Mentre percorreva il manicomio in compagnia di Alonzo per raggiungere la roccaforte più interna, Clarice Starling riuscì a non ascoltare i suoni delle porte che sbattevano e le urla, sebbene li sentisse fremere nell'aria, contro la pelle. La pressione si accentuava come se stesse sprofondando nell'acqua, più giù, sempre più giù.
La vicinanza dei pazzi, il pensiero di Catherine Martin legata e sola mentre uno di loro fiutava l'aria intorno a lei e si frugava nelle tasche per trovare gli utensili, l'aiutarono a trovare la forza per fare il suo lavoro. Ma le era necessario qualcosa di più della forza di volontà. Doveva essere calma, saper tacere, essere uno strumento acutissimo. Doveva usare la pazienza nonostante il tremendo bisogno di fare in fretta. Se il dottor Lecter conosceva la soluzione del problema, a lei sarebbe spettato trovarla fra i
tentacoli dei suoi pensieri.
Clarice pensava a Catherine Baker Martin come alla bambina che aveva visto nel servizio trasmesso dal telegiornale, la bambina sulla barca a vela.
Alonzo premette il pulsante dell'ultima porta massiccia.
«Insegnaci la partecipazione e l'indifferenza, insegnaci a tacere.»
«Come ha detto?» chiese Alonzo, e Clarice si accorse di aver parlato a voce alta.
Alonzo la lasciò con l'inserviente grande e grosso che aprì la porta, e si voltò per andarsene. Clarice si accorse che si stava facendo il segno della croce.
«Bentornata» disse l'inserviente, e chiuse i catenacci dietro di lei.
«Salve, Barney.»
Barney teneva il grosso indice infilato tra le pagine di un libro tascabile per non perdere il segno. Era Senso e sensibilità di Jane Austen. Clarice era in uno stato d'animo in cui non le sfuggiva nulla.
«Come vuole le luci?» chiese Barney.
Il corridoio delle celle era semibuio. Verso il fondo si scorgeva la luce vivida dell'ultima cella che si riversava sul pavimento.
«Il dottor Lecter è sveglio.»
«Di notte è sempre sveglio... anche quando le luci sono spente.»
«Lasciamole così.»
«Cammini al centro del corridoio e non tocchi le sbarre. D'accordo?»
«Voglio che spenga il televisore.» L'apparecchio era stato spostato. Era in fondo, rivolto verso il centro del corridoio. Qualcuno dei ricoverati poteva vedere lo schermo appoggiando la testa alle sbarre.
«Sicuro. Tolga pure l'audio, ma lasci le immagini se non le dispiace. Ad alcuni di loro piace guardarle. La sedia è lì, se la vuole.»
Clarice si avviò da sola per il corridoio semibuio. Non guardò nelle celle sui due lati. I suoi passi echeggiavano. Non c'erano altri suoni, se non il russare che veniva da una cella, forse da due, e una risata sommessa.
La cella del defunto Miggs aveva un nuovo inquilino. Clarice vide le gambe allungate sul pavimento, e la sommità di una testa appoggiata alle sbarre. Lanciò un'occhiata nel passare. Sul pavimento stava seduto un uomo, in mezzo a innumerevoli frammenti di carta. La faccia aveva un'espressione vacua. La luce del televisore si rifletteva negli occhi e un filo sottile di saliva gli colava dall'angolo della bocca alla spalla.
Non voleva guardare nella cella del dottor Lecter fino a quando non fosse stata sicura che lui l'avesse vista. Passò oltre, avvertì un senso di prurito
alle spalle, si avvicinò al televisore e tolse l'audio.
