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Clarice Starling riconobbe il cartello delle Stonehinge Villas che aveva visto nel telegiornale. Il comprensorio residenziale di East Memphis, formato da appartamenti e case unifamiliari, formava una grande U intorno a un parcheggio.

Lasciò la Chevrolet Celebrity presa a nolo. Lì abitavano tecnici specializzati e piccoli dirigenti... lo si capiva dalle TransAm e dalle IROC-Z Camaro. I camper per i fine settimana e i piccoli motoscafi per lo sci acquatico, lucidi di vernice a smalto, erano sistemati in un settore del parcheggio riservato a loro.

"Stonehinge Villas"... quel modo di scrivere dava sui nervi a Clarice tutte le volte che lo guardava. Con ogni probabilità gli appartamenti erano pieni di mobili di vimini dipinti di bianco e di moquette color pesca. Fotografie sotto il vetro del tavolino. La cucina per due e La fondue nel menu. Clarice Starling, la cui unica residenza era una stanza nel dormitorio dell'Accademia dell'FBI, era una critica severa di quel genere di cose.

Doveva imparare a conoscere Catherine Baker Martin; e quello sembrava un posto poco adatto alla figlia di una senatrice. Clarice aveva letto lo scarso materiale biografico raccolto dall'FBI, da cui risultava che Catherine Martin era intelligente ma non s'impegnava molto. Aveva fallito a Far-mington e aveva passato a Middlebury due anni assai poco soddisfacenti. Adesso studiava alla Southwestern e faceva pratica come insegnante.

Clarice avrebbe potuto immaginarla senza difficoltà come una ragazza piena di sé, cresciuta in collegio, una di quelle persone che non ascoltano mai gli altri. Sapeva che doveva andar cauta in questo per non lasciarsi condizionare da pregiudizi e risentimenti. Lei era stata in qualche collegio grazie alle borse di studio, e aveva avuto voti molto più belli degli abiti.

Aveva visto molte ragazze appartenenti a famiglie ricche e infelici, ragazze che passavano troppo tempo nei collegi. In molti casi s'era infischiata di loro; ma aveva finito per scoprire che quella disattenzione può essere uno stratagemma per evitare la sofferenza e che spesso viene interpretata erroneamente come superficialità e indifferenza.

Era meglio pensare a Catherine come alla bambina che andava in barca a vela con il padre, come appariva nel filmato trasmesso insieme all'appello televisivo della senatrice Martin. Si chiedeva se Catherine aveva cercato di far felice il padre, quand'era piccola. Si chiedeva cosa stava facendo Catherine quando le avevano detto che il padre era morto di un attacco cardiaco a quarantadue anni. Clarice Starling era sicura che Catherine ne sentiva la mancanza. E quella ferita in comune la faceva sentire vicina alla giovane donna.

Riteneva indispensabile provare simpatia per Catherine Martin, perché l'avrebbe aiutata a vincere.

Vide subito dov'era l'appartamento di Catherine: proprio davanti c'erano ferme due macchine della Stradale del Tennessee. C'erano macchie di polvere bianca nel parcheggio, nell'area più vicina all'appartamento. Il Tennessee Bureau of Investigation doveva aver rilevato le macchie d'olio con la pomice o con qualche altra polvere inerte. Crawford aveva detto che quelli del TBI sapevano il fatto loro.

Clarice Starling si avvicinò ai camper e alle imbarcazioni parcheggiati nel settore speciale, di fronte all'appartamento. Era lì che Buffalo Bill aveva sequestrato Catherine Martin. Abbastanza vicino alla porta perché lei la lasciasse aperta quando era uscita. Qualcosa l'aveva indotta a uscire. Doveva essere stata una trappola dall'aspetto innocuo.

Sapeva che la polizia di Memphis aveva fatto una serie di interrogatori porta-a-porta, e nessuno aveva visto niente. Forse era successo in mezzo ai camper. Buffalo Bill doveva essersi messo in agguato proprio in quel punto. Senza dubbio a bordo di un veicolo. Ma sapeva che Catherine era lì. Doveva averla vista in qualche posto e l'aveva seguita, in attesa dell'occasione propizia. Non ci sono molte ragazze della taglia di Catherine. E lui non si piazzava in qualche località scelta a caso ad aspettare che passasse una donna della taglia giusta. Avrebbe potuto attendere per giorni e giorni senza vederne neppure una.

