«Pronta, Precious?»
Jame Gumb era appoggiato alla testiera del letto e stava comodo, con la cagnolina acciambellata sulla pancia.
Gumb si era appena lavato i capelli e aveva un asciugamani avvolto intorno alla testa. Frugò tra le lenzuola, trovò il telecomando del videoregistratore e premette il pulsante play.
Aveva composto il suo programma ricavandolo da due pezzi di videotape copiati su una cassetta. Lo guardava tutti i giorni quando doveva fare preparativi d'importanza vitale, e lo guardava invariabilmente poco prima di prendere una pelle.
Il primo nastro era tratto da un filmato piuttosto rovinato della Movieto-ne News, un servizio in bianco e nero del 1951 sui quarti di finale del concorso di Miss Sacramento, un evento preliminare sulla lunga strada che porta all'elezione di Miss America ad Atlantic City.
Era la sfilata in costume da bagno e tutte le ragazze portavano mazzi di fiori mentre salivano la scaletta, a una a una, per presentarsi in palcoscenico.
La barboncina di Jame Gumb aveva visto quella scena molte volte e socchiuse gli occhi quando sentì la musica, perché sapeva che il suo padrone l'avrebbe stretta a sé.
Le concorrenti facevano tanto Seconda Guerra Mondiale. Portavano costumi Rose Marie Reid, e alcune avevano visi deliziosi. Anche le gambe erano ben fatte, ma non avevano molto tono muscolare e sembravano un po' storte alle ginocchia.
Gumb strinse a sé la barboncina.
«Precious, eccola che arriva, eccolaeccolaeccola!»
E lei arrivò. Si avvicinò alla scala nel costume da bagno bianco, con un sorriso radioso rivolto al giovane che l'aiutava a salire, poi via, a passo svelto sui tacchi alti, mentre l'obiettivo seguiva la parte posteriore delle sue cosce. Mamma. Quella era Mamma.
Jame Gumb non aveva bisogno di toccare il telecomando: aveva già sistemato tutto quando aveva fatto quella copia. Nel reverse, la ragazza scendeva a ritroso le scale, si riprendeva il sorriso per il giovane, indietreggiava lungo la corsia, poi veniva di nuovo avanti, e avanti e indietro, avanti e indietro.
Quando sorrideva al giovane, anche Gumb sorrideva.
Appariva ancora in un gruppo; ma era sempre sfuocata, nel fermo dell'immagine. Era meglio lasciar scorrere in fretta il filmato e intravederla. Mamma era con le altre ragazze e si congratulava con le vincitrici.
L'altro pezzo, Gumb l'aveva registrato dalla televisione in un motel di Chicago... aveva dovuto correre a comprare un videoregistratore e fermarsi una notte in più per registrarlo. Era il filmato che trasmetteva i canali più modesti, a notte inoltrata, come sfondo per gli annunci sexy che scorrono a stampa sullo schermo. Erano riprese ricavate da filmacci, film piccanti piuttosto innocui degli anni Quaranta e Cinquanta, e c'era una partita di pallavolo in un campo di nudisti e c'erano le parti meno esplicite di film porno degli anni Trenta, quando gli attori uomini portavano il naso finto e tenevano i calzini. Il sonoro era un miscuglio di musica: in quel momento era The Look of Love, completamente fuori sincronia con l'azione scattante.
Jame Gumb non poteva eliminare gli annunci che scorrevano sullo schermo. Doveva rassegnarsi a sopportarli.
Ecco, una piscina all'aperto... in California, a giudicare dalle piante. Eleganti mobili da giardino, tutti anni Cinquanta. Alcune ragazze carine che nuotavano nude. Alcune di loro, forse, erano apparse in un paio di film di serie B. Agili e scattanti, uscivano dalla piscina e, molto più svelte della musica, correvano alla scaletta di uno scivolo, salivano... e si lasciavano andare, uiiii!, con i seni che si sollevavano mentre piombavano giù per lo scivolo, ridendo, con le gambe allungate in avanti, splash!