Nella cella bianca, il dottor Lecter indossava il pigiama bianco del manicomio. Le uniche macchie di colore erano i suoi capelli, gli occhi e la bocca rossa, in una faccia che non conosceva il sole da moltissimo tempo e sembrava sfumare nel biancore circostante; i lineamenti parevano sospesi sopra il colletto della camicia. Era seduto al tavolo, al di là della rete di nailon che gli impediva di accostarsi alle sbarre. Disegnava su carta da macellaio e usava come modello la propria mano. Mentre Clarice lo osservava, Lecter girò la mano, fletté le dita per accentuare la tensione e disegnò l'interno dell'avambraccio. Usava il mignolo per sfumare e modificare le linee del carboncino.
Clarice si avvicinò un po' di più alle sbarre e Lecter alzò la testa. Fu come se ogni ombra della cella gli volasse negli occhi e nell'attaccatura a punta dei capelli.
«Buonasera, dottor Lecter.»
La punta della lingua apparve tra le labbra altrettanto rosse, toccò l'esatto centro del labbro superiore e rientrò.
«Clarice.»
Lei notò il leggero stridore metallico della voce e si domandò quanto tempo era trascorso dall'ultima volta che aveva parlato. Attimi di silenzio...
«È tardi per una lezione, stasera» disse Lecter.
«Questa è una scuola notturna» rispose Clarice, e si augurò che la sua voce fosse un po' più forte. «Ieri sono andata nel West Virginia...»
«Si è fatta male?»
«No, io... »
«Ha un cerotto messo da poco, Clarice.»
Clarice ricordò. «Mi sono graffiata contro il bordo della piscina, oggi mentre nuotavo.» Il cerotto era invisibile, sul polpaccio nascosto dai calzoni. Lecter doveva sentirne l'odore. «Ieri sono stata nel West Virginia. Hanno trovato un cadavere. L'ultima vittima di Buffalo Bill.»
«Non è l'ultima, Clarice.»
«La penultima.»
«Sì.»
«Era scotennata. Esattamente come lei aveva predetto.»
«Le dispiace se continuo a disegnare mentre parliamo?»
«Prego.»
«Ha visto il corpo?»
«Sì.»
«Aveva visto i risultati delle sue imprese precedenti?»
«No. Soltanto in fotografia.»
«Che cosa ha provato?»
«Apprensione. Poi ho avuto molto da fare.»
«E più tardi?»
«Ero scossa.»
«È riuscita a comportarsi in modo normale?» Il dottor Lecter strofinò il carboncino sul bordo della carta da macellaio per affinare la punta.
«Sì, benissimo. Con molta efficienza.»
«Per Jack Crawford? Fa ancora visite a domicilio?»
«Era presente.»
«Mi faccia un favore, Clarice. Tenga la testa un po' in avanti, come se stesse dormendo. Ancora un secondo. Grazie, ho visto. Si sieda, se vuole. Ha riferito a Jack Crawford quello che le avevo detto prima che trovassero la ragazza?»
«Sì. Ma per la verità non aveva preso molto sul serio la cosa.»
«E dopo aver visto il cadavere nel West Virginia?»
«Ha parlato con il suo principale consulente dell'Università di...»
«Alan Bloom.»
«Infatti. Il dottor Bloom ha detto che Buffalo Bill si adeguava a un modello creato dai giornali, il modello di Buffalo Bill scotennatore con cui si trastullavano i fogli scandalistici. Ha concluso che chiunque poteva prevedere quello che sarebbe successo.»
«E il dottor Bloom l'aveva previsto.»
«Lui ha detto di sì.»
«L'aveva previsto, però l'aveva tenuto per sé. Capisco. Cosa ne pensa, Clarice?»
«Non saprei, esattamente.»
«Ha studiato psicologia e medicina legale. E va a pesca dove le due discipline confluiscono, non è vero? Finora che cosa ha preso all'amo?»
«Finora tutto procede molto lentamente.»
«Cosa le dicono le due discipline sul conto di Buffalo Bill?»
«Secondo il testo, è un sadico.»
