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La mattina del quarto giorno, Jame Gumb era pronto per prendersi la pelle.

Rientrò dopo aver acquistato le ultime cose che gli occorrevano, e stentò a frenare l'impulso di scendere correndo la scala della cantina. Andò nello studio e tirò fuori la roba dai sacchetti: fissatore per le cuciture in sbieco, riquadri di lycra elastica da mettere sotto gli spacchi, una scatola di sale kasher. Non aveva dimenticato niente.

In laboratorio dispose i suoi coltelli su una salvietta pulita accanto ai lavelli. I coltelli erano quattro: uno con il dorso a sella, fatto per scuoiare, un altro piccolo e delicato con la punta ribassata che seguiva alla perfezione la curva del dito indice nei punti stretti, un bisturi per il lavoro di fino e una baionetta dei tempi della Prima Guerra Mondiale. Una baionetta affilata è l'utensile migliore che si possa trovare per staccare una pelle senza lacerarla.

Oltre a tutto questo aveva una sega Strycker per autopsie. Non l'aveva usata quasi mai ed era pentito di averla acquistata.

Unse la testa di supporto per parrucche, cosparse il grasso di sale, e mise il supporto sopra un tegame basso. Scherzosamente, tirò il naso della testa-manichino e le gettò un bacio.

Era difficile comportarsi in modo responsabile... avrebbe voluto volare tutto intorno alla stanza come Danny Kaye. Rise e allontanò dalla sua faccia una falena con uno sbuffo delicato.

Era venuto il momento di mettere in funzione le pompe dell'acquaio nelle vasche della soluzione. Oh, c'era una bella crisalide sepolta nell'humus della gabbia? Provò a toccarla con l'indice. Sì, c'era veramente.

E adesso la pistola.

Il problema di uccidere quell'essere aveva creato perplessità a Jame Gumb per diversi giorni. Non poteva impiccarla perché non voleva macchie pettorali, e poi non intendeva correre il rischio che il nodo lacerasse la pelle dietro l'orecchio.

Jame Gumb aveva imparato qualcosa da ognuna delle sue imprese precedenti, talvolta a caro prezzo. Era deciso a evitare alcuni degli incubi che aveva vissuto le altre volte. C'era un fatto fondamentale: per quanto fossero deboli per la fame o per la paura, opponevano sempre resistenza quando vedevano l'apparato.

In passato aveva dato la caccia alle giovani donne nella cantina buia usando gli occhialoni e la lampada a infrarossi: ed era meraviglioso vederle muoversi a tentoni, vederle rincantucciarsi negli angoli. Gli piaceva dar loro la caccia con la pistola. Gli piaceva usarla. Si disorientavano, perdevano l'equilibrio, andavano a sbattere di qua e di là. Lui poteva star fermo nell'oscurità assoluta, con i suoi occhialoni, aspettare fino a quando abbassavano le mani dalla faccia, e ucciderle con un colpo in testa. Oppure alle gambe, prima, sotto al ginocchio, in modo che potessero ancora strisciare.

Ma era un'abitudine puerile e uno spreco. Dopo diventavano inutili, e perciò aveva rinunciato del tutto a comportarsi così.

Nel corso della realizzazione del suo progetto, alle prime tre aveva proposto di fare la doccia al piano di sopra, e poi le aveva buttate dalle scale con un cappio al collo... Nessun problema. Ma la quarta era stata un disastro. Aveva dovuto usare la pistola nel bagno, e poi c'era voluta un'ora per pulire tutto. Pensò alla ragazza, tutta bagnata e con la pelle d'oca... come aveva tremato quando lui aveva armato la pistola. Gli piaceva armarla, snick-snick, poi bang e niente più chiasso.

Gli piaceva la sua pistola, ed era giusto perché era molto bella, una Colt Python di acciaio inossidabile con la canna da quindici centimetri. Tutti i meccanismi delle Python vengono regolati dai rivenditori Colt, ed era un piacere tenerla in mano. L'armò e premette il grilletto, bloccando il cane con il pollice. La caricò e la mise sul banco da lavoro.

