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Il dottor Frederick Chilton, cinquantotto anni, amministratore del Manicomio Criminale statale di Baltimora, ha una scrivania ampia e lunga sulla quale non ci sono oggetti contundenti o appuntiti. Alcuni dipendenti lo chiamano "il fossato". Altri dipendenti non conoscono neppure la funzione dei fossati negli antichi castelli. Il dottor Chilton restò seduto dietro la scrivania quando Clarice Starling entrò nell'ufficio.

«Qui sono venuti molti investigatori, ma non ne ricordo uno tanto carino» disse Chilton senza alzarsi.

Clarice Starling sapeva, senza bisogno di pensarci, che il lustro sulla mano protesa era dovuto alla lanolina, e che si era unto accarezzandosi i capelli. Interruppe la stretta di mano prima di Chilton.

«Lei è la signorina Sterling, no?»

«Starling, dottore, con la a. Grazie per avermi ricevuta.»

«Dunque l'FBI adesso va a donne come tutto il resto del mondo, ah, ah.» Chilton aggiunse il sorriso macchiato di tabacco che usava per separare le frasi.

«Il Bureau sta migliorando, dottor Chilton. Senza il minimo dubbio.»

«Si fermerà a Baltimora per diversi giorni? Sa, se conosce la città, qui ci si può divertire come a Washington o a New York.»

Clarice Starling distolse gli occhi per non vedere il sorriso e comprese immediatamente che Chilton s'era accorto del suo disgusto. «Sono certa che sia una città splendida, ma ho ricevuto istruzioni di vedere il dottor Lecter e di rientrare per fare rapporto questo pomeriggio»

«C'è qualche posto a Washington dove potrei chiamarla in seguito, per riparlarne?»

«Certamente. È molto gentile ad averci pensato. L'agente speciale Jack Crawford è responsabile di questo progetto, e potrà sempre contattarmi per suo tramite.»

«Capisco» disse Chilton. Le guance chiazzate di rosso contrastavano con l'improbabile bruno rossiccio dei capelli. «Mi dia i documenti, per favore.» La lasciò in piedi mentre esaminava con calma la carta d'identità. Poi la restituì e si alzò. «Non ci vorrà molto tempo. Venga.»

«Mi risulta che lei debba darmi istruzioni, dottor Chilton» disse Clarice.

«Posso farlo mentre camminiamo.» Chilton girò intorno alla scrivania e guardò l'orologio. «Ho un pranzo tra mezz'ora.»

Accidenti, avrebbe dovuto comprenderlo meglio e più in fretta. Poteva darsi che non fosse un perfetto idiota. Forse sapeva qualcosa di utile. Non sarebbe stato male flirtare un po', anche se non era brava a farlo.

«Dottor Chilton, in questo momento ho un appuntamento con lei. È stato fissato a suo comodo, quando poteva dedicarmi un po' di tempo. Potrebbero saltar fuori diverse cose, durante il colloquio... forse avrò bisogno di esaminare con lei qualcuna delle reazioni del dottor Lecter.»

«Ne dubito molto. Oh, devo fare una telefonata, prima che andiamo. La raggiungerò in anticamera.»

«Vorrei lasciare qui il cappotto e l'ombrello.»

«Lì fuori» disse Chilton. «Li dia ad Alan in anticamera. Penserà lui a metterli via.»

Alan portava l'uniforme simile a un pigiama che era d'ordinanza per i reclusi. Stava pulendo i portacenere con il lembo della camicia.

Rigirò la lingua all'interno della guancia mentre prendeva il cappotto di Clarice.

«Grazie» disse lei.

«Prego, prego. Caghi spesso?» chiese Alan.

«Come?»

«Lo stronzo esce fuori luuuungo luuuungo?»

«Il cappotto e l'ombrello posso appenderli io.»

«Non hai niente che blocchi la vista... puoi chinarti e vederlo uscire e cambiare colore quando entra a contatto con l'aria... lo fai? Non ti sembra di avere una grande coda marrone?» Alan non mollò il cappotto.

«Il dottor Chilton ti vuole subito nel suo ufficio» disse Clarice.

«No, non è vero» disse il dottor Chilton. «Metti il cappotto nel guardaroba, Alan, e non tirarlo fuori durante la nostra assenza. Ricordalo. Avevo un'impiegata a tempo pieno, ma hanno tagliato le spese e me l'hanno portata via. Adesso la ragazza che l'ha fatta entrare batte a macchina per tre ore al giorno. E poi ho Alan. Dove sono finite tutte le impiegate, signorina Starling?» Gli occhiali parvero lampeggiare. «È armata?»

«No, non sono armata.»

«Posso guardare nella borsetta e nella cartella?»

«Ha visto le mie credenziali.»

«E le credenziali dicono che è un'allieva. Mi faccia dare un'occhiata, prego.»

Clarice Starling trasalì quando il primo dei pesanti cancelli d'acciaio si chiuse con un tonfo alle sue spalle e la serratura scattò. Chilton la precedeva di qualche passo lungo il corridoio verde, in un'atmosfera di lisoformio e di rumori lontani di porte sbattute. Clarice era irritata con se stessa perché aveva lasciato che Chilton mettesse le mani nella borsetta e nella cartella, e si sforzava di reprimere la collera per potersi concentrare. Sentiva la solidità del proprio autocontrollo, come un fondale di ghiaia in una corrente rapida.

