Clarice correva con la macchina nel traffico pericoloso di Memphis, e due lacrime di rabbia le si erano asciugate sulle guance. Si sentiva stranamente leggera ed euforica. Un'innaturale chiarezza di percezione della sua vista l'avvertiva che era portata a battersi, e quindi cercava di controllarsi.
Era passata davanti al vecchio tribunale non molto tempo prima, quando era arrivata dall'aeroporto, e lo ritrovò senza troppe difficoltà.
Le autorità del Tennessee non intendevano correre rischi con Hannibal Lecter. Erano decisi a tenerlo ben stretto senza esporlo ai pericoli del carcere municipale.
La soluzione consisteva nell'ex tribunale con la relativa prigione, una massiccia struttura gotica di granito, costruita ai tempi in cui la manodopera non costava niente. Adesso era una sede degli uffici del municipio, restaurata con zelo un po' eccessivo in quella città prospera e molto sensibile alla storia.
Quel giorno sembrava una roccaforte medievale circondata dalla polizia.
Il parcheggio era invaso da un assortimento di macchine dei tutori dell'ordine: pattuglia della stradale, Dipartimento dello sceriffo della Shelby
County, Tennessee Bureau of Investigation e Dipartimento Correzione e Pena. C'era da passare un posto di blocco della polizia prima che Clarice potesse entrare a parcheggiare la macchina presa a noleggio.
Il dottor Lecter presentava un ulteriore problema di sicurezza dall'esterno. Arrivavano in continuazione telefonate di minaccia da quando il telegiornale di metà mattina ne aveva comunicato l'arrivo; le sue vittime avevano molti amici e parenti che sarebbero stati felici di vederlo morto.
Clarice Starling si augurava che non ci fosse l'agente residente dell'FBI, Copley. Non voleva procurargli guai.
Vide da tergo la testa di Chilton in mezzo a un gruppo di giornalisti, sul prato accanto alla gradinata principale. Tra la folla c'erano due camere portatili della televisione. Clarice si rammaricò di non avere la testa coperta da una sciarpa. Girò la faccia dall'altra parte e si avvicinò all'entrata della torre.
Un agente statale piazzato davanti alla porta esaminò il tesserino prima di lasciarla entrare nell'atrio. L'atrio della torre, adesso, sembrava un corpo di guardia. Un agente della polizia municipale era di sentinella all'unico ascensore, un altro alla scala. Gli agenti statali, i rimpiazzi delle pattuglie stazionate intorno all'edificio, leggevano il "Commerciai Appeal" stando seduti sui divani dove il pubblico non poteva vederli.
Al banco di fronte all'ascensore troneggiava un sergente. Il cartellino con il nome diceva: TATE, C.L.
«La stampa non è ammessa» disse il sergente Tate quando vide Clarice.
«Non sono della stampa» disse lei.
«È con i collaboratori del procuratore generale?» chiese il sergente dopo aver osservato il tesserino.
«Viceassistente procuratore generale Krendler» disse Clarice. «L'ho appena lasciato.»
Il sergente Tate annuì. «Ci sono piovuti qui poliziotti di ogni genere e tutti vogliono vedere il dottor Lecter. Grazie a Dio, queste cose non succedono spesso. Dovrà parlare con il dottor Chilton prima di salire.»
«L'ho visto là fuori. Oggi a Baltimora abbiamo lavorato insieme sul caso. È qui che si consegnano le armi, sergente Tate?»
Il sergente si tastò per un attimo un molare con la lingua.
«Sì, proprio qui» disse. «Valgono i regolamenti carcerari, signorina. I visitatori devono consegnare le armi, anche se sono poliziotti.»
Clarice Starling annuì. Tolse le cartucce dalla pistola mentre il sergente guardava i movimenti delle sue mani. Gliela porse tenendola per la canna, e lui la chiuse subito a chiave nel cassetto.
«Vernon, accompagnala di sopra.» Compose un numero di tre cifre e annunciò nel microfono il nome di Clarice.
L'ascensore, che era stato aggiunto negli anni Venti, salì scricchiolando fino all'ultimo piano e si aprì su un pianerottolo e un breve corridoio.
«Proprio là di fronte, signora» disse il poliziotto.
