Mi trovavo un’altra volta in ospedale, questa volta era il New York Presbyterian, dove avevo mosso i primi passi da medico. Non mi avevano ancora portato in radiologia, ma ero sicuro di avere una costola incrinata. In questi casi c’è poco da fare, a parte imbottirsi di antidolorifici. Mi avrebbe fatto male, ma non mi dispiaceva. Ero conciato da fare schifo, sulla gamba destra avevo una lesione che sembrava provocata dai denti di un pescecane. Avevo i gomiti spellati, ma delle mie condizioni fisiche non m’importava nulla.
Lenny arrivò a tempo di record. L’avevo chiamato perché temevo di non essere all’altezza della situazione. All’inizio mi ero quasi convinto di aver preso un abbaglio. Una bambina cambia crescendo, no? E io non vedevo Tara da quando aveva sei mesi, hai voglia a crescere da allora! Ormai doveva aver imparato a camminare. E io ero attaccato a un’auto in corsa, santo cielo, e avevo potuto dare soltanto un’occhiata rapidissima.
Ma lo sapevo.
Il bambino seduto accanto al guidatore sembrava un maschietto, e doveva essere più vicino ai tre anni che ai due. E la sua pelle, il suo incarnato erano troppo chiari.
Non era Tara.
Sapevo che Tickner e Regan avevano delle domande da farmi e avevo intenzione di collaborare. Volevo anche scoprire come diavolo avevano saputo dell’appuntamento per la consegna del riscatto. Non avevo visto Rachel e mi chiesi se fosse lì in ospedale. Mi chiesi anche che fine avessero fatto il denaro, l’Honda Accord, l’uomo con la camicia a scacchi. L’avevano arrestato? Era stato lui a rapire la mia bambina, oppure anche la prima consegna di riscatto era stata un imbroglio? In tal caso, che ruolo aveva avuto mia sorella Stacy?
In breve, ero confuso. E in quel momento entrò Lenny, alias Cujo.
Più che entrare, fece irruzione. Indossava dei pantaloni color cachi sformati e una Lacoste rosa. Nei suoi occhi c’era un’espressione spaventata e selvaggia che mi riportò ai tempi della nostra infanzia. Passò davanti a un’infermiera e si avvicinò al mio letto.
«Che diavolo è successo?»
Stavo per fargli un veloce resoconto quando mi bloccò sollevando un dito, quindi si girò verso l’infermiera e le chiese di uscire. Rimasti soli, mi fece cenno con il capo di ricominciare. Partii dall’incontro con Edgar al parco e poi gli dissi della telefonata a Rachel, del suo arrivo, di come ci fossimo preparati all’appuntamento con il corredo di tutti quegli aggeggi elettronici, delle telefonate dei rapitori con le indicazioni, della consegna, di quello che era successo dopo. Poi feci un passo indietro e gli parlai del CD. Lenny m’interruppe, interrompeva sempre lui, ma non così spesso come fa di solito. Vidi una strana espressione passargli sul viso e pensai che forse, ma non vorrei esagerare con le mie doti di psicologo, era offeso perché non mi ero confidato con lui. Quell’espressione fu comunque di breve durata e lui tornò subito il vecchio Lenny di sempre.
«È possibile che Edgar ti abbia tirato un bidone?» mi chiese.
«E a che scopo? È stato lui a rimetterci quattro milioni di dollari.»
«Non ci ha rimesso niente, se questo ambaradan l’ha messo in piedi lui.»
Lo guardai stupito. «Ma non ha senso.»
A Lenny quella storia non piaceva, ma nemmeno lui sapeva darsi una spiegazione. «Dov’è ora Rachel?»
«Non è qui?»
«Non credo.»
«Allora non lo so.»
Rimanemmo entrambi in silenzio.
«Forse è tornata a casa mia» dissi poi.
«Sì. Forse.»
Ma nella sua voce non c’era la minima traccia di convinzione.
Tickner aprì la porta. Aveva gli occhiali da sole appoggiati sul capo rasato e un aspetto abbastanza sconcertante: se avesse piegato il collo e si fosse disegnato una bocca sulla parte inferiore della pelata, sarebbe sembrata una seconda faccia. Regan lo seguiva quasi a passo di danza, ma forse era quella barbetta a influenzare il mio giudizio. Fu Tickner ad assumere il comando delle operazioni.