«Lecter è una seccatura considerevole» disse Chilton girando leggermente la testa. «Un inserviente impiega almeno dieci minuti al giorno per togliere i punti metallici dalle pubblicazioni che riceve. Abbiamo cercato di eliminare o almeno di ridurre i suoi abbonamenti, ma ha presentato un reclamo e il tribunale gli ha dato ragione. Una volta riceveva una montagna di lettere. Per fortuna la posta è diminuita da quando è stato messo nell'ombra da altri mostri che si sono accaparrati l'interesse della stampa. Per qualche tempo sembrava che tutti gli studenti impegnati a preparare una tesi in psicologia volessero includere un parere di Lecter. Le riviste mediche lo pubblicano ancora, ma lo fanno per il valore scandalistico della firma.»

«Ha pubblicato un buon pezzo sull'assuefazione alla chinirgia nel "Journal of Clinical Psychiatry"» disse Clarice. «Almeno mi è sembrato.»

«Ah, sì? Noi abbiamo tentato di studiare Lecter. Pensavamo che fosse l'occasione buona per effettuare uno studio da far epoca... Capita così raramente di averne uno vivo.»

«Uno di che cosa?»

«Un sociopatico puro: e lui ovviamente lo è. Ma è impenetrabile, troppo sofisticato per i test abituali. E poi, santo cielo, ci odia. Pensa che io sia la sua nemesi. Crawford è molto abile... no?... a servirsi di lei con Lecter.»

«Cosa vorrebbe dire, dottor Chilton?»

«Una giovane donna per "accenderlo"... penso si dica così. Non credo che Lecter abbia più visto una donna da diversi anni... forse ha intravisto una delle addette alle pulizie. In genere, teniamo le donne fuori di qui.

Causano disordine.»

Oh, Chilton, vai al diavolo. «Mi sono laureata con lode all'Università della Virginia, dottore. Non è una scuola per indossatrici.»

«Allora dovrebbe ricordare le regole. Non infili le mani attraverso le sbarre, anzi non tocchi le sbarre. Non gli passi altro che carta morbida. Niente penne né matite. Lui ha i suoi pennarelli, anche se non sempre. Nella carta che gli passa non debbono esserci spilli, punti metallici o fermagli. Gli oggetti gli vengono passati esclusivamente attraverso il portavivande scorrevole, ed escono esclusivamente nello stesso modo. Non sono ammesse eccezioni. Se lui le tende qualcosa attraverso la barriera, non l'accetti. Ha capito?»

«Ho capito.»

Avevano varcato altri due cancelli e s'erano lasciati indietro la luce naturale. Ormai avevano superato i reparti dove i ricoverati potevano stare insieme, e si stavano avventurando nel settore dove non possono esserci finestre e dove i ricoverati non stanno insieme. Le lampade del corridoio erano protette da grate pesanti, come quelle nelle sale macchine delle navi. Il dottor Chilton si fermò sotto una di queste. Quando il suono dei loro passi cessò, Clarice Starling sentì, al di là del muro, lo smorzarsi spezzato di una voce rovinata dal troppo urlare.

«Lecter non esce mai dalla cella senza la camicia di forza e un bavaglio» disse Chilton. «Le spiegherò il perché. Durante il primo anno era stato un modello di cooperazione. Le misure di sicurezza vennero un po' allentate... Questo succedeva durante la precedente amministrazione, capisce? Il pomeriggio dell'8 luglio 1976 si lamentò di un dolore al petto e fu portato nel dispensario. Gli tolsero la camicia di forza per fargli l'elettrocardiogramma. Quando l'infermiera si chinò su di lui, la ridusse così.» Chilton porse a Clarice una fotografia sciupata. «I dottori riuscirono a salvarle un occhio. Lecter rimase collegato ai monitor durante l'intero episodio. Le spezzò la mascella per strapparle la lingua, e il suo polso non salì mai oltre ottanta-cinque, neppure quando la inghiottì.»

Clarice Starling non sapeva che cosa fosse peggio... la fotografia oppure l'attenzione di Chilton che la scrutava in viso con occhi avidi. Le dava l'impressione di un pulcino assetato che le beccasse le lacrime dalla faccia.

«Lo tengo qui» disse Chilton, e premette un pulsante accanto a una doppia porta di vetro infrangibile. Un inserviente grande e grosso li fece entrare.

Clarice prese la difficile decisione e varcò la soglia. «Dottor Chilton, abbiamo bisogno dei risultati dei test. Se Lecter la considera un nemico... se è fissato su di lei, come ha detto, potremo avere più fortuna qualora l'affrontassi da sola. Cosa ne pensa?»

Un tic fece fremere la guancia di Chilton. «Per me va bene. Avrebbe potuto suggerirlo nel mio ufficio. Avrei mandato con lei un inserviente e avrei risparmiato tempo.»

