro Fred West, forse è nell'edilizia o sta facendo dei lavori di ristrutturazione a casa sua. Ma la cosa più importante è un'altra: secondo me quel tizio ha qualcosa a che fare col St. Dunstan's.»

«Marilyn.» Maddox si alzò e prese a battere una penna sui denti. «Chiamami il commissario capo. Questa cosa gli piacerà. Quanto a te, Jack…» Si sedette sulla scrivania e lo guardò. «… so che cos'hai in mente.»

«Davvero?»

«Oh, sì. Hai già un'idea, vero?»

«Sì, certo. Prima di tutto non avrei dovuto lasciarlo andare.»

«Allora procedi. Prendi Essex. Puoi avere anche Logan, quando arriva.»

«Aspetta, aspetta…» mormorò la Kryotos, accigliandosi. Si rivolse a Jack: «Pensavo che alla Scientifica ti avessero detto che non c'erano segni sulla testa della Lister».

«Non ce n'era bisogno», rispose Jack. «Come con Kayleigh Hatch, i suoi capelli erano del colore giusto. Glieli ha tagliati per farli combaciare. Ha scelto lei perché era simile a ciò che voleva. Faceva jogging – il St. Dunstan's era sulla sua strada – credo l'abbia identificata là. Questa è la prima volta che non ha dovuto prendere ciò che gli veniva dato: questa ragazza l'ha scelta personalmente. Ormai va a caccia da solo.»

«Ma non è stata… hmm… Lo sai, non è stata tagliata, aperta. Inoltre nel suo corpo non è stato trovato nessun uccellino.»

«Già, già…» Jack si tolse gli occhiali e si strofinò gli occhi. Quando alzò lo sguardo, tutti si accorsero di quanto fosse stanco. «Perché non era morta.»

«Come?» esclamò Maddox.

Jack appoggiò le mani sul tavolo e osservò le screziature che gli si formavano sulle unghie quando schiacciava i pollici l'uno contro l'altro. «Quel bastardo apre le vittime per infilarvi dentro gli uccelli. Non è come Harteveld, non ama le proprie vittime morte. È uno stupratore, un sadico, ma la morte non lo diverte. Le preferisce vive: infatti è la loro paura che lo fa godere.» Guardò direttamente Marilyn, confidando che non si sarebbe intimorita. «Susan Lister non è stata 'aperta' per il semplice motivo che il suo cuore era vivo, e le batteva nel petto. Ed era un cuore che reagiva alla tortura.»

«Che cosa ci stai dicendo?» chiese lei con voce fievole.

«Ho capito quello che intende», intervenne Paul. «Gli uccelli erano vivi quando venivano messi nei corpi. Hanno lottato. Come…» Si srotolò le maniche, quasi che nella stanza fosse calato un freddo improvviso, quindi proseguì: «… come un cuore che batte».

«Proprio così.» Jack si alzò e si mise la giacca. «Proprio così.»


Con tutta l'eccitazione della notte precedente, aveva fatto tardi. Aveva tante cose per la testa. Il suo imminente compleanno, Joni, e, naturalmente, la persona che aveva trascorso un giorno e una notte nel suo appartamento, violata, sottomessa.

La facilità del rapimento, il metodo semplice e simmetrico con cui si era liberato di lei (lasciandola nel giardino, in modo che il marito la trovasse), il futuro promettente che quel successo aveva dischiuso… Questi pensieri lo facevano vibrare, riempiendolo di euforia.

All'inizio, quando lui si era seduto sul sedile posteriore dell'auto con in mano una sega elettrica, la donna aveva perso completamente il controllo del proprio corpo. Pareva in preda a una crisi epilettica: dimenava la testa, batteva i piedi sul tappetino della macchina, muoveva le labbra senza emettere suoni e batteva i denti nell'oscurità. Ma, una volta presa la decisione di stordirla, colpendola sulla testa con l'impugnatura della sega, era diventato tutto più semplice.

