Lydia avrebbe preferito che ci fosse più luce, per vedere l’espressione del dottor Seidman in quel momento. Ma il desiderio di guardare in viso la sua vittima non aveva nulla a che fare con la crudeltà della quale stava per dare dimostrazione. La sua era soltanto curiosità, più profonda di quella insita nella natura umana, la stessa che spinge gli automobilisti a rallentare per vedere le conseguenze di un incidente. Quell’uomo si era visto portare via la sua bambina e per un anno e mezzo si era tormentato per sapere che fine avesse fatto la piccola, restando sveglio la notte e prefigurando immagini così angosciose che sarebbe meglio rimanessero negli oscuri recessi del nostro subconscio.
Ora l’aveva vista, la bambina.
Sarebbe stato quindi innaturale non avere la curiosità di vedere l’espressione del suo viso.
I secondi passavano ed era ciò che lei voleva. Voleva protrarre la tensione, portarlo oltre il suo limite di sopportazione, sfinirlo prima di sferrare il colpo decisivo.
Lydia estrasse la Sig-Sauer, tenendola all’altezza del fianco. Guardando tra il cespuglio stimò in dieci-dodici metri la distanza che la separava da lui. Inserì nel cellulare il distorsore della voce e riavvicinò l’apparecchio alle labbra: che urlasse o sussurrasse non faceva alcuna differenza, il distorsore rendeva omogenei tutti i suoni.
«Apri la sacca con i soldi.»
Dal suo osservatorio soprelevato lo vide seguire i suoi ordini, muovendosi come in trance, senza più obiezioni. Questa volta fu lei a usare la torcia elettrica, gliela puntò sul viso e poi abbassò il raggio sulla sacca.
Soldi. Vedeva le mazzette. Annuì, tutto secondo i piani.
«Okay, ora lascia i soldi a terra» gli disse. «Poi imbocca lentamente il sentiero, troverai Tara ad aspettarti.»
Vide il dottor Seidman posare la sacca. Teneva le palpebre socchiuse per guardare meglio in direzione del punto in cui lo attendeva la sua bambina. I suoi movimenti erano impacciati, probabilmente per la luce che l’aveva per un momento abbagliato. E anche questo particolare avrebbe reso le cose più facili.
Lydia avrebbe voluto sparare da vicino, due rapidi colpi alla testa, in caso quello avesse indossato un giubbotto antiproiettile. Sparava bene, lei, probabilmente sarebbe stata in grado di colpirlo alla fronte persino da dove si trovava. Ma voleva esserne sicura, non poteva permettersi di commettere errori, di correre rischi.
Seidman si mosse verso di lei, era a quasi otto metri di distanza, poi cinque. Quando fu a tre metri, la donna sollevò la pistola e prese la mira.
Se Marc avesse preso la metropolitana, Rachel sapeva che sarebbe stato pressoché impossibile seguirlo senza essere vista.
Allora corse alla tromba delle scale e guardò giù, nel vuoto. Marc non c’era, maledizione. Si guardò attorno e vide un cartello che indicava gli ascensori per la linea A. A destra un cancello chiuso. Nient’altro.
Probabilmente stava scendendo in ascensore.
E adesso?
Udì un rumore di passi alle sue spalle. Con la destra cercò di togliersi dal viso la tinta nera per rendersi un minimo presentabile, con la sinistra si girò sulla nuca gli occhiali per la visione notturna.
Due uomini stavano scendendo le scale. Uno la guardò e le sorrise, lei si passò nuovamente la mano sul volto e ricambiò il sorriso. I due, arrivati in fondo alle scale, si diressero agli ascensori.
Rachel valutò rapidamente le alternative. Quei due sconosciuti avrebbero potuto rappresentare la sua copertura, sarebbe stato sufficiente seguirli, entrare nello stesso ascensore, uscirne con loro e magari attaccare discorso. Chi avrebbe potuto sospettare di lei? Il treno di Marc per fortuna non era ancora partito. Se fosse… no, meglio non pensare al peggio.
Stava per dirigersi verso i due uomini quando qualcosa la bloccò. Il cancello che aveva visto alla sua destra. Era chiuso e sul cartello si leggeva APERTO SOLTANTO PER IL FESTE SETTIMANA E LE PRINCIPALI FESTIVITÀ.
