55


In quel momento, sopra l'estremità meridionale del lago Michigan, un jet a ventiquattro posti con i contrassegni civili abbandonò la velocità massima di crociera e incominciò la grande curva per discendere verso Calumet City, Illinois.

I dodici uomini della Squadra Recupero Ostaggi sentirono nello stomaco l'effetto della manovra. Lungo la corsia qualcuno sbadigliò per la tensione.

II comandante della squadra, Joel Randall, seduto nella parte anteriore del compartimento passeggeri, si tolse la cùffia e diede un'occhiata agli appunti prima di alzarsi per parlare. Era certo di avere ai suoi ordini la squadra SWAT meglio addestrata del mondo, e forse aveva ragione. Molti dei suoi uomini non erano mai stati sotto il fuoco ma, per quanto potevano dimostrare le simulazioni e i test, erano i migliori di tutti.

Randall aveva trascorso molto tempo nelle corsie degli aerei, e mantenne facilmente l'equilibrio durante la discesa, nonostante i sobbalzi.

«Signori, i nostri mezzi di trasporto a terra sono gentilmente offerti dalla DEA. Hanno mandato un camioncino da fiorista e un furgone da idraulico. Quindi, Vernon ed Eddie, andrete in borghese. Se dovremo lanciare granate a effetto stordente, prima di entrare, ricordate che non avrete protezione antivampa sulla faccia.»

Vernon mormorò a Eddie: «Attento a coprirti le guance».

Vernon ed Eddie, che sarebbero stati i primi ad avvicinarsi alla porta, dovevano indossare un giubbotto antiproiettile sotto gli abiti borghesi. Gli altri sarebbero andati all'attacco con le corazze pesanti, impenetrabili ai colpi di fucile.

«Bobby, mi raccomando di mettere un microfono in ogni veicolo per il guidatore, così non combineremo un pasticcio parlando con quelli della DEA» disse Randall.

In azione, la Drug Enforcement Administration adopera radio UHF, mentre l'FBI ha le VHF. In passato c'erano stati parecchi problemi.

Erano equipaggiati per quasi tutte le possibili eventualità, di giorno e di notte; per scalare i muri avevano l'attrezzatura a corda doppia, per ascoltare avevano Wolfs Ears e un VanSleek Farfoon, per vedere avevano congegni a infrarossi. Le armi con i mirini speciali per la notte sembravano strumenti musicali nelle custodie ingombranti.

Doveva essere un'operazione chirurgica molto precisa, e le armi lo dimostravano... non ce n'era una che sparasse con l'otturatore aperto.

Gli uomini della squadra indossarono l'equipaggiamento mentre si abbassavano gli alettoni.

Randall ricevette notizie da Calumet attraverso la cuffia. Coprì il microfono con una mano e si rivolse di nuovo alla squadra. «Ragazzi, la selezione si è ridotta a due indirizzi. Noi andremo a quello più probabile, e lo SWAT di Chicago andrà all'altro.»

L'aeroporto era quello municipale di Lansing, il più vicino a Calumet sul lato sudorientale di Chicago. L'aereo fu autorizzato ad atterrare immediatamente. Il pilota lo fece fermare con un grande stridore di freni accanto a due veicoli in attesa con il motore al minimo, all'estremità del campo più lontano dal terminal.

Vi fu un frettoloso scambio di saluti accanto al camioncino da fiorista. Il comandante della DEA porse a Randall qualcosa che sembrava una vistosa composizione floreale. Era un maglio di cinque chili per sfondare le porte; la testa era avvolta in carta metallica a colori come un vaso di fiori, e il manico era mimetizzato dal fogliame.

«Può darsi che dobbiate consegnarlo a domicilio» disse. «Benvenuti a Chicago.»

Jame Gumb decise di passare all'azione nel tardo pomeriggio.

Con gli occhi pieni di lacrime irrefrenabili, aveva visto e rivisto il suo video. Sul piccolo schermo, Mamma saliva la scaletta e si lasciava scivolare nella piscina, uiii giù nella piscina. Le lacrime offuscavano la vista di Jame Gumb come se nella piscina ci fosse anche lui.

La borsa dell'acqua calda che teneva sul ventre gorgogliava, come aveva gorgogliato lo stomaco della barboncina quando l'aveva tenuta in grembo.

Non poteva resistere... l'essere che stava nella cantina teneva prigioniera Precious, e la minacciava. Precious soffriva, lo sapeva con certezza. Non era sicuro di poter uccidere quell'essere prima che facesse del male a Precious ma doveva tentare. E subito.

Si tolse i vestiti e indossò la vestaglia... concludeva sempre il suo lavoro nudo e insanguinato come un neonato.