«La vita è troppo inafferrabile per i libri, Clarice: la collera appare come libidine, il lupus si presenta come un'orticaria.» Il dottor Lecter finì di disegnarsi la mano sinistra con la destra, poi passò il carboncino nella mano sinistra e prese a disegnarsi la destra, con la stessa abilità. «Si riferiva al testo del dottor Bloom?»
«Sì.»
«E in quel libro ha letto anche quello che mi riguarda, non è vero?»
«Sì.»
«Come mi descrive?»
«Come un sociopatico puro.»
«Lei affermerebbe che il dottor Bloom ha sempre ragione?»
«Sto ancora aspettando l'aridità affettiva.»
Il dottor Lecter sorrise scoprendo i piccoli denti candidi. «Abbiamo esperti tutto intorno a noi, Clarice. Il dottor Chilton dice che Sammie, quello là dietro di lei, è ebefrenico, schizoide e irreparabilmente perduto. Lo ha messo nella cella che era di Miggs perché pensa che Sammie abbia già dato il suo addio al mondo. Sa come muoiono di solito gli ebefrenici? Non si preoccupi, non la sentirà.»
«Sono i più difficili da curare» disse Clarice. «Di solito si chiudono in se stessi e piombano in uno stato di disintegrazione della personalità.»
Il dottor Lecter prese qualcosa tra i fogli di carta da macellaio e lo mise sul vassoio scorrevole. Clarice lo tirò a sé.
«Proprio ieri Sammie mi ha mandato questo insieme al pranzo» disse Lecter.
Era un pezzo di carta strappato con una scritta a pastello.
Clarice lesse:
VOLLIO ANNARE A GISÙ
VOLLIO ANNARE CON GRISTO
POSSO ANNARE CON GISÙ
SEFFARÒ IL BUONNO
SAMMIE
Clarice girò la testa per guardarsi alle spalle. Sammie era seduto con aria vacua contro la parete della cella e teneva la testa appoggiata alle sbarre.
«Le dispiace leggere a voce alta? Non la sentirà.»
Clarice obbedì: «Voglio andare a Gesù, voglio andare con Cristo, posso andare con Gesù se farò il buono».
«No, no, deve dare più forza, più vigore alle frasi. Una maggiore intensità. Maggior fervore. Voglio andare a Gesù, voglio andare con Cristo.»
«Capisco» disse Clarice, e rimise il foglio nel vassoio scorrevole.
«No, non ha capito niente.» Il dottor Lecter balzò in piedi. Il suo corpo agile parve diventare di colpo grottesco, acquattato in una posa da gnomo. Cominciò a saltellare e a battere le mani per darsi il tempo. La voce echeggiava come un sonar: «Voglio andare a Gesù...».
La voce di Sammie tuonò all'improvviso dietro Clarice, come il verso di un leopardo, più forte di quello di una scimmia urlatrice. Sammie si alzò e batté la faccia contro le sbarre, livido e stravolto, con i tendini che gli spiccavano sul collo.
«VOLLIO ANNARE A GISU
VOLLIO ANNARE CON GRISTO
POSSO ANNARE CON GISU SEFFARÒ IL BUONO.»
Silenzio. Clarice Starling si accorse che s'era alzata in piedi e che la sedia pieghevole era rovesciata a terra. I fogli le erano caduti dalle ginocchia.
«Prego» disse il dottor Lecter, che era di nuovo erètto ed elegante come un ballerino, mentre la invitava a sedere: poi si assestò con scioltezza sulla sedia e appoggiò il mento sulla mano. «Non ha capito niente» ripeté. «Sammy è profondamente religioso. È deluso perché Gesù tarda tanto. Posso spiegare a Clarice perché sei qui, Sammie?»
Sammie si afferrò la metà inferiore del viso e ne arrestò il movimento.
«Per favore» insistette il dottor Lecter.
«Sii!» disse Sammie, tra le dita.