Ecco Mamma. Usciva dalla piscina dietro la ragazza con i capelli ricci. Il viso era coperto parzialmente dall'annuncio di Sinderella, una boutique di articoli sexy; ma qui la si vedeva allontanarsi, e poi saliva la scaletta tutta bagnata e lucente, meravigliosamente prosperosa e morbida, con la piccola cicatrice di un taglio cesareo, e giù per lo scivolo, uiiii! Era così bella: e anche se non poteva vederla in faccia, Jame Gumb sapeva in cuor suo che era Mamma, filmata dopo l'ultima volta nella sua vita in cui l'aveva vista in carne e ossa, se non nel pensiero, naturalmente.
La scena passò a una pubblicità filmata di uno stimolante, e si troncò bruscamente.
La barboncina socchiuse gli occhi due secondi prima che Gumb l'abbracciasse stretta stretta.
«Oh, Precious, vieni qui da Mammina. Mammina sarà così bella!»
C'era tanto da fare, tanto da fare per prepararsi per il giorno seguente.
Grazie al cielo, dalla cucina non sentiva mai l'essere, neppure quando gridava con tutto il fiato che aveva nei polmoni; però lo poteva sentire sulla scala, quando scendeva in cantina. Aveva sperato che fosse tranquillo e addormentato. La barboncina che Gumb teneva sotto il braccio, ringhiava nel sentire i suoni che provenivano dal pozzo.
«Sei proprio maleducata», disse Gumb, appoggiandole la bocca sulla testolina pelosa.
Si raggiungeva la stanza della segreta attraverso una porta a finestra in fondo alle scale. Non la degnò di un'occhiata e non ascoltò le parole che salivano dal pozzo... per quanto lo riguardava, non avevano la più remota somiglianzà con l'inglese.
Jame Gumb entrò nel laboratorio, posò a terra la cagnetta e accese le luci. Alcune falene svolazzarono e si posarono sulla rete metallica che copriva le lampade del soffitto.
In laboratorio, Jame Gumb era molto meticoloso. Mescolava le soluzioni fresche in recipienti di acciaio inossidabile, mai di alluminio.
Aveva imparato a fare tutto con un adeguato anticipo. Mentre lavorava si rivolgeva continue raccomandazioni.
Devi essere molto ordinato, devi essere preciso, devi essere ingegnoso perché i problemi sono colossali.
La pelle umana è pesante: rappresenta dal sedici al diciotto per cento del peso corporeo, ed è scivolosa. Una pelle intera è difficile da maneggiare, e capita di lasciarla cadere spesso quando è ancora umida. Anche il fattore tempo è importante. La pelle inizia a contrarsi immediatamente dopo essere stata asportata, soprattutto nel caso dei giovani adulti, perché è più tesa in partenza.
Bisogna tenere presente poi che la pelle non è perfettamente elastica, neppure nei giovani. Se la si tende, non ritorna più alle proporzioni originali. Se si cuce un capo perfettamente liscio e poi lo si tira troppo su un supporto da sarto, resta pieno di grinze. E non serve sedere alla macchina per cucire e piangere fino a consumarsi gli occhi: le grinze restano. Poi ci sono le linee della scollatura, e bisogna sapere dove sono. La pelle non si tende nello stesso modo in tutte le direzioni prima che i grumi di collagene si deformino e le fibre si lacerino; se si tira dalla parte sbagliata, resta una smagliatura.
È semplicemente impossibile lavorare con il materiale fresco. Erano stati necessari molti esperimenti accompagnati da parecchi dispiaceri, prima che Jame Gumb imparasse.