Tutte le sue vittime erano grandi e grosse. Tutte. Alcune erano anche grasse, ma tutte erano imponenti. "Così potrà ricavarne qualcosa che gli vada bene." Clarice Starling ricordò ciò che le aveva detto il dottor Lecter

e rabbrividì. Il dottor Lecter, che era stato trasferito a Memphis.

Trasse un respiro profondo, gonfiò le guance ed espirò lentamente. Vediamo che cosa possiamo dire sul conto di Catherine.

Un agente della polizia statale del Tennessee con un cappello da Giubba Rossa aprì la porta dell'appartamento di Catherine Martin. Quando Clarice gli mostrò le credenziali, le accennò di entrare.

«Agente, devo dare un'occhiata al posto.» "Posto" sembrava la parola adatta da usare con un uomo che teneva il berretto in casa.

L'agente annuì. «Se suonasse il telefono, lasci stare. Rispondo io.»

Sul banco della cucina aperta, Clarice vide un registratore collegato al telefono; accanto c'erano due telefoni nuovi. Uno non aveva il quadrante... era una linea diretta con il servizio di sicurezza della Southern Bell, il servizio che provvedeva a rintracciare la provenienza delle chiamate in quella zona.

«Posso esserle d'aiuto?» chiese il giovane agente.

«La polizia ha finito, qui dentro?»

«L'appartamento è stato riconsegnato alla famiglia. Io sono qui solo per sorvegliare il telefono. Può toccare gli oggetti, se è questo che vuole sapere.»

«Bene, allora darò un'occhiata in giro.»

«D'accordo.» Il giovane poliziotto recuperò il giornale che aveva infilato sotto il divano e tornò a sedere.

Clarice Starling voleva concentrarsi. Avrebbe preferito essere sola nell'appartamento; ma doveva considerarsi fortunata perché non brulicava di poliziotti.

Cominciò dalla cucina. Non era stata attrezzata da una cuoca intenzionata a far sul serio. Catherine era andata a prendere un po' di popcorn, a quanto aveva riferito il suo ragazzo alla polizia. Clarice aprì il freezer. C'erano due scatole di popcorn da cuocere nel forno a microonde. Dalla cucina il parcheggio non si vedeva.

«Da dove viene?»

Clarice Starling non badò alla domanda, la prima volta.

«Da dove viene?»

L'agente seduto sul divano la stava osservando al di sopra del giornale.

«Washington» disse lei.

Sotto il lavello... c'erano graffi sulla giuntura del tubo: l'avevano smontato per esaminare l'interno. Efficienti, quelli del TBI. I coltelli non erano affilati. La lavastoviglie era stata messa in funzione, ma poi non era stata vuotata. In frigo c'erano solo formaggio e macedonia già pronta. Catherine andava a far spese nei negozi fast-food, probabilmente c'era un posto dove andava regolarmente, un supermercato nelle vicinanze. Forse qualcuno stava sorvegliando il negozio. Valeva la pena di controllare.

«Lavora alle dipendenze del procuratore generale?»

«No, sono dell'FBI.»

«Il procuratore generale sta venendo qui. Me l'hanno detto quando sono montato di guardia. È nell'FBI da molto?»

Nel cassetto della verdura c'era un cavolo di gomma. Clarice lo girò, controllò lo scomparto dei gioielli all'interno. Era vuoto.

«È nell'FBI da molto tempo?»

Clarice fissò il giovane poliziotto.

«Agente, senta. Probabilmente dovrò chiederle un paio di cose dopo che avrò finito di guardarmi intorno. E forse allora potrà aiutarmi.»

«Sicuro. Se posso...»

«Bene, d'accordo. Allora aspettiamo a parlare. In questo momento ho bisogno di riflettere.»

«Nessun problema.»