Dal grande armadio dei medicinali prelevò l'unguento che aveva usato per curare Precious quando un gatto l'aveva graffiata. Prese qualche cerotto e il "collare elisabettiano" di plastica che gli aveva dato il veterinario per impedire che la cagnetta si mordicchiasse dove le faceva male. In cantina aveva diversi abbassa-lingua da usare per steccarle la zampetta rotta, e un tubetto di Sting-Eez per alleviare il dolore se quello stupido essere l'avesse graffiata mentre si dibatteva prima di morire.

Un colpo ben diretto alla testa. Avrebbe sacrificato i capelli. Precious era molto più importante dei capelli, per lui. I capelli erano un sacrificio, un'offerta propiziatoria per la salvezza di Precious.

Scese le scale senza far rumore ed entrò in cucina. Si tolse le pantofole e scese la scala buia della cantina tenendosi rasente al muro per evitare che i gradini scricchiolassero.

Non accese la luce. Arrivato in fondo alla scala svoltò a destra, entrò in laboratorio muovendosi a tastoni nell'oscurità che gli era familiare e sentì il pavimento cambiare sotto i suoi piedi.

Sfiorò la gabbia con una manica e sentì lo stridio sommesso e iroso di una falena. Ecco l'armadietto. Trovò la lampada a infrarossi e mise gli occhialoni. Il mondo s'illuminò di verde. Per un momento attese nel gorgoglio confortevole dei serbatoi, nel caldo sibilare del vapore dei tubi. Era signore della tenebra, regina della tenebra.

Le falene libere nell'aria lasciavano scie verdi e fluorescenti davanti ai suoi occhi, e lievissimi soffi d'aria sul suo volto quando le loro ali piumose

sbattevano nell'oscurità.

Gumb controllò la Python. Era stata caricata con proiettili di piombo .38 Special. Sarebbero penetrati nel cranio e, espandendosi, avrebbero ucciso immediatamente. Se l'essere fosse stato in piedi quando lui avesse sparato, e se avesse mirato dall'alto alla sommità del cranio, era meno probabile che il proiettile uscisse dalla mascella e lacerasse il petto, come sarebbe invece avvenuto con una Magnum.

Si mosse piano, senza far rumore, con le ginocchia piegate e le dita dalle unghie laccate che stringevano le vecchie assi. Si mosse senza far rumore sul pavimento di sabbia della camera dov'era la segreta. Senza far rumore ma non troppo lentamente. Non voleva che il suo odore avesse il tempo di arrivare alla cagnolina, sul fondo del pozzo.

La parte superiore della segreta era illuminata di verde, le pietre e la calce apparivano nitide, la grana del legno del coperchio era ben distinta alla sua vista. Strinse la torcia e si sporse. Erano là sotto. L'essere giaceva sul fianco come un gambero gigantesco. Forse dormiva. Precious era raggomitolata lì accanto, e senza dubbio era addormentata... non poteva, oh no, non poteva essere morta.

La testa era scoperta. Mirare al collo... era una tentazione. Così avrebbe salvato i capelli. Ma era troppo rischioso.

Jame Gumb si sporse sopra l'apertura, scrutando con gli occhi peduncolati dei suoi occhialoni. La Python gli dava una sensazione piacevole, con quella canna pesante, meravigliosamente adatta a puntare verso il basso. Poteva tenerla nel raggio della lampada a infrarossi. Puntò il mirino sul lato della testa, dove i capelli erano umidi contro la tempia.

Forse fu il rumore o l'odore, non poteva saperlo... ma Precious si alzò e guaì, spiccando un balzo nell'oscurità, e Catherine Baker Martin si piegò sulla cagnolina e si tirò addosso il telo. Erano soltanto masse che si muovevano sotto il telo e Gumb non sapeva quale fosse la cagnetta e quale Catherine. Guardava verso il basso, all'infrarosso, e la sua percezione della profondità era menomata. Non riusciva a capire quale delle masse fosse Catherine.

Però aveva visto Precious spiccare un balzo. Sapeva che aveva la zampa illesa... e di colpo comprese qualcosa di più. Catherine Baker Martin non avrebbe fatto male alla barboncina, come non gliene avrebbe fatto lui. Oh, che immenso sollievo. Grazie al sentimento che avevano in comune avrebbe potuto spararle alle stramaledette gambe, e quando si fosse piegata per stringerle le avrebbe fatto esplodere quella testa fottuta. Non era necessario essere prudente.

Accese le luci, tutte le luci della cantina, e andò a prendere il riflettore dal magazzino. Era perfettamente padrone di sé, ragionava con assoluta lucidità... mentre attraversava il laboratorio ricordò di far scorrere un po' d'acqua nei lavelli, in modo che niente intasasse gli scarichi.