Alla fine aveva scoperto che i vecchi metodi erano i migliori. Procedeva in questo modo. Prima immergeva la materia negli acquari pieni degli estratti vegetali ideati dagli indiani d'America... sostanze interamente naturali prive di sali minerali. Poi usava il metodo che aveva prodotto l'impareggiabile, morbidissima pelle di cervo del Nuovo Mondo... la classica concia con le cervella. Gli indiani americani ritenevano che ogni animale avesse un cervello abbastanza grande per conciare la sua pelle. Jame Gumb sapeva che non era vero e aveva rinunciato già da molto tempo, persino con il primate dal cervello più voluminoso. Adesso aveva un freezer pieno di cervella di bue, e così non restava mai a corto del necessario.
Era in grado di risolvere i problemi della concia del materiale: la pratica
lo aveva reso quasi perfetto.
Restavano i problemi strutturali: ma era particolarmente qualificato per
risolvere anche quelli.
Il laboratorio si apriva in un corridoio che conduceva a un bagno in disuso, dove Jame Gumb teneva l'argano e il cronometro, allo studio e all'immenso labirinto nero.
Aprì la porta dello studio, inondato da una luce brillante... riflettori e tubi a incandescenza, modificati in modo da riprodurre la luce del giorno, erano fissati alle travi del soffitto. I manichini erano in posa su una pedana di quercia. Erano tutti parzialmente vestiti, alcuni di capi in pelle, altri di modelli di mussola per gli indumenti di pelle. Otto manichini apparivano raddoppiati dalle due pareti a specchi... erano specchi interi, non a piastrelle. Su un tavolo da trucco c'erano cosmetici, diversi supporti per parrucche, e le parrucche. Era uno studio chiaro e luminoso, tutto bianco e quercia bionda.
I manichini indossavano capi di serie incompiuti, per lo più sensazionali modelli di Armani in fine pelle di capretto nero, tutti pieghe arrotolate, spalle squadrate e pannelli a intarsio sul petto.
La terza parete era occupata da un grande tavolo da lavoro, due macchine per cucire commerciali, due manichini da sartoria, più un terzo modellato esattamente sul torso di Jame Gumb.
La quarta parete era dominata da un grande armoire nero in lacca cinese che arrivava quasi a toccare il soffitto alto due metri e mezzo. Era vecchio e i fregi erano sbiaditi. Erano rimaste alcune squame d'oro dove c'era un drago, e il suo occhio bianco era ancora nitido e attento... e più in là c'era la lingua rossa di un altro drago, ma il corpo si era sbiadito. La lacca dello sfondo era rimasta intatta, per quanto un po' screpolata.
L'armoire era immenso e profondo, e da esso erano esclusi i capi di serie. Conteneva i capi speciali, appesi a forme e grucce e aveva le ante chiuse.
La cagnolina bevve dalla sua ciotola e si sdraiò fra i piedi di un manichino senza staccare gli occhi da Jame Gumb.
Lui stava lavorando su una giacca di pelle. Doveva terminarla... aveva avuto intenzione di sbrigare tutto, ma adesso era preso dalla febbre della creazione e il suo modello di mussola non lo soddisfaceva completamente.
Jame Gumb aveva fatto grandi progressi nel campo della confezione, rispetto a ciò che aveva imparato in gioventù nel riformatorio californiano: ma quella era un'autentica sfida. Neppure la lavorazione della delicata pelle di capretto serve a preparare per un lavoro più che raffinato.
Aveva due modelli di mussola, simili a panciotti bianchi, uno della sua misura esatta, e uno ricavato in base alle misure che aveva preso mentre Catherine Baker Martin era ancora priva di sensi. Quando metteva il più piccolo sul manichino da sartoria, i problemi risultavano evidenti. La ragazza era grande e grossa e magnificamente proporzionata: ma non era grande come Jame Gumb, e soprattutto non aveva la schiena altrettanto larga.
Il suo ideale era un indumento senza cuciture. Ma era impossibile. Comunque era deciso a fare in modo che la parte anteriore fosse senza cuciture e senza difetti. Quindi tutte le correzioni andavano fatte sulla schiena. Molto difficile. Aveva già scartato un modello di mussola e aveva ricominciato. Tendendo con cura la pelle, avrebbe potuto cavarsela con due inserti sotto le braccia... non inserti alla francese, ma verticali con l'apice verso il basso. E due inserti anche sulla schiena, all'interno dei reni. Era stato abituato a lavorare con un margine minimo per le cuciture.