La camera da letto era luminosa, con un'atmosfera solare e sonnolenta piuttosto piacevole. Le stoffe e i mobili erano di qualità migliore di quanto potevano permettersi tante giovani donne. C'era un paravento laccato del Coromandel, due pezzi a cloisonné sugli scaffali, un bel secrétaire di noce. Letti gemelli. Clarice sollevò l'orlo dei copriletti. Il letto di sinistra aveva le rotelle bloccate, quello di destra no. Catherine li accosta quando le fa comodo. Forse ha un amante e il suo ragazzo non lo sa. O forse qualche volta stanno qui. La sua segreteria telefonica non ha telecomando. Forse deve essere in questo appartamento quando sua madre la chiama.

La segreteria telefonica era come la sua, una Phone-Mate molto semplice. Clarice aprì il pannello superiore. I nastri erano spariti: al loro posto c'era un foglietto: NASTRI PRELEVATI TBI N.6.

La stanza era abbastanza in ordine, ma aveva quell'aspetto un po' scompigliato, lasciato da agenti con le mani grandi, che cercano di rimettere le cose esattamente al loro posto, ma sbagliano sempre in qualche piccolo particolare. Clarice si sarebbe accorta che c'era stata una perquisizione anche senza le tracce della polvere per rilevare le impronte digitali su tutte le superfici lisce.

Non pensava che in camera da letto fosse successo qualcosa che avesse a che fare con il sequestro. Con ogni probabilità aveva ragione Crawford:

Catherine era stata catturata nel parcheggio. Ma desiderava conoscerla, ed era lì che era vissuta. Vive, si corresse Clarice. Vive qui.

Nel comodino c'erano una rubrica telefonica, fazzolettini di carta, una scatola di cosmetici e, dietro la scatola, una Polaroid SX-70 con lo scatto a cavo e un piccolo treppiede chiuso. Uhm. Attenta come una lucertola, Clarice Starling guardò la macchina fotografica. Batté le palpebre come fanno le lucertole e non la toccò.

Il guardaroba era molto interessante. Catherine Baker Martin, sigla C-B-M per la lavanderia, aveva una quantità di vestiti, alcuni molto belli. Clarice riconobbe molte etichette, incluse quelle di Garfinkel's e Britches di Washington. Regali della mamma, si disse. Catherine aveva splendidi abiti classici di due taglie che potevano andarle bene dai sessantacinque ai set-tantacinque chili, più o meno. E c'erano alcune paia di calzoni e pullover con l'etichetta di Statuesque Shop, da indossare nei periodi in cui superava anche quel peso. In una scarpiera c'erano ventitré paia di scarpe. Sette erano di Ferragamo, numero quaranta, e c'erano alcune Reeboks e mocassini molto logori. Sul ripiano più in alto stavano uno zaino leggero e una racchetta da tennis.

Erano le cose di una ragazza privilegiata, una studentessa e insegnante in tirocinio che viveva meglio della maggior parte delle sue coetanee.

Nel secrétaire c'erano molte lettere. Biglietti scribacchiati di ex compagni di classe che abitavano all'est. Francobolli, etichette per spedizioni. Carta per avvolgere i regali nell'ultimo cassetto, in un fascio di colori e motivi diversi. Clarice vi passò le dita. Stava pensando di interrogare i commessi del supermercato della zona quando le sue dita trovarono nel mucchio di carta per regali un foglio troppo spesso e rigido. Le sue dita lo superarono e tornarono indietro. Era stata addestrata a prendere nota delle anomalie; aveva tirato fuori il foglio per metà, quando lo guardò. Era azzurro, di un materiale simile a una carta assorbente molto leggera, e il fregio era una rozza imitazione di Pluto, il cane di Topolino. I piccoli cani in fila sembravano Pluto e avevano il suo colore giallo, ma non le proporzioni esatte.

«Catherine, Catherine» disse Clarice. Prese una pinza dalla borsa e la usò per infilare il foglio di carta colorata in una busta di plastica. Per il momento lo mise sul letto.

Il portagioielli sul cassettone era in cuoio stampato, del tipo che si vede nelle stanze di tutte le ragazze, nei dormitoli dei collegi. I due cassetti e il coperchio a ripiani contenevano oggetti di bigiotteria, e non pezzi di valore. Clarice si chiese se i più belli erano stati nascosti nel cavolo di gomma dentro al frigo; e in quel caso, chi li aveva presi?