«Sappiamo della richiesta di riscatto» disse. «Sappiamo che suo suocero le ha dato altri due milioni di dollari. Sappiamo che lei si è recato nella sede di un’agenzia investigativa, l’MVD, e ha chiesto la password di un CD-ROM di proprietà della sua defunta moglie. Sappiamo che con lei c’era Rachel Mills e che, contrariamente a quanto ha detto al detective Regan, la stessa Mills non ha fatto ritorno a Washington. Quindi possiamo saltare questi argomenti.»
Tickner si avvicinò e Lenny lo seguì con lo sguardo, pronto a saltargli addosso. Regan incrociò le braccia e si appoggiò alla parete. «Cominciamo allora con i soldi del riscatto» riprese Tickner. «Dove sono?»
«Non lo so.»
«Li ha presi qualcuno?»
«Non lo so.»
«Come sarebbe a dire “non lo so”?»
«Quello mi ha detto di posare la sacca a terra.»
«Quello chi?»
«Il rapitore, quello che parlava al cellulare.»
«E lei dove l’ha posata?»
«Sul sentiero, in quel parco.»
«E poi?»
«Quello mi ha ordinato di continuare a camminare.»
«E lei ha obbedito?»
«Sì.»
«E poi?»
«Poi ho sentito il pianto di un bambino e qualcuno che si metteva a correre. A quel punto è diventato tutto pazzesco.»
«E i soldi?»
«Gliel’ho già detto, non lo so che fine hanno fatto i soldi.»
«Parliamo allora di Rachel Mills» riprese Tickner. «Dove si trova?»
«Non lo so.»
Guardai Lenny, che stava studiando la faccia di Tickner. Attesi.
«Ci ha mentito, a proposito del fatto che la Mills era tornata a Washington. Non è vero?»
Lenny mi mise una mano sulla spalla. «Non cominciamo a travisare le dichiarazioni del mio cliente.»
Tickner lo guardò come fosse un insetto. Lenny ricambiò lo sguardo, imperturbabile. «Lei ha detto al detective Regan che la signora Mills era in viaggio per Washington, vero?»
«Ho detto che non sapevo dove fosse» lo corressi. «Ho detto che magari era tornata a Washington.»
«E dov’era la signora in quel momento?»
«Non rispondere» mi disse Lenny.
Gli feci cenno di non preoccuparsi. «Era nel garage di casa mia.»
«E perché non l’ha detto al detective Regan?»
«Perché ci stavamo preparando alla consegna del riscatto e non volevamo che qualcuno o qualcosa ci facesse perdere del tempo.»
Tickner incrociò le braccia. «Non credo di capire.»
«Allora gli faccia un’altra domanda» esclamò Lenny.
«Che cosa c’entrava Rachel Mills con la consegna del riscatto?»
«È una vecchia amica e sapevo che in passato è stata un’agente speciale dell’FBI.»
«Ah» fece Tickner. «Quindi pensava che questa esperienza della Mills potesse esserle d’aiuto?»
«Sì.»
«Non ha chiamato il detective Regan o me?»
«Proprio così.»
«Perché?»
Intervenne ancora Lenny. «Lo sa benissimo, il perché.»
«I rapitori mi avevano ordinato di non avvertire la polizia, come l’altra volta, e non volevo correre nuovamente dei rischi» risposi. «Così ho telefonato a Rachel.»
«Capisco.» Tickner spostò lo sguardo su Regan, che in quel momento sembrava stesse seguendo qualche altro pensiero. «Ha scelto lei perché era stata un’agente federale?»
«Sì.»
«E anche perché voi due avevate…» Tickner fece un gesto vago «un legame particolare.»
«Tanto tempo fa.»
«Non più?»
«No, non più.»
«Mmm, non più» ripeté lui. «E ciò nonostante lei decide di rivolgersi alla Mills per una faccenda nella quale è in ballo la vita di sua figlia. Interessante.»
«Mi fa piacere che lo pensi» commentò Lenny. «A proposito, mi spiega dove vuole arrivare?»
Tickner lo ignorò. «Quando aveva visto per l’ultima volta la Mills, prima di oggi?» mi chiese.
«E questo che differenza fa?» obiettò Lenny.