Mentre passava di corsa accanto alla scala reggendo il riflettore, finalmente pronto ad agire, sentì suonare il campanello.

Il campanello strideva e gracchiava e Gumb dovette soffermarsi per pensare che cosa fosse. Non lo sentiva da anni, non aveva mai neppure saputo se funzionava o no. La suoneria era installata sulla scala in modo che fosse possibile sentire il campanello al pianterreno e al primo piano; e adesso squillava, come una tetta di metallo nero coperta di polvere. Mentre la guardava suonò di nuovo e continuò a suonare. La polvere si sollevava dalla suoneria. C'era qualcuno alla porta principale e premeva il vecchio pulsante con la scritta SOVRINTENDENTE.

Se ne sarebbero andati.

Gumb preparò il riflettore.

No, non se ne andavano.

L'essere nel pozzo disse qualcosa, ma lui non gli prestò attenzione. Il campanello continuava con quel suono stridente. Stavano premendo il pulsante senza staccarsi.

Era meglio salire per guardare dalla finestra. La Python a canna lunga non sarebbe entrata nella tasca della vestaglia. La posò sul banco del laboratorio.

Era arrivato a metà della scala quando il campanello smise di suonare. Attese per qualche attimo. Silenzio. Decise di andare a guardare comunque. Mentre attraversava la cucina, un colpo battuto energicamente alla porta posteriore lo fece trasalire. Nella dispensa, vicino a quella porta c'era un fucile a pompa. Gumb sapeva che era carico.

L'uscio della scala della cantina era chiuso, e quindi nessuno poteva sentire l'essere che gridava là sotto, anche se urlava con tutte le sue forze... ne era sicuro.

Bussarono di nuovo. Gumb socchiuse appena la porta, senza togliere la catena.

«Ho provato a suonare alla porta principale ma non mi ha aperto nessuno» disse Clarice Starling. «Sto cercando la famiglia della signora Lippman. Lei può aiutarmi?»

«Non abitano più qui» disse Jame Gumb, e chiuse la porta. Si avviò verso la scala della cantina quando i colpi alla porta ricominciarono. Stavolta erano ancora più energici.

Aprì di nuovo la porta, e non tolse la catena.

La giovane donna avvicinò un tesserino allo spiraglio. C'era scritto Fe-deral Bureau of Investigation. «Mi scusi, ma ho bisogno di parlarle. Devo trovare la famiglia della signora Lippman. So che abitava qui. Vorrei che mi aiutasse, per favore.»

«La signora Lippman è morta da anni. E non aveva parenti, a quanto ne so.»

«Allora un avvocato, un amministratore? Qualcuno che avesse i documenti della sua attività. Lei ha conosciuto la signora Lippman?»

«Molto superficialmente. Perché?»

«Sto indagando sulla morte di Fredrica Bimmel. Lei chi è, scusi?»

«Jack Gordon.»

«Ha conosciuto Fredrica Bimmel quando lavorava per la signora Lip-pman?»

«No. Era alta e grassa? Forse l'ho vista, ma non ne sono sicuro. Non volevo essere scortese... dormivo... La signora Lippman aveva un avvocato, devo avere il suo biglietto da visita da qualche parte, vedrò di trovarlo. Le dispiace entrare? Ho un freddo tremendo, e il mio gatto scapperà fuori fra un secondo. Filerà come una fucilata prima che riesca a bloccarlo.»

Gumb andò alla scrivania con avvolgibile nell'angolo più lontano della cucina, l'aprì e guardò in un paio di ripiani. Clarice Starling varcò la soglia e prese il taccuino dalla borsa.

«Quella storia orribile» disse Gumb mentre frugava nella scrivania. «Rabbrividisco ogni volta che ci penso. Stanno per arrestare qualcuno, secondo lei?»

«Non ancora, ma stiamo lavorando. Signor Gordon, lei è venuto ad abitare qui subito dopo la morte della signora Lippman?»

«Sì.» Gumb si chinò sulla scrivania, voltando le spalle a Clarice. Aprì un cassetto, vi frugò.

«È rimasto qui qualche documento? Qualche documento della sua attività?»

«No, niente. All'FBI hanno qualche idea? La polizia di qui fa una grande confusione. Hanno una descrizione, o magari le impronte digitali?»

Dalle pieghe della vestaglia di Gumb, sul dorso, uscì una falena testa-di-morto. Si fermò al centro della schiena, più o meno nel punto corrispondente al cuore, e si assestò le ali.

Clarice lasciò ricadere il taccuino nella borsetta.

