Tutta indolenzita dopo un sonno agitato, Clarice Starling, in vestaglia e pantofole con un asciugamani sulle spalle, attendeva di entrare nel bagno che lei e Ardelia Mapp dividevano con le allieve della stanza accanto. Le notizie da Memphis, trasmesse dalla radio l'agghiacciarono per un attimo. «Oh, Dio» disse. «Oh, santo cielo. EHI, LÀ DENTRO! IL BAGNO È CONFISCATO. ESCI CON LE MUTANDE A POSTO. NON È UN'ESERCITAZIONE!» Entrò nella doccia già occupata dalla sbalordita vicina. «Sparisci, Gracie, e passami il sapone.»
Con l'orecchio teso per captare il primo squillo del telefono, preparò una valigetta e piazzò accanto alla porta la borsa con l'equipaggiamento. Fece sapere al centralino che era in camera sua, e rinunciò a far colazione per restare accanto al telefono. Quando mancavano dieci minuti all'inizio delle lezioni e ancora non era arrivata una chiamata, si precipitò a Scienza del Comportamento con la sua attrezzatura.
«Il signor Crawford è partito per Memphis quarantacinque minuti fa» rispose soavemente la segretaria. «È andato anche Burroughs, e Stanford del laboratorio è partito dall'Aeroporto Nazionale.»
«Ieri sera avevo lasciato qui un rapporto per lui. Non mi ha comunicato
niente? Sono Clarice Starling.»
«Sì, so chi è. Ho qui tre copie del suo numero di telefono, e ce ne sono altre sulla scrivania del signor Crawford, credo. No, non ha lasciato niente per lei, Clarice.» La segretaria lanciò un'occhiata ai bagagli. «Vuole che gli riferisca qualcosa, quando chiamerà?»
«Ha lasciato un numero di telefono per contattarlo a Memphis?»
«No, chiamerà per comunicarlo. Oggi lei non ha lezioni, Clarice? È ancora alla scuola, no?»
«Sì. Sì, certo.»
L'ingresso di Clarice Starling in aula non fu facilitato da Gracie Pitman, la giovane donna che aveva spodestato sotto la doccia. Gracie Pitman era seduta immediatamente dietro di lei. Sembrava che il percorso fosse lunghissimo per arrivare al posto. La lingua di Gracie Pitman ebbe il tempo di compiere due rivoluzioni complete all'interno della guancia lanuginosa prima òhe Clarice potesse mimetizzarsi nella classe.
Per due ore, senza aver fatto colazione, ascoltò "Le eccezioni dei mandati in buona fede alla norma d'esclusione nelle perquisizioni e negli arresti," prima di poter andare al distributore automatico a prendere una Coca.
A mezzogiorno controllò nella sua casella per vedere se c'era qualche messaggio; non ce n'erano. E come era avvenuto in altre occasione della sua vita, pensò che la frustrazione intensa ha lo stesso sapore di certe medicine disgustose che era stata costretta a ingurgitare da bambina.
In certi giorni ci si sveglia cambiati. Ed era uno di quei giorni per Clarice Starling: lo capiva. Ciò che aveva visto il giorno prima nella sede dell'impresa di pompe funebri di Potter aveva provocato in lei un piccolo movimento sismico.
Aveva studiato psicologia e criminologia in un'ottima scuola. In tutta la sua vita aveva visto alcuni dei modi orribilmente disinvolti con cui il mondo distrugge le cose. Ma non aveva veramente saputo, e adesso sapeva. A volte la specie umana produce, dietro un volto normale, una mente che trova piacere in ciò che adesso giaceva sul tavolo di porcellana a Potter, West Virginia, nella stanza con la tappezzeria a rose centifolie. Il primo contatto tra Clarice e quella mente era anche peggio di ciò che poteva vedere durante l'autopsia. La conoscenza le avrebbe aderito alla pelle per sempre; e sapeva che doveva farci il callo, per non venire consumata.
La routine della scuola non le era d'aiuto. Per tutto il giorno ebbe la sensazione che tutto si stesse svolgendo un po' al di là dell'orizzonte. Le sembrava di udire un immenso brusio di eventi, come il suono che proviene da uno stadio lontano. Il minimo movimento la faceva trasalire... qualche gruppo che passava nel corridoio, le ombre delle nubi che si muovevano sopra di lei, il rombo di un aereo.
Dopo le lezioni, Clarice fece troppi giri di corsa, poi andò a nuotare. Nuotò fino a quando cominciò a pensare ai cadaveri che galleggiavano nel fiume e non sopportò più il contatto dell'acqua sulla pelle.
