37

Tickner parcheggiò davanti alla casa di Seidman. Non avevano ancora messo le strisce gialle di plastica per delimitare la scena del crimine, ma l’agente federale contò sei autopattuglie e due camioncini delle televisioni. Si chiese se fosse il caso di avvicinarsi, con le telecamere in funzione, dopo il discorso che gli aveva appena fatto Pistillo, il capo del capo. Ma alla fine decise che, anche se fosse stato ripreso in TV, avrebbe sempre potuto dire che era andato lì per informare la polizia locale di avere abbandonato le indagini per lasciarle a loro.

Trovò Regan sul retro, intento a osservare il cadavere. «Chi è?»

«Non ha documenti. Speriamo di identificarlo con le impronte digitali.»

Abbassarono entrambi lo sguardo.

«È simile all’identikit che avevamo fatto l’anno scorso in base alla descrizione di Seidman» osservò Tickner.

«È vero.»

«Che cosa significa, quindi?»

Regan si strinse nelle spalle.

«Che cos’hai saputo, finora?»

«I vicini hanno sentito degli spari e poi uno stridio di pneumatici, quindi hanno visto una BMW Mini che saliva sul giardinetto davanti a casa. Altri spari. Poi è comparso Seidman, secondo un vicino c’era una donna con lui.»

«Rachel Mills, probabilmente» disse Tickner. Sollevò gli occhi al cielo del primo mattino. «Che cosa significa, quindi?»

«Forse la vittima lavorava con la Mills, e lei gli ha tappato la bocca per sempre.»

«Davanti a Seidman?»

«Mah. La BMW Mini mi dice comunque qualcosa; una macchina così ce l’ha anche la socia di Seidman, quella Zia Leroux.»

«Ecco chi l’ha aiutato ad andarsene dall’ospedale.»

«Abbiamo diramato un mandato di ricerca per quell’auto.»

«Sicuramente l’avranno già abbandonata e ne avranno presa un’altra.»

«Sì, è probabile.» Poi Regan s’interruppe. «Guarda, guarda.»

«Che c’è?»

Il detective gli puntò un dito sulla faccia. «Non hai gli occhiali da sole.»

Tickner sorrise. «È un brutto segno?»

«Magari invece è un buon segno, considerando come si sta mettendo questo caso.»

«Sono venuto a dirti che non me ne occupo più, anzi più precisamente è l’FBI che non se ne occupa più. Se potessi dimostrare che la bambina è ancora viva…»

«… e sappiamo entrambi che non lo è…»

«… o che l’hanno portata in un altro stato, probabilmente potrei riprendere le indagini. Ma questo caso non è più competenza dell’FBI.»

«Torni al terrorismo, Lloyd?»

Tickner annuì, riportando poi lo sguardo al cielo. Si sentiva a disagio senza gli occhiali da sole.

«Che cosa voleva, poi, il tuo capo?»

«Dirmi quello che ti ho appena detto.»

«Capisco. Nient’altro?»

«Che il proiettile che aveva ucciso Jerry Camp era stato esploso accidentalmente.»

«E il grande capo ti convoca nel suo ufficio prima delle sei del mattino solo per dirti questo?»

«Sì.»

«Sissignore.»

«M’ha detto anche che di quell’indagine si era occupato personalmente, lui e la vittima erano amici.»

Regan scosse il capo. «Questo vorrebbe dire che Rachel Mills ha amici influenti?»

«No, perché se riesci a inchiodarla per l’omicidio di Monica Seidman e il rapimento della bambina nessuno te l’impedirà.»

«Però non bisogna fare collegamenti con l’uccisione di Jerry Camp, giusto?»

«Hai capito benissimo.»

Si sentirono chiamare: nel giardino del vicino era appena stata trovata una pistola. Fu sufficiente annusarla per rendersi conto che quella pistola aveva sparato di recente.

«Proprio a portata di mano» osservò Regan.