Jame Gumb. Grazie a Dio ho l'impermeabile aperto. Devo uscire di qui e trovare un telefono. No. Lui sa che sono dell'FBI, se lo perdo di vista un attimo la ucciderà. Le sparerà alle reni. Lo troveranno e gli piomberanno addosso. Il suo telefono. Non lo vedo. Non è in questa stanza, devo chiedere il telefono. Devo stabilire la comunicazione e poi agire. Costringerlo a stendersi con la faccia a terra e aspettare la polizia. Ecco quello che devo fare. Lui si sta voltando.

«Ecco il numero» disse Gumb. Aveva in mano un biglietto da visita.

Devo prenderlo? No.

«Bene, la ringrazio. Signor Gordon, potrei fare una telefonata?»

Nel momento in cui lui posò il biglietto da visita sul tavolo, la falena spiccò il volo. Gli passò sopra la testa e si posò tra loro, su un pensile sopra il lavello.

Gumb la guardò. Quando si accorse che la visitatrice non la guardava, che non distoglieva gli occhi da lui, comprese.

I loro occhi s'incontrarono. Ognuno dei due seppe chi era l'altro.

Jame Gumb inclinò leggermente la testa. Sorrise. «Ho un telefono in dispensa. Vado a prenderlo.»

No! agisci. Clarice prese la pistola, con un movimento fluido che aveva eseguito quattromila volte, e tutto fu come doveva essere: una solida presa a due mani, la concentrazione più assoluta sul mirino e sul centro del petto dell'uomo. «Fermo.»

Gumb sporse le labbra.

«E adesso alzi le mani. Lentamente.»

Fallo uscire, e tieni il tavolo tra di voi. Fallo passare dall'ingresso principale. Ordinagli di sdraiarsi a faccia in giù sulla strada e mostra il distintivo.

«Signor Gub... signor Gumb, lei è in arresto. S'incammini lentamente davanti a me, ed esca.»

E lui, invece, uscì dalla stanza. Se si fosse portato la mano alla tasca o l'avesse tesa all'indietro, se Clarice avesse visto un'arma, forse avrebbe sparato. Ma lui uscì semplicemente dalla stanza.

Lo sentì scendere in fretta la scala della cantina. Girò intorno al tavolo e arrivò alla porta in cima ai gradini. Era sparito, e la tromba delle scale era illuminata e vuota. Una trappola. Lei era un bersaglio facile in quel punto.

Poi dalla cantina giunse un urlo, sottile come un foglio di carta.

La scala non era sicura... non era sicura, ma Clarice Starling era arrivata

a un momento decisivo.

Catherine Martin urlò di nuovo. La sta uccidendo... Clarice Starling si decise a scendere comunque, con una mano sulla ringhiera, il braccio proteso, la pistola appena al di sotto della linea della visuale, il piano inferiore che balzava al di sopra del mirino, poi il braccio che si muoveva seguendo la testa, mentre cercava di coprire le due porte l'una di fronte all'altra e aperte in fondo alla scala.

Le luci brillavano nella cantina. Non poteva varcare una porta senza voltare le spalle all'altra. Doveva fare in fretta, girare a sinistra verso l'urlo. Entrò nella camera della segreta, superò la soglia e spalancò gli occhi. L'unico posto per nascondersi era dietro il pozzo. Girò di sbieco intorno alla parete stringendo la pistola con entrambe le mani, a braccia tese, esercitò una leggera pressione sul grilletto, girò intorno al pozzo. Dietro non c'era nessuno.

Un grido salì dal pozzo come uno sbuffo di fumo. Poi un guaito. Un cane. Si avvicinò con gli occhi fissi alla porta, si affacciò all'apertura. Vide la ragazza, rialzò lo sguardo, guardò di nuovo in basso e disse ciò che le avevano insegnato a dire per tranquillizzare l'ostaggio.

«FBI. È salva.»

«Salva un corno, MERDA, lui ha una pistola. Mi tiri fuori. MITIRIFUORI.»

«Catherine, andrà tutto bene. Non gridi. Sa dov'è lui?»

«MI FACCIA USCIRE, NON MI FREGA NIENTE DI DOV'È LUI. MITIRIFUORI!»

«La tirerò fuori. Stia calma. Mi aiuti. Stia zitta, così potrò sentire. E cerchi di far star zitto il cane.»

Clarice era trincerata dietro il pozzo e teneva di mira la porta. Il cuore le batteva forte, il suo respiro faceva volar via la polvere dalla pietra. Non poteva lasciare Catherine Martin per chiedere aiuto quando non sapeva dove fosse Gumb. Si accostò alla porta e si riparò dietro lo stipite. Riusciva a vedere al di là della base della scala, e una parte del laboratorio.

Doveva trovare Gumb, o accertarsi che fosse fuggito, oppure avrebbe dovuto portare Catherine fuori di lì. Erano le uniche possibilità. Lanciò una rapida occhiata alle sue spalle, dentro la camera della segreta.

