Mi misi a sedere sul letto. «Lenny?»
Lui andò ad assicurarsi che la porta fosse chiusa. «Sì, sono convinti che sia stato tu ad assassinarla. Tu e Rachel, insieme, perché avevate una relazione. Lei ha ucciso il marito, e quelli magari pensano che tu sia in qualche modo coinvolto, e poi tu e lei avete ucciso Monica, avete fatto chissà che di Tara e poi avete architettato questo piano per mungere il padre di tua moglie.»
«Ma non ha senso.»
Lenny rimase zitto.
«Mi hanno sparato, ricordi?»
«Lo so.»
«Non penseranno mica che mi sia sparato da solo.»
«Non lo so, ma con quelli tu non puoi più parlare. Ora hanno le prove. Puoi negare quanto vuoi di aver avuto una relazione con Rachel, ma Monica lo sospettava, al punto da rivolgersi a un investigatore privato. E poi, Gesù, pensaci: l’investigatore scatta quelle foto e le consegna a Monica. Dopo di che tua moglie viene ammazzata, la tua bambina scompare e tuo suocero tira fuori due milioni di dollari. Passa un anno e mezzo. Il padre di Monica ci rimette altri due milioni e tu e Rachel mentite sui vostri rapporti.»
«Non stiamo mentendo.»
Lenny non mi guardò.
«Ma quello che ho detto prima, che sarebbe stato assurdo che io avessi architettato un piano del genere, non ti convince? Me li sarei potuti prendere quei soldi, non ti pare? Non avevo alcun bisogno di rivolgermi a quel tipo con la Honda e il bambino. E mia sorella? Credono che abbia ucciso anche lei?»
«Quelle foto» disse sottovoce Lenny.
«Non ne sapevo niente.»
Riusciva a malapena a guardarmi, ma si rivolse a me nel gergo che usavamo da ragazzi. «E bravo il mio sorcio.»
«No, ti assicuro, non ne sapevo proprio niente.»
«Davvero non l’avevi mai più rivista prima di quella volta al supermercato?»
«Certo che no, e lo sai. A te lo direi.»
Rimase troppo a lungo a riflettere sulle mie parole. «A Lenny l’Amico potresti averlo nascosto.»
«No. E in ogni caso non avrei assolutamente potuto nasconderlo a Lenny l’Avvocato.»
Abbassò la voce. «Ma dell’appuntamento per la consegna del riscatto non hai parlato né all’Amico né all’Avvocato.»
Ecco spiegato il suo atteggiamento. «Non volevamo che si sapesse in giro, Lenny.»
«Capisco.» Invece non capiva affatto, e aveva anche ragione. «Un’altra cosa. Come hai fatto a scoprire quel CD in cantina?»
«È passata a trovarmi Dina Levinsky.»
«Dina la matta?»
«Ha avuto una vita tormentata, Lenny, non puoi immaginare quanto.»
Lenny fece un gesto infastidito, quasi a voler respingere la mia solidarietà umana per la nostra ex compagna di scuola. «Non capisco. Che ci faceva a casa tua?» Gli raccontai la storia di Dina e lui cominciò a fare strane smorfie. Alla fine fui io a chiedergli che cosa avesse.
«Ti ha detto che ora se la passa meglio? Che si è sposata?»
«Sì.»
«Stronzate.»
«E tu come fai a saperlo?»
«Mi occupo degli affari legali di sua zia. Dina Levinsky entra ed esce dalle cliniche psichiatriche da quando ha diciotto anni, è stata anche in carcere per aggressione aggravata, qualche anno fa. Non si è mai sposata e dubito anche che abbia mai tenuto una mostra personale.»
Non sapevo che cosa pensare. Mi tornò in mente l’espressione angosciata sul volto di Dina, quel volto privo di ogni colore mentre mi chiedeva: “Tu lo sai chi ti ha sparato, vero, Marc?”.
Ma poi che avrà voluto dire?
«Dobbiamo pensarci su bene» disse Lenny, grattandosi il mento. «Ora controllerò presso alcune fonti e vediamo se riuscirò a saperne di più. Chiamami se c’è qualche novità, d’accordo?»
«D’accordo.»
«E promettimi che non dirai nemmeno una parola, perché ci sono ottime possibilità che ti arrestino.» Sollevò una mano per impedirmi di protestare. «Hanno materiale a sufficienza per l’arresto e forse anche per il rinvio a giudizio. È vero, manca ancora qualche tassello, ma pensa al caso Shakel: avevano meno elementi a suo carico di quanti ne abbiano contro di te, eppure l’hanno condannato. Quindi, se dovessero tornare promettimi di non dirgli nemmeno una parola.»