«Esatto.»

«Hai qualche idea?»

«No.» Tickner si voltò a guardarlo. «Il caso è tuo, Bob, lo è sempre stato. Buona fortuna.»

«Grazie.»

Tickner si allontanò.

«Senti, Lloyd» lo chiamò Regan.

Tickner si fermò. La pistola era stata infilata in una busta di plastica, Regan gli diede un’occhiata e poi abbassò lo sguardo sul cadavere.

«Non sappiamo ancora che cosa sta succedendo, vero?»

Tickner si avvicinò alla sua auto. «Non abbiamo nemmeno un indizio.»


Katarina si teneva le mani in grembo. «È morto davvero?»

«Sì» rispose Rachel.

Verne se ne stava in piedi a braccia conserte, visibilmente arrabbiato, da quando gli avevo detto che Perry era il bambino che avevo visto dentro la Honda Accord.

«Si chiamava Pavel, era mio fratello.»

Aspettammo che aggiungesse qualcosa.

«Non era un uomo buono, l’ho sempre saputo. Lui a volte era crudele, il Kosovo ti riduce così. Ma arrivare a rapire una bambina?» Scosse il capo.

«Che cos’è successo?» le chiese Rachel.

Ma lei non staccava gli occhi dal marito. «Verne?»

Lui non la guardò.

«Ti ho mentito, Verne. Ti ho mentito tanto.»

Lui si sistemò i capelli dietro le orecchie e batté le palpebre. Lo vidi inumidirsi le labbra. Ma continuò a non guardarla.

«Non vivevo in una fattoria» disse. «Mio padre morì quando avevo tre anni, mia madre accertava ogni lavoro che riusciva a trovare. Ma non ce la facevamo, eravamo troppo poveri. Ci nutrivamo con le bucce che trovavamo nell’immondizia. Pavel batteva la strada, chiedendo l’elemosina e rubando. A quattordici anni cominciai a lavorare nei sex club, non puoi immaginare che vita facessi, ma in Kosovo non c’è alternativa. Volevo uccidermi, non ti so dire quante volte ci ho pensato.»

Sollevò il capo guardando il marito, che però continuava a guardare altrove. «Guardami» gli disse. Ma lui la ignorò. «Verne?»

«Questa è una faccenda nostra, di’ loro quello che devono sapere.»

Katarina si mise le mani in grembo. «Vivendo come facevamo noi, dopo un po’ non si pensa più ad andarsene, non si pensa alle cose belle, alla felicità, a nulla di tutto questo. Si diventa come gli animali, che pensano soltanto a cacciare e a sopravvivere, e non so nemmeno perché lo si faccia. Ma un giorno Pavel mi disse che aveva trovato un sistema per migliorare le cose.»

S’interruppe e Rachel le andò vicino. Lasciai a lei l’iniziativa, lei aveva esperienza d’interrogatori e, a rischio di passare per sessista, pensai che Katarina si sarebbe trovata più a suo agio se fosse stata una donna a tirarle fuori la verità.

«Qual era questo sistema?» le chiese Rachel.

«Mio fratello ha detto che avrebbe potuto farci guadagnare dei soldi, e ci avrebbe portato in America, se fossi rimasta incinta.»

Pensai, o meglio sperai, di avere capito male. Verne si voltò di scatto verso di lei. Questa volta Katarina era preparata e lo guardò fisso.

«Non capisco» disse lui.

«Io come prostituta valgo qualcosa, ma un bambino vale di più. Se fossi rimasta incinta qualcuno ci avrebbe portato in America, pagandoci per giunta.»

Nella stanza scese il silenzio. Fuori si udivano ancora le voci e le risa dei bambini, ma sembravano improvvisamente lontani, una specie di eco indistinta. Fui io allora a parlare, cercando di farmi strada in quella nebbia che sembrava avvolgerci. «Ti hanno pagato in cambio del bambino?» le chiesi, inorridito e incredulo.