Sul vetro smerigliato della porta c'era scritto: SOCIETÀ STORICA DELLA SHELBY COUNTY.
Quasi tutto l'ultimo piano della torre era occupato da un'unica stanza ottagonale dipinta di bianco, con il pavimento e le modanature di quercia lucida. C'era odore di cera e di detergente per i mobili. Con quei pochi mobi
li, l'ambiente aveva un'atmosfera spartana, da congregazione religiosa. Faceva una figura migliore, adesso, di quanto l'avesse fatta come ufficio giudiziario.
Erano in servizio due uomini con l'uniforme del Dipartimento Correzione e Pena del Tennessee. Il più piccolo si alzò dalla scrivania quando Clarice entrò. Il più alto era seduto su una sedia pieghevole in fondo alla stanza, rivolto verso la porta di una cella. Come se dovesse sorvegliare un detenuto con la tendenza al suicidio.
«È autorizzata a parlare con il prigioniero, signora?» chiese l'agente alla scrivania. Il nome sulla targa diceva PEMBRY, T.W., e il corredo della scrivania includeva un telefono, due manganelli e un Chemical Mace. Nell'angolo, dietro di lui c'era una lunga corda.
«Sì, certo» disse Clarice. «L'ho interrogato altre volte.»
«Conosce le regole? Non deve superare la barriera.»
«Certamente.»
L'unica macchia di colore nella stanza era la barriera antitraffico, un cavalietto a strisce arancione e gialle con lampeggiatori rotondi che adesso erano spenti. Era piazzato sul pavimento tirato a lucido, a un metro e mezzo dalla porta della cella. A un attaccapanni erano appesi alcuni oggetti tolti al dottor Lecter... la maschera da hockey e qualcosa che lei non aveva mai visto in vita sua: un cosiddetto "giubbotto da forca del Kansas". Di cuoio pesante, con manette a doppia serratura fissate alla vita e fibbie sulla schiena, era molto più efficace della camicia di forza. La maschera e il giubbotto nero appeso all'attaccapanni formavano una composizione inquietante contro lo sfondo bianco del muro.
Clarice Starling poté vedere il dottor Lecter mentre si avvicinava alla cella. Leggeva, seduto a Un tavolino imbullonato al pavimento. Voltava le spalle alla porta. Aveva numerosi libri e la copia del dossier su Buffalo Bill che lei gli aveva dato a Baltimora. A una gamba del tavolo era incatenato un piccolo mangiacassette. Era strano vedere Lecter fuori dal manicomio.
Da bambina, Clarice Starling aveva visto celle come quelle. Venivano prefabbricate da una ditta di St. Louis intorno all'inizio del secolo, e nessuno ne aveva mai costruite di migliori... una gabbia modulare di acciaio temperato che trasforma qualunque stanza in una cella. Il pavimento era di lamine d'acciaio posate su sbarre, e le pareti e il soffitto erano di sbarre forgiate a freddo. Non c'erano finestre. La cella era di un candore immacolato, e illuminata a giorno. Davanti al gabinetto c'era un fragile paravento di carta.
Le sbarre bianche sembravano costolature contro le pareti. Il dottor Lec-ter aveva la testa scura e lustra.
E un visone da cimitero. Vive in una cassa toracica, tra le foglie secche di un cuore.
Clarice batté le palpebre per scacciare quel pensiero.
«Buongiorno, Clarice» disse il dottor Lecter senza voltarsi. Finì la pagina, mise un segno nel punto dov'era arrivato e girò la sedia, con gli avambracci appoggiati allo schienale, il mento sugli avambracci. «Dumas sostiene che l'aggiunta di un corvo al brodo in autunno, quando il corvo si è nutrito di bacche di ginepro, migliora di molto il colore e il sapore del brodo. A lei piacerebbe, Clarice?»
«Ho pensato che volesse i suoi disegni, la roba che aveva lasciato in cella, in attesa di avere la veduta.»
«Quanta premura. Il dottor Chilton è euforico perché lei e Jack Crawford siete stati esclusi dal caso. Oppure l'hanno mandata per un'ultima punzecchiata?»
L'agente di guardia alla cella era andato a parlare con l'agente Pembry alla scrivania. Clarice si augurò che i due non potessero sentirli.