«Sammie ha messo la testa di sua madre sul piatto delle offerte della chiesa battista di Trune. Stavano cantando il coro "Date al Signore ciò che avete di meglio" ed era la cosa più cara che avesse.» Lecter girò la testa. «Grazie, Sammie. Va tutto bene. Guarda la televisione.»
L'uomo si abbandonò sul pavimento con la testa contro le sbarre, esattamente come prima; le immagini del teleschermo si muovevano come vermi sulle sue pupille. Sulla faccia, adesso, c'erano tre striature argentee: saliva e lacrime.
«Dunque, vediamo se lei può dedicarsi al problema di Sammie, e forse
io mi dedicherò al suo. Quidpro quo. Tanto, non ci sta ascoltando.»
Clarice si sforzò d'impegnarsi. «I versi cambiano; passano da "andare a Gesù" a "andare con Gristo"» disse. «È una sequenza ragionata: andare a qualcuno, arrivare a qualcuno, andare con lui.»
«Sì, è una progressione lineare. Ritengo particolarmente soddisfacente il fatto che sappia che "Gisù" e "Gristo" sono la stessa persona. È un progresso. L'idea di un'unica divinità che è anche una trinità è difficile da accettare, soprattutto per Sammie che non sa neppure con esattezza quante persone è lui. Eldridge Cleaver ci insegna la parabola dell'Olio Tre-in-Uno, e questo è molto utile.»
«Sammie vede una relazione causale tra il suo comportamento e i suoi fini, e questo è pensiero strutturato» disse Clarice. «Non è insensibile... sta piangendo. Crede che sia uno schizoide catatonico?»
«Sì. Sente l'odore del suo sudore? Quel tipico odore caprino è acido trans-3-methyl-2 exenoico. Lo ricorderà: è l'odore della schizofrenia.»
«E ritiene sia curabile?»
«In modo particolare ora, mentre sta uscendo da una fase di torpore. Guardi come gli splendono le guance!»
«Dottor Lecter, perché dice che Buffalo Bill non è un sadico?»
«Perché i giornali hanno riferito che i cadaveri avevano segni di legami ai polsi, ma non alle caviglie. Ne ha visti alle caviglie della ragazza del West Virginia?»
«No.»
«Clarice, gli scuoiamenti per divertirsi vengono effettuati con la vittima a testa in giù, in modo che la pressione del sangue si mantenga più a lungo nel cervello e nel petto e il soggetto rimanga cosciente. Non lo sapeva?»
«No.»
«Quando tornerà a Washington, vada alla National Gallery e guardi Apollo scuoia Marsia di Tiziano, prima che rimandino il quadro in Cecoslovacchia. Tiziano era meraviglioso in fatto di dettagli... guardi il premuroso Pan che porta il secchio d'acqua.»
«Dottor Lecter, in questo caso abbiamo alcune circostanze straordinarie e alcune occasioni eccezionali.»
«Per chi?»
«Per lei, se possiamo salvare questa ragazza. Ha visto la senatrice Martin alla televisione?»
«Sì, ho visto il telegiornale.»
«Cosa pensa della sua dichiarazione?»
«Sbagliata ma innocua. È stata mal consigliata.»
«La senatrice Martin è molto potente. E molto decisa.»
«Sentiamo.»
«Io credo che lei, dottore, abbia un'intuizione straordinaria. La senatrice Martin ci ha fatto sapere che se ci aiuterà a ritrovare Catherine Baker Martin viva e illesa, l'aiuterà a farla trasferire in un'istituzione federale; e se ci sarà la possibilità di avere una finestra con una veduta, l'avrà. Probabilmente verrà invitato a revisionare le perizie psichiatriche scritte dei nuovi pazienti... in altre parole, avrà un lavoro. Non ci saranno allentamenti delle misure di sicurezza, però.»
«Non ci credo, Clarice.»
«Dovrebbe crederlo.»
«Oh, a lei credo. Ma ci sono molte cose che non conosce sul comportamento umano, oltre al modo giusto di scuoiare una persona. Non le sembra di essere una messaggera un po' strana per una senatrice degli Stati Uniti?»