«Catherine. Catherine. C'è una scala a pioli?»

«Non lo so. Quando sono rinvenuta ero quaggiù. Lui calava un secchio con uno spago.»

A una trave del muro era imbullonato un piccolo argano a mano. Ma non

c'era corda sul rullo.

«Catherine, devo trovare qualcosa per tirarla fuori. È in grado di camminare?»

«Sì. Non mi abbandoni.»

«Dovrò lasciare questa camera per un minuto.»

«Carogna maledetta, se mi lascia quaggiù, mia madre la farà a pezzi...»

«Catherine, stia zitta. Voglio che taccia, così potrò sentire. Se vuole salvarsi stia zitta, ha capito?» Poi, a voce più alta: «Gli altri agenti arriveranno da un momento all'altro, quindi taccia. Non la lasceremo certo lì sotto».

Gumb doveva avere una corda. Dov'era? L'unica cosa era andare a cercarla.

Clarice Starling attraversò di corsa l'atrio delle scale arrivò alla porta del laboratorio... la porta era il posto peggiore, doveva entrare in fretta e muoversi avanti e indietro lungo il muro più vicino fino a quando avesse visto tutta la stanza, con le forme riconoscibili che galleggiavano nei serbatoi di vetro. Era troppo tesa per sgomentarsi. Attraversò il laboratorio, passò oltre le vasche, i lavelli, la gabbia, le falene che volavano. Le ignorò.

Si avvicinò al corridoio in fondo. Sfolgorava di luce. Il frigorifero si mise in funzione dietro di lei; si girò acquattandosi, alzò il cane della Ma-gnum, allentò la pressione. Proseguì nel corridoio. Non le avevano insegnato a sbirciare. Doveva sporgere la testa e la pistola contemporaneamente, ma tenendosi bassa. Il corridoio era vuoto. In fondo, lo studio era un mare di luce. Avanzò quasi correndo oltre la porta chiusa, fino all'entrata dello studio. La stanza era tutta bianca, con i pannelli di quercia bionda. Era difficile valutare la situazione dalla soglia. Doveva assicurarsi che ogni immagine riflessa fosse l'immagine di un manichino, che l'unico movimento negli specchi fosse il suo.

Il grande armoire era aperto e vuoto. La porta più lontana era spalancata sull'oscurità della cantina. Niente corde, niente scale a pioli. E niente luci, al di là dello studio. Clarice Starling chiuse la porta che dava sulla zona buia della cantina, spinse una sedia sotto la maniglia e la macchina per cucire contro la sedia. Se avesse potuto avere la certezza che Gumb non si trovava in quel tratto di cantina, avrebbe potuto arrischiarsi a salire per un momento in cerca del telefono.

Indietro, lungo il corridoio, c'era una porta che aveva superato all'andata. Doveva portarsi sul lato opposto ai cardini e spalancarla con un unico movimento. La porta si aprì, sbattè. Dietro non c'era niente. Era un vecchio bagno, e c'erano una corda, alcuni ganci, un'imbracatura. Doveva andare a far uscire Catherine, o cercare il telefono? In fondo al pozzo, Catherine non avrebbe corso il rischio di venire colpita per caso. Ma se Clarice Starling fosse stata uccisa, anche per l'ostaggio sarebbe stata la fine. Doveva condurre Catherine al telefono con sé.

Clarice Starling non voleva rimanere a lungo nel bagno. Lui poteva arrivare alla porta e sparare. Guardò a destra e a sinistra ed entrò per prendere la corda. C'era una grande vasca. La vasca era quasi piena di gesso indurito, rosso-purpureo. Dal gesso spuntavano una mano e un polso. La mano era diventata scura e raggrinzita, e le unghie erano laccate di rosa. Il polso era cinto da un grazioso orologio. Clarice Starling vedeva tutto contemporaneamente, la corda, la vasca, la mano, l'orologio.

Il movimento lentissimo della lancetta dei secondi fu l'ultima cosa che vide prima che le luci si spegnessero.

Il cuore le batteva così forte da farle tremare il petto e le braccia. La tenebra le dava le vertigini; sentiva il bisogno di toccare qualcosa, il bordo della vasca. Il bagno. Doveva uscire dal bagno. Se Gumb avesse trovato la porta avrebbe potuto crivellare la stanza di proiettili, non c'era niente per nascondersi. Oh, Gesù, doveva uscire. Doveva acquattarsi e uscire nel corridoio. Erano spente tutte le luci? Sì, tutte. Doveva essere andato all'interruttore generale, doveva aver abbassato la leva. Dove poteva essere? Dove? Vicino alle scale. Quasi sempre si trova vicino alle scale. Se è così, lui verrà da quella direzione. Ma è tra me e Catherine.