Infilò l'indice sotto il fianco del coperchio e sbloccò il cassettino segreto. Era vuoto. Si chiese per chi erano segreti quei cassetti... non certo per gli scassinatori. Stava spingendo il cassettino sul retro del portagioielli per richiuderlo quando toccò con le dita la busta fissata con un pezzo di nastro adesivo sotto il ripiano.

Mise un paio di guanti di cotone e girò lo scrigno. Estrasse il cassetto vuoto e lo rovesciò. Una busta marrone era fissata con il nastro al fondo. Non era chiusa. Se l'accostò al naso. La busta non era stata esposta al fumo per rilevare le impronte digitali. Usò le pinze per aprirla ed estrarne il contenuto. C'erano cinque foto Polaroid e le tirò fuori una per una. Erano foto di un uomo e di una donna che si accoppiavano. Non si vedevano i visi e le teste. Due erano state scattate alla donna, due all'uomo, e una sembrava che fosse stata scattata dal treppiede piazzato sul comodino.

In una fotografia è difficile giudicare le proporzioni: ma con quella figura spettacolare la donna doveva essere Catherine Martin. L'uomo portava intorno al pene qualcosa che sembrava un anello d'avorio. La definizione della fotografia non era abbastanza chiara per rivelarne i dettagli. L'uomo era stato operato all'appendice. Clarice mise le foto in altrettanti sacchetti e quindi li rimise nella busta marrone. Rimise il cassettino nello scrigno.

«I gioielli veri li ho nella borsetta» disse una voce dietro di lei. «Non credo sia stato portato via qualcosa.»

Clarice Starling guardò nello specchio. La senatrice Ruth Martin era sulla soglia della camera da letto. Aveva un'aria esausta.

Clarice si voltò. «Salve, senatrice Martin. Non vuole sdraiarsi? Io ho quasi finito.»

Per quanto esausta, la senatrice Martin aveva molta energia. Sotto l'aspetto raffinato, Clarice riconobbe una donna battagliera.

«Lei chi è, scusi? Credevo che ormai la polizia avesse finito, qui dentro.»

«Sono Clarice Starling, dell'FBI. Ha parlato con il dottor Lecter, senatrice?»

«Mi ha dato un nome.» La senatrice Martin accese una sigaretta e la squadrò dalla testa ai piedi. «Vedremo cosa può valere. E lei cos'ha trovato nel portagioielli, agente Starling? Può valere qualcosa

«È una documentazione che potremo controllare tra pochi minuti.» Fu l'unica risposta che Clarice riuscì a improvvisare.

«Nel portagioielli di mia figlia? Vediamo.»

Clarice sentì delle voci provenienti dalla stanza accanto e si augurò che arrivasse qualcuno a interromperle. «C'è il signor Copley con lei? L'agente speciale di Memphis...?»

«No, non c'è, e la sua non è una risposta. Non si offenda, agente, ma voglio vedere che cosa ha preso dal portagioielli di mia figlia.» La senatrice girò la testa e chiamò. «Paul. Paul, vuol venire qui? Agente Starling, forse conosce già il signor Krendler del Dipartimento della Giustizia. Paul, questa è la ragazza che Jack Crawford aveva mandato da Lecter.»

Krendler aveva una bella abbronzatura, e a quarant'anni appariva in ottima forma.

«Signor Krendler, so chi è. Salve.» disse Clarice. Funzionario di collegamento tra il Dipartimento della Giustizia e il Congresso, come minimo assistente viceprocuratore generale, santo Dio, un pezzo grosso.

«L'agente Starling ha trovato qualcosa nel portagioielli di mia figlia e l'ha messo in una busta. Credo sia meglio se lo vediamo, no?»

«Agente» disse Krendler.

«Posso parlarle un momento, signor Krendler?»

«Certo. Più tardi.» Krendler tese la mano.

Clarice si sentiva avvampare. Sapeva che la senatrice Martin non era molto padrona di sé, ma non avrebbe mai potuto perdonare a Krendler quell'espressione dubbiosa. Mai.