«La prego, dottor Seidman, risponda alla mia domanda.»
«No, fin quando non sapremo…»
Lo interruppi posandogli una mano sul braccio. Sapevo che cos’aveva in mente, mi era bastato vedere l’atteggiamento di sfida che aveva automaticamente assunto. La cosa mi faceva piacere, ma al tempo stesso volevo che quell’interrogatorio terminasse il più presto possibile.
«Circa un mese fa» risposi.
«In quali circostanze?»
«L’ho incontrata al supermercato Stop Shop, in Northwood Avenue.»
«Incontrata?»
«Sì.»
«Una coincidenza, quindi? Nessuno dei due sapeva che l’altro si trovava lì, vi siete trovati di fronte all’improvviso?»
«Sì.»
Tickner si girò nuovamente a guardare Regan, che non mosse un muscolo, non provò nemmeno a grattarsi la barbetta.
«E prima?»
«Prima che cosa?»
«Prima che lei incontrasse» e Tickner caricò il verbo del maggior sarcasmo possibile «la signora Mills allo Stop Shop, quando era stata l’ultima volta che l’aveva vista?»
«Ai tempi del college.»
Ancora una volta il federale si voltò di scatto verso Regan, con un’espressione visibilmente incredula. E quando riportò lo sguardo su di me gli occhiali gli ricaddero sul naso, ma lui se li rimise sulla testa. «Ci sta dicendo, dottor Seidman, che dai tempi del college a oggi lei ha visto la signora Mills soltanto una volta, cioè quel giorno al supermercato?»
«È esattamente quello che vi sto dicendo.»
Tickner per un momento sembrò spiazzato. Lenny lo guardò come se avesse qualcosa da aggiungere, poi decise di tenerlo per sé, per il momento.
«Vi siete parlati al telefono?» chiese ancora Tickner.
«Prima di oggi?»
«Sì.»
«No.»
«Mai? Non vi siete mai telefonati prima di oggi? Nemmeno quando avevate una storia?»
«Gesù Cristo, ma che razza di domanda è?» sbottò Lenny.
Tickner si voltò di scatto verso di lui. «Ha qualche problema?»
«Sì, le sue domande sono idiote.»
Ripresero a lanciarsi sguardi di fuoco. Ruppi il silenzio. «Non parlavo al telefono con Rachel dai tempi del college.»
Tickner questa volta si voltò verso di me, con un’espressione apertamente scettica. Io guardai Regan alle sue spalle, che annuiva. Mi sembrò che avessero entrambi la guardia abbassata e tentai l’affondo. «Avete trovato l’uomo e il bambino sulla Honda Accord?» chiesi.
Il federale valutò per qualche secondo la domanda, poi si volse verso Regan che si strinse nelle spalle, quasi a dire: “Perché no?”. «Abbiamo trovato l’auto, era stata abbandonata a Broadway, nei pressi della Centoquarantacinquesima Strada. Era stata rubata poche ore prima.» Tickner estrasse il taccuino, ma non lo consultò. «Quando l’abbiamo vista al parco, dottor Seidman, lei ha gridato qualcosa a proposito di sua figlia. Pensa che fosse lei la bambina dentro quell’auto?»
«È quello che credevo all’inizio.»
«E adesso non più?»
«No, non era Tara.»
«Come mai ha cambiato idea?»
«L’ho visto. Il bambino, voglio dire.»
«Ah, era un bambino?»
«Credo di sì.»
«Quando l’ha visto?»
«Quando sono saltato sopra l’auto.»
Tickner allargò le braccia. «Che ne direbbe di cominciare dal principio e raccontarci che cos’è successo esattamente?»
Raccontai loro la stessa storia che avevo detto a Lenny. Regan, che non aveva ancora aperto bocca, rimase con la schiena appoggiata alla parete. Lo trovai strano. Mentre parlavo Tickner sembrava sempre più agitato, la pelle della sua testa rasata si fece tesa, gli occhiali cominciarono a scivolargli in avanti e lui ogni volta li tirava su. Vidi che gli pulsava una tempia, teneva la mascella serrata.
«Lei sta mentendo» disse, quando ebbi terminato.