Catherine Martin aveva ripreso a gridare.

Doveva attendere lì? Attendere in eterno? Forse è fuggito. Non può essere sicuro che non arrivino i rinforzi. Sì, può essere sicuro, invece. Ma presto si accorgeranno della mia scomparsa. Stasera. Le scale sono nella direzione degli urli. Devi decidere, e subito.

Si mosse senza far rumore, sfiorando appena il muro, con la spalla, sfiorandolo troppo leggermente per produrre un suono, con una mano protesa in avanti, la pistola a livello della cintura e tenuta contro il corpo, nello spazio limitato del corridoio. Avanzò nel laboratorio e sentì lo spazio aprirsi intorno a lei. Una grande stanza. Si acquattò con le braccia protese, stringendo la pistola con entrambe le mani. Sai esattamente dov'è la pistola, è appena più in basso del livello degli occhi. Fermati, ascolta. La testa e il corpo e le braccia girano simultaneamente come una torretta. Fermati, ascolta. Nella tenebra assoluta il sibilo del vapore nei tubi, lo sgocciolio dell'acqua.

E nelle sue narici, intenso, l'odore di capra.

Il grido di Catherine.

Contro la parete c'era Jame Gumb con gli occhialoni. Non c'era pericolo che lei gli venisse addosso... tra loro c'era un tavolo da lavoro. Le fece scorrere addosso il raggio della lampada a infrarossi. Era troppo snella per essergli utile. Ma ricordava i capelli: li aveva notati in cucina, ed erano splendidi. Sarebbe stata questione di un minuto. Li avrebbe strappati in fretta e li avrebbe messi. Avrebbe potuto affacciarsi nel pozzo con quei capelli in testa e gridare all'essere: "Sorpresa!".

Era divertente vederla muoversi così, furtiva e a tentoni. Adesso teneva l'anca contro i lavelli e avanzava lentamente in direzione delle grida, con la pistola protesa. Sarebbe stato piacevole darle la caccia a lungo... non gli era mai capitato di dare la caccia a una preda armata. Sarebbe stato molto, molto divertente. Ma non c'era tempo. Peccato.

Un colpo in faccia sarebbe stato facile ed efficace, a due metri e mezzo di distanza. Adesso.

Armò la Python mentre l'alzava, snick snick, la figura si sfuocò, fiorì, fiorì verde davanti ai suoi occhi, e la pistola gli sobbalzò nella mano e il pavimento lo colpì con violenza alla schiena. La sua lampada a infrarossi era accesa, e vedeva il soffitto. Clarice Starling era sul pavimento, accecata dal bagliore dei lampi, le orecchie rintronate, assordata dagli spari delle pistole. Lei si mosse nella tenebra mentre nessuno dei due poteva udire, estrasse i bossoli vuoti, inclinò l'arma, tastò per accertarsi di averli tolti tutti, inserì il caricatore, a tentoni, lo inclinò, lo girò, lo lasciò cadere e richiuse il tamburo. Aveva sparato quattro colpi. Due e due. Gumb aveva sparato una volta sola. Clarice trovò le due cartucce cariche che aveva lasciato cadere. Dove poteva metterle? Nella custodia del caricatore. Rimase immobile. Doveva muoversi prima che Gumb fosse di nuovo in grado di sentirla.

Il suono di una pistola che viene caricata non somiglia a nessun altro. Aveva sparato in direzione di quel lieve rumore, non aveva visto altro che i lampi degli spari. Si augurò che adesso Gumb sparasse nella direzione sbagliata e rivelasse la sua posizione. Stava recuperando l'udito, le orecchie ronzavano ancora, ma sentiva.

Cos'era quel suono? Un fischio? Come il fischio di un bricco, ma interrotto. Che cos'era? Sembrava un respiro. Sono io? No. Il suo respiro riverberava caldo dal pavimento e le tornava in faccia. Doveva stare attenta, non doveva aspirare la polvere, non doveva starnutire. Sì, è un respiro. Una ferita al petto. Lui è colpito al petto. Le avevano insegnato a tappare quelle ferite, a metterci sopra qualcosa, un impermeabile, un sacco di plastica, qualcosa d'impenetrabile all'aria, e a stringerlo. E poi, gonfiare di nuovo il polmone. Dunque l'aveva ferito al petto. Cosa doveva fare? Aspettare. Lasciare che s'irrigidisse e sanguinasse. Doveva aspettare.

La guancia le bruciava. Non la toccò. Se sanguinava, non voleva che il sangue le rendesse scivolose le mani.