«A lei» disse, e gli passò la busta.

Krendler guardò all'interno la prima foto; aveva richiuso la busta quando la senatrice Martin gliela prese dalle mani.

Era doloroso guardarla mentre esaminava le fotografie. Quando ebbe finito, andò alla finestra e sollevò il viso verso il cielo coperto, a occhi chiusi. Nella luce del giorno sembrava più vecchia. La mano le tremò quando tentò di accendere una sigaretta.

«Senatrice, io...» disse Krendler.

«La polizia ha perquisito la stanza» disse la senatrice Martin. «Sono sicura che avevano trovato le foto e hanno avuto il buon senso di rimetterle al loro posto senza parlarne.»

«No» disse Clarice. La senatrice soffriva ma... al diavolo! «Abbiamo bisogno di sapere chi è quest'uomo: può capirlo anche lei. Se è il ragazzo di sua figlia, tutto bene. Posso scoprirlo in cinque minuti. Non è necessario che nessun altro veda le foto, e Catherine non dovrà neppure saperlo.»

«Ci penserò io.» La senatrice Martin mise la busta nella borsa, e Kren-dler la lasciò fare.

«Senatrice, è stata lei a togliere i gioielli dal cavolo di gomma che è in cucina?» chiese Clarice.

L'aiutante della senatrice Martin, Brian Gossage, si affacciò in quel momento. «Mi scusi, senatrice, hanno collegato il terminale. Possiamo seguirli mentre cercano il nome di William Rubina all'FBI.»

«Vada pure, senatrice Martin» disse Krendler. «La raggiungerò fra un secondo.»

Ruth Martin lasciò la stanza senza rispondere alla domanda di Clarice.

Clarice ebbe la possibilità di osservare Krendler per un momento mentre chiudeva la porta della camera da letto. Il suo abito era un capolavoro di sartoria. Non era armato. La parte inferiore dei tacchi, che non erano consumati, aveva perso il lustro a forza di camminare su moquette troppo spesse.

Si soffermò per un momento con la mano sul pomolo della porta e la testa bassa.

«Ha fatto una perquisizione efficiente» disse quando si voltò.

Clarice Starling non era disposta a lasciarsi comprare così a buon mercato. Ricambiò lo sguardo.

«A Quantico sfornano gente che sa frugare bene e dappertutto» disse Krendler.

«Ma non sfornano ladri.»

«Lo so» disse lui.

«Non mi pareva che lo sapesse.»

«Lasciamo stare.»

«Proseguiremo le indagini sulle fotografie e sul cavolo di gomma, giusto?» chiese Clarice.

«Sì.»

«Che cos'è quel nome, William Rubina, signor Krendler?»

«Lecter sostiene che è il nome di Buffalo Bill. Ecco la nostra comunicazione alla sezione identificazione e all'NCIC. Guardi qui.» Krendler le porse una trascrizione del colloquio tra Lecter e la senatrice Martin, una copia un po' sbavata fornita da una stampante.

«Ha qualche idea?» chiese poi quando lei ebbe terminato di leggere.

«Qui non c'è niente che possa essere costretto a rimangiarsi» disse Clarice. «Dice che si tratta di un maschio bianco, che si chiama Billy Rubina e che ha avuto l'antrace dell'avorio. Qualunque cosa accada, non gli potrete rinfacciare di aver mentito. Nel peggiore dei casi, avrà sbagliato e basta.

Mi auguro sia tutto vero. Ma può anche darsi che si stesse divertendo con là senatrice Martin. Signor Krendler, quello ne è capace. Lo ha mai... incontrato?»

Krendler scosse la testa e sbuffò aria dal naso.

«Il dottor Lecter ha ucciso nove persone, a quanto ci risulta. Non uscirà più, qualunque cosa succeda... non lo lascerebbero libero neppure se risuscitasse i morti. La sola cosa che può fare è divertirsi. Ecco perché stavamo al suo gioco... »

«So in che modo stavate al gioco. Ho ascoltato la registrazione di Chil-ton. Non voglio sostenere che è sbagliato... dico solo che è finita. Scienza del Comportamento può seguire gli elementi che ha acquisito lei, per quel

lo che valgono... l'aspetto transessuale. E domani lei tornerà a scuola a Quantico.»