Lenny andò a piazzarsi fra Tickner e il mio letto e per un momento temetti che stessero per venire alle mani, cosa che, devo ammetterlo, non sarebbe andata a vantaggio del mio amico. Ma lui non si tirava mai indietro. Mi venne in mente quella volta che, in terza elementare, Tony Merullo mi sfidò a pugni. Lenny si mise in mezzo e affrontò coraggiosamente Tony… e le prese di santa ragione.
Lenny si piantò a pochi centimetri dal federale, molto più grosso di lui. «Che diavolo ha detto, agente Tickner?»
«Il suo cliente è un bugiardo.»
«Signori, il colloquio è terminato. Uscite.»
Tickner piegò la testa e con la fronte andò a toccare quella di Lenny. «Abbiamo le prove che sta mentendo.»
«Vediamole. Anzi no, non voglio vederle. State arrestando il mio cliente?»
«No.»
«Allora toglietevi dalle palle e uscite da questa stanza.»
«Lenny…» dissi.
Dopo aver dato un’ultima occhiata di fuoco a Tickner, per fargli capire di non essere stato intimidito, Lenny riportò la sua attenzione su di me.
«Chiudiamola qui» dissi.
«Sta cercando di accusarti.»
Feci spallucce, perché in effetti non me ne importava nulla, e credo che Lenny se ne accorse, perché si mise in disparte. Feci segno a Tickner di andare avanti.
«Lei Rachel l’aveva già vista prima di oggi.»
«Le ho detto…»
«Se non l’aveva vista e non le aveva parlato, come faceva a sapere che era stata un’agente federale?»
Lenny si mise a ridere.
Tickner si voltò a guardarlo. «Che cos’ha da ridere?»
«Perché, pezzo di scemo, Rachel Mills è amica di mia moglie.»
Sembrò confuso. «Che cosa?»
«Io e mia moglie parliamo spesso con Rachel, siamo stati noi a presentarla al qui presente Marc Seidman.» Lenny si fece un’altra risata. «Sarebbe questa la sua prova?»
«No, non è questa la mia prova.» Tickner, adesso sulla difensiva, si rivolse a me. «Questa storia della telefonata con la richiesta di riscatto e della vecchia amica ritrovata per caso: è davvero convinto che stia in piedi?»
«Perché, secondo lei come sono andate invece le cose?»
Lui rimase in silenzio.
«Pensa che sia stato io, vero? Che si tratti di un mio piano per spillare altri due milioni di dollari a mio suocero?»
Lenny tentò di calmarmi. «Marc…»
«No, adesso invece parlo io.» Cercai di coinvolgere Regan, che però guardava da un’altra parte. Quindi fissai Tickner. «Crede davvero che sia stato io a mettere in piedi questa storia? E perché farla così complicata, con quell’incontro nel parco per la consegna del riscatto? Come facevo a sapere che mi avreste trovato?… Anzi, che diavolo, non so ancora come abbiate fatto. Perché mi sarei preso il disturbo di aggrapparmi a quell’auto? Non facevo prima a prendere i soldi, nasconderli e poi inventarmi qualcosa per Edgar? Se ho messo in piedi io questo piano, che bisogno avevo di servirmi dell’uomo con la camicia a scacchi? Eh? Perché coinvolgere un’altra persona, per giunta con un’auto rubata? Andiamo, si rende conto di quanto sia assurdo?»
Guardai Regan, sempre assorto nei suoi pensieri. «Detective Regan?»
«Lei non è sincero con noi, Marc» fu tutto quello che riuscì a dire.
«E perché non sarei sincero? In che cosa?»
«Lei sostiene che dai tempi del college non aveva più parlato al telefono con la signora Mills.»
«Sì.»
«Abbiamo i tabulati telefonici, Marc. Tre mesi prima che sua moglie venisse uccisa, Rachel ha telefonato a casa sua. Come lo spiega?»
Mi rivolsi a Lenny in cerca d’aiuto, ma lui mi stava fissando stupito. «Sentite» dissi allora. «Ho il numero del cellulare di Rachel, chiamiamola e scopriamo dove si trova.»
«Prego» disse Tickner.
Lenny sollevò la cornetta del telefono sul mio comodino e io gli dissi il numero, poi rimasi a guardarlo mentre lo componeva, cercando di riflettere. Il telefono squillò sei volte, poi la segreteria di Rachel disse che non poteva rispondere e di lasciare un messaggio. Glielo lasciai.