Glielo promisi perché, anche questa volta, la polizia aveva imboccato la pista sbagliata. Collaborare con loro non mi avrebbe aiutato a ritrovare mia figlia, e per me non contava altro. Lenny uscì e io gli chiesi di spegnere la luce, ma la stanza non restò al buio: nelle stanze d’ospedale non c’è mai completamente buio.
Cercai di capire quello che stava succedendo. Tickner si era portato dietro quelle strane foto e avrei preferito che non lo avesse fatto. Avrei voluto rivederle perché, comunque la girassi, per me non avevano alcun significato. Erano autentiche? Truccare una foto non è difficile, specie nell’era del digitale. Poteva essere quella la spiegazione? Erano false? Tornai con il pensiero a Dina Levinsky: a che cosa si doveva veramente quella sua bizzarra visita? Perché mi aveva chiesto se amavo Monica? Perché secondo lei dovevo sapere chi mi aveva sparato? Mi stavo facendo quelle domande quando si aprì la porta.
«È questa la stanza dello stallone con il camice?»
Era Zia. «Ciao.»
Entrò e con un rapido gesto indicò il letto. «Sarebbe questa la tua scusa per non venire al lavoro?»
«Ero di turno io ieri notte, vero?»
«Già.»
«Mi dispiace.»
«Hanno buttato giù dal letto me, invece, interrompendo un sogno piuttosto erotico.» Zia indicò con il pollice la porta. «Quell’omone che ho visto in fondo al corridoio.»
«Quello con gli occhiali da sole sulla testa rasata?»
«Proprio lui. È uno sbirro?»
«FBI.»
«Perché non me lo presenti? Potrei sempre riprendere con lui quel sogno interrotto.»
«Cercherò di presentartelo prima che mi arresti.»
«Per me va bene anche dopo.»
Sorrisi e lei venne a sedersi sul bordo del letto. Le raccontai l’accaduto e Zia non mi propose una sua teoria, non mi fece domande. Si limitò ad ascoltare e gliene fui davvero grato.
Stavo per dirle che ormai ero un sospetto quando il mio cellulare prese a squillare. Ne fummo entrambi sorpresi, per forza d’abitudine, perché i cellulari in ospedale sono verboten. Lo afferrai in fretta e risposi.
«Marc?»
Era Rachel.
«Dove sei?»
«Seguo i soldi.»
«Che cosa?»
«Hanno fatto esattamente ciò che pensavo. Li hanno trasferiti in un’altra borsa, ma non si sono accorti della microspia dentro la mazzetta. Ora mi trovo su Harlem River Drive e loro dovrebbero essere un chilometro e mezzo più avanti.»
«Dobbiamo parlare» le dissi.
«Hai trovato Tara?»
«Era un bluff, ho visto il bambino che si erano portati dietro. Non era mia figlia.»
Ci fu una pausa.
«Rachel?»
«Non sto tanto bene, Marc.»
«Cioè?»
«Me le hanno suonate, al parco. Tutto a posto, ma mi serve il tuo aiuto.»
«Aspetta un momento, la mia auto è ancora dove l’avevo lasciata. Come fai a seguirli?»
«Hai notato alla rotonda un furgoncino della Manutenzione spazi verdi?»
«Sì.»
«L’ho rubato. Era vecchio, quindi è stato facile metterlo in moto collegando i cavi. Nessuno ne noterà la scomparsa fino a domani mattina.»
«Credono che siamo stati noi, Rachel. Che abbiamo una relazione o qualcosa del genere. Hanno trovato delle foto, su quel CD, con te di fronte all’ospedale dove lavoro.»
Silenzio, interrotto da piccole scariche di elettricità statica.
«Rachel?»
«Dove sei?» mi chiese.
«Al New York Presbyterian Hospital.»
«Stai bene?»
«Sono pesto anch’io, ma tutto sommato non mi posso lamentare.»
«Sono venuti i poliziotti?»
«Anche i federali, un certo Tickner. Lo conosci?»
Abbassò la voce. «Sì. Come pensi di giocartela?»
«Che cosa vuoi dire?»
«Vuoi continuare a occupartene tu, o preferisci lasciare tutto a Tickner e Regan?»
La volevo accanto a me, Rachel, per chiederle spiegazioni su quelle foto e sulla telefonata arrivata a casa mia. «Non credo sia importante» risposi. «Tu avevi ragione fin dall’inizio. È stata una truffa, devono avere usato i capelli di qualcun altro.»