«Sì.»

«Gesù santo!» esclamò Verne.

«Non puoi capire.»

«Eccome se capisco. E tu hai fatto così?»

«Sì.»

Verne girò all’improvviso la testa, come se avesse ricevuto uno schiaffo. Alzò una mano afferrando la tendina e si mise a guardare i suoi bambini.

«Nel mio paese se hai un bambino e non lo vuoi tenere lo mettono in un orribile orfanotrofio. Le coppie americane hanno una gran voglia di adottare, ma è difficile, ci vuole un mucchio di tempo, a volte anche più di un anno. E nel frattempo il bambino vive in miseria e squallore. I genitori devono pagare gli impiegati statali, è un sistema così corrotto.»

«Capisco. Tu quindi l’hai fatto per il bene dell’umanità?» le chiese il marito.

«No, l’ho fatto per me, soltanto per me. Va bene?»

Verne trasalì e Rachel posò una mano sul ginocchio di Katarina. «Quindi lei è venuta in America?»

«Sì, con Pavel.»

«E poi?»

«Ci sistemammo in un motel. Andai a farmi visitare da una donna con i capelli bianchi, che controllò le mie condizioni e si accertò che mangiassi abbastanza. Mi diede dei soldi per comprare cibo e altre provviste.»

Rachel annuì per incoraggiarla. «E dove nacque il bambino?»

«Non lo so. Arrivò un camioncino senza finestrini, e la donna con i capelli bianchi mi fece partorire là dentro, ricordo che udii il pianto del piccolo. Poi lo portarono via e non ho mai saputo nemmeno se fosse un maschio o una femmina. Quindi ci riportarono al motel e la donna dai capelli bianchi mi diede dei soldi.»

Katarina scrollò le spalle.

Ebbi l’impressione che mi si fosse fermato il cuore. Tentai di assorbire quanto avevo udito, di vincere l’orrore. Guardai Rachel e stavo per fare una domanda, ma lei mi bloccò con lo sguardo. Non era il momento di trarre conclusioni, ma di raccogliere informazioni.

«Mi trovavo benissimo in America» riprese Katarina dopo un po’. «Voi pensate di vivere in un paese meraviglioso, ma non avete la minima idea di quanto lo sia. Avrei voluto tanto rimanere, ma i soldi stavano per finire. Cominciai a cercare un modo per rimanere qui e seppi da una donna di questo sito Internet, nel quale inserisci il tuo nome e gli uomini ti scrivono. Ma non vogliono una puttana, mi disse quella donna. Allora mi inventai quella storia della fattoria e, quando qualche uomo si metteva in contatto con me, gli davo un indirizzo e-mail. Tre mesi dopo ho conosciuto Verne.»

Lui sembrava sempre più abbattuto. «Mi stai dicendo che durante tutto il tempo che ci siamo scritti…?»

«Ero in America, sì.»

Verne scosse il capo. «Ma c’è almeno una cosa vera tra le tante che mi hai raccontato?»

«Le cose che contavano erano tutte vere.»

Lui era tutt’altro che convinto.

«E Pavel?» le chiese Rachel, cercando di riportarla sull’argomento che ci stava a cuore. «Dove andò?»

«Non lo so. A volte tornava a casa, questo lo so, per assoldare ragazze da portare qui e prendersi la sua provvigione. Ogni tanto si metteva in contatto con me, e se aveva bisogno di qualche dollaro glielo davo. Niente di particolare, insomma. Fino a ieri.»

Katarina sollevò lo sguardo sul marito. «I bambini saranno affamati.»

«Possono aspettare.»

«Che cos’è successo ieri?» le chiese Rachel.

«Pavel mi telefona nel tardo pomeriggio per dirmi che ha bisogno di vedermi subito. La cosa non mi piace, gli chiedo che cosa vuole, lui mi risponde di non preoccuparmi, me l’avrebbe spiegato appena arrivato qui. E io non sapevo che cosa dire.»