Oh, santo cielo. «Ho trovato qualcosa d'altro.»

Il foglio di carta colorata era rimasto sul letto senza che nessuno lo notasse. Clarice lo passò a Krendler.

«Che cos'è?»

«Sembrano tanti Pluto.» Clarice attese che Krendler chiedesse il resto.

Krendler fece un cenno con la mano per invitarla a proseguire.

«Sono quasi sicura che è acido. LSD. Forse risale alla metà degli anni Settanta o anche prima. Oggi è ormai una curiosità. Varrebbe la pena di scoprire dove se l'era procurato. Dovremmo farlo analizzare per essere sicuri.»

«Può portarlo a Washington e consegnarlo al laboratorio. Ripartirà tra pochi minuti.»

«Se non vuole aspettare, possiamo farlo subito con un kit portatile. Se la polizia ha un kit d'ordinanza per l'identificazione delle droghe, è il test J, basteranno due secondi e potremo... »

«Lo porti a Washington, e torni a scuola» disse Krendler aprendo la porta.

«Il signor Crawford mi ha ordinato...»

«I suoi ordini sono quelli che le sto dando io. In questo momento non è sotto la direzione di Jack Crawford. È tornata sotto la supervisione di tutti gli altri allievi, e deve rientrare a Quantico, mi ha capito? C'è un aereo alle due e dieci. Parta con quello.»

«Signor Krendler, il dottor Lecter ha parlato con me dopo aver rifiutato di parlare alla polizia di Baltimora. Potrebbe farlo ancora. Il signor Crawford ha pensato...»

Krendler chiuse di nuovo la porta, con più energia del necessario. «Agente Starling, non sono tenuto a darle spiegazioni ma mi ascolti. L'opinione di Scienza del Comportamento è consultiva e lo è sempre stata. E così tornerà a essere. Comunque, Jack Crawford dovrebbe essere in permesso per gravi motivi di famiglia. Mi sorprende che sia riuscito a comportarsi con tanta efficienza. Ha corso uno stupido rischio con questa storia, tenendola nascosta alla senatrice Martin, e pazienza. Con uno stato di servizio come il suo, così prossimo alla pensione, neppure la senatrice Martin può danneggiarlo molto. Quindi, se fossi al suo posto non mi preoccuperei per la sua pensione.»

Clarice Starling stava quasi perdendo la pazienza. «Ha qualcun altro che sia riuscito a catturare tre mostri pluriomicidi? Conosce qualcuno che ne abbia preso anche uno solo? Non dovrebbe lasciare che sia la senatrice Martin a dare disposizioni, signor Krendler.»

«Lei dev'essere una ragazza sveglia, altrimenti Crawford non le darebbe peso, quindi glielo dirò una volta sola. Impari a star zitta, o finirà a fare la dattilografa. Non capisce? L'unica ragione per cui era stata mandata da Lecter, all'inizio, era scoprire qualcosa che il suo direttore potesse usare nei suoi rapporti con il Campidoglio. Informazioni senza peso su gravissimi reati, lo scoop con il dottor Lecter... sono tutte cose che il suo direttore distribuisce come caramelle quando cerca di farsi approvare il bilancio. I membri del Congresso bevono tutto. Lei è fuori strada, agente Starling, e comunque è fuori da questo caso. So che ha un tesserino supplementare. Me lo consegni.»

«Ho bisogno del tesserino per portare la pistola in aereo. La pistola appartiene all'Accademia di Quantico.»

«La pistola. Gesù. Consegni il tesserino appena sarà arrivata.»

La senatrice Martin, Gossage, un tecnico e diversi poliziotti erano radunati intorno a un terminale video con un modem collegato al telefono. La linea calda del National Crime Information Center stava trasmettendo un resoconto dei progrèssi mentre le informazioni fornite dal dottor Lecter venivano controllate a Washington. C'era una comunicazione dei Centri Nazionali Prevenzione Malattie di Atlanta: l'antrace dell'avorio d'elefante si contrae respirando la polvere che si produce quando si lavora l'avorio africano, di solito per ricavarne manici decorativi. Negli Stati Uniti è una malattia dei fabbricanti di coltelli.