Jame Gumb voleva offrire uno shampoo a quell'essere, perché voleva guardarlo mentre si pettinava. Avrebbe potuto imparare molti dettagli dalla disposizione dei capelli. Ma l'essere era alto, probabilmente forte. Era un esemplare troppo raro per correre il rischio di rovinare tutto con ferite d'arma da fuoco.

No. Avrebbe portato l'argano, le avrebbe offerto di fare un bagno, e quando lei si fosse sistemata nell'imbracatura l'avrebbe sollevata fino a metà del pozzo della segreta, e le avrebbe sparato diverse volte nella parte bassa della spina dorsale. Quando avesse perso conoscenza avrebbe potuto fare il resto con il cloroformio.

Ecco. Ora sarebbe salito a togliersi i vestiti. Avrebbe svegliato Precious e avrebbe guardato con lei il suo video, poi sarebbe sceso per mettersi al

lavoro, nudo nella cantina calda, nudo come il giorno che era nato.

Si sentiva quasi afferrare dalle vertigini mentre saliva le scale. Si spogliò in fretta e indossò la vestaglia. Poi inserì la videocassetta.

«Precious, vieni qui, Precious. Oggi abbiamo tanto tanto da fare. Vieni, tesoruccio.» Avrebbe dovuto rinchiuderla lassù in camera da letto mentre sbrigava la parte più rumorosa del suo lavoro in cantina... Precious odiava il chiasso e si agitava terribilmente. Per tenerla occupata, le aveva comprato una scatola di Chew-eez mentre era fuori a far spese.

«Precious.» Poiché la cagnolina non venne, si affacciò nel corridoio per chiamarla. «Precious!» Poi la chiamò in cucina e in cantina. «Precious!» Quando la chiamò dalla porta della camera della segreta, ebbe una risposta.

«È quaggiù, figlio di puttana» disse Catherine Martin.

Jame Gumb fu sopraffatto da un'ondata di paura per Precious. Poi la rabbia gli restituì le forze. Con i pugni contro le tempie, appoggiò la fronte alla porta e cercò di riprendersi. Un suono che era una via di mezzo tra un gemito e un conato di vomito gli sfuggì dalle labbra, e la cagnolina rispose con un guaito.

Gumb andò in laboratorio a prendere la pistola.

Lo spago del bugliolo era spezzato. Non capiva ancora come avesse fatto, quella. L'ultima volta che lo spago s'era rotto, aveva supposto che lei avesse tentato assurdamente di arrampicarsi. Anche le altre l'avevano tentato... avevano fatto tutte le cose più pazzesche che si potessero immaginare.

Si affacciò all'apertura e parlò con voce rigorosamente controllata.

«.Precious, stai bene? Rispondimi.»

Catherine diede un pizzicotto al grasso didietro della cagnetta, che guai e la ricambiò mordendole leggermente il braccio.

«Allora?» chiese Catherine.

A Jame Gumb sembrava assai poco naturale parlare in quel modo a Catherine ma riuscì a superare il disgusto.

«Calerò una cesta. E tu ce la metterai dentro.»

«Cala un telefono, altrimenti le spezzerò il collo. Non voglio farti del male, non voglio fare del male a questa cagnetta. Dammi un telefono.»

Jame Gumb alzò la pistola. Catherine vide la canna che si protendeva al di là della luce. Si acquattò, tenendo la cagnetta sollevata e muovendola tra sé e l'arma. Sentì che Gumb armava la pistola.

«Spara, maledetto bastardo. Sarà meglio che mi ammazzi in fretta o io le spezzo il collo, lo giuro.»

Mise la barboncina sotto il braccio, le prese il muso in una mano e le sollevò la testa. «Tirati indietro, figlio di puttana.» La cagnetta guaì. La pistola scomparve.

Catherine si scostò i capelli dalla fronte madida con la mano libera. «Non volevo insultarti» disse. «Calami un telefono. Un telefono funzionante. Tu puoi andartene, non m'interessi, non ti ho mai visto. Avrò cura di Precious.»

«No.»

«Non le mancherà niente. Pensa a lei, non soltