34

«Come prima cosa dobbiamo sbarazzarci di quest’auto» disse Rachel.

«L’auto.» Scossi il capo osservando i danni. «Se non saranno queste ricerche a uccidermi, ci penserà Zia.»

Rachel riuscì a sorridere di nuovo. Eravamo così eccitati da avere superato la fase della paura, ci sentivamo addirittura tranquilli. Valutai dove ci convenisse andare, ma c’era effettivamente una sola alternativa.

«Lenny e Cheryl» dissi.

«Sì?»

«Abitano a quattro isolati da qui.»

Erano le cinque del mattino e l’oscurità stava cominciando a cedere il passo alle prime luci dell’alba. Chiamai Lenny sul telefono di casa, sperando che lui non fosse tornato in ospedale. Rispose al primo squillo. «Pronto» borbottò.

«Ho un problema.»

«Sento delle sirene.»

«Questa è solo una parte del problema.»

«Dopo che te ne sei andato mi ha telefonato la polizia.»

«Mi serve il tuo aiuto, Lenny.»

«Rachel è con te?»

«Sì.»

Seguì un silenzio imbarazzante. Rachel si stava dando da fare con il cellulare del morto e non avevo idea di che cosa cercasse.

«Che cos’hai intenzione di fare, Marc?» mi chiese poi Lenny.

«Ho intenzione di trovare Tara. Mi aiuti o no?»

L’esitazione svanì. «Che cosa ti serve?»

«Nascondere l’auto che stiamo usando e trovarne un’altra.»

«E poi?»

Voltai a destra. «Saremo da te fra un minuto, cercherò di spiegartelo di persona.»


Lenny portava un paio di pantaloni della tuta, di quelli che si annodano in vita, delle pantofole e una T-shirt della Big Dog. Appena fummo entrati premette un pulsante e la porta scorrevole del box si richiuse silenziosamente. Sembrava esausto, ma tutto sommato anch’io e Rachel non eravamo al massimo della forma.

Appena vide il sangue addosso a Rachel, Lenny fece un passo indietro. «Che diavolo è successo?»

«Hai della garza?» gli chiesi.

«È nell’armadietto sopra il lavello della cucina.»

Rachel teneva ancora in mano il cellulare. «Devo collegarmi a Internet» disse.

«Sentite, dobbiamo parlare di questa faccenda» replicò Lenny.

«Parlane con lui, io ho bisogno di Internet.»

«È nel mio studio, lo sai dove si trova.»

Rachel si precipitò in casa, io la seguii fermandomi però in cucina mentre lei proseguì verso lo studio. Entrambi la conoscevamo bene, quella casa. Lenny rimase con me. La cucina era stata rinnovata di recente, adesso era in stile provenzale, con l’aggiunta di un secondo frigo perché quattro bambini mangiano come… quattro bambini. Lo sportello di tutt’e due i frigoriferi era tappezzato di disegnini e foto di famiglia, oltre a un alfabeto dai colori vivaci. Quello nuovo era corredato da un set magnetico per comporre poesie, e lungo la maniglia si leggeva: ME NE STO DA SOLO ATTORNO AL MARE. Cominciai a frugare nell’armadietto sopra il lavello.

«Mi vuoi dire che cosa sta succedendo?»

Trovai finalmente la cassetta del pronto soccorso di Cheryl e la tirai fuori. «C’è stata una sparatoria davanti a casa mia.»

Mentre aprivo la cassetta e prendevo ciò che mi serviva gli raccontai a grandi linee l’accaduto. Ciò che trovai era per il momento sufficiente. Quando risollevai lo sguardo, Lenny mi stava fissando a bocca spalancata. «Sei scappato dalla scena di un omicidio?»

«Che cosa sarebbe successo, se fossi rimasto?»

«La polizia ti avrebbe portato via.»

«Esattamente.»

Scosse il capo. «Non sei più tu il principale indiziato» disse, parlando sempre a bassa voce.

«Come sarebbe a dire?»

«Credono che sia stata tutta opera di Rachel.»

Battei le palpebre, incerto su come reagire.

«Ti ha dato una spiegazione di quelle foto?»

«Non ancora.» Feci una pausa. «Non capisco, perché sarebbe stata Rachel?»

Lenny mi espose rapidamente una teoria che aveva come movente la gelosia e la rabbia, una teoria in base alla quale avrei rimosso il ricordo degli istanti prima del mio ferimento proprio per lo shock di vederla puntarmi contro un’arma e premere il grilletto. Ero troppo sbalordito per aprire bocca. «Ma è una follia» riuscii finalmente a dire.

Lenny non replicò.

«Quello con la camicia a scacchi ha appena tentato di ucciderci.»

«E alla fine che cosa gli è capitato?»

«Te l’ho detto, con lui c’era qualcun altro che gli ha sparato.»

«Tu l’hai visto questo qualcun altro?»

«No, Rachel…» Capii dove voleva arrivare. «Ma dai, Lenny, non puoi pensare una cosa del genere.»

«Voglio sapere il significato di quelle foto nel CD, Marc.»

«Benissimo, andiamo a chiederglielo.»

Uscendo dalla cucina vidi Cheryl a metà rampa delle scale, che mi guardava con le braccia conserte. Credo di non avere mai visto sul suo viso quell’espressione, tanto che mi costrinsi a fermarmi. Sul tappeto c’era del sangue, probabilmente di Rachel. Su una parete era appesa una foto dei quattro bambini, scattata in uno studio fotografico, e i bambini indossavano lo stesso maglione a girocollo bianco su uno sfondo bianco. I bambini e tutto quel bianco.

«Ci penso io, tu rimani su» le disse Lenny.

