«Agente Starling, il dottor Pilcher ha detto che l'aspetta nello Zoo degli Insetti. L'accompagno» disse il guardiano.
Per arrivare allo Zoo degli Insetti dal lato del museo che guarda su Con-stitution Avenue bisogna arrivare con l'ascensore un piano al di sopra del grande elefante impagliato, e poi attraversare un piano vastissimo dedicato allo studio dell'uomo.
Prima c'erano file e file di crani che salivano e si ampliavano e rappresentavano l'esplosione della popolazione umana dopo la nascita di Cristo.
Clarice Starling e il guardiano si muovevano in un paesaggio semibuio popolato da figure che illustravano l'origine e le variazioni degli umani. C'erano vetrine che mostravano rituali... tatuaggi, piedi deformati dalle fasciature, modificazioni dei denti, chirurgia peruviana, mummificazione.
«Ha mai visto Wilhelm von Ellenbogen?» chiese il guardiano, puntando contro una vetrina il fascio luminoso della lampada tascabile.
«Non credo» rispese lei senza rallentare il passo.
«Dovrebbe venire una volta o l'altra quando le luci sono accese, a dargli un'occhiata. Fu sepolto a Philadelphia nel XVIII secolo e si trasformò in sapone quando l'acqua contenuta nel terreno lo toccò.»
Lo Zoo degli Insetti era una grande stanza, semibuia ed echeggiante di stridii e fruscii. C'erano gabbie e cassette d'insetti vivi. I bambini, in particolare, apprezzano molto lo zoo e vi sfilano tutto il giorno. La notte, lasciati a se stessi, gli insetti si danno da fare. Alcune cassette erano illuminate di rosso, e le insegne delle uscite di sicurezza brillavano dì un rosso intenso nella semioscurità.
«Dottor Pilcher?» chiamò il guardiano dalla soglia.
«Sono qui» rispose Pilcher alzando una piccola lampada tascabile come un faro.
«Ci pensa lei ad accompagnare la signorina?»
«Sì, grazie, agente.»
Clarice Starling prese dalla borsetta la sua torcia elettrica e si accorse che l'interruttore era già premuto, le batterie esaurite. Il guizzo di rabbia che provò le ricordò che era stanca e doveva controllarsi.
«Salve, agente Starling.»
«Dottor Pilcher.»
«Perché non mi chiama "professor Pilcher"?»
«È davvero professore?»
«No, ma non sono neppure dottore. Invece, sono davvero lieto di vederla. Vuol guardare gli insetti?»
«Certamente. Dov'è il dottor Roden?»
«È stato lui a fare quasi tutti i progressi durante le ultime due notti per quanto riguarda la chetassia, e alla fine è crollato. Aveva già visto l'insetto prima che cominciassimo a occuparcene?»
«No.»
«Era conciato male per la verità.»
«Ma voi l'avete riconosciuto. Avete capito che cos'è.»
«Sì. Soltanto adesso.» Pilcher si avvicinò ad una gabbia di rete metallica. «Prima mi permetta di mostrarle una falena come quella che ci ha portato lunedì. Questa non è esattamente come la sua ma appartiene alla stessa famiglia. È un nottuide.» Il raggio della torcia elettrica incontrò la grossa falena blu posata su un rametto e con le ali piegate. Pilcher le soffiò sopra e immediatamente apparve il muso minaccioso di un gufo quando la falena spiegò le ali, e le chiazze a forma di occhi brillarono... come l'ultima cosa che un topo vede nella sua vita. «Questa è la Caligo beltrao... piuttosto comune. Ma con l'esemplare di Klaus arriviamo a certe falene abbastanza grosse. Venga.»
In fondo alla sala c'era una cassa collocata in una nicchia; davanti c'era una ringhiera. La cassa era al di fuori della portata dei bambini ed era coperta da un telo. Accanto c'era un umidificatore che ronzava.
«La teniamo dietro un vetro per proteggere le dita dei visitatori... è battagliera. Inoltre ama l'umidità e il vetro la conserva.» Pilcher sollevò deli-catametne la gabbia per le maniglie e la spostò nella parte anteriore della nicchia. Tolse il coperchio e accese una minuscola lampada.
«È la falena testa-di-morto» disse. «Ora è stata messa su una pianta di belladonna... speriamo che deponga le uova.»