Regan si staccò finalmente dal muro, avvicinò una sedia al mio letto e si sedette. «Che cosa sa, Marc, di Rachel Mills?»
«Abbastanza.»
«Stavate insieme al college?»
«Sì.»
«Quanto è durata?»
«Due anni.»
Lui allargò le braccia e spalancò gli occhi. «Vede, io e l’agente Tickner non siamo ancora convinti del motivo per cui lei l’ha cercata. Sì, lo so, avevate avuto una storia tanto tempo fa. Ma se poi non l’ha più vista né sentita, perché si è rivolto proprio a lei?»
Pensai a come spiegarglielo, poi scelsi la maniera più semplice. «Mi sento ancora legato a lei.»
Regan annuì, come se questo spiegasse un sacco di cose. «Era al corrente del fatto che si fosse sposata?»
«Me l’aveva detto Cheryl, la moglie di Lenny.»
«E lo sapeva che il marito era stato ucciso?»
«L’ho saputo oggi.» Poi mi resi conto che la mezzanotte doveva essere passata. «Ieri, voglio dire.»
«Gliel’ha detto Rachel?»
«No, Cheryl.» Mi tornarono in mente le parole di Regan, quando era venuto a casa mia a cercare Rachel. «E poi lei mi ha detto che era stata Rachel a sparargli.»
Regan guardò Tickner, che raccolse idealmente il testimone. «La signora Mills gliel’aveva confessato?»
«Che cosa, che era stata lei a uccidere il marito?»
«Sì.»
«Sta scherzando?»
«Lei non ci crede, vero?»
Intervenne Lenny. «Che differenza fa se lui ci crede o meno?»
«Ha confessato» disse Tickner.
Guardai Lenny, che però distolse lo sguardo. Cercai di mettermi a sedere più comodamente sul letto. «Allora perché non è in carcere?»
Un’ombra passò sul viso di Tickner, che strinse le mani a pugno. «La Mills ha parlato di un colpo partito accidentalmente.»
«E lei non ci crede?»
«Il marito è stato ucciso con una pallottola alla testa sparata a bruciapelo.»
«E allora torno a chiederle: perché non è in carcere?»
«Non sono a conoscenza di tutti i particolari.»
«Come sarebbe a dire?»
«Le indagini furono svolte dalla polizia locale, non da noi» spiegò Tickner. «E quelli decisero di non incriminarla.»
Non sono né uno sbirro né un esperto di psicologia, ma mi resi ugualmente conto che Tickner mi stava nascondendo qualcosa. Guardai Lenny: aveva il viso completamente inespressivo, cosa per lui abbastanza insolita. Tickner si allontanò di un passo dal letto e fu Regan a prendere l’iniziativa.
«Lei ci ha detto di sentirsi ancora legato a Rachel?» attaccò.
«A domanda ha risposto» disse Lenny.
«L’ama ancora?»
Lenny non poteva lasciargliela passare senza fare commenti. «Ora mi fa il ruffiano, detective Regan? Che diavolo c’entra questo con la figlia del mio cliente?»
«Un attimo di pazienza.»
«No, detective, non ne ho di pazienza. Lei fa domande assurde.» Ancora una volta misi una mano sul braccio di Lenny, che si voltò a guardarmi. «Vogliono che tu dica di sì, Marc.»
«Lo so.»
«Sono convinti che Rachel sia il movente che ti avrebbe spinto a uccidere tua moglie.»
«So anche questo.» Guardai Regan e ricordai quello che avevo provato vedendola allo Stop Shop.
«Pensa ancora alla Mills?» mi chiese Regan.
«Sì.»
«Crede che anche la Mills pensi a lei?»
Lenny non era disposto ad arrendersi. «Ma come diavolo fa a saperlo?»
«Bob?» Era la prima volta che chiamavo Regan per nome.
«Sì?»
«Che cosa sta cercando di dimostrare?»
Regan rispose a voce bassa, con un tono da cospiratore. «Glielo chiedo ancora una volta: al momento del vostro incontro casuale al supermercato lei non vedeva Rachel Mills dai tempi del college?»
«Gesù Cristo!» esclamò Lenny.
«Esatto.»
«Ne è certo?»
«Sì.»
«Nessun rapporto di alcun tipo?»