«Non mi hanno mandato loro. Sono venuta di mia iniziativa.»
«La gente dirà che siamo innamorati. Non voleva chiedere qualcosa di Billy Rubina, Clarice?»
«Dottor Lecter, anche senza impugnare in alcun modo... quello che ha detto alla senatrice Martin, mi consiglierebbe di continuare a lavorare sulla sua idea a proposito di...»
«Impugnare... è una parola che mi piace. Non le consiglierei un bel niente, Clarice. Ha tentato d'imbrogliarmi. Crede che stia cercando di giocare
con questa gente?»
«Credevo che mi avesse detto la verità.»
«Peccato che abbia cercato di prendermi in giro, no?» Il dottor Lecter abbassò la faccia dietro le braccia, e rimasero visibili solo gli occhi. «È un peccato che Catherine Martin non debba rivedere mai il sole. Il sole è un materasso incendiato sul quale è morto il suo Dio, Clarice.»
«È un peccato che lei ora debba fare il compiacente e leccare qualche lacrima quando può» disse Clarice. «È un peccato che non siamo riusciti a esaurire l'argomento di cui stavamo parlando. La sua idea dell'imago, la sua struttura, aveva una sorta di... di eleganza che è difficile dimenticare. Adesso è come una rovina, un mezzo arco isolato.»
«Un mezzo arco non sta in piedi. A proposito, la terranno ancora, Clan-ce? Le hanno tolto il distintivo?»
«No.»
«Che cos'ha sotto la giacca, un orologio da guardiano notturno come quello di papà?»
«No, è un caricatore.»
«Quindi va in giro annata?»
«Sì.»
«È stata lei a farsi quell'abito?»
«No. Dottor Lecter, lei sa tutto. Non può aver parlato intimamente con quel "Billy Rubina" e sapere così poche cose sul suo conto.»
«La pensa così?»
«Se lo ha conosciuto, allora sa tutto. Ma oggi lei ha ricordato un unico dettaglio. Aveva avuto l'antrace da avorio d'elefante. Avrebbe dovuto vedere come sono saltati quando Atlanta ha comunicato che è una malattia dei fabbricanti di coltelli. L'hanno bevuta, esattamente come lei aveva previsto. Avrebbero dovuto darle una suite al Peabody per questo. Dottor Lec-ter, se lo ha conosciuto sa molte cose su di lui. Io penso che probabilmente non l'abbia mai conosciuto, e che fosse stato Raspail a parlargliene. Le notizie di seconda mano non sarebbero una merce altrettanto vendibile con un'acquirente come la senatrice Martin, vero?»
Clance Starling si voltò e lanciò un'occhiata alle proprie spalle. Uno degli agenti mostrava all'altro qualcosa sulla rivista "Guns & Ammo". «A Baltimora aveva altro da dirmi, dottor Lecter. Io credo che sia tutto valido. Mi dica il resto.»
«Ho letto il dossier, Clarice, e lei? Tutto ciò che ha bisogno di sapere per trovarlo è lì dentro, se presta attenzione. Avrebbe dovuto arrivarci persino
Crawfórd. A proposito, ha letto lo stupefacente discorso di Crawfórd all'Accademia Nazionale di Polizia, l'anno passato? Citava Marco Aurelio sul dovere, l'onore e la forza d'animo... vedremo se sarà altrettanto stoico quando Bella tirerà le cuoia. Credo che copi la sua filosofia da "Bartlett's Familiar" Se capisse Marco Aurelio, potrebbe risolvere il caso.»
«Mi spieghi in che modo.»
«Quando lei dimostra qualche raro barlume d'intelligenza contestuale, Clarice, dimentico che la sua generazione non sa leggere. L'imperatore consiglia la semplicità. I primi principii. Di ogni cosa particolare, domanda: Che cosa è in se stessa, nella propria costituzione? Qual è la sua natura causale?»
«Per me questo non significa niente.»
«E che cosa fa, l'uomo che vuole catturare?»
«Uccide... »
«Ah» disse bruscamente Lecter, e per un momento distolse la faccia. «Questo è incidentale. Qual è la prima cosa che fa, la cosa principale? Quale bisogno soddisfa uccidendo?»
«La rabbia, il risentimento sociale, la frustrazione sess...»
«No.»