Ma in mezzo ai cespugli Rachel aveva visto brillare una torcia elettrica.
Si fermò, cercando di vedere qualcosa al di là dello steccato, ma non si distingueva nulla oltre il raggio della torcia. La vegetazione era troppo fitta. Alla sua sinistra udì il suono di un ascensore che arrivava al piano, le porte scorrevoli si aprirono e i due uomini entrarono. Non aveva il tempo di tirare fuori il palmare e controllare il segnale del GPS. Oltretutto, l’ascensore e il raggio della torcia erano troppo vicini e sarebbe stato ben difficile distinguere quella minima differenza.
L’uomo che le aveva sorriso tenne aperta la porta dell’ascensore e lei si chiese che cosa fare.
Il raggio della torcia scomparve.
«Deve scendere?» le chiese l’uomo.
Attese che la torcia elettrica venisse riaccesa, ma inutilmente. Allora scosse il capo. «No, grazie.»
Rachel risalì di corsa le scale, alla ricerca di un punto buio per poter usare i visori notturni. I Rigel avevano un sensore incorporato che li proteggeva dalle luci violente, ma lei preferiva, nei limiti del possibile, che non ci fosse nessuna luce artificiale. La strada era più in alto rispetto al parco e la posizione era quindi buona, ma proprio da lì arrivava ancora troppa luce.
Si spostò su un lato dell’edificio di pietra che ospitava gli ascensori. Se si fosse appiattita contro il muro, in un punto alla sua sinistra, si sarebbe trovata nella completa oscurità. Perfetto. L’intrico di cespugli e alberi era ancora troppo fitto per permettere una visione sufficientemente chiara, ma non c’erano alternative.
I visori notturni non erano affatto leggeri come dichiarava il produttore. Avrebbe dovuto comprare il modello che si accosta agli occhi, come un binocolo. Quasi tutti quelli in circolazione erano così, ma il suo no: bisognava applicarselo al viso come una maschera. Ma presentava un vantaggio evidente, lasciava libere le mani.
Mentre se li metteva sul capo per infilarseli apparve nuovamente il raggio della torcia. Rachel tentò di seguirlo con lo sguardo, di vedere da dove provenisse: questa volta da un punto diverso, le sembrò. Sulla destra, e più vicino.
E poi, prima che potesse localizzarlo, il raggio era scomparso.
Fissò il punto dal quale le sembrava fosse partito. Era buio, ormai, molto buio. Senza staccare gli occhi terminò di infilarsi i visori, che però non sono magici, non è vero che permettono di vedere al buio. Sfruttano, intensificandola, ogni luce esistente, anche la più fievole. Ma lì di luce in pratica non ce n’era. Questo una volta rappresentava un problema, ma ora non più, perché oggi ci sono in commercio modelli con incorporata una sorgente di raggi infrarossi, che non sono visibili dall’occhio umano.
Ma sono visibili dai visori notturni.
Rachel azionò gli infrarossi e la notte si accese di verde. Non stava più guardando attraverso una lente ma uno schermo al fosforo, uguale a quello del televisore di casa. La lente ingrandiva la foto, perché era una foto quella che si vedeva e non l’oggetto vero e proprio, e la foto era verde perché l’occhio umano riesce a distinguere più tonalità di verde che di qualsiasi altro colore al fosforo. Rachel guardò.
E notò qualcosa.
Ciò che vide era confuso, ma a lei sembrò una donna di piccola statura che se ne stava nascosta dietro un cespuglio. Aveva qualcosa davanti alla bocca, un telefono probabilmente. Con quegli occhiali notturni la visione periferica era pressoché inesistente, anche se sulla carta avrebbero dovuto consentire un’angolazione fino a trentasette gradi. Rachel si voltò a destra e vide Marc, che stava posando al suolo la sacca di tela con i due milioni di dollari.
Marc prese a camminare in direzione della donna, a piccoli passi, forse per non inciampare nell’acciottolato.
Rachel spostò lo sguardo dalla donna a Marc, poi lo riportò sulla donna. Marc si stava avvicinando ancora e la donna era sempre accovacciata al riparo dei cespugli. Lui non avrebbe potuto vederla comunque. Rachel si preoccupò, non riuscendo a capire che cosa diavolo stesse succedendo.
Poi la donna sollevò un braccio.