«Probabilmente l'avrei suggerito se mi avesse fornito subito le istruzioni.»

«Non credo che la rivedrò più, signorina Starling... Barney, quando avrà finito con Lecter, suona e chiama qualcuno che l'accompagni fuori.»

Chilton se ne andò senza degnarla di un'altra occhiata.

Adesso erano rimasti soltanto l'inserviente grande e grosso e impassibile, l'orologio silenzioso dietro di lui e l'armadietto con le ante a rete dove stavano il Mace e la camicia di forza, il bavaglio e la pistola che sparava tranquillanti. Su un supporto a muro c'era un lungo tubo di cui un'estremità terminava a U per bloccare il detenuto in caso di violenza.

L'inserviente la guardò. «Il dottor Chilton le ha detto di non toccare le sbarre?» La voce era alta e roca. Clarice pensò che le ricordava Aldo Ray.

«Sì, me l'ha detto.»

«Bene. È dopo tutti gli altri, l'ultima cella a destra. Quando passa si tenga al centro del corridoio e non dia ascolto a nessuno. Può portargli la posta, così partirà con il piede giusto.» L'inserviente sembrava divertito. «Basta che la metta sul vassoio e spinga. Se il vassoio è all'interno, può tirarlo con il cordone, oppure lo manderà Lecter. Non può arrivare fino a lei nel punto dove il vassoio si ferma all'esterno.» Le diede due riviste con le pagine sciolte, tre giornali e diverse lettere già aperte.

Il corridoio era lungo una trentina di metri, con le celle sui due lati. Alcune erano celle imbottite con uno spioncino al centro della porta, lunghe e strette come feritoie. Altre erano comuni celle di prigione, con una parete di sbarre che si apriva sul corridoio. Clarice Starling vedeva le figure nelle celle, ma cercava di non guardarle. Era arrivata a metà del percorso quando una voce sibilò: «Sento l'odore della tua fica». Lei non diede segno di aver sentito e proseguì.

Nell'ultima cella le luci erano accese. Clarice si portò verso il lato sinistro del corridoio per vedere nell'interno mentre si avvicinava. Sapeva che il suono dei tacchi aveva annunciato la sua visita.

La cella del dottor Lecter è al di là delle altre: di fronte c'è soltanto uno sgabuzzino. Ed è unica sotto altri aspetti. C'è una parete di sbarre: ma all'interno di quella, a una distanza maggiore della lunghezza di un braccio umano, ce n'è una seconda, una solida rete di nailon che va dal pavimento al soffitto e da muro a muro. Al di là della rete, Clarice scorse un tavolo imbullonato al pavimento, carico di libri in brossura e di fogli, e una sedia, imbullonata anche quella.

Il dottor Hannibal Lecter era sdraiato sulla branda e sfogliava l'edizione italiana di "Vogue". Teneva le pagine sciolte nella destra e se le posava accanto, una a una, con la sinistra. La mano sinistra del dottor Lecter aveva sei dita.

Clarice si fermò poco più in là delle sbarre, più o meno alla distanza di un piccolo vestibolo.

«Dottor Lecter.» Le sembrava che la sua voce fosse abbastanza naturale.

Lui alzò gli occhi dalla rivista.

Per un secondo vertiginoso Clarice ebbe la sensazione che quello sguardo emettesse un ronzio. In realtà sentiva soltanto il rombo del proprio sangue.

«Mi chiamo Clarice Starling. Posso parlare con lei?» La cortesia era implicita nella distanza e nel tono.

Il dottor Lecter rifletté, premendosi l'indice contro le labbra contratte. Poi si alzò senza tretta e avanzò nella sua gabbia. Si fermò vicino alla rete di nailon senza guardarla, come se avesse scelto lui la distanza.

Clarice vide che era piccolo e agile; le braccia e le mani erano forti e nervose.

«Buongiorno» disse il dottor Lecter, come se fosse andato ad aprire la porta a una sconosciuta. La voce educata aveva una leggera sfumatura metallica e graffiante, forse dovuta al fatto che parlava poco.

Gli occhi del dottor Lecter erano marroni, e riflettevano la luce trasformandola in puntini rossi. A volte i punti luminosi sembravano volare come scintille. Quegli occhi scrutavano Clarice Starling.

Lei si avvicinò un poco di più alle sbarre, misurando con attenzione la distanza. I peli sulle braccia le si rizzarono contro l'interno delle maniche.

«Dottore, noi abbiamo un grave problema con un profilo psicologico. Voglio chiedere il suo aiuto.»

«Per "noi" intende Scienza del Comportamento a Quantico. Lavora per Jack Crawford, immagino.»

«Sì.»

«Posso vedere le sue credenziali?»

Questo non se l'era aspettato. «Le ho già mostrate in... in ufficio.»

«Vuol dire che le ha mostrate a Frederick Chilton, libero docente?»

«Sì.»

«E lei ha visto le sue credenziali?»

«No.»

«Quelle accademiche non costituiscono una lettura molto estesa, posso assicurarle. Ha conosciuto Alan? Non è simpatico? Con quale dei due preferirebbe parlare?»

«Tutto sommato, direi Alan.»