«Non potevi dirgli di no?» esclamò Verne.

«Non potevo.»

«Perché?»

Lei non rispose.

«Ah, capisco, temevi che mi raccontasse tutto. Non è così?»

«Non lo so.»

«Come sarebbe a dire che non lo sai?»

«È vero, ero terrorizzata all’idea che ti dicesse tutto.» Ancora una volta Katarina alzò lo sguardo verso il marito. «Ma allo stesso tempo pregavo perché te lo dicesse.»

Rachel tentò di riportarla sulla questione principale. «Che cos’è successo quando è arrivato suo fratello?»

Alla donna vennero le lacrime agli occhi.

«Katarina?»

«Ha detto che aveva bisogno di portare Perry con sé.»

Verne sbarrò gli occhi.

Il petto di Katarina prese a sobbalzare, come se le mancasse l’aria. «Gli ho detto di no, che non gli avrei permesso di toccare i miei bambini. Lui mi minacciò di dire tutto a Verne, gli risposi che non m’importava, che non gli avrei dato Perry. E lui allora mi tirò un pugno allo stomaco. Caddi e lui mi promise che avrebbe riportato a casa il bambino di lì a qualche ora, mi giurò che non sarebbe successo nulla a nessuno se avessi tenuto la bocca chiusa. Ma se avessi chiamato Verne o la polizia, lui avrebbe ucciso Perry.»

Verne, rosso in viso, serrò i pugni.

«Cercai di fermarlo, di rialzarmi, ma Pavel mi ributtò giù. E poi…» e la voce le si spezzò «poi salì in auto e se ne andò. Con Perry. Le sei ore successive sono state le più lunghe di tutta la mia vita.» Mi lanciò un’occhiata colpevole e capii che cosa stava pensando: lei era vissuta nel terrore sei ore, io ci vivevo da un anno e mezzo.

«Non sapevo che fare. Mio fratello è cattivo, lo so, ma non potevo credere che fosse capace di fare del male ai miei figli. Era il loro zio.»

Pensai a mia sorella Stacy, e nelle sue parole in difesa del fratello riconobbi le mie in difesa di mia sorella.

«Sono rimasta tutto il tempo accanto alla finestra. Non riuscii a resistere e, verso mezzanotte, lo chiamai al cellulare. Mi disse che stava tornando e che Perry stava bene, non era successo nulla. Si sforzava di essere allegro, ma il suo tono di voce non mi convinse. Gli chiesi dove si trovava, rispose che era sulla Route 80 nei pressi di Paterson. Non ce la facevo a rimanere in casa ad aspettarlo e gli dissi che lo avrei incontrato a metà strada. Preparai Verne Junior e uscimmo. Arrivati alla stazione di servizio dell’uscita per Sparta…» Guardò il marito. «Perry stava bene e non puoi immaginare il mio sollievo.»

Lui guardò da un’altra parte, tormentandosi il labbro inferiore tra pollice e indice.

«Prima di tornarmene a casa, Pavel mi afferrò per un braccio, tirandomi verso di lui. Solo allora mi accorsi di quanto fosse spaventato. Disse che non avrei mai dovuto raccontare a nessuno ciò che era successo. E aggiunse che se quelli avessero saputo di me, se avessero scoperto che lui aveva una sorella, ci avrebbero uccisi tutti.»

«Quelli chi?» le chiese Rachel.

«Non lo so, quelli per i quali lavorava, quelli che compravano i bambini, immagino. Ha detto che erano pazzi.»

«E lei allora che cosa ha fatto?»

Katarina aprì la bocca, la richiuse, poi tentò di nuovo. «Sono andata al supermercato» rispose, emettendo un suono che si sarebbe potuto scambiare per una risata. «Ho comprato ai bambini del succo di frutta e gliel’ho lasciato bere mentre facevo altri acquisti, volevo fare qualcosa di normale per mettermi, come dire, tutto dietro le spalle.»