«È stato lei a decidere, dottor Lecter. È stato lei che ne ha parlato con me. Ora preferirebbe qualcun altro? O forse crede di non essere in grado di dare un aiuto?»
«Questa è un'impudenza e una falsità, Clarice. Non penso che Jack Crawford permetterebbe mai che mi toccasse una ricompensa... Forse le dirò una cosa che potrà riferire alla senatrice; ma io agisco rigorosamente contro pagamento alla consegna. Forse farò un baratto, contro un'informazione sul suo conto. Sì o no?»
«Sentiamo la domanda.»
«Sì o no? Catherine sta aspettando, vero? Ascolta il suono della cote per affilare. Cosa pensa che le chiederebbe di fare?»
«Sentiamo la domanda.»
«Qual è il ricordo peggiore della sua infanzia?»
Clarice Starling trasse un respiro profondo.
«Più svelta» disse il dottor Lecter. «Non m'interessa la sua peggiore invenzione.»
«La morte di mio padre.»
«Me ne parli.»
«Era un poliziotto. Una notte sorprese due scassinatori tossicomani che uscivano dal retro del drugstore. In quel momento stava scendendo dal furgoncino: sbagliò nell'azionare il fucile a pompa e quelli gli spararono.»
«E come sbagliò?»
«Non azionò completamente la leva. Era un vecchio fucile a pompa, un Remington 870, e la cartuccia restò incastrata. Quando succede questo il fucile non spara, e bisogna smontarlo tutto per pulirlo. Credo che l'arma avesse urtato contro la portiera mentre scendeva.»
«Morì subito?»
«No. Era molto forte. Sopravvisse per un mese.»
«Lei andò a trovarlo in ospedale?»
«Dottor Lecter... sì.»
«Mi dica un dettaglio che ricorda dell'ospedale.»
Clarice Starling chiuse gli occhi. «Venne una vicina, una vecchia zitella, e gli recitò la parte finale di "Thanatopsis". Credo che non sapesse cos'altro dire. Ecco tutto: abbiamo fatto lo scambio.»
«Sì, è vero. È stata molto franca, Clarice. Capisco sempre se non lo è. Credo che sarebbe una cosa molto interessante conoscerla nella vita privata.»
«Quidpro quo.»
«Quand'era viva, secondo lei, la ragazza del West Virginia era molto piacente?»
«Era ben curata.»
«Non mi faccia perdere tempo con la solidarietà femminile.»
«Era massiccia.»
«Grande e grossa?»
«Sì.»
«Uccisa con un colpo d'arma da fuoco al petto.»
«Sì.»
«Aveva il petto piatto, immagino.»
«Per la sua taglia, sì.»
«Ma aveva i fianchi larghi. Abbondanti.»
«Sì, infatti.»
«Che altro?»
«Le era stato infilato un insetto nella gola... il particolare non è stato reso pubblico.»
«Era una farfalla?»
Clarice Starling si sentì mancare il fiato per un momento e si augurò di non aver sentito la domanda. «Era una falena» rispose. «Per favore, mi dica come l'aveva previsto.»
«Clarice, ora le dirò perché Buffalo Bill vuole Catherine Baker Martin e poi, buonanotte. È la mia ultima parola alle condizioni attuali. Può riferire alla senatrice ciò che Bill vuole da Catherine, e lei potrà avanzare qualche offerta più interessante per me... oppure può aspettare fino a quando il cadavere di Catherine verrà a galla e vedere che avevo ragione.»
«Perché Buffalo Bill la vuole, dottor Lecter?»
«Vuole un panciotto con le tette» rispose il dottore.