«Potrebbe essere una giornalista che Chilton ha fatto entrare dietro pagamento. Credo di avere il diritto di vedere le sue credenziali.»

«D'accordo.» Clarice mostrò il tesserino di plastica.

«Non posso leggerlo a questa distanza. Me lo passi, per favore.»

«Non posso.»

«Perché è duro.»

«Sì.»

«Lo chieda a Barney.»

L'inserviente venne e considerò il problema. «Dottor Lecter, lascerò passare il tesserino. Ma se non lo restituisce quando glielo chiedo, se dovremo disturbare qualcuno per riprenderlo, allora mi arrabbierò. Se mi arrabbierò, dovrà tenere la camicia di forza finché non mi sarò calmato. Pasti con la sonda, pannolini cambiati due volte al giorno... tutto quanto. E non le darò la posta per una settimana. Ha capito bene?»

«Certamente, Barney.»

Il tesserino passò sul vassoio e il dottor Lecter l'accostò alla luce.

«Un'allieva? Qui c'è scritto allieva. Jack Crawford ha mandato un'allieva per interrogarmi?» Si batté il tesserino contro i denti piccoli e candidi e ne aspirò l'odore.

«Dottor Lecter» disse Barney.

«Certo.» Il dottor Lecter rimise il tesserino sul vassoio e Barney lo ritirò.

«Sono ancora allieva all'Accademia, infatti» disse Clarice. «Ma non stiamo parlando dell'FBI... stiamo parlando di psicologia. È in grado di decidere da solo se sono abbastanza qualificata negli argomenti di cui parleremo?»

«Uhmmmm» disse il dottor Lecter. «Per la verità... è piuttosto subdolo da parte sua. Barney, non credi che l'agente Starling dovrebbe avere una

sedia per sedersi?»

«Il dottor Chilton non mi ha parlato di una sedia.»

«Cosa ti suggerisce l'educazione, Barney?»

«Vuole una sedia?» chiese Barney a Clarice. «Avremmo potuto portarne una, ma lui non ha mai... ecco, di solito nessuno si trattiene abbastanza a lungo.»

«Sì, grazie» disse Clarice.

Barney prese una sedia pieghevole nello sgabuzzino di fronte alla cella, la sistemò e li lasciò soli.

«Dunque» disse Lecter, sedendo di sbieco sul tavolo per guardarla «che cosa le ha detto Miggs?»

«Chi?»

«Miggs-dalle-molteplici-personalità, nella cella là in fondo. Le ha sibilato qualcosa. Che le ha detto?»

«Ha detto: "Sento l'odore della tua fica".»

«Capisco. Io non lo sento. Lei usa la crema per la pelle Evian, e a volte si mette L'Air du Temps, ma non oggi. Oggi non si è profumata di proposito. Che impressione le ha fatto quello che le ha detto Miggs?»

«È ostile per ragioni che non potevo conoscere. È un peccato. È ostile agli altri, e gli altri sono ostili a lui. È un circolo vizioso.»

«Lei gli è ostile?»

«Mi dispiace perché è squilibrato. A parte questo, è soltanto un rumore di fondo. Come ha fatto a riconoscere il profumo?»

«Ne è uscito un soffio dalla borsetta quando ha preso il tesserino. È una borsa molto graziosa.»

«Grazie.»

«Ha portato la più bella che ha, non è così?»

«Sì.» Era vero. Clarice aveva risparmiato per comprarsi quella borsetta classica, ed era la cosa più bella che avesse.

«È molto meglio delle scarpe.»

«Forse anche quelle miglioreranno.»

«Non ne dubito.»

«È stato lei a fare quei disegni sulle pareti, dottore?»

«Pensa che abbia fatto venire un arredatore?»

«Quella sopra il lavabo è una città europea?»

«È Firenze. Ci sono il Palazzo della Signoria e il duomo, visti dal Belvedere.»

«Ha riprodotto tutti i dettagli a memoria?»

«Io ho la memoria al posto del panorama, agente Starling.»

«L'altro è una crocifissione? La croce centrale è vuota.»

«È il Golgota dopo la deposizione. Pastelli e Magic Marker su carta da macellaio. È quello che ebbe in effetti il ladrone cui era stato promesso il Paradiso, quando portarono via l'agnello pasquale.»

«E cioè?»

«Le gambe spezzate, naturalmente, come il suo compagno che si era burlato di Cristo. Non ha mai letto il vangelo di san Giovanni? Allora guardi Duccio... dipingeva crocifissioni molto meticolose. Come sta Will Graham? Che aspetto ha?»

«Non conosco Will Graham.»

«Ma sa chi è. Il protetto di Jack Crawford. Quello prima di lei. Com'è la sua faccia?»

«Non l'ho mai visto.»

«Questo si chiama "qualche vecchio tocco", agente Starling. Non le dispiace, vero?»

Qualche attimo di silenzio, poi Clarice si lanciò.

«Potremmo fare molto meglio. Potremmo introdurre qualche tocco nuovo. Ho portato...»