Rachel non riusciva a vedere chiaramente attraverso i rami degli alberi, ma sembrava che stesse puntando un dito contro Marc, che l’aveva quasi raggiunta. Socchiuse gli occhi per vedere meglio, e si rese conto che non era un dito quello che la donna stava puntando contro Marc. Era troppo grossa quella cosa per essere una mano.
Infatti era una pistola. La donna stava puntando una pistola alla testa di Marc.
Un’ombra entrò nel campo visivo di Rachel. Lei fece un passo indietro e aprì la bocca per avvertirlo del pericolo, ma una mano grossa come un guanto da baseball gliela coprì, cancellando ogni suono.
Tickner e Regan stavano correndo lungo la New Jersey Turnpike. Tickner era al volante, l’altro si massaggiava il viso con la mano.
L’agente dell’FBI scosse il capo. «Non riesco a credere che tu non ti sia ancora rasato quei quattro peli.»
«Non ti piace?»
«Chi credi di essere, Enrique Iglesias?»
«Chi?»
«Hai capito.»
«Che cosa c’è che non va nella mia barbetta?»
«È come se portassi una T-shirt con la scritta “Nel 1998 ho attraversato una crisi di mezz’età”.»
Regan ci pensò su. «Okay, osservazione giusta. A proposito, mi piacerebbe sapere se quegli occhiali scuri che porti sempre sono parte della divisa dell’FBI.»
Tickner sorrise. «Mi aiutano a rimorchiare.»
«Certo. Per rimorchiare hai bisogno degli occhiali, e del fucile per stordire.» Si mosse sul sedile. «Lloyd?»
«Eh?»
«Credo di non capire.»
Non parlavano più di occhiali o peli del viso.
«Non abbiamo ancora tutte le tessere del mosaico» disse Tickner.
«Ma ci stiamo avvicinando?»
«Certo.»
«Allora proviamo un po’ ad analizzarli, questi elementi. Che ne dici?»
«D’accordo. Allora, tanto per cominciare, se il laboratorio dove Edgar Portman ha fatto analizzare il DNA dei capelli è serio, la bambina è ancora viva.»
«Il che mi sembra decisamente strano.»
«Sì, ma questo spiegherebbe un mucchio di cose. Chi è la persona più indicata per prendersi cura di una bambina vittima di un rapimento?»
«Il padre» rispose Regan.
«E di chi era la pistola misteriosamente scomparsa dalla scena del delitto?»
«Del padre.»
Tickner fece il segno della pistola con pollice e indice, la puntò contro Regan e finse di premere il grilletto. «Giustissimo.»
«Ma dov’è stata tutto questo tempo la bambina?»
«Nascosta.»
«Bella risposta.»
«No, rifletti un momento. Noi tenevamo d’occhio Seidman, da vicino. Chi era quindi la persona più indicata per prendersi cura della piccola?»
Regan capì dove l’altro voleva arrivare. «La sua ex, della quale ignoravamo l’esistenza.»
«Un’ex che tra l’altro è stata agente federale e sa quindi come lavoriamo in questi casi. Sa come ci si regola per la consegna del denaro, come si nasconde una bambina. Una che potrebbe conoscere la sorella di Seidman, Stacy, ed essersi quindi rivolta a lei per farsi dare una mano.»
Regan ci pensò su. «Okay, supponiamo che finora tu mi abbia convinto. Commettono questo delitto, si prendono due milioni di dollari e la bambina. E poi che fanno? Aspettano per un anno e mezzo il momento opportuno? Decidono che hanno bisogno di altri soldi? Spiegami.»
«Hanno dovuto aspettare per allontanare i sospetti. Forse volevano mettere le mani sulle proprietà della moglie di lui. O forse hanno bisogno di altri due milioni di dollari per scomparire, non lo so.»
Regan si rabbuiò. «Però ho l’impressione che tutt’e due stiamo ignorando un punto fondamentale.»
«Quale?»
«Se Seidman è coinvolto in questa faccenda, come mai ci ha quasi lasciato la pelle? La sua non era una ferita leggera, tanto per allontanare i sospetti, quando i paramedici sono arrivati sul posto l’hanno dato per spacciato, aveva l’encefalogramma quasi piatto. Se ricordi, abbiamo parlato per dieci giorni di duplice omicidio.»
«Effettivamente questo è un problema» ammise Tickner.