Catherine Baker Martin giaceva cinque metri al di sotto del pavimento della cantina. La tenebra risuonava del suo respiro e del battito del suo cuore. A volte la paura le calpestava il petto, nel modo in cui un cacciatore uccide una volpe. A volte riusciva a pensare: sapeva che qualcuno l'aveva sequestrata, ma non sapeva chi. Sapeva di non sognare: nella tenebra assoluta udiva i leggerissimi "clic" che facevano i suoi occhi quando batteva le palpebre.
Si sentiva un po' meglio, adesso, di quando aveva ripreso conoscenza. La vertigine terribile era scomparsa quasi del tutto, e sapeva che c'era aria a sufficienza. Sapeva distinguere il basso dall'alto e aveva in una certa misura il senso della posizione del suo corpo.
La spalla, il fianco e il ginocchio dolevano, perché premevano sul fondo di cemento. Quel lato era giù. Su era il telo ruvido sotto il quale si era rifugiata durante l'ultimo intervallo di luce abbacinante. Ora il martellare nella testa si era attenuato, e l'unico dolore vero era quello alle dita della mano sinistra. Sapeva che l'anulare era fratturato.
Indossava una tuta imbottita che non le apparteneva. Era pulita e aveva odore di ammorbidente. Anche il pavimento era pulito, a parte le ossa di pollo e i pezzi di verdure che il suo carceriere aveva buttato nel pozzo. Poi c'erano il telo e un secchio igienico di plastica con spago legato al manico. Sembrava spago da cucina, e saliva nell'oscurità, fin dove riusciva a toccarlo con le mani.
Catherine Martin era libera di muoversi, ma non c'era nessun posto dove andare. Il pavimento dov'era distesa era ovale, all'incirca due metri e mezzo per tre, con un piccolo tombino al centro. Era il fondo di un profondo pozzo coperto. Le pareti di cemento erano lisce e salivano inclinandosi leggermente verso l'interno.
C'erano suoni che giungevano dall'alto, oppure era il suo cuore? Suoni dall'alto. Venivano da un punto sopra la sua testa. La segreta dov'era prigioniera era nella parte della cantina direttamente al di sotto della cucina. Un suono di passi che attraversavano la cucina e poi lo scorrere dell'acqua. Il ticchettio delle unghie di un cane sul linoleum. Poi più nulla fino a quando apparve un disco fioco di luce gialla attraverso la botola: la lampada della cantina era stata accesa. Poi nel pozzo ci fu una luce sfolgorante; questa volta Catherine si sollevò a sedere, con il telo sulle gambe, decisa a guardarsi intorno. Cercava di sbirciare attraverso le dita mentre i suoi occhi si adattavano; la sua ombra oscillava mentre un riflettore calato nel pozzo si dondolava lassù, appeso al cordone.
Catherine sussultò quando il bugliolo si mosse, si alzò, salì trascinato dalla spago sottile, girando adagio mentre saliva verso la luce. Cercò di trangugiare la paura e aspirò troppa aria, ma riuscì a parlare.
«La mia famiglia pagherà» disse. «In contanti. Mia madre pagherà senza fare domande. Ecco il suo numero priva... oh!» Un'ombra scese svolazzando su di lei, ma era soltanto un asciugamani. «Ecco il suo numero privato. È 202...»
«Lavati.»
Era la stessa voce incorporea che aveva sentito parlare al cane.
Un altro secchio scese, attaccato a un cordone sottile. Catherine sentì l'odore di acqua calda saponata.
«Spogliati e lavati dappertutto, t'innaffio con il tubo.» Poi in un "a parte" rivolto al cane, mentre la voce si allontanava: «Sì, l'innaffierò con il tubo, tesoruccio, sicuro!».
Catherine Martin sentì il suono dei passi e delle unghie del cane sul pavimento sopra la cantina. Quando le luci si erano accese per la prima volta aveva visto doppio, ma adesso era passato. Poteva vedere. Quanto era alta la sommità del pozzo? Il riflettore era fissato a un cordone robusto? Sarebbe riuscita a raggiungerlo e a impigliarlo con la tuta, o magari con l'asciu-gamani? Doveva fare qualcosa, maledizione, ma era impossibile. Le pareti erano così lisce: un pozzo levigato.