C'era stato un unico inconveniente. Dopo aver trascorso giornate intere a studiarla, mentre faceva jogging passando ogni mattina di fronte al St. Dunstan's, si era convinto di aver scelto quella giusta, quella che non avrebbe richiesto nessun intervento chirurgico. Ed era stato travolto dalla delusione quando, giunto nel suo appartamento, l'aveva spogliata e le aveva visto il seno: si era reso conto che avrebbe dovuto tagliarlo qua e là. Comunque si era trattato solo di un dettaglio rispetto al travolgente successo conseguito, un successo che aveva rinsaldato quella fiducia in se stesso già cresciuta negli ultimi mesi. Per il suo compleanno, sarebbe stato pronto per il grande colpo. Ecco quello che stava pensando nella sua cucina trasandata, calda come una serra, mentre apriva un pacchetto di M &M e muoveva distrattamente le dita tra le barre di una gabbietta sul cui fondo giacevano, tremanti ed esausti, quattro diamantini mezzi spennacchiati. Non ricordava l'ultima volta che aveva dato loro da mangiare, ma ciò non aveva la minima importanza.

Mancava un giorno al suo compleanno. Un giorno soltanto. Prese gli M &M e si diresse verso il bagno. Era arrivato il momento di prepararsi.


Alle nove in punto le segreterie telefoniche dell'ufficio del personale del St. Dunstan's si disattivavano.

«Ufficio del personale. Sono Wendy.»

«Wendy…» Jack s'infilò la cravatta nella camicia e si chinò sulla scrivania. «Sono il detective Caffery dell'AMIP. Ci ha aiutati con quella stanzetta della biblioteca, ricorda?»

«Ah, sì, sì. Buongiorno, detective, buongiorno. Mi chiedevo quando si sarebbe fatto sentire. È stato uno shock per tutti. Sapeva che qui, all'ufficio del personale, il signor Harteveld era ben conosciuto? Sono terribilmente desolata, terribilmente desolata. Spero che il suo comportamento non abbia rovinato la sua opinione del St. Dunstan's. Saremmo tutti molto dispiaciuti se… Sa, siamo molto orgogliosi della nostra reputazione e se penso anche solo per un istante che quell'orribile uomo l'abbia compromessa, io…»

«Wendy…»

«Sì.» La donna trattenne il fiato e deglutì. «Mi perdoni.»

«Ha per caso i nominativi di chi è in ferie?»

Quando le disse chi stava cercando, rispose: «Detective Caffery, la metto in attesa mentre vado a prendere la sua cartella». Lo lasciò in compagnia di alcune battute del Canone in re di Johann Pachelbel, e ritornò in meno di un minuto, senza fiato, in preda all'agitazione.

«Pronto? Detective Caffery?»

«Sì?»

«Il signor Thomas Cook è in ferie, rientra l'8 giugno.»

«O così dice.»

«Scusi?»

«Niente. Ha il suo indirizzo?»


Cook viveva al pianoterra di una casa ristrutturata, formata da due appartamenti, a Lewisham. Nessun cantiere in strada o di fronte all'abitazione. Jack e Paul lasciarono Logan nella Sierra, sotto un platano che gocciolava sul cofano dell'auto. Si coprirono la testa con l'impermeabile e si diressero furtivamente verso il piazzale asfaltato davanti all'edificio, varcarono il cancello laterale di legno ed entrarono in giardino. L'erba era alta, e anche lì nessuna traccia di cemento o di lavori in corso. La casa appariva silenziosa: le finestre erano buie e tutte le tende del pianoterra tirate.

I due, in mezzo all'erba bagnata, rivolsero lo sguardo verso l'alto, osservando il tetto a due spioventi che gocciolava. Poi, d'un tratto, le trasmittenti si accesero.

«Bravo sei-zero-due da Bravo sei-zero-sei.» Un po' assurdamente, Logan stava bisbigliando. «Signore?»

Jack tolse la radio dalla custodia attaccata alla cintura. «Bravo sei-zero-due in ascolto.»

«Qualcuno si sta muovendo in casa, signore.»

«Ti abbiamo trovato. Ti siamo addosso. Forza!»

Tornarono alla Sierra di corsa.

«Chi è?»

«Una vecchietta.»

«Una vecchietta?»

«Hai presente il tipo? Capelli grigi, lenti bifocali…»

«La vicina del piano di sopra?»

«Be', se è la vicina di casa, allora mi piacerebbe sapere che cosa sta facendo nell'appartamento segnalato.»

«Come?»

«Al pianoterra. Guarda.»