Guardò il telegiornale delle sette in compagnia di Ardelia Mapp e di una dozzina di altre allieve in sala ricreazione. Il sequestro della figlia della senatrice Martin non era la notizia più importante, ma era la prima dopo i negoziati di Ginevra per la riduzione degli armamenti.
C'era un servizio filmato da Memphis: partiva con il cartello delle Sto-nehinge Villas inquadrato nelle luci rotanti di una macchina della polizia. I media stavano dando molta importanza all'avvenimento e, dato che avevano ben poco di nuovo da segnalare, i cronisti si intervistavano a vicenda nel parcheggio di Stonehinge. Le autorità di Memphis e della Shelby County chinavano la testa davanti alla selva di microfoni cui non erano abituati. In un inferno tumultuoso di bagliori di flash e di feedback alimentazione audio, ascoltavano cose che non sapevano. I fotografi si curvavano e scappavano, arretravano e andavano a sbattere contro le camere portatili della TV ogni volta che gli investigatori entravano o uscivano dall'appartamento di Catherine Baker Martin.
Nella sala ricreazione dell'Accademia si levò un breve applauso ironico quando la faccia di Crawford apparve per un attimo alla finestra dell'appartamento. Clarice Starling sorrise distorcendo un po' la bocca.
Si chiese se Buffalo Bill stava guardando la televisione. Si chiese cosa pensava della faccia di Crawford e addirittura se sapeva chi era Crawford.
Anche altri sembravano convinti che Bill potesse essere in ascolto, comunque.
Apparve la senatrice Martin, in un collegamento diretto con Peter Jen-nings. Era sola nella stanza da letto della figlia. Sulla parete dietro di lei erano visibili il gagliardetto della Southwestern University e un paio di poster, uno di Vilcoyote e l'altro dell'Emendamento per l'Eguaglianza dei Diritti.
La senatrice era una donna alta dalla faccia energica e piuttosto comune.
«Mi rivolgo alla persona che trattiene mia figlia» disse. Si avvicinò alla telecamera, obbligando a rimetterla a fuoco, e parlò come non avrebbe mai fatto se si fosse rivolta a un terrorista.
«Lei ha il potere di lasciar andare mia figlia illesa. Si chiama Catherine.
È molto dolce e comprensiva. Per favore, lasci andare mia figlia, la lasci andare senza farle nulla. Lei ha il controllo della situazione. Ha il potere.
So che è capace di provare sentimenti d'amore e di comprensione. Può proteggerla contro ogni cosa che potrebbe farle del male. Ha un'occasione meravigliosa per dimostrare al mondo intero che sa dare prova di una grande generosità, che è capace di trattare gli altri meglio di quanto il mondo abbia trattato lei. Il nome di mia figlia è Catherine.»
Gli occhi della senatrice Martin si staccarono dall'obiettivo mentre sul teleschermo appariva un filmato girato in casa: una bimbetta che imparava a camminare tenendosi aggrappata alla criniera di un grosso collie.
La voce della senatrice continuò fuoricampo: «Il filmato che vede ora mostra Catherine da bambina. Lasci libera Catherine. La lasci libera in qualunque località di questo paese e avrà il mio aiuto e la mia amicizia».
Poi apparve una successione di foto: Catherine Martin a otto anni, al timone di una barca a vela. La barca era montata su un'invasatura e il padre della bambina stava dipingendo lo scafo. Poi vennero due foto recenti della ragazza; una a figura intera e un primo piano del viso.
La senatrice riapparve sullo schermo. «Glielo prometto di fronte all'intero paese: avrà il mio aiuto senza riserve, in qualunque momento ne avesse bisogno. Sono in grado di aiutarla. Sono senatrice degli Stati Uniti e faccio parte della Commissione Forze Armate. Mi occupo della Strategic Defense Initiative, i sistemi spaziali d'armi che tutti chiamano "Guerre Stellari". Se ha qualche nemico io lo combatterò. Se qualcuno le darà fastidio, potrò fermarlo. Può chiamarmi in qualunque momento, di giorno e dì notte. Mia figlia si chiama Catherine. La prego, dimostri la sua forza» disse concludendo la senatrice Martin «lasci libera e illesa Catherine.»
«Caspita, è stata davvero abile» disse Clarice Starling. Tremava come un terrier. «Gesù, davvero.»
«Cosa? L'allusione alle Guerre Stellari?» chiese Ardelia Mapp. «Se gli extraterrestri cercano di controllare da un altro pianeta i pensieri di Buffalo Bill la senatrice Martin può proteggerlo... è questo che voleva dire?»
