Cinque ore più tardi il treno di Rachel entrava nella stazione di Newark.
Non potei fare a meno di pensare a tutti i vecchi film in cui gli amanti vengono separati dai treni, con il vapore che esce da sotto le carrozze, il conduttore che grida per l’ultima volta: “Tutti a bordo!”, il suono del fischietto, il cigolio delle ruote che prendono lentamente a muoversi, uno dei due amanti che si sporge dal finestrino per salutare l’altro che corre sul marciapiedi accanto al treno in movimento. La stazione di Newark è romantica come può esserlo una cacca di cane spiaccicata. Il treno si avvicinò senza quasi emettere un sospiro e nell’aria non aleggiò nulla di ciò che si sarebbe voluto vedere o odorare.
Ma quando Rachel scese mi sentii ancora nel petto quel rumore sordo e continuo. Indossava jeans scoloriti e un maglioncino a girocollo rosso. A tracolla portava la borsa da viaggio. Per un momento rimasi a guardarla. Io avevo appena compiuto trentasei anni, Rachel ne aveva trentacinque. Non eravamo più stati insieme da quando ne avevamo ventuno-ventidue, avevamo vissuto separati tutta la nostra vita adulta. Strano, a pensarla in questi termini. Vi ho già detto della nostra rottura. Cerco di individuarne i motivi, ma forse è tutto molto semplice. Eravamo giovanissimi e i giovani fanno delle fesserie, non pensano alle conseguenze, non vedono le cose a lungo termine. Non capiscono che il rumore sordo e continuo che sentono nel petto potrebbe non lasciarli mai.
Eppure quel giorno, appena mi ero reso conto di avere bisogno di aiuto, era a Rachel che avevo pensato immediatamente. E lei era venuta.
Si diresse verso di me senza esitare. «Stai bene?»
«Sì.»
«Hanno telefonato?»
«Non ancora.»
Si mise a camminare. Stava facendo sul serio, anche lei si era calata nel suo ruolo professionale. «Dimmi qualcos’altro su quei test del DNA.»
«Non so altro.»
«Non sono decisivi, quindi?»
«Non da poter essere portati davanti a un giudice, ma i risultati sembrano definitivi.»
Lei si spostò la borsa da una spalla all’altra. Cercai di tenere il suo passo. «Dobbiamo prendere delle decisioni difficili, Marc. Ti senti pronto?»
«Sì.»
«Anzitutto, sei certo di non volere avvertire la polizia o l’FBI?»
«Nel biglietto parlavano di un loro informatore all’interno.»
«Probabilmente è una stronzata.»
Continuammo a camminare.
«L’altra volta ho avvertito le autorità» le dissi.
«Questo non significa che sia stata una mossa sbagliata.»
«Sicuramente non è stata quella giusta.»
Fece un cenno d’assenso. «Non lo sai che cos’è successo l’altra volta. Forse si sono accorti dell’auto che li seguiva, forse sorvegliavano la tua casa. È più probabile, comunque, che non abbiano mai avuto l’intenzione di ridarti tua figlia. Lo capisci questo?»
«Sì.»
«E ciò nonostante vuoi tenere fuori polizia e FBI.»
«Per questo ho chiamato te.»
Si fermò, finalmente, in attesa che le indicassi la direzione che dovevamo prendere, poi si rimise in movimento. «C’è un’altra cosa.»
«Che cosa?» le chiesi.
«Questa volta non possiamo permettere che siano loro a dettare le condizioni. Dobbiamo farci dare delle prove certe che Tara sia ancora viva.»
«Diranno che come prova bastano i capelli.»
«E noi gli risponderemo che i risultati non sono definitivi.»
«Credi che quelli se la berranno?»
«Non lo so, forse no.» Continuò a camminare, serrando la mascella. «Ecco perché parlavo di decisioni difficili. Sai quel tipo con la camicia di flanella che hai visto questa mattina? Si tratta probabilmente di una guerra psicologica, vogliono spaventarti e fiaccarti, vogliono che tu esegua ancora una volta ciecamente ciò che ti diranno di fare. Tara è la tua bambina. Se vuoi pagare ancora una volta il riscatto, è affar tuo. Ma io sarei contraria, non c’è nulla che ci garantisce che non spariranno come hanno fatto l’altra volta.»
Entrammo nel parcheggio e detti il biglietto all’addetto. «Che cosa suggerisci, allora?» le chiesi.