«No, no. È stupido e sbagliato. Non faccia mai la spiritosa nel rispondere a una spiritosaggine. Mi ascolti: capire una battuta e rispondere fa sì che il suo soggetto effettui un rapido esame distaccato, che è nemico dell'atmosfera. E noi procediamo in base a questo. Stava andando molto bene; era cortese e reagiva alla cortesia, aveva creato un clima di fiducia dicendo quella verità imbarazzante sul conto di Miggs; e poi ha rovinato tutto con una risposta scipita a una spiritosaggine. Così non va.»

«Dottor Lecter, lei è uno psichiatra clinico molto esperto. Mi crede tanto stupida da tentare qualcosa del genere? Mi faccia credito di un po' d'intelligenza. Le chiedo di rispondere al questionario, e può farlo oppure non farlo. Ci sarebbe qualcosa di male se gli desse un'occhiata?»

«Agente Starling, ha letto di recente qualcuno dei testi che escono da Scienza del Comportamento?»

«Sì.»

«Anch'io. L'FBI rifiuta stupidamente di mandarmi il "Law Enforcement Bulletin", ma lo ricevo per altre vie, e il "News" da John Jay, e le riviste psichiatriche. Dividono in due gruppi coloro che commettono omicidi in serie: organizzati e disorganizzati. Lei che cosa ne pensa?»

«È... fondamentale. Evidentemente...»

«La parola giusta è semplicistico. In effetti, in gran parte la psicologia è puerile, agente Starling, e quella praticata a Scienza del Comportamento è allo stesso livello della frenologia. Già in partenza, la psicologia non può contare su un buon materiale. Vada nella facoltà di psicologia di qualunque college e dia un'occhiata a studenti e insegnanti: radioamatori é altri eccentrici, affetti da carenza della personalità. Non sono certo le menti migliori del campo. Organizzati e disorganizzati... una pensata molto mediocre.»

«Lei come cambierebbe la classificazione?»

«Non la cambierei.»

«A proposito di pubblicazioni, ho letto i suoi pezzi sull'assuefazione alla chirurgia e sulle espressioni della metà destra e della metà sinistra del viso.»

«Sì, erano di prim'ordine» disse il dottor Lecter.

«L'ho pensato anch'io, e anche Jack Crawford. È stato lui a segnalarmeli. Anche per questa ragione è ansioso di...»

«Crawford lo Stoico è ansioso? Deve avere molto da fare, se recluta i collaboratori tra gli allievi.».

«È vero. E vuole...»

«È occupato con Buffalo Bill.»

«Immagino di sì.»

«No, lei non lo immagina, agente Starling. Lei sa molto bene che si tratta di Buffalo Bill. Ho pensato subito che Jack Crawford l'ha mandata a chiedermi questo.»

«No.»

«Allora non fa niente per evitare questa impressione.»

«No, sono venuta perché abbiamo bisogno del suo...»

«Che cosa sa di Buffalo Bill?»

«Nessuno ne sa molto.»

«È stato pubblicato tutto sui giornali?»

«Credo. Dottor Lecter, io non ho visto nessun materiale riservato sul caso, il mio compito è... »

«Quante donne ha fatto fuori Buffalo Bill?»

«La polizia ne ha trovate cinque.»

«Tutte scuoiate?»

«Parzialmente, si.»

«I giornali non hanno mai spiegato il suo soprannome. Lei sa perché lo chiamano Buffalo Bill?»

«Sì.»

«Me lo dica.»

«Glielo dirò se darà un'occhiata al questionario.»

«Gli darò un'occhiata, e basta. Ora mi dica il perché.»

«È cominciato con una battuta di cattivo gusto alla squadra omicidi di Kansas City.»

«Sì...?»

«Lo chiamano Buffalo Bill perché scuoia le prede.»

Clarice Starling si era accorta che non si sentiva più spaventata, ma si sentiva volgare. Tra le due cose, preferiva lo spavento.

«Mi passi il questionario.»

Clarice passò la sezione azzurra per mezzo del vassoio e rimase in silenzio mentre Lecter la sfogliava.

Il dottor Lecter la lasciò cadere nuovamente nel vassoio. «Bene, agente Starling, crede davvero di potermi sezionare con un piccolo strumento spuntato?»

«No. Credo che lei possa fornire indicazioni utili e far progredire questo studio.»

«E quale ragione dovrei avere?»

«La curiosità.»

«Per che cosa?»

«Per la ragione per cui è qui. Per ciò che le è successo.»

«A me non è successo niente, agente Starling. Io esisto e basta. Non può ridurmi a una serie di influenze. Lei ha rinunciato al bene e al male per la scienza del comportamento, agente Starling. Ha messo i pannolini a tutti quanti... niente è mai colpa di qualcuno. Mi guardi. Se la sente di dire che sono malvagio? Sono malvagio, agente Starling?»

«Credo che lei si sia comportato in modo distruttivo. Per me è la stessa cosa.»

«Il male è soltanto distruttivo? Allora i temporali sono malvagi, se è tanto semplice. E poi abbiamo gli incendi, e la grandine. Nelle polizze d'assicurazione, tutti questi eventi sono accomunati sotto la dicitura "Atti di Dio".»