«E allora che cosa?»
«Desidera. Anzi, desidera essere proprio ciò che lei è. Desiderare è nella sua natura. Come incominciamo a desiderare, Clarice? Cerchiamo qualcosa da desiderare? Si sforzi di rispondere.»
«No. Ci limitiamo a...»
«No. Appunto. Incominciamo desiderando ciò che vediamo ogni giorno. Non sente gli occhi che la scrutano ogni giorno, Clarice, negli incontri casuali? Non capisco come potrebbe non accorgersene. E i suoi occhi non osservano certe cose?»
«Sta bene. Allora mi dica come...»
«È il suo turno di dire qualcosa a me, Clarice. Non può più offrirmi vacanze nella stazione di ricerche sulle malattie epizootiche. D'ora in poi, tratteremo sulla base del quid pro quo. Devo essere prudente nel concludere affari con lei. Mi dica, Clarice.»
«Che cosa devo dirle?»
«Le due cose che mi deve da prima. Che cosa successe a lei e alla cavalla, e cosa fa quando è arrabbiata.»
«Dottor Lecter, quando ci sarà il tempo io...»
«Noi non misuriamo il tempo nello stesso modo, Clarice. Questo è tutto
il tempo che avrà a disposizione.»
«Più tardi. Senta, io...»
«La sto a sentire adesso. Due anni dopo la morte di suo padre, sua madre la mandò a vivere con la cugina e il marito di lei in un allevamento del Montana. Lei aveva nove anni. Scoprì che tenevano cavalli da macello. E scappò con una cavalla che non ci vedeva molto bene. E poi?»
«Era estate, e potevamo dormire all'aperto. Arrivammo fino a Bozeman lungo una strada secondaria.»
«La cavalla aveva un nome?»
«È probabile, ma loro non... non si sa mai il nome, quando si tengono cavalli da macello. Io la chiamavo Hannah. Mi sembrava un bel nome.»
«La conduceva per la briglia o la cavalcava?»
«Un po' l'uno e un po' l'altro. Dovevo condurla per la briglia vicino alle staccionate per superarle.»
«E così arrivò a Bozeman?»
«Alla periferia della cittadina c'era una scuderia con noleggio di cavalli, un ranch per turisti, una specie di scuola d'equitazione. Cercai di convincerli a tenerla. Volevano venti dollari la settimana per tenerla in un recinto, e ancora di più per un box. S'erano accorti subito che non ci vedeva. Io dissi: Va bene, la porterò in giro per la briglia. I bambini le monteranno in groppa e io gli farò fare un giro mentre i genitori fanno equitazione sul serio. E starò qui e pulirò le stalle. Uno di loro continuò a dirmi di sì mentre la moglie chiamava lo sceriffo.»
«Lo sceriffo era un poliziotto, come suo padre.»
«Questo non m'impedì di aver paura di lui, all'inizio. Aveva una gran faccia rossa. Ma alla fine fu lui a pagare i venti dollari la settimana per la pensione mentre "chiariva le cose". Disse che era inutile mettere la cavalla in un box finché faceva caldo. I giornali vennero a saperlo. La cosa fece abbastanza chiasso. La cugina di mia madre acconsentì a lasciarmi andare. Finii nella Lutheran Home di Bozeman.»
«È un orfanotrofio?»
«Sì.»
«E Hannah?»
«Venne anche lei. Un allevatore luterano le forniva la biada gratis. Nell'orfanotrofio avevano una stalla. Ci servivamo di Hannah per arare l'orto. Bisognava stare attenti a dove andava, però. Calpestava i fagioli e tutte le piante che erano troppo basse perché potesse sentirle contro le gambe. E poi portava in giro i bambini su un carretto.»
«Comunque, morì lo stesso.»
«Be', sì.»
«Me ne parli.»
«È successo l'anno scorso. Me l'hanno scritto a scuola. Doveva avere ormai ventidue anni. L'ultimo giorno della sua vita trainò un carretto pieno di bambini, e morì nel sonno.»
Il dottor Lecter sembrava deluso. «Molto commovente» disse. «Il marito di sua cugina la sbatteva, Clarice?»
«No.»
«Non ci provava neppure?»
«No.»
«Cosa la spinse a scappare con la cavalla?»