«Anzitutto, dobbiamo proporre uno scambio. Non più, cioè: “Eccovi i soldi, fatevi sentire”, lo scambio soldi-bambina deve avvenire contemporaneamente.»
«E se non accettano?»
Mi guardò con quei suoi occhi seri. «Decisioni difficili, ricordi?»
Annuii.
«Voglio anche un navigatore satellitare elettronico, per non perderti d’occhio. Voglio metterti addosso una microcamera a fibre ottiche per vedere, se possibile, che faccia ha quel tipo. In quanto a mano d’opera siamo scarsi, ma possiamo ugualmente dire la nostra.»
«E se se ne accorgono?»
«E se scompaiono?» mi obiettò lei. «Dobbiamo correre dei rischi, in un modo o nell’altro, c’è poco da fare. Dobbiamo imparare la lezione dell’altra volta: non abbiamo alcuna garanzia, si tratta solo di aumentare le nostre probabilità.»
Arrivò la mia auto, salimmo e imboccammo la McCarter Highway. Rachel si fece all’improvviso silenziosa. Fu come se non ci fossimo mai separati, conoscevo quell’atteggiamento, sapevo che cosa significava.
«Che altro?» le chiesi.
«Nulla.»
«Rachel.»
Qualcosa nella mia voce la costrinse a distogliere lo sguardo. «Ci sono alcune cose che dovresti sapere.»
Attesi.
«Ho telefonato a Cheryl e so che ti ha detto quasi tutto. Sai quindi che non sono più un’agente federale.»
«Sì.»
«Non posso fare molto.»
«Lo capisco.» Lei si appoggiò contro lo schienale e rividi l’atteggiamento di poco prima. «Che altro?» le chiesi.
«Devi fare i conti con la realtà, Marc.»
Ci fermammo a un semaforo rosso. Mi voltai a guardarla, a guardarla sul serio per la prima volta. I suoi occhi erano ancora color nocciola venati di pagliuzze dorate. Aveva avuto una vita difficile, ma dagli occhi non si sarebbe detto.
«Le probabilità che Tara sia viva sono scarse» disse.
«Ma i test del DNA. …»
«Me ne occuperò più tardi.»
«Te ne occuperai?»
«Più tardi» ripeté.
«Che diavolo significa? Corrispondono a quelli di un anno e mezzo fa, secondo Edgar la conferma ufficiale è solo una formalità.»
«Più tardi» ripeté, questa volta con voce ferma. «Per il momento dobbiamo regolarci come se la piccola sia ancora viva, organizzare lo scambio come se ad attenderci ci sia una bambina viva e vegeta. Ma devi anche renderti conto che tutto questo potrebbe rivelarsi solo un imbroglio ben congegnato.»
«Che cosa te lo fa pensare?»
«Non ha importanza.»
«Certo che ce l’ha. Mi stai dicendo che i risultati del test del DNA non hanno alcuna importanza?»
«Ho qualche dubbio. Ma potrei anche sbagliarmi.»
«E perché? I capelli corrispondevano a quelli dell’altra volta.»
«Corrispondevano?»
«Sì.»
«Ma come fai a sapere se quelli che ti hanno mandato l’altra volta erano di Tara?»
Impiegai qualche attimo per cogliere il senso di quella domanda.
«Avete mai fatto fare un test di quei capelli, per vedere se il DNA corrispondeva al tuo?» mi chiese.
«E perché avremmo dovuto farlo?»
«Quindi, nulla ci vieta di pensare che i rapitori vi possano avere mandato i capelli di un’altra bambina.»
Scossi il capo come per chiarirmi le idee. «Ma avevano un brandello di stoffa della sua tutina, quella rosa con i pinguini neri. Come te lo spieghi?»
«Non penserai davvero che in giro ci fosse solo la sua. Ascolta, non so ancora bene come stanno le cose, quindi è inutile perdere tempo con delle ipotesi. Concentriamoci invece su ciò che possiamo fare qui e ora.»
Tra noi scese il silenzio e io cominciai a chiedermi se quella di rivolgermi a lei fosse stata una decisione giusta, o se per caso non si fosse invece rivelata una palla al piede. Ma alla fine di quella giornata, mi ero affidato a lei completamente. Dovevamo rimanere professionali, continuare a dividere in compartimenti.
«Rivoglio solo la mia bambina» dissi.
Lei annuì, aprì la bocca come per dire qualcosa, ma poi rimase in silenzio. E fu allora che arrivò la telefonata con la richiesta di riscatto.