Le sue riflessioni passarono dagli aspetti visuali a quelli tattili: e non era improbabile che una persona attraente venisse abbracciata.
Jame Gumb si cosparse leggermente le mani di talco e strinse il manichino del proprio corpo in un abbraccio naturale, tranquillo.
«Dammi un bacio» disse scherzosamente all'aria vuota, dove avrebbe dovuto esserci la testa. «Non tu, sciocchina» disse alla cagnetta quando la vide rizzare le orecchie.
Gumb accarezzò la schiena del manichino tenendo le braccia ad altezza naturale. Poi gli girò intorno per vedere i segni della polvere. Nessuno aveva voglia di toccare una cucitura. Ma in un abbraccio le mani si sovrappongono sul centro della schiena. E poi, pensò, siamo abituati alla linea centrale della spina dorsale. Non è sconvolgente come un'asimmetria nei nostri corpi. Le cuciture sulla spalla, quindi, erano assolutamente da escludere. Un inserto centrale in alto sarebbe stata la soluzione, con l'apice un po' al di sopra del centro delle scapole. Poteva usare la stessa cucitura per fissare il robusto supporto inserito nella fodera. Riquadri di lycra sotto gli spacchi ai due lati (doveva ricordarsi di comprare la lycra) e una chiusura velcro sotto lo spacco di destra. Gumb pensò ai meravigliosi abiti da sera di Charles James, dove le cuciture erano realizzate in modo da essere perfettamente piatte.
L'inserto sulla schiena sarebbe stato coperto dai suoi capelli... o per meglio dire dai capelli che avrebbe avuto molto presto.
Jame Gumb tolse la mussola dal manichino per sartoria e incominciò a lavorare.
La macchina per cucire era vecchia e solida, una macchina a pedale decorata che era stata convertita all'elettricità una quarantina d'anni prima. Sul braccio era dipinto, in lettere d'oro: "Non mi stanco mai di servire". Il pedale funzionava ancora, e Gumb se ne serviva per avviare la macchina per ogni cucitura. Per le cuciture più fini preferiva lavorare scalzo e muovere delicatamente il pedale con il piede carnoso. Stringeva il bordo anteriore con le dita dipinte per evitare un eccesso di punti. Per qualche tempo si udirono soltanto i rumori della macchina per cucire, il russare della cagnolina e il sibilo delle tubature nella cantina calda.
Quando Gumb ebbe finito di aggiungere gli inserti nel modello di mussola, se lo provò davanti agli specchi. La cagnetta lo guardava dall'angolo, con la testa inclinata.
Doveva allargare un pochino il modello sotto le ascelle. C'erano ancora alcuni problemi con le fodere. A parte questo, era molto bello: morbido, duttile, elastico. Gli pareva di vedersi mentre saliva correndo la scaletta di uno scivolo ad acqua.
Jame Gumb giocò con le luci e con le parrucche per studiare alcuni effetti scenici, e provò a mettersi un meraviglioso girocollo di conchiglie sulla scollatura. Sarebbe stato splendido quando avrebbe indossato un abito da sera o un pigiama-palazzo sopra il suo nuovo busto.
Era tentato di procedere subito, di darsi da fare immediatamente; ma aveva gli occhi stanchi. Voleva che le mani fossero ferme, e non se la sentiva di sopportare tutto quel chiasso. Con molta pazienza, scucì i punti e dispose i pezzi affiancati. Erano modelli perfetti da seguire per il taglio.
«Domani, Precious» disse alla cagnolina, mentre tirava fuori dal freezer le cervella di bue perché si scongelassero. «Lo faremo dooomaniiii, per prima cosa. Mammina sarà bellissima!»