Una scarica.
«Che cosa?» chiesi.
«Sai qualcosa del DNA?» mi chiese.
«Non molto.»
«Non ho tempo per spiegartelo, ma il test del DNA viene fatto per gradi. Per prima cosa si accerta se due campioni corrispondono. E servono almeno ventiquattro ore per poterlo stabilire con un certo grado di sicurezza.»
«E allora?»
«Ho parlato con il mio amico del laboratorio. Sono passate soltanto otto ore, ma fino adesso, quel secondo campione di capelli che ti sei fatto dare da Edgar…»
«Ebbene?»
«Quei capelli corrispondono ai tuoi.»
Non ero sicuro di aver sentito bene. Rachel fece un suono che somigliava a un sospiro. «In altre parole, non ha escluso che tu sia il padre. Anzi, ne è convinto.»
Stavo per lasciar cadere il telefono, Zia se ne accorse e si avvicinò. Ancora una volta mi concentrai, divisi in compartimenti, elaborai, ricostruii. Valutai le mie opzioni. Tickner e Regan non mi avrebbero mai creduto, non mi avrebbero mollato, probabilmente mi avrebbero arrestato. D’altra parte, se gliel’avessi detto avrei potuto provare la nostra innocenza. Ma dimostrare la mia innocenza non era importante.
Esisteva una possibilità che mia figlia fosse ancora viva?
Era questa l’unica domanda da porsi. Se Tara era viva, allora dovevo seguire il piano originale, perché fare affidamento sulle autorità, specialmente ora che nutrivano dei sospetti, non era affatto consigliabile. E se i rapitori avessero davvero avuto una talpa, come avevano scritto nel biglietto? In quel momento le persone che avevano ritirato la borsa con i soldi non immaginavano di avere Rachel alle calcagna. Ma se fossero entrati in scena poliziotti e federali, che cosa sarebbe successo? I rapitori si sarebbero lasciati prendere dal panico e avrebbero potuto commettere qualcosa di irreparabile.
Ma c’era un altro elemento che dovevo prendere in considerazione: mi fidavo ancora di Rachel? Quelle telefonate avevano minato la mia fiducia e non sapevo più che cosa credere. Alla fine, però, dovevo ammettere che quei dubbi non facevano altro che distogliere la mia attenzione. E invece dovevo concentrarmi su un unico obiettivo. Tara. Qual era la maniera migliore per scoprire che cosa le era effettivamente successo?
«Come sei conciata?» le chiesi.
«Possiamo farcela, Marc.»
«Arrivo, allora.»
Chiusi la telefonata e mi rivolsi a Zia.
«Devi aiutarmi a uscire da qui.»
Tickner e Regan erano seduti nella sala medici in fondo al corridoio. Parlare di sala era forse eccessivo per quella stanza spoglia, con troppa luce e un vecchio televisore sormontato da un’antenna a baffo. In un angolo c’era un minifrigo, Tickner lo aprì e vi trovò soltanto due sacchetti di carta marrone che contenevano il pranzo di qualcuno, che aveva scritto il suo nome a penna sulla carta. Gli ricordò i tempi delle elementari.
Tickner si lasciò cadere su un divano sfondato. «Secondo me dovremmo arrestarlo ora.»
Regan rimase in silenzio.
«Te ne sei stato sempre zitto nella stanza di Seidman, Bob. Hai qualcosa in mente?»
Regan prese a grattarsi la barbetta. «Pensavo a quello che ha detto Seidman.»
«A che cosa in particolare?»
«Non ti sembra che il suo ragionamento fili?»
«Cioè che è innocente?»
«Sì.»
«No, non mi sembra. Tu te la sei bevuta?»
«Non lo so. Voglio dire, perché cacciarsi in tutti quei casini se aveva già preso i soldi? Non poteva immaginare che noi eravamo venuti a sapere di quel CD, che l’avevamo rintracciato grazie al Telepass e che l’avremmo beccato a Tryon Park. E anche in caso contrario, ripeto, perché tutto quel casino? Che bisogno aveva di saltare su un’auto in movimento? Cristo, gli è andata anche bene, poteva restarci secco. Come quando gli hanno sparato. Il che ci riporta proprio a quella sparatoria e al nostro problema di base. Se hanno organizzato tutto lui e Rachel Mills, come mai lui è quasi finito ammazzato?» Regan scosse il capo. «Ci sono troppi buchi.»
«Che noi stiamo riempiendo uno a uno» disse Tickner.