«Se è voluto... »

«Per passare il tempo faccio collezione di crolli di chiese. Ha visto quel

lo accaduto di recente in Sicilia? Meraviglioso! La facciata è crollata addosso a sessantacinque nonne che assistevano a una messa speciale. È stato un atto malvagio? Se è così, chi lo ha commesso? Se c'è un Dio, si diverte, agente Starling. Febbre tifoide e cigni... provengono tutti dalla stessa fonte.»

«Non sono in grado di spiegarglielo, dottore, ma conosco chi può farlo.»

Lecter la interruppe alzando la mano. Era una mano ben fatta, pensò Clarice, e il dito medio era duplicato perfettamente. Era la forma più rara di polidattilia.

Quando Lecter riprese a parlare, il suo tono era sommesso e gentile. «A lei piacerebbe quantificarmi, agente Starling. È così ambiziosa, vero? Sa che cosa mi sembra, con la borsetta bella e le scarpe scadenti? Mi sembra una campagnola. Una campagnola benintenzionata e ben ripulita e con un pochino di buon gusto. I suoi occhi sono come pietre zodiacali da quattro soldi... la superficie brilla quando dà la caccia a una rispostina. E dietro quegli occhi è intelligente, vero? Le dispiace di non essere come sua madre. Una buona alimentazione le ha permesso di diventare piuttosto alta, ma una generazione fa i suoi lavoravano nelle miniere, agente Starling. Sono gli Starling del West Virginia o gli Starling dell'Oklahoma, agente? C'era l'incertezza tra il college e le possibilità di una carriera nel Women's Army Corps, vero? Lasci che le dica qualcosa di preciso sul suo conto, allieva Starling. Nella sua stanza ha una sfilza di perline d'oro, di quelle che si aggiungono via via, e prova un senso di fastidio ogni volta che le guarda e vede quanto sono volgari, non è così? Tutti quei ringraziamenti noiosi, tutto quanto, ogni volta per ogni perlina. Noioso. Noioso. Seccante. Essere intelligenti rovina molte cose, no? E il buon gusto non è gentile. Quando penserà a questo colloquio, ricorderà l'animale stupido, la sua faccia ferita quando si è sbarazzata di lui.

«Se la collana di perline è diventata banale, cos'altro lo diventerà con il passare del tempo? Se lo domanda la notte, no?» chiese il dottor Lecter con il tono più gentile.

Clarice alzò la testa per fronteggiarlo. «Lei vede molte cose, dottor Lecter. Non starò a smentire tutto quello che ha detto. Ma ecco la domanda alla quale sta rispondendo adesso, lo voglia o no: È abbastanza forte per rivolgere verso se stesso la sua acutissima percezione? È difficile. Me ne sono accorta negli ultimi minuti. Cosa ne dice? Guardi dentro di sé e scriva la verità. Come potrebbe trovare un soggetto più adatto e più complicato?

O forse ha paura di se stesso?»

«È un tipo duro, vero, agente Starling?»

«Abbastanza duro, sì.»

«E non sopporterebbe di dover pensare che è comune. Le brucerebbe, no? Ah! Bene, è tutt'altro che comune. Ha soltanto paura di esserlo. Di che misura sono le sue perline? Sette millimetri?»

«Sette millimetri.»

«Mi permetta di darle un suggerimento. Si procuri qualche sferetta perforata di occhio-di-tigre e l'infili alternandola alle perline d'oro. Può metterne due-e-tre oppure una-e-due, secondo quel che le sembra meglio. Gli occhi-di-tigre metteranno in risalto il colore dei suoi occhi e i riflessi dei capelli. Qualcuno le ha mai mandato un biglietto per san Valentino?»

«Sì.»

«Siamo già in quaresima. Manca una settimana appena al giorno di san Valentino... uhmm... ne aspetta qualcuno?»

«Non si può mai sapere.»

«Già, non si può mai sapere... Ho pensato al giorno di san Valentino. Mi ricorda qualcosa di divertente. Ora che ci penso, potrei farla felice il giorno di san Valentino, Clarice Starling.»

«Come, dottor Lecter?»

«Mandandole un meraviglioso biglietto. Dovrò pensarci. Ora la prego di scusarmi. Addio, agente Starling.»

«E lo studio?»

«Una volta un addetto al censimento cercò di quantificarmi. Gli mangiai il fegato con contorno di fave e una bottiglia di Amarone. Torni a scuola, piccola Starling.»

Educato fino all'ultimo, Hannibal Lecter non le voltò la schiena. Si allontanò a ritroso dalla barriera prima di girarsi di nuovo verso la branda; si sdraiò e divenne remoto come un crociato di pietra giacente su una tomba.

Clarice si sentì all'improvviso svuotata, come se avesse donato sangue per una trasfusione. Impiegò più tempo del necessario per rimettere i fogli nella cartella perché non era certa che le gambe la sostenessero. Era dominata da un senso di fallimento che detestava. Ripiegò la sedia e l'appoggiò alla porta dello sgabuzzino. Avrebbe dovuto passare di nuovo davanti a Miggs. Barney, laggiù in fondo, leggeva. Avrebbe potuto chiamarlo perché venisse a prenderla. Accidenti a Miggs. Non era peggio di quello che le poteva capitare quando passava accanto ai muratori o ai fattorini delle consegne in città, ogni giorno. Si avviò nel corridoio.