«Non si passavano nemmeno i bigliettini mentre studiavano in biblioteca» disse ancora Lenny. «Andiamo, lasci perdere questa storia.»
«Dottor Seidman, lei ha chiesto di un CD-ROM a un’agenzia investigativa di Newark.»
«Sì.»
«Perché proprio oggi?»
«Non capisco la domanda.»
«Perché questo improvviso interesse per quel CD, visto che sua moglie è morta ormai da un anno e mezzo?»
«L’avevo appena trovato.»
«Quando?»
«L’altro ieri, era nascosto in cantina.»
«Quindi ignorava che sua moglie aveva assunto un investigatore privato?»
Non risposi subito, ma pensai a ciò che ero venuto a sapere dopo la morte della mia bella moglie. Per esempio, che andava da uno psichiatra. Che aveva assunto un detective privato. Che teneva nascosto in cantina quello che aveva scoperto. Non ne sapevo niente. Pensai alla mia vita, alla mia dedizione al lavoro, al fatto che non intendevo smettere di viaggiare. Amavo mia figlia, certo, la riempivo di coccole, la consideravo una delle sette meraviglie. Per proteggerla sarei morto, o avrei potuto uccidere: ma se volevo essere completamente onesto con me stesso dovevo ammettere che non avevo accettato tutti i cambiamenti e i sacrifici che il suo arrivo aveva comportato.
Che marito ero stato? E che padre?
«Marc?»
«No» risposi. «Non avevo idea che avesse assunto un investigatore privato.»
«E ha idea del motivo per cui l’aveva assunto?»
Scossi la testa. Regan si scostò dal letto e Tickner tirò fuori dalla borsa una cartellina marrone.
«Che cos’è?» chiese Lenny.
«Il contenuto di quel CD.» Tickner mi guardò di nuovo. «Lei dunque non aveva più visto Rachel, giusto? Soltanto quella volta al supermercato.»
Non mi curai nemmeno di rispondere.
Senza fare troppe scene Tickner estrasse dalla cartellina una foto e me la porse. Lenny inforcò gli occhialini a mezza luna e si mise alle mie spalle, per vedere anche lui. Nella foto, in bianco e nero, si vedeva il Valley Hospital di Ridgewood e in basso si leggeva una data. La foto era stata scattata due mesi prima della tragedia.
Lenny aggrottò le sopracciglia. «La luce è abbastanza buona ma l’insieme non mi convince.»
Tickner ignorò il sarcasmo. «È lì che lei lavora, vero, dottore?»
«Sì, abbiamo un ufficio al Valley Hospital.»
«Abbiamo?»
«La mia socia e io. Zia Leroux.»
«Ah, già. C’è una data in basso.»
«La vedo.»
«Lei quel giorno si trovava lì?»
«Non lo so, davvero. Dovrei consultare la mia agenda.»
Regan indicò un punto accanto all’ingresso dell’ospedale. «La vede quella figura?»
Cercai di mettere a fuoco l’immagine ma non riuscii a vedere granché. «No, non bene.»
«L’ha notata almeno la lunghezza del soprabito?»
«Sì.»
Tickner mi passò un’altra foto, questa volta scattata con il teleobiettivo. Stessa angolazione. La persona con il soprabito lungo si vedeva ora più distintamente. Portava degli occhiali da sole e non ci si poteva sbagliare: era Rachel.
Sollevai lo sguardo su Lenny, e vidi che era stupito quanto me. Tickner tirò fuori un’altra foto, poi un’altra ancora. Erano state scattate tutte di fronte all’ospedale e nell’ottava si vedeva Rachel entrare nell’edificio. Nella nona, fatta un’ora dopo, uscivo io, da solo. Nella decima, scattata sei minuti dopo la precedente, Rachel usciva dallo stesso ingresso.
Sulle prime il mio cervello non riuscì nemmeno ad afferrare le implicazioni di quelle immagini. Ero in preda a un profondo sconcerto e non ebbi il tempo di elaborare il significato di ciò che avevo appena visto. Anche Lenny sembrava sbalordito, ma si riprese prima di me.
«Andatevene» disse.
«Non vuole prima darci una spiegazione di queste foto, dottor Seidman?»
Cercai di ribattere, ma ero troppo confuso.
«Uscite» disse ancora Lenny, questa volta più deciso. «Uscite subito.»