Katarina alzò nuovamente gli occhi sul marito, io seguii il suo sguardo e mi sorpresi di nuovo a studiare quell’uomo. Dopo un momento lui le parlò.

«Non ti preoccupare» le disse, con la voce più gentile che avessi mai udito. «Eri spaventata, sei stata spaventata tutta la vita.»

Lei cominciò a singhiozzare.

«Non devi avere più paura, okay?»

Le si avvicinò e la prese tra le braccia. Lei vi si rannicchiò dentro. «Lui diceva che si sarebbero vendicati su di noi, su tutta la nostra famiglia.»

«Io vi proteggerò» le disse Verne con la massima semplicità. Poi mi guardò, sempre stringendosi contro la moglie. «Hanno preso il mio bambino, minacciato la mia famiglia. Capito che cosa sto dicendo?»

Feci cenno di sì.

«Quindi ora sono con te fino a quando non sarà tutto finito.»

Notai una smorfia sul volto di Rachel; teneva gli occhi chiusi. Non sapevo quanto avrebbe potuto resistere e le andai vicino, ma lei sollevò una mano. «Deve aiutarci, Katarina. Dove viveva suo fratello?»

«Non lo so.»

«Ci pensi. Ha nulla di suo, qualcosa che possa farci risalire alle persone per le quali lavorava?»

Katarina si staccò dal marito, che le carezzò i capelli con un misto di tenerezza e di forza che gli invidiai. Mi chiesi se avrei avuto il coraggio di fare lo stesso con Rachel. «Pavel era appena arrivato dal Kosovo» ci informò Katarina. «E non tornava mai a mani vuote.»

«Pensa cioè che sia venuto con una donna incinta?» le chiese Rachel.

«È sempre stato così.»

«Sa dove portava queste donne?»

«Nello stesso posto dove sono stata io appena arrivata in America, a Union City. Volete che quella donna vi dia una mano, vero?»

«Sì.»

«Allora dovrò venire con voi, perché quasi sicuramente lei non parla la vostra lingua.»

Guardai Verne. «Con i bambini rimango io» disse subito lui.

Per qualche attimo nessuno si mosse. Dovevamo recuperare le forze, prepararci come se stessimo per entrare in un’area priva di gravità. Ne approfittai per uscire e telefonare a Zia, che rispose al primo squillo.

«I poliziotti potrebbero intercettarci, quindi telefonate brevi» disse.

«Okay.»

«È venuto a trovarmi a casa il nostro amico detective Regan, secondo lui tu te ne saresti andato dall’ospedale con la mia auto. Allora ho telefonato a Lenny, che mi ha consigliato di non confermare o smentire nessuna delle loro affermazioni. Il resto puoi immaginarlo.»

«Grazie.»

«Sii prudente.»

«Sempre.»

«Certo. A proposito, i poliziotti non sono stupidi. Pensano che se ti sei servito dell’auto di un’amica ora probabilmente te ne sei fatto prestare un’altra.»

Capii che mi stava dicendo di non usare l’auto di Lenny.

«Ora è meglio riagganciare. Ti amo» disse.

Tornai in casa. Verne aveva aperto con una chiave l’armadio delle armi e le stava controllando. All’altra estremità della stanza aveva una cassa blindata con le munizioni, che si apriva con una combinazione. Da dietro le sue spalle ne guardai il contenuto e lui mi fissò battendo le palpebre: aveva un arsenale tale da poter dichiarare guerra a una nazione europea.

Gli riferii della mia telefonata con Zia e lui non esitò. «Ho quello che fa per te» mi disse, dandomi una pacca sulla schiena. Dieci minuti dopo Rachel, Katarina e io ci allontanavamo a bordo di una Camaro bianca.

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