Vicinissima, la voce di Miggs sibilò: «Mi sono morsicato il polso per poter moooriiiire... vedi come sanguina?».

Clarice avrebbe dovuto chiamare Barney ma, colta alla sprovvista, guardò nella cella, vide Miggs scuotere le dita e sentì lo spruzzo caldo sulla

guancia e sulla spalla prima di avere il tempo di girarsi dall'altra parte.

Si allontanò, e si accorse che era sperma, non sangue. Lecter la stava chiamando, lo sentiva. La voce del dottor Lecter risuonava dietro di lei, e il tono metallico e graffiante era un po' più accentuato.

«Agente Starling.»

Si era alzato in piedi e la chiamava mentre lei proseguiva. Clarice frugò nella borsetta per prendere dei fazzolettini di carta.

Dietro di lei... «Agente Starling.»

Ormai era sui binari gelidi dell'autocontrollo e continuava ad avvicinarsi al cancello.

«Agente Starling.» C'era una nota nuova nella voce di Lecter.

Clarice si fermò. In nome di Dio, che cos'è che desidero tanto? Miggs sibilò qualcosa che lei non ascoltò.

Si fermò di nuovo davanti alla cella di Lecter e vide uno spettacolo raro: il dottore era agitato. Sapeva che poteva sentirle quell'odore addosso. Sentiva qualunque odore.

«Non avrei voluto che le succedesse una cosa simile. La scortesia mi sembra indicibilmente disgustosa.»

Si sarebbe detto che commettere omicidi lo avesse purificato dalle sgarberie meno importanti. O forse, pensò Clarice, lo eccitava vederla marchiata in quel modo. Non avrebbe saputo dirlo con esattezza. Le scintille negli occhi di Lecter volavano nella sua tenebra come lucciole in una grotta.

Qualunque cosa sia, approfittane! Clarice alzò la cartella. «La prego, lo faccia per me.»

Forse si era decisa troppo tardi. Lui era di nuovo calmo.

«No. Ma farò in modo che sia contenta di essere venuta. Le darò qualcosa d'altro. Le darò ciò che desidera di più, Clarice Starling.»

«E cioè, dottor Lecter?»

«L'avanzamento, è naturale. Perfetto... ne sono lieto. Me l'ha fatto venire in mente il giorno di san Valentino.» Il sorriso che mostrava i denti minuti e candidi poteva essere ispirato da qualunque ragione. Parlò a voce così bassa che lei lo udì appena. «Cerchi i suoi biglietti di san Valentino nella macchina di Raspail. Mi ha sentito? Li cerchi nella macchina di Raspail. E adesso è meglio che vada. Non credo che Miggs possa rifarlo tanto presto anche se è pazzo, le pare?»

Clarice Starling era emozionata, esausta, e stava in piedi con uno sforzo di volontà. Alcune delle cose che Lecter aveva detto su di lei erano vere, altre sfioravano la verità. Per qualche secondo le parve che una coscienza estranea si scatenasse nella sua mente e buttasse giù tutte le cose dagli scaffali, come un orso in una roulotte.

Era furiosa per ciò che le aveva detto di sua madre; e doveva liberarsi della collera. Si trattava di lavoro.

Sedette a bordo della sua vecchia Pinto, di fronte all'ospedale, e trasse un respiro profondo. Quando i finestrini si appannavano, era un po' riparata dagli sguardi di coloro che passavano sul marciapiede.

Raspail. Ricordava quel nome. Era stato un paziente di Lecter e una delle sue vittime. Aveva avuto a disposizione soltanto una serata per esaminare il materiale relativo a Lecter. Il dossier era molto voluminoso e Raspail era stato una delle tante vittime. Doveva leggere i dettagli.

Clarice avrebbe voluto precipitarsi; ma si rendeva conto che la fretta era lei a crearla. Il caso Raspail era stato chiuso anni prima. Nessuno era in pericolo. Aveva tempo. Doveva cercare informazioni e consigli prima di procedere.

Crawford avrebbe potuto toglierle il caso e affidarlo a qualcun altro. Era un rischio che doveva correre.

Cercò di chiamarlo da una cabina telefonica, ma seppe che era andato a mendicare fondi per il Dipartimento della Giustizia davanti alla Sottocommissione della Camera per gli Stanziamenti.

Avrebbe potuto chiedere i dettagli sul caso alla divisione omicidi della polizia di Baltimora: ma l'omicidio non è un reato federale, e sapeva senza il minimo dubbio che si sarebbero rifiutati di collaborare.

Tornò a Quantico, a Scienza del Comportamento, con le modeste tende a quadretti marrone e i fascicoli grigi pieni di incubi. Ci rimase fino a sera inoltrata, dopo che fu uscita anche l'ultima segretaria, a esaminare i microfilm sul caso Lecter. Il vecchio visore bizzoso splendeva come un fuoco fatuo nella stanza buia, e le parole e i negativi delle foto le scorrevano davanti al volto contratto.