Clarice annuì. «Molti schizofrenici paranoici hanno quella particolare allucinazione... sono convinti di essere controllati dagli alieni. Se Bill ragiona così, forse questo sistema potrebbe portarlo a scoprirsi. Comunque, è stata una buona idea e lei l'ha sparata, no? Come minimo potrebbe far guadagnare a Catherine qualche altro giorno, dare il tempo di lavorare un po' su Bill. O forse no: Crawford pensa che il periodo durante il quale trattiene le vittime si stia forse accorciando. Possono tentare con questo, e possono
tentare con altre cose.»
«Non c'è niente che io non tenterei, se Buffalo Bill tenesse prigioniera mia figlia. Perché la senatrice continuava a dire "Catherine"? Perché ripeteva il nome?»
«Stava cercando di indurre Buffalo Bill a vedere Catherine come un essere umano. Pensano che lui dovrà spersonalizzarla, dovrà vederla come un oggetto prima di poterla straziare. I mostri, a volte, ne parlano dopo la cattura. Dicono che per loro è come lavorare su una bambola.»
«Immagini che ci sia Crawford, dietro il messaggio della senatrice Martin?»
«Forse, o magari il dottor Bloom... eccolo» disse Clarice. Sullo schermo stavano trasmettendo un'intervista registrata qualche settimana prima: il dottor Alan Bloom dell'Università di Chicago parlava sul tema degli omicidi in serie.
Il dottor Bloom si rifiutava di paragonare Buffalo Bill a Francis Dolar-hide e a Garrett Hobbs e ad altri che conosceva per esperienza. Rifiutava di usare il termine "Buffalo Bill". In realtà, non diceva molto: ma era conosciuto come un esperto, forse l'esperto per eccellenza sull'argomento, e il network teneva a mostrare la sua faccia ai telespettatori.
Il servizio si concluse con la sua affermazione finale. «Non possiamo minacciarlo con qualcosa di più terribile di ciò che affronta ogni giorno. Possiamo soltanto chiedergli di venire da noi. Possiamo promettergli un trattamento generoso e sollievo, e possiamo farlo con assoluta sincerità.»
«Un po' di sollievo farebbe comodo anche a noi» disse Ardelia. «Mi venga un accidente se non piacerebbe anche a me. Discorsi generici e aria fritta. Mi piace. Non ha detto niente, ma con ogni probabilità non ha neppure messo in agitazione Bill.»
«Ogni tanto riesco a smettere di pensare alla ragazza che ho visto nel West Virginia» disse Clarice. «Ci riesco per mezz'ora, diciamo, e poi è come se un nodo mi stringesse la gola. Le unghie con lo smalto metallizzato... non farmene parlare.»
Ardelia Mapp, rovistando tra le sue numerose passioni, a pranzo riuscì ad alleviare la cupezza di Clarice e a incantare gli ascoltatori paragonando le rime nelle opere di Stevie Wonder e di Emily Dickinson.
Mentre stava per tornare in camera sua, Clarice Starling ritirò un messaggio dalla sua casella; c'era scritto Per favore, chiami Albert Roden, e un numero telefonico.
«Questo prova la mia teoria» disse ad Ardelia mentre si buttavano sui
letti e aprivano i libri.
«Quale sarebbe?»
«Tu fai conoscenza con due uomini, giusto? Ed è sempre quello sbagliato che ti chiama.»
«Questo lo sapevo già.»
Il telefono squillò.
Ardelia Mapp si toccò la punta del naso con la matita. «Se è Hot Bobby Lowrance, ti dispiace dirgli che sono in biblioteca?» disse. «E che gli telefonerò domani.»
Era Crawford che chiamava dall'aereo. La voce era gracchiante. «Starling, prepari una valigia per due notti e venga a raggiungermi fra un'ora.»
Clarice pensò che avesse interrotto la comunicazione. Si sentiva soltanto un ronzio sordo. Poi la voce si fece udire di nuovo all'improvviso: «Non avrà bisogno dell'attrezzatura ma soltanto dei vestiti».
«Dove debbo raggiungerla?»
«Allo Smithsonian.» Crawford incominciò a parlare con qualcun altro prima di riattaccare.
«Jack Crawford» disse Clarice, e buttò la valigetta sopra il letto.
Ardelia Mapp si affacciò al di sopra del Codice Federale di Procedura Penale. Seguì con lo sguardo la compagna che preparava la valigia e abbassò una palpebra su uno dei grandi occhi scuri.
«Non vorrei metterti in testa qualche idea» disse.
«E invece lo vuoi» rispose Clarice. Sapeva cosa doveva aspettarsi.
Ardelia Mapp si era laureata in legge all'Università del Maryland mentre lavorava di notte. All'Accademia era la seconda della sua classe e il suo atteggiamento verso i libri era di entusiasmo allo stato puro.