Entrammo nello studio. Sopra il televisore notai la custodia del DVD dell’ultimo Disney. Inciampai quasi su una palla da baseball di plastica, con accanto la sua brava mazza, anche questa di plastica. Sul pavimento era aperto un Monopoli con i Pokémon, la partita era stata evidentemente interrotta e qualcuno, forse uno dei bambini, aveva lasciato sul tabellone verde del gioco un biglietto su cui si leggeva: NON TOCCATE NIENTE. Mi accorsi che le foto sulla mensola del camino erano più recenti, i bambini erano più grandi ed erano scomparse quelle più “datate”, tra le quali l’istantanea di noi quattro al ballo. Non seppi che significato dare alla cosa. Magari non esisteva alcun significato particolare, oppure Lenny e Cheryl avevano messo in pratica il consiglio che avevano dato a me: era tempo di voltare pagina.

Rachel era seduta alla scrivania di Lenny, china sulla tastiera del computer, il sangue sul lato sinistro del collo si era coagulato e l’orecchio era conciato male. Quando ci vide entrare, sollevò lo sguardo, poi lo riportò sulla tastiera e riprese a pigiare sui tasti. Le esaminai l’orecchio, il danno era serio, il proiettile le aveva spappolato la parte superiore ferendole la testa di striscio. Qualche altro centimetro, anzi millimetro maledizione, e lei sarebbe morta. Rachel mi ignorò, anche mentre la medicavo e le bendavo l’orecchio. Per ora sarebbe bastato, l’orecchio glielo avrei rimesso a posto più avanti con la dovuta calma.

«Bingo! Ci siamo» disse lei all’improvviso, poi sorrise, premette un tasto e la stampante si mise a ronzare. Lenny mi fece un cenno con il capo, io terminai di bendarle l’orecchio.

«Rachel?»

Lei sollevò gli occhi.

«Dobbiamo parlare» le dissi.

«No, dobbiamo muoverci da qui. Ho appena trovato una pista importante.»


Lenny rimase immobile, Cheryl entrò in silenzio nello studio sempre con le braccia conserte sul petto. «Che pista?» chiesi a Rachel.

«Ho controllato le telefonate sul cellulare del morto.»

«Sei in grado di farlo?»

«Sono lì in bella vista, Marc.» Nella sua voce udii un moto d’impazienza. «Su ogni cellulare c’è l’elenco delle telefonate fatte e di quelle ricevute.»

«Giusto.»

«Tra quelle fatte non ne risultava nessuna, il che significa che il morto non aveva telefonato oppure aveva chiamato un numero protetto.»

Cercavo di seguirla. «Okay.»

«Per quanto riguarda le chiamate ricevute, la faccenda è diversa. Anzi la chiamata, perché ne era registrata una sola arrivata a mezzanotte. Ho controllato il numero sul sito Switchboard.com: risulta intestato a un certo Verne Dayton residente a Huntersville, New Jersey.»

Nome e città non mi dicevano assolutamente nulla. «Dove si trova Huntersville?»

«Anche questo l’ho cercato su Internet, è vicino al confine con la Pennsylvania. Ho controllato quell’indirizzo, si tratta di una casa isolata circondata da ettari di terreno, in culo al mondo.»

La sensazione di freddo partì dal petto per propagarsi al resto del corpo. «Mi serve la tua auto.»

«Aspetta un momento, qui servono delle risposte.»

Rachel si alzò. «Vuoi sapere di quelle foto sul CD.»

«Sì, per cominciare.»

«Sono io in quelle foto, sì, ero lì. Il resto non sono affari tuoi, è a Marc che devo una spiegazione e non a te. C’è altro?»

Una volta tanto Lenny non trovò nulla da ribattere.

«Vuoi anche sapere se ho ucciso mio marito, vero?» Guardò Cheryl. «Pensi che l’abbia ucciso io, Jerry?»

«Non so più che cosa pensare» rispose lei. «Ma voglio che ve ne andiate tutt’e due via da qui.»

«Cheryl» disse Lenny.

Lei lo fulminò con lo sguardo. «Non avrebbero dovuto coinvolgere la nostra famiglia in questa brutta storia.»

«Marc è il nostro migliore amico, è il padrino di nostro figlio.»

«Il che peggiora le cose. Ti rendi conto che sta mettendo in pericolo la nostra vita e quella dei nostri figli?»

«Andiamo, Cheryl, adesso stai esagerando.»

«No, ha ragione» dissi. «Dobbiamo andarcene subito. Mi dai quelle chiavi?»

Rachel prese il foglio dalla stampante. «Sono le istruzioni per raggiungere quel posto» spiegò.

Lenny se ne stava a capo chino, dondolandosi sui talloni, e ancora una volta pensai alla nostra infanzia. «Non dovremmo informare Tickner e Regan?» chiese.

«Per dirgli che cosa?»

«Posso spiegarglielo io» rispose. «Se Tara si trova in quella casa…» e s’interruppe scuotendo il capo, come se all’improvviso si fosse reso conto di quanto fosse ridicola quell’idea «… loro hanno mezzi più adatti per entrarvi.»

Gli andai vicino. «Guarda che hanno scoperto la microspia messa da Rachel.»

«Che cosa?»

«Sto parlando dei rapitori. Non so come, Lenny, ma l’hanno trovata. Nel biglietto con la richiesta di riscatto ci hanno fatto sapere di avere un informatore nella polizia: la prima volta hanno scoperto che avevamo avvertito la polizia, la seconda hanno trovato la microspia.»

«Questo non prova nulla.»

«Ti sembra che io abbia il tempo di cercare delle prove?»

Lenny teneva gli occhi bassi.

«Sai bene che non posso correre un rischio del genere» gli dissi.

«Sì, lo so.»

S’infilò una mano in tasca e mi porse le chiavi. Io e Rachel uscimmo.

Загрузка...