Raspail, Benjamin René, maschio bianco di 46 anni, era primo flautista dell'Orchestra Filarmonica di Baltimora. Era un paziente dello psichiatra dottor Hannibal Lecter.

Il 22 marzo 1975 non si era presentato per un concerto a Baltimora. Il 25 marzo il suo cadavere fu scoperto seduto in un banco di una chiesetta di campagna presso Falls Church, in Virginia. Aveva addosso soltanto il cra-vattino bianco e la marsina. L'autopsia aveva rivelato che il cuore di Raspail era stato trapassato, e che erano stati asportati il timo e il pancreas.

Clarice Starling, che fin dall'infanzia aveva sempre saputo sulla lavorazione della carne molto più di quanto desiderasse sapere, riconobbe che gli organi mancanti erano quelli chiamati genericamente "animelle".

Alla squadra omicidi di Baltimora erano convinti che quegli organi avessero figurato sul menù di una cena che Lecter aveva offerto al presidente e al direttore della Filarmonica la sera dopo la sparizione di Raspail.

Il dottor Hannibal Lecter sosteneva di non saperne nulla. Il presidente e il direttore della Filarmonica testimoniarono di non ricordare cos'era stato servito alla cena di Lecter, sebbene questi fosse noto per l'eccellenza della sua tavola e collaborasse con numerosi articoli a varie riviste di gastronomia.

In seguito il presidente della Filarmonica fu curato per anoressia e problemi di alcolismo in un ospedale generico per malattie nervose, a Basilea.

Secondo la polizia di Baltimora, Raspail era la nona vittima conosciuta di Lecter.

Raspail era morto senza lasciare testamento, e le cause legali intentate dai vari parenti per l'eredità erano state seguite dai giornali per diversi mesi, fino a quando l'interesse del pubblico era declinato.

Inoltre, i parenti di Raspail si erano associati alle famiglie delle altre vittime che erano state pazienti di Lecter, in un'azione per ottenere che le cartelle cliniche e le registrazioni dello psichiatra pazzo venissero distrutte. Era impossibile sapere quali segreti imbarazzanti poteva aver rivelato il caro estinto, pensavano; e le cartelle cliniche costituivano una documentazione.

Il tribunale aveva nominato esecutore testamentario di Raspail il suo avvocato, Everett Yow.

Clarice Starling avrebbe dovuto rivolgersi all'avvocato per arrivare alla macchina. Era possibile che Yow tendesse a proteggere la memoria di Ra-spail e, se fosse stato avvertito con un po' d'anticipo, fosse capace di distruggere le prove per coprire il cliente defunto.

Clarice preferiva agire di sorpresa, e aveva bisogno di consigli e di un'autorizzazione. Era sola a Scienza del Comportamento, e poteva fare ciò che voleva. Trovò il numero di casa di Crawford nel Rolodex.

Non sentì squillare il telefono: ma all'improvviso risuonò la voce, calma e sommessa.

«Jack Crawford.»

«Sono Clarice Starling. Spero che non fosse a cena...» Clarice dovette continuare nel silenzio. «Oggi Lecter mi ha detto qualcosa a proposito del caso Raspail. Ora sono in ufficio a controllare. Mi ha detto che c'è qualcosa nella macchina di Raspail: devo arrivarci tramite il suo avvocato e dato che domani è sabato e non c'è scuola... volevo chiederle se...»

«Starling, si ricorda quel che le avevo detto di fare con le informazioni ottenute da Lecter?» La voce di Crawford era così terribilmente quieta.

«Dovevo consegnarle un rapporto entro le nove di domenica.»

«Lo faccia, Starling. Faccia esattamente ciò che le ho detto.»

«Sissignore.»

Il suono del ricevitore che veniva riattaccato le ferì l'orecchio. L'umiliazione le fece bruciare gli occhi.

«Bravo, stronzo fottuto» disse. «Vecchio mascalzone. Lurido figlio di puttana. Prova a lasciare che Miggs schizzi addosso a te e vedremo se ti diverte.»

Tutta ripulita e insaccata nella camicia da notte dell'Accademia, Clarice Starling stava preparando la seconda stesura del rapporto quando la sua compagna di dormitorio, Ardelia Mapp, arrivò dalla libreria. Il largo viso bruno e razionale di Ardelia era una delle cose più gradite che le fosse capitato di vedere in quella giornata.

Ardelia Mapp notò la sua aria stanca.

«Che cos'hai fatto oggi, ragazza mia?» Ardelia Mapp faceva sempre le domande come se le risposte non facessero nessuna differenza.

«Ho cercato di sedurre un pazzo mentre ero tutta coperta di sperma.»

«Vorrei avere anch'io un po' di tempo per fare la vita di società... non so proprio come ci riesci, con la scuola e tutto.»

Clarice scoppiò a ridere. Ardelia Mapp rise con lei, per quello che poteva valere la battuta scherzosa. Clarice Starling non smise: si sentiva ridere come da una grande distanza. Attraverso le lacrime che le riempivano gli occhi, la Mapp le sembrava stranamente vecchia, e il suo sorriso era triste.

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