La falena era meravigliosa e terribile. Le grandi ali bruno-nere erano drappeggiate come un mantello e sull'ampio dorso lanuginoso spiccava il simbolo che ha sempre ispirato timore agli uomini, da quando hanno incominciato a incontrarla all'improvviso nei loro giardini. Il teschio a cupola, il teschio che è nel contempo cranio e volto, gli occhi scuri, gli zigomi, l'arco zigomatico tracciato in modo perfetto accanto agli occhi.
«Acherontiastyx» disse Pilcher. «Prende il nome da due fiumi dell'inferno. L'uomo che lei sta cercando butta i cadaveri nei fiumi, ogni volta... mi pare di averlo letto sui giornali.»
«Sì» disse Clarice Starling: «È rara?»
«In questa parte del mondo lo è. Non ne esistono in natura.»
«Da dove viene?» Clarice accostò il viso al tetto di rete della gabbia. Il suo respiro agitò la peluria sul dorso della falena. Si scostò di scatto quando l'insetto stridette e sventolò rabbiosamente le ali. Sentì il soffio della minuscola brezza.
«Dalla Malesia. C'è anche una specie europea, chiamata atropos. Ma questa e l'esemplare trovato nella bocca di Klaus sono malesi.»
«Quindi qualcuno deve averla allevata.»
Pilcher annuì. «Sì» rispose, quando si accorse che Clarice non lo guardava. «Dev'essere stata spedita dalla Malesia come uovo o più probabilmente come pupa. Nessuno è mai riuscito a farle deporre le uova in cattività. Si accoppiano ma non fanno uova. La cosa più difficile è trovare i bruchi nella giungla. Poi allevarle non è un gran problema.»
«Ha detto che sono battagliere.»
«La proboscide è acuminata e robusta, e se non sta attenta gliela piantano in un dito. È un'arma insolita, e l'alcol non la modifica negli esemplari conservati. Questo ci ha aiutato a restringere il campo e ci ha permesso d'i-dentificarla così in fretta.» All'improvviso Pilcher assunse un'espressione imbarazzata, come se si fosse fatto cogliere a vantarsi. «Sono tipetti duri» si affrettò ad aggiungere. «Entrano negli alveari e fregano il miele. Una volta le stavamo raccogliendo nel Sabah, sull'isola del Borneo, e arrivarono a frotte intorno al lampione dietro l'ostello della gioventù. Era molto strano, sentirle, e noi... »
«Questa da dove viene?»
«Da uno scambio con il governo malese. Non so cosa abbiamo dato in cambio. Era strano, noi stavamo lì al buio, ad aspettare con il secchio di cianuro, quando... »
«Che specie di dichiarazione doganale ha accompagnato questo esemplare? C'è una documentazione? È necessario che la Malesia dia il benestare per esportarla? E chi può averlo?»
«Ehi, come corre. Senta, io ho annotato tutto quello che abbiamo e i posti dove bisogna mettere gli annunci economici se si vogliono fare acquisti del genere. Venga, l'accompagno fuori.»
Attraversarono in silenzio l'ampio piano. Nella luce dell'ascensore Clarice si accorse che Pilcher era stanco quanto lei.
«Ha continuato a seguire la faccenda» gli disse. «È stato molto gentile. Prima non volevo essere brusca, ma vede...»
«Spero che lo prendano. Spero che lei si liberi presto di questo caso» disse Pilcher. «Ho annotato un paio di sostanze chimiche che lui potrebbe comprare, se vuol conservare gli esemplari molli... Agente Starling, mi piacerebbe conoscerla meglio.»
«Magari le telefonerò appena potrò.»
«Deve farlo assolutamente. Mi piacerebbe» disse Pilcher.
L'ascensore si chiuse e Pilcher e Clarice Starling sparirono. Il piano dedicato all'uomo rimase immerso nel silenzio. Nessuna figura umana si muoveva: né le tatuate, né le mummificate, né quelle con i piedi fasciati.
Le luci delle uscite di sicurezza brillavano rosse nello Zoo degli Insetti e si riflettevano nei diecimila occhi attivi del phylum più antico. L'umidificatore ronzava e sibilava. Sotto il coperchio della gabbia nera la falena testa-di-morto scese dalla pianta di belladonna. Si mosse sul pavimento, trascinandosi dietro le ali come un mantello, e trovò nel piatto un pezzo di favo. Lo afferrò con le possenti zampe anteriori, srotolò la proboscide acuminata e l'affondò attraverso il suggello di cera di una celletta. Poi restò a suggere quietamente, mentre intorno a lei, nella tenebra, riprendevano gli stridii e i ronzii, e i minuscoli movimenti e le uccisioni.