«Stavano per ucciderla.»
«Sapeva quando l'avrebbero fatto?»
«Non esattamente. Ero molto preoccupata. Stava diventando piuttosto grassa.»
«E cosa la fece decidere? Che cosa la indusse a scappare proprio quel giorno?»
«Non lo so.»
«Io credo che lo sappia.»
«Mi preoccupavo da un pezzo.»
«Cosa la fece decidere, Clarice? A che ora se ne andò?»
«Molto presto. Era ancora buio.»
«Qualcosa la svegliò. Che cosa fu a svegliarla? Aveva sognato? Che cosa?»
«Mi svegliai e sentii gli agnelli gridare. Mi svegliai al buio, e gli agnelli gridavano.»
«Stavano macellando gli agnelli di primavera?»
«Sì.»
«Che cosa fece?»
«Non potevo fare niente per loro. Ero soltanto una...»
«Cosa fece con la cavalla?»
«Mi vestii senza accendere la luce e uscii. La cavalla aveva paura. Tutti i cavalli nel recinto erano spaventati e si agitavano. Le soffiai sul naso e capì cne ero io. Mi appoggiò il muso sulla mano. C'erano le luci accese nella stalla e nel capanno vicino al recinto delle pecore. Erano lampade senza paralume, e grandi ombre. Il camion frigorifero era arrivato e rombava con il motore in folle. Condussi via la cavalla.»
«La sellò?»
«No, non presi la loro sella. La legai con una corda.»
«Mentre se ne andava nel buio, sentiva gli agnelli che gridavano dove c'erano le luci?»
«Non per molto tempo. Erano soltanto dodici.»
«E ancora adesso a volte si sveglia, non è vero? Si sveglia nel buio e gli agnelli gridano?»
«Qualche volta.»
«Crede che se prendesse Buffalo Bill e se salvasse Catherine, potrebbe fare in modo che gli agnelli smettessero di gridare? Crede che si salverebbero anche loro e non si sveglierebbe più di notte sentendo le loro grida? Clarice?»
«Sì. Non lo so. Forse.»
«Grazie, Clarice.» Lecter pareva stranamente rasserenato.
«Mi dica il nome, dottor Lecter» disse Clarice.
«Dottor Chilton» disse Lecter. «Credo che voi due vi conosciate già.»
Per un istante Clarice non si rese conto che Chilton era dietro di lei. Poi la prese per il gomito.
Clarice si svincolò. L'agente Pembry e il suo compagno grande e grosso erano con Chilton.
«Prenda l'ascensore» disse Chilton. Aveva la faccia chiazzata di rosso.
«Sapeva che il dottor Chilton non è laureato in medicina?» chiese Lec-ter. «Se ne ricordi.»
«Andiamo» disse Chilton.
«Non è lei che comanda qui, dottor Chilton.»
L'agente Pembry girò intorno a Chilton. «No, signorina, ma comando io. Lui ha telefonato al mio capo e anche al suo. Mi dispiace, ma ho l'ordine di accompagnarla fuori.»
«Addio, Clarice. Me lo farà sapere se gli agnelli smetteranno di gridare?»
«Sì.»
Pembry le prese il braccio. Doveva seguirlo oppure opporre resistenza.
«Sì.» rispose. «Glielo dirò.»
«Lo promette?»
«Sì.»
«E allora perché non completa l'arco? Prenda il suo dossier, io non ne avrò più bisogno.» Lecter tese il dossier attraverso le sbarre, con l'indice sul dorso della rilegatura. Clarice allungò il braccio al di sopra della barriera e lo prese. Per un istante la punta del suo indice toccò quello del dottor Lecter. Il contatto gli fece lampeggiare gli occhi.
«Grazie, Clarice.»
«Grazie a lei, dottor Lecter.»
E fu così che rimase impresso nella mente di Clarice Starling: colto nell'istante in cui non esercitava il suo sarcasmo. Ritto nella cella bianca, inarcato come un ballerino, con le mani giunte e protese in avanti e la testa inclinata di lato.
Clarice prese in pieno un cordolo all'aeroporto, a velocità abbastanza elevata per battere la testa contro il tettuccio della macchina, e dovette correre per non perdere l'aereo che Krendler le aveva ordinato di prendere.