Regan scosse il capo dubbioso.
«Considera quanti ne abbiamo riempiti oggi, scoprendo che in questa storia è coinvolta Rachel Mills» gli fece notare Tickner. «Dobbiamo trovarla e poi cuocerli entrambi a fuoco lento.»
Regan distolse lo sguardo.
Tickner sospirò. «Che cosa c’è, adesso?»
«La finestra in frantumi.»
«Quella sulla scena del delitto?»
«Sì.»
«E allora?»
«Segui il mio ragionamento, per favore. Torniamo all’omicidio-rapimento di un anno e mezzo fa.»
«A casa Seidman?»
«Esatto.»
«D’accordo, vai.»
«La finestra era stata forzata dall’esterno» disse Regan. «Il colpevole si sarebbe introdotto in casa da lì.»
«Oppure è stato il dottor Seidman a forzarla per sviarci» obiettò Tickner.
«Oppure l’ha fatta forzare da un complice.»
«Giusto.»
«Ma in entrambi i casi, il dottor Seidman avrebbe sfruttato l’elemento finestra, ti pare? Se fosse stato coinvolto nel fattaccio, voglio dire.»
«Dove vorresti arrivare, con questo?»
«Seguimi, Lloyd. Noi pensiamo che Seidman c’entri in questa storia. Ergo, Seidman doveva sapere che la finestra era stata infranta per farci credere che l’assassino si era introdotto in tal modo in casa a scopo di rapina. D’accordo?»
«Credo di sì.»
Regan sorrise. «Come mai allora non ha mai parlato della finestra?»
«Che cosa?»
«Leggi la sua deposizione. Ricorda di aver mangiato quella barretta di cereali, poi bang… e più nulla. Nessun rumore, nessuno che si avvicina di soppiatto. Niente.» Regan allargò le braccia. «Perché non ricorda il rumore della finestra che andava in frantumi?»
«Perché è stato lui a mandarla in frantumi, per farci credere alla storia del ladro che si introduce in casa.»
«Ma, vedi, in tal caso avrebbe avuto tutto l’interesse a parlarci della finestra. Prova a pensarci. Forza la finestra per convincerci che è entrato in casa uno sconosciuto e gli ha sparato: se fossi stato in lui, tu che cosa avresti detto?»
Tickner capì dove volava arrivare Regan. «Avrei detto: “Ho sentito la finestra andare in frantumi, mi sono voltato e bang, mi hanno sparato”.»
«Esatto, Seidman invece non ha detto niente del genere. Perché?»
Tickner fece spallucce. «Magari se ne è dimenticato, in fondo è stato ferito gravemente.»
«O forse, prova a pensarci, potrebbe averci sempre detto la verità.»
La porta si aprì e fece capolino un giovanissimo medico dall’aria esausta, in divisa da sala operatoria. Vide i due poliziotti, alzò gli occhi al cielo e se ne andò. Tickner si rivolse nuovamente a Regan. «Aspetta un momento, ti sei infilato in una specie di vicolo cieco.»
«Sarebbe a dire?»
«Se non è stato Seidman a mandare in frantumi quella finestra, se è stato effettivamente l’assassino, perché lui non l’ha sentito?»
«Forse non se lo ricorda. L’abbiamo visto un milione di volte: chi viene ferito con un’arma da fuoco e ridotto in fin di vita spesso ha qualche amnesia.» Regan sorrise, soddisfatto della sua teoria. «Specialmente se ha visto qualcosa che l’ha scioccato, qualcosa che non vorrebbe mai ricordare.»
«Come per esempio sua moglie spogliata e uccisa?»
«Esatto. O addirittura di peggio.»
«Che c’è di peggio?»
Dal corridoio giunse una specie di “bip bip”. Erano vicini al banco delle infermiere e qualcuno si stava lamentando di un cambio di turno o di programma.
«Abbiamo detto che ci manca qualcosa» riprese Regan lentamente. «È dall’inizio che lo diciamo, ma forse è vero il contrario. Abbiamo cioè aggiunto qualcosa.»
Tickner aggrottò le sopracciglia.
«Continuiamo ad aggiungere il dottor Seidman. Ascolta, io e te sappiamo come vanno queste cose, sappiamo che in casi del genere c’entra sempre il marito. E non nove volte su dieci, ma novantanove su cento. In ogni scenario che abbiamo immaginato c’era Seidman.»
«E secondo te abbiamo sbagliato?»