Una crepa nel cemento, trenta centimetri al di sopra del punto più alto che poteva raggiungere con le mani era l'unico difetto che si vedesse. Arrotolò il telo strettamente e lo legò con l'asciugamani. Vi salì, barcollando, cercò di arrivare alla crepa, vi piantò le unghie per non perdere l'equilibrio e guardò la luce. Socchiuse le palpebre nel bagliore. Era un riflettore con il paralume, appeso a una trentina di centimetri dalla sommità del pozzo, circa tre metri al di sopra della sua mano protesa. Era come se fosse la luna, e l'uomo stava tornando, il telo ondeggiava. Catherine si afferrò alla crepa per non sbilanciarsi, saltò giù e qualcosa, come una scaglia, le cadde davanti al viso.
Qualcosa discese oltre il riflettore: un tubo. Uno spruzzo di acqua gelida, una minaccia.
«Lavati. Dappertutto.»
Nel secchio c'era una salvietta, e nell'acqua galleggiava una bottiglietta di plastica piena di una costosa crema emolliente per la pelle, un prodotto straniero.
Catherine obbedì, con le braccia e le cosce accapponate, i capezzoli contratti e doloranti nell'aria fredda. Si accovacciò accanto al secchio d'acqua tiepida, vicina il più possibile al muro, e si lavò.
«Asciugati e spalma la crema dappertutto. Dappertutto.» La crema aveva assorbito il tepore dell'acqua. Le faceva aderire la tuta alla pelle.
«Adesso raccogli la tua sporcizia e lava il pavimento.»
Catherine obbedì anche questa volta. Raccattò gli ossi di pollo e i piselli. Li mise nel secchio e strofinò le piccole macchie di grasso sul cemento. C'era qualcos'altro, vicino al muro. La scaglia che era caduta dalla crepa. Era un'unghia umana, coperta di smalto e spezzata dal vivo.
Il secchio venne sollevato.
«Mia madre pagherà» disse Catherine Martin. «Senza fare domande. Pagherà abbastanza per farvi diventare tutti ricchi. Se è per una causa, Iran o Palestina o Liberazione Nera, pagherà comunque. Non dovete far altro...»
Le luci si spensero. Venne un'oscurità improvvisa e totale.
Catherine trasalì ed esclamò «Uhhhh!» quando il bugliolo legato allo spago si posò accanto a lei. Sedette sul telone e rifletté convulsamente. Ormai era convinta che il suo catturatore fosse solo e che fosse un americano bianco. Aveva cercato di dargli l'impressione di non sapere cosa era e di che colore, di non sapere quanti erano, come se il ricordo di quanto era accaduto nel parcheggio fosse stato cancellato dai colpi in testa. Sperava che l'uomo fosse convinto di poterla lasciare libera senza correre dei rischi. La sua mente funzionava, funzionava... e alla fine funzionò troppo bene.
L'unghia. Qualcun altro era stato lì dentro. Una donna, una ragazza era stata lì. Dov'era, adesso? Che cosa le aveva fatto l'uomo?
Se non fosse stato per lo shock e il disorientamento, non avrebbe impiegato tanto tempo a comprendere. La chiave fu l'emolliente per la pelle. La pelle. Capì chi la teneva prigioniera. La rivelazione le piombò addosso come un'orda di tutte le cose più orrende e brucianti della terra. Urlò, urlò sotto il telone, si alzò e cercò di arrampicarsi artigliando il muro, urlò fino a quando tossì e sentì qualcosa di caldo e salato nella bocca e sulle dita con cui si copriva la faccia, qualcosa di viscoso che si asciugava sul dorso delle mani. Rimase irrigidita sul telo, inarcandosi sul pavimento dalla testa ai calcagni, con le mani affondate nei capelli.