Si voltarono tutti. Dietro le finestre anteriori dell'appartamento scorsero due grandi mani scostare una tenda.

«Bene», esclamò Jack dirigendosi di nuovo verso la casa. «Forse è un mio errore.»

«Jack», chiamò Paul, accelerando per raggiungerlo. «Cosa credi di fare?»

«Forse è un mio errore, forse il 27 a è giù e il 27b è su.» Suonò il campanello.

Paul, che si trovava al suo fianco, tremò. «Non mi piace, Jack.»

«Ma che dici? È solo una vecchietta.»

«Vestito per uccidere», bisbigliò l'altro. «Vestito per commettere un omicidio, ecco quello che penso.»

Si udirono alcuni passi nell'atrio, passi pesanti, e, quando Jack estrasse il distintivo dalla tasca, Paul si allontanò dalla porta d'ingresso.

«Sul serio, Jack. Tutto questo non mi piace affatto.»


Il viso riflesso nello specchio macchiato sopra il lavandino, i brutti denti e la pelle rossa e lucida ribadivano la convinzione che lo aveva accompagnato lungo tutta la vita: la rabbia era un suo diritto civile, e aveva tutte le ragioni per infuriarsi. Non aveva mai trascorso neppure un giorno, neppure un'ora, della sua esistenza senza vergognarsi del suo aspetto fisico: tendeva a ingrassare e non era mai riuscito a fare granché per modificare i languidi fianchi femminili e le gambe paffute di quand'era bambino. Quando camminava, le cosce sfregavano l'una contro l'altra, e ogni notte lui era costretto a pulire il deposito ceroso che si accumulava nelle pieghe della carne. Possedeva la lussuria di un toro e provava istinti sessuali eccessivi e brutali, ma non c'era da meravigliarsi che avesse raggiunto l'età di vent'anni ancora vergine.

La sua prima, squallida conquista sessuale era avvenuta in un vicolo di Camden, sotto una pioggia battente e in cambio di una mezza bottiglia di Pink Lady. Poi c'era stata una prostituta di St. Lucian a Hackney per dieci sterline, quattro Pernod e del ribes nero. Fu all'età di ventidue anni, quando si era reiscritto al primo anno di Biologia, Fisica e Chimica, che trovò lavoro come addetto alla sicurezza presso l'UMDS, e la sua vita subì una svolta.

Il suo lavoro, all'ombra della London Bridge Station, gli consentiva di studiare; era incaricato di controllare i pass, indirizzare i visitatori, nonché rimanere al gelo, nel container del parcheggio antistante il dipartimento di patologia, e a settimane alterne, da solo, di notte, ispezionare i locali: i corridoi dai pavimenti lucidi, le mense vuote pervase dall'odore di purè e latte acido, le sale conferenza, il laboratorio di patologia e quello di anatomia.

Quel laboratorio di anatomia dove, un inverno di sedici anni prima, si era creato un legame inestricabile tra la sua vita e quella di Harteveld.

Il loro era stato un incontro singolare, un incontro di menti deformi. Si erano guardati, tra i corpi ricoperti dai teli verdi e i tavoli settori in acciaio, e all'istante avevano saputo, con la stessa incrollabile certezza di due amanti, di aver trovato l'anima gemella. Non c'era stato neppure bisogno di spiegare a parole la lotta interiore che li tormentava. L'aristocratico, dal portamento fiero e dalla costituzione robusta, l'aveva guardato e di slancio, con semplicità, lui aveva compreso.

Non avendo passato gli esami annuali, aveva abbandonato prima il sogno di laurearsi e poi anche il lavoro. Pure Harteveld se n'era andato dall'UMDS, ma la lealtà tra l'erede della fortuna di un'azienda farmaceutica e l'ex addetto alla sicurezza aveva sfidato il tempo.

Il loro particolare, specifico interesse era rimasto lo stesso.