Il gemito proveniente dal pozzo si fece udire di nuovo. Catherine parlava, gridava. Clarice Starling doveva attendere. Non poteva rispondere a Catherine. Non poteva dire niente, non poteva muoversi.

La luce invisibile di Jame Gumb era puntata verso il soffitto. Gumb tentò di spostarla e non ci riuscì: come non poteva spostare nemmeno la testa. Una grande falena-luna malese passò vicina, sotto il soffitto, incontrò il raggio infrarosso, discese volando in cerchio, si posò sulla luce. Le ombre palpitanti delle ali, enormi sul soffitto, erano visibili soltanto agli occhi di Gumb.

Tra i suoni di risucchio nella tenebra, Starling sentì la voce terribile, soffocata: «Che... effetto... fa... essere... così... bella?».

Poi un altro suono. Un gorgoglio, un rantolo, e il sibilo cessò.

Clarice conosceva anche quel suono. L'aveva udito una volta, all'ospedale, quando era morto suo padre.

Cercò a tentoni il bordo del tavolo e si alzò. Continuò a muoversi nello stesso modo, verso la voce di Catherine. Trovò la tromba delle scale e salì i gradini al buio.

Le sembrò d'impiegarci un'eternità. C'era una candela nel cassetto della cucina. Alla luce della candela trovò l'interruttore centrale accanto alla scala e trasalì quando le lampade si riaccesero. Per arrivare all'interruttore e spegnere le luci, l'uomo doveva esser uscito dalla cantina da un'altra parte, e doveva essere ridisceso dietro di lei.

Clarice Starling doveva essere sicura che fosse morto. Attese fino a quando i suoi occhi si furono riabituati alla luce prima di tornare nel laboratorio, e si mosse con molta prudenza. Vide i piedi nudi e le gambe che spuntavano da sotto il tavolo. Tenne lo sguardo fisso sulla mano accanto alla pistola fino a quando allontanò l'arma con un calcio. L'uomo aveva gli occhi aperti. Era morto, colpito alla parte destra del petto, e giaceva in una pozza di sangue denso. Aveva indossato alcuni dei capi presi dall'armoire, e Clarice non resistette a guardarlo a lungo.

Andò al lavello, posò la Magnum e si fece scorrere l'acqua fredda sui polsi, si passò la mano bagnata sulla faccia. Niente sangue. Le falene battevano contro le reti metalliche intorno alle lampadine. Ritornò accanto al

cadavere e raccattò la Python.

Si affacciò al pozzo. «Catherine, è morto. Non può più farle male. Ora salgo a chiamare...»

«NO! MI TIRI FUORI. MI TIRI FUORI. MI TIRI FUORI.»

«Stia a sentire. È morto. Ecco la sua pistola. Se la ricorda? Ora chiamerò la polizia e i vigili del fuoco. Non mi azzardo a tirarla fuori io con l'argano. Potrebbe cadere. Appena avrò telefonato, tornerò qui e aspetteremo insieme. D'accordo? Cerchi di far star zitto quel cane. D'accordo?»

Le troupes delle televisioni locali arrivarono poco dopo i vigili del fuoco e prima della polizia di Belvedere. Il capitano dei vigili del fuoco, irritato dalle luci dei riflettori, ricacciò le troupes televisive su per la scala e fuori dalla cantina mentre faceva preparare una struttura di tubi per trarre Catherine Martin fuori dal pozzo, dato che non si fidava del gancio dell'argano. Un vigile del fuoco si calò, e sistemò Catherine sul sedile. Catherine uscì stringendo a sé la cagnetta, e continuò a tenerla fra le braccia anche in ambulanza.

All'ospedale rifiutarono di far entrare la bestiola. Un vigile del fuoco che aveva ricevuto l'ordine di condurla al canile, decise di portarsela a casa.

57

All'Aeroporto Nazionale di Washington una cinquantina di persone attendevano il volo notturno in arrivo da Columbus, Ohio. Quasi tutti erano venuti a prendere qualche parente, e avevano l'aria insonnolita e irritata, con i lembi delle camicie che spuntavano sotto le giacche.

Ardelia Mapp, che era tra la folla, vide Clarice Starling mentre scendeva la scaletta. Era pallida e aveva gli occhi cerchiati di nero. Qualche granello di polvere da sparo le spiccava sulla guancia. Clarice la scorse. Si abbracciarono.

«Ehi, ragazza mia» disse Ardelia. «Hai del bagaglio da ritirare?»

Clarice scosse la testa.

«Jeff è fuori con il furgone. Andiamo a casa.»

Fuori c'era anche Jack Crawford. La sua macchina era parcheggiata dietro il furgone. Aveva avuto in casa i parenti di Bella per tutta la notte.