Nel sentire l'espressione "fabbricanti di coltelli", la senatrice Martin chiuse gli occhi asciutti e febbricitanti. Strinse il fazzolettino di carta che aveva in mano.

Il giovane agente che aveva fatto entrare Clarice Starling nell'appartamento portò un caffè alla senatrice. Aveva ancora il berretto in testa.

Clarice non aveva nessuna intenzione di filarsela senza farsi notare. Si fermò e disse: «Buona fortuna, senatrice. Spero che a Catherine vada tutto bene».

La senatrice Martin annuì senza guardarla. Krendler le fece segno di uscire.

«Non sapevo che non poteva entrare» disse il giovane poliziotto mentre Clarice usciva.

Krendler la seguì. «Ho il più grande rispetto per Jack Crawford» disse. «Gli riferisca che ci dispiace moltissimo per... per il problema di Bella e tutto quanto. E adesso torniamo a scuola e diamoci da fare, intesi?»

«Addio, signor Krendler.»

Clarice si ritrovò sola nel parcheggio, con la sensazione inquietante di non aver capito nulla del mondo.

Seguì con gli occhi un piccione che zampettava sotto i camper e le imbarcazioni. Raccattò un guscio di arachide e lo posò di nuovo. Il vento umido gli scompigliava le penne.

Clarice Starling avrebbe voluto parlare con Crawford. Lo spreco e la

stupidità danno i risultati peggiori, le aveva detto. Si serva di questo mo-

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mento e la temprerà. E la prova più dura... non permetta che la rabbia e la frustrazione le impediscano di pensare. E importante per scoprire se è in grado di comandare o no.

Non le importava niente di comandare. E adesso si accorgeva che non le importava neppure di essere l'agente speciale Starling. Non ci teneva affatto, se bisognava giocare a quel tipo di gioco.

Pensò alla povera ragazza morta, grassa e triste che aveva visto sul tavo

lo dell'impresa delle pompe funebri a Potter, West Virginia. Si era dipinta le unghie con lo smalto lucido, proprio come quelle stramaledette barche per lo sci acquatico.

Come si chiamava? Kimberly.

Che mi venga un accidente se questi stronzi mi vedranno piangere.

Gesù, si chiamavano tutte Kimberly, ce n'erano quattro nella sua classe. E tre uomini che si chiamavano Sean. Kimberly, con quel suo nome da sceneggiato televisivo, cercava di farsi bella, si era fatta tutti quei fori nelle orecchie per cercare di sembrare carina, per adornarsi. E Buffalo Bill aveva guardato le sue patetiche tette piatte, aveva puntato nel mezzo la canna della pistola e l'esplosione le aveva tracciato sul petto una stella marina.

Kimberly, la sua sorella grassa e triste che si depilava le gambe con la ceretta. Non c'era da meravigliarsi... a giudicare dalla faccia, le braccia e le gambe, la pelle era la sua cosa più bella. Kimberly, dovunque tu sia, sei indignata? Non c'era stata una senatrice che si era interessata a lei, non c'erano stati jet per trasferire un pazzo. Pazzo era una parola che non doveva usare. C'erano tante cose che non avrebbe dovuto fare. I pazzi.

Guardò l'orologio. Aveva a disposizione un'ora e mezzo prima della partenza dell'aereo, e c'era una piccola cosa che poteva fare. Voleva guardare in faccia il dottor Lecter mentre diceva "Billy Rubina". Se fosse riuscita a sostenere abbastanza lo sguardo di quegli strani occhi marrone, se avesse guardato in profondità, dove la tenebra risucchiava le scintille, avrebbe potuto vedere qualcosa di utile. Pensava che avrebbe potuto scorgere un riflesso di allegria.

Grazie a Dio, ho ancora il tesserino.

Clarice Starling lasciò sull'asfalto una striscia di gomma di tre metri quando uscì dal parcheggio.

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