«E me lo sai dire dove se ne sta andando adesso? Perché ha passato il Washington Bridge? Secondo te ha deciso che è arrivato il momento di scomparire con i due milioni di dollari?»
«Può darsi.»
«Se tu volessi scomparire, passeresti al casello con il Telepass?»
«No, certo. Ma lui potrebbe non sapere quanto è facile seguire le sue tracce con il Telepass.»
«Ma lo sanno tutti, dai. La bolletta ti arriva per posta, c’è scritto a che ora sei passato e da quale casello. E anche se fosse tanto scemo da dimenticarselo, a ricordarglielo ci sarebbe sempre la sua agente federale, Rachel Vattelappesca, ti pare?»
«Rachel Mills.» Tickner annuì. «Effettivamente hai ragione.»
«Grazie.»
«Che cosa possiamo concludere, allora?»
«Una cosa sola: non abbiamo la minima idea di che cosa stia succedendo.»
Tickner sorrise. «È bello trovarsi su un terreno familiare.»
Poi gli squillò il cellulare. Era O’Malley. «Dove si trova?» chiese.
«A circa un chilometro e mezzo dal George Washington Bridge» rispose Tickner.
«Prema sull’acceleratore.»
«Perché? Che succede?»
«La polizia di New York ha appena localizzato l’auto di Seidman» rispose O’Malley. «È parcheggiata a Fort Tryon Park, cioè a due chilometri o poco più dal George Washington Bridge.»
Secondo Heshy le cose stavano andando un po’ troppo bene.
Aveva visto il dottor Seidman allontanarsi dalla sua auto ed era rimasto in attesa. Ma dall’auto non era sceso nessun altro. Allora si era mosso dalla torre del vecchio forte.
A quel punto aveva visto la donna.
Si era fermato, seguendola con lo sguardo mentre scendeva agli ascensori della metropolitana. Con lei c’erano due uomini. Nulla di sospetto. Ma le cose erano poi cambiate quando la donna era risalita di corsa.
Da quel momento non l’aveva persa di vista. E mentre lei si muoveva nell’oscurità, lui le era andato dietro senza fare alcun rumore.
Heshy sapeva di avere un aspetto tutt’altro che tranquillizzante. Sapeva anche che molti dei circuiti del suo cervello erano difettosi. La cosa non gli interessava granché e questo, secondo lui, era un’altra conseguenza del difetto dei circuiti. Per alcuni Heshy era il male allo stato puro. Aveva ucciso sedici persone, tutte lentamente, tranne due. E aveva lasciato in vita sei uomini che da allora avrebbero preferito essere morti.
Si pensa di solito che quelli come Heshy non capiscano ciò che fanno, che le sofferenze che procurano agli altri non li tocchino. Ma non è vero. Le sofferenze delle sue vittime non lo lasciavano indifferente, lui sapeva che cos’è il dolore fisico. E capiva l’amore. Amava Lydia, l’amava in un modo che molti non saprebbero nemmeno immaginare. Avrebbe ucciso per lei, per lei sarebbe morto. Tanta gente si dice pronta a morire per la persona amata, ma quanti sarebbero disposti a farlo davvero?
La donna aveva davanti agli occhi una sorta di maschera, fissata al capo. Visori notturni, lui li aveva già visti al telegiornale, li portavano i soldati in guerra. Ma questo non voleva dire necessariamente che quella donna fosse una poliziotta. Molte armi e molte attrezzature militari si possono comprare on line, basta avere i soldi. Heshy non la mollò un attimo con lo sguardo perché, che fosse o meno uno sbirro, con quegli occhiali la donna avrebbe visto Lydia che uccideva Seidman.
Quindi bisognava farla tacere.
Le si avvicinò lentamente. Voleva sentire se stava parlando con qualcuno, se era in contatto radio con eventuali compagni. Ma la donna stava zitta. Bene. Forse era davvero sola.
Era a un paio di metri da lei quando la donna s’irrigidì, respirando affannosamente. Allora Heshy capì che era il momento d’intervenire.
Muovendosi con un’agilità e una grazia insospettabili per una persona della sua mole, le passò di scatto il braccio attorno al capo chiudendole la bocca con la mano, così grossa che copriva anche il naso, per interrompere l’afflusso d’aria. Le poggiò l’altra sulla testa, subito sopra la nuca. Poi strinse le mani.
E sollevò la donna da terra.