«Domani devi fare l'esame sul Codice Penale, e fra due giorni hai il test PE. Fai sapere a Crawford il Supremo che potresti venire rimandata se non starà molto attento. Non appena dice: "Buon lavoro, allieva Starling" non rispondere "È stato un piacere". Guarda con fermezza quella sua faccia impassibile da statua dell'Isola di Pasqua e digli: "Conto su di lei perché si dia da fare personalmente per evitare che io venga rimandata per aver saltato la scuola". Capisci cosa sto dicendo?»
«Posso vedere di arrangiarmi con il Codice» disse Clarice mentre apriva con i denti un fermaglio per i capelli.
«Brava, e se poi fai fiasco perché non hai avuto tempo di studiare, speri che non ti rimanderanno? Vuoi prendermi in giro? Ragazza mia, ti butteranno fuori dalla porta di servizio come si butta via un pulcino di Pasqua defunto. La gratitudine ha vita breve, Clarice. Costringilo a dire: niente bocciatura. Hai voti ottimi... costringilo a dire così. Non riuscirei mai a trovare un'altra compagna di stanza che sappia stirare alla svelta come te quando manca un minuto all'inizio delle lezioni.»
Clarice Starling procedeva con la vecchia Pinto sulla strada a quattro corsie, circa un chilometro al di sotto della velocità alla quale il volante incominciava a vibrare. L'odore dell'olio caldo e della muffa, lo sferragliare, il gemito della trasmissione echeggiavano vagamente dei ricordi del furgoncino del padre, quando gli viaggiava seduta accanto, in compagnia dei fratelli e della sorella che non stavano fermi un attimo.
Adesso era lei che guidava, guidava di notte e i segni bianchi della mezzeria scorrevano sotto di lei, blip, blip, blip. Aveva tempo per pensare. Le paure le respiravano sul collo; e altri ricordi recenti si dibattevano al suo fianco.
Clarice Starling temeva che fosse stato trovato il cadavere di Catherine Baker Martin. Quando Buffalo Bill aveva scoperto chi era, forse aveva ceduto al panico. Poteva darsi che l'avesse uccisa e avesse scaricato il corpo con un insetto nella gola.
Forse Crawford stava portando l'insetto per farlo identificare. Altrimenti, perché le avrebbe detto di raggiungerlo allo Smithsonian? Ma qualunque agente avrebbe potuto consegnare un insetto allo Smithsonian... anzi, avrebbe potuto farlo anche un fattorino dell'FBI. E Crawford le aveva detto di preparare una valigia per due notti.
Capiva benissimo perché non le aveva dato spiegazioni tramite il collegamento radio: ma era esasperante non sapere niente.
Trovò alla radio una stazione che trasmetteva continuamente notiziari e attese che finisse il bollettino meteorologico. Quando ricominciarono le notizie, non furono di molto aiuto. Il servizio da Memphis era un rimpasto di quello delle sette. La figlia della senatrice Martin era scomparsa. La sua camicetta era stata trovata tagliata sul dorso nello stile tipico di Buffalo Bill. Non c'erano testimoni. La vittima del West Virginia non era stata identificata.
West Virginia. Tra i ricordi che Clarice Starling conservava della sede delle pompe funebri di Potter c'era qualcosa di concreto e prezioso, qualcosa di durevole che risplendeva, separato dalle rivelazioni tenebrose. Lo rammentò di proposito e si accorse che poteva stringerlo in pugno come un talismano. Là, mentre fissava il lavello, aveva trovato la forza attingendola da una fonte che le causava sorpresa e soddisfazione... il ricordo di sua madre. Clarice era una superstite navigata grazie alla forza trasmessa dal padre defunto tramite i suoi fratelli: era sorpresa e commossa dal tesoro che aveva scoperto.
Parcheggiò la Pinto sotto la sede centrale dell'FBI all'incrocio tra la Decima Strada e Pennsylvania Ayenue. C'erano due troupe televisive sul marciapiede, e i cronisti apparivano fin troppo eleganti e leccati sotto le luci. Recitavano le loro notizie stando in piedi con il J. Edgar Hoover Building alle spalle. Clarice girò intorno ai riflettori e percorse due isolati a piedi per arrivare all'American Museum of Natural History dello Smithsonian.
Vide alcune finestre illuminate a uno degli ultimi piani del vecchio palazzo. Un furgone della polizia della Contea, di Baltimora era parcheggiato sul viale semicircolare. L'autista di Crawford, Jeff, attendeva al volante di un nuovo furgone per la sorveglianza, subito dietro l'altro. Quando vide avvicinarsi Clarice Starling, disse qualcosa nel microfono della radio.