«Ascoltami un momento. Abbiamo preso Seidman nel mirino fin dall’inizio. Il suo matrimonio non era rose e fiori, se si è sposato è solo perché lei era incinta. E noi abbiamo tenuto conto di questo. Ma anche se il loro matrimonio fosse stato idilliaco noi avremmo ugualmente detto: “Non è possibile che fossero tanto felici” e saremmo giunti alle stesse conclusioni. Quindi, in qualsiasi scenario ipotizzabile abbiamo sempre cercato di infilare Seidman: lui doveva per forza entrarci. Allora, proviamo un momento a tirarlo fuori, facciamo conto che sia innocente.»
Tickner si strinse nelle spalle. «Okay. Allora?»
«Seidman ci ha detto che si sentiva legato alla Mills, anche dopo tutti questi anni.»
«Esatto.»
«È sembrato un po’ ossessionato da lei.»
«Un po’?»
Regan sorrise. «Supponiamo che questo sentimento fosse reciproco, o addirittura più che reciproco.»
«D’accordo.»
«Ora, ricordati che stiamo ragionando sulla premessa dell’innocenza di Seidman, il che significa che ci sta dicendo la verità. Su tutto. Sull’ultima volta che aveva incontrato Rachel Mills. Su quelle foto. L’hai visto che faccia ha fatto, Lloyd, non è granché come attore. Quelle foto lo hanno scosso, non sapeva della loro esistenza.»
«Difficile dirlo.»
«Ma c’è qualcos’altro che ho notato in quelle foto.»
«Che cosa?»
«Come mai quel detective privato non ha scattato nessuna foto di loro due insieme? C’è lei davanti all’ospedale, lui che esce, lei che entra. Ma nessuna foto di loro due insieme.»
«Sono stati prudenti.»
«Prudenti, con lei che gironzolava davanti al posto di lavoro di lui. La gente prudente non le fa certe cose.»
«Qual è allora la tua teoria?»
Regan sorrise. «Rifletti un attimo. Rachel sapeva di sicuro che Seidman era dentro l’ospedale: ma non è detto che lui sapesse che lei era là fuori.»
«Aspetta un momento.» Un sorriso illuminò il volto di Tickner. «Pensi che lei gli stesse facendo la posta?»
«Forse.»
«E oltretutto non stiamo parlando di una donna qualsiasi, ma di un’agente federale perfettamente addestrata.»
«Quindi, uno: lei era in grado di organizzare un sequestro di persona.» Regan allungò un dito. «Due» e ne stese un altro «lei avrebbe saputo come uccidere qualcuno e farla franca. Tre, avrebbe saputo cancellare qualsiasi traccia. Quattro, lei conosceva la sorella di Seidman, Stacy. Cinque» e fu la volta del pollice «avrebbe potuto sfruttare le sue vecchie conoscenze per localizzare la sorella di Seidman e sbarazzarsene.»
«Cristo santo!» Tickner sollevò lo sguardo. «Era questo che intendevi prima, quando hai parlato di qualcosa di tanto orribile che Seidman può aver visto, qualcosa che non ricorda più?»
«Come per esempio il tuo amato bene che ti spara. O tua moglie. O…»
Si bloccarono entrambi.
«Cosa c’entra Tara in tutto questo?» riprese poi Tickner.
«Un mezzo per estorcere soldi?»
La cosa non piacque a nessuno dei due. Ma ancora meno gli piacevano le eventuali altre risposte che si sarebbero potuti dare.
«Potremmo aggiungere qualcos’altro» disse ancora Tickner.
«Che cosa?»
«La calibro 38 di Seidman che è scomparsa.»
«Cioè?»
«La pistola era in una cassetta di sicurezza nel suo armadio. Solo qualcuno che lo conosceva bene avrebbe potuto sapere dov’era nascosta.»
A Regan venne un altro sospetto. «Oppure Rachel Mills si era portata dietro la sua 38. Ne sono state usate due, ricordi?»
«Ma questo pone un’altra domanda: che bisogno avrebbe avuto di due pistole, la Mills?»
Tutt’e due si misero a riflettere, passando in rassegna in silenzio altre teorie, e arrivarono alla stessa conclusione. «Ci manca ancora qualcosa» disse Regan.
«Proprio così.»
«Abbiamo bisogno di qualche altra risposta.»
«Per esempio?»
«Per esempio, come ha fatto Rachel a cavarsela dopo aver ucciso il marito?»
«Posso informarmi» disse Tickner.
«Fallo. E metti un agente a protezione di Seidman. Lei ora ha quattro milioni di dollari e potrebbe decidere di eliminare l’unica persona che può ancora collegarla al colpo.»