C'erano stati quattro o cinque stupri nel corso degli anni: nei parcheggi, nei boschi, ragazze troppo ubriache per ricordarsi la targa della macchina guidata da un uomo di bassa statura che, dopo aver accostato al marciapiede, aveva offerto loro un passaggio. Ecco com'era arrivato a sud del fiume. Lei era una spogliarellista di Greenwich. Era il giorno del suo compleanno, erano le due del mattino, e l'aveva trovata mentre girovagava per le strade a nord del Rotherhithe Tunnel: faceva l'autostop. Era la cosa più bella che avesse mai visto, con la minigonna a frange e la giacca in pelle, i capelli biondi da svedese con la frangia. Persino in quel momento, nell'umido bagno di Lewisham, ripensando all'intenso amore che aveva provato per Joni, prese involontariamente a mugolare.

Si era lasciata cadere sul sedile anteriore dell'auto e, non appena lui le aveva toccato il morbido corpo schiacciato dalla cintura di sicurezza, dalla sua bocca era uscito un gemito. Sotto la giacca di pelle, il cuore aveva palpitato, come un gracile uccellino. Solo quando lui aveva cercato di alzarle la gonna lei aveva opposto resistenza. Era uscita dall'auto, incespicando, ubriaca, ed era rimasta seduta rigidamente sul marciapiede, il trucco bluastro sbavato. Lui era sceso e aveva tentato di toccarla di nuovo, ma lei lo aveva respinto ancora.

«Non ora, d'accordo?» aveva mormorato. «Mi sento male.»

Lui era rimasto con lo sguardo fisso sui capelli biondo cenere, sulle calze smagliate alle ginocchia e, improvvisamente, aveva deciso di non violentarla.

Proprio così.

Aveva cambiato idea. L'aveva accompagnata a casa, augurandole la buonanotte. Proprio così. Come se non fosse successo niente. Come se quel comportamento per lui fosse normale.

Dopo si era sentito onesto, euforico, rinato. E aveva deciso che la sua generosità nei confronti della ragazza era un segno d'amore. La desiderava tanto che gli veniva il mal di testa quando pensava a lei.

Ma Joni rifiutava le sue avance, si arrabbiava se lui andava a vederla al pub, e si era addirittura infuriata venendo a sapere che aveva trovato un nuovo lavoro al St. Dunstan's, acquistando inoltre l'appartamento di una vecchia signora al pianterreno di una casa ristrutturata a Lewisham, a un chilometro e mezzo da casa sua, a Greenwich.

La rabbia dimostrata dalla ragazza nei suoi confronti non lo scoraggiava: lei era la sua ragione di vita. L'appartamento era un santuario dedicato a lei: la fotografava per strada, le pagava da bere al pub. Talvolta Joni gli regalava qualche momento di piacere, spesso fumava o beveva tanto da addolcirsi e gli permetteva di portarla a casa: lui la lasciava dormire nel letto per gli ospiti, ma senza toccarla. Mai, nemmeno una volta. Non era quello che voleva. Doveva essere lei a venire da lui. Questo era importantissimo. Teneva l'appartamento sempre pulito, nella dolorosa speranza che la ragazza avesse capito quanto lui l'amava. Se veniva a stare da lui, nascondeva le foto, custodite come un tesoro, curando ogni minimo particolare, spruzzando nell'appartamento profumi per rinfrescare l'ambiente… A Joni piacevano molto i profumi dolci.

Infine, stanca e rassegnata, lei era arrivata a sopportarlo. E lui, a sua volta, aveva imparato a tollerare le sue sconsiderate infedeltà, i suoi flirt occasionali, il suo rifiuto di toccarlo. Anche in quel giorno di quattro anni prima, quando lei si era presentata col seno gonfiato grazie a un intervento di chirurgia estetica. Anche allora, sebbene furioso, era riuscito a rimanere calmo, gentile. Non importava quello che faceva Joni nella realtà, nel mondo tridimensionale, perché lei viveva in lui, in un mondo creato dalla sua fantasia, com'era stata quella notte, calda e docile, coi morbidi seni appuntiti e il respiro affannoso.

Quando tornò in cucina, uno dei malconci diamantini aveva trovato la forza di raggiungere il posatoio e lo fissava coi piccoli occhi lucidi. Lui borbottò qualcosa e scosse violentemente la gabbia, finché l'uccellino, privo di forze, non cadde di nuovo sul fondo, troppo stordito e affamato per volare. Rimase lì, appoggiato su un fianco, ansimante, con un occhio rivolto al padrone, il quale finì gli M &M, accartocciò il pacchetto e iniziò a prepararsi.

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