«Io...» disse. «Sa bene che cosa ha fatto. Un colpo grosso, figliola.» Le sfiorò la guancia. «Questo cos'è?»

«Polvere da sparo bruciata. Il dottore dice che in un paio di giorni uscirà

da sola... non c'è bisogno di toglierla.»

Crawford l'attirò vicina, la strinse forte per un momento, un momento solo, la scostò e le diede un bacio sulla fronte. «Sa bene che cosa ha fatto» ripetè. «Vada a casa. Dorma. Dorma quanto vuole. Domani parleremo.»

Il nuovo furgone per le operazioni di sorveglianza era comodo, progettato per lunghe attese. Clarice e Ardelia presero posto sulle poltrone sistemate dietro.

Jack Crawford non era a bordo e quindi Jeff corse un po' di più. Si diressero verso Quantico ad andatura sostenuta.

Clarice Starling viaggiava con gli occhi chiusi. Dopo circa tre chilometri, Ardelia le toccò il ginocchio. Aveva aperto due bottigliette di Coca-Cola. Ne porse una a Clarice e tirò fuori dalla borsetta un quarto di litro di Jack Daniel.

Ognuna delle ragazze bevve un sorso di Coca-Cola e aggiunse nella bottiglia un po' di liquore. Poi le tapparono con il pollice, le agitarono, e si schizzarono la spuma in bocca.

«Ahh» disse Clarice Starling.

«Non spargete quella roba dappertutto» disse Jeff.

«Non si preoccupi, Jeff» disse Ardelia. Poi a Clarice, a voce più bassa: «Avresti dovuto vederlo mentre mi aspettava davanti al negozio di liquori. Sembrava stesse cagando noccioli di pesca». Quando si accorse che il whisky incominciava a fare effetto e Clarice si abbandonava sulla poltrona le chiese: «Come va, Starling?».

«Ardelia, mi venga un accidente se lo so.»

«Non dovrai tornare laggiù, vero?»

«Forse un giorno della prossima settimana, ma spero di no. È venuto da Columbus il Procuratore distrettuale per parlare con la polizia di Belvedere. Ho già fatto la mia deposizione.»

«Un paio di buone notizie» disse Ardelia Mapp. «La senatrice Martin non ha fatto che chiamare da Bethesda tutta la sera... sai che hanno portato Catherine a Bethesda? Sta bene. Lui non le aveva fatto niente. Non sanno quali potranno essere le conseguenze psicologiche, dovranno tenerla sotto osservazione. Non preoccuparti per la scuola. Hanno telefonato Crawford e Brigham. L'inchiesta è stata annullata. Krendler ha chiesto la restituzione del suo promemoria. Quella gente ha il cuore di pietra, Starling. Niente favori. Domani alle otto non farai l'esame di Perquisizione e Cattura, ma dovrai farlo lunedì, e subito dopo avrai quello di PE. Studieremo come pazze durante il fine settimana.»

Finirono il quartino di liquore quando erano quasi arrivate a Quantico e buttarono il corpo del reato dentro un bidone della spazzatura in un giardino pubblico a fianco della strada.

«Quel Pilcher, il dottor Pilcher dello Smithsonian, ha telefonato tre volte. Ho dovuto promettere che te l'avrei riferito.»

«Non è dottore.»

«Pensi che potrebbe interessarti?»

«Forse. Ancora non lo so.»

«Mi sembra un tipo piuttosto divertente. Sono arrivata alla conclusione che essere divertente è la migliore qualità di un uomo... a parte i quattrini e una certa duttilità di base.»

«Sì, e anche la buona educazione. Non dimenticarlo.»

«Giusto. Anche a me piace un figlio di puttana bene educato.»

Clarice Starling andò come uno zombie dalla doccia al letto.

Ardelia Mapp tenne accesa un po' la luce, fino a quando sentì che il respiro della sua compagna si era fatto regolare. Clarice sussultava nel sonno, un tic le contraeva un muscolo della guancia. A un certo punto aprì gli occhi per un istante.

Ardelia si svegliò prima che facesse giorno, con la sensazione che la stanza fosse vuota. Accese la luce. Clarice Starling non era a letto. Mancavano tutti e due i sacchi del bucato, e così Ardelia Mapp capì dove la doveva cercare.

Trovò Clarice nel tepore della lavanderia. Sonnecchiava nel lento rump-rump di una lavatrice in funzione, nell'odore del detersivo, di un candeggiante e di un ammorbidente. Clarice aveva studiato psicologia, mentre Ardelia aveva studiato legge... tuttavia Ardelia comprese che il ritmo della lavatrice era come il grande battito del cuore materno, e che il tumulto dell'acqua era l'ultima cosa che un essere umano sente prima di nascere... il nostro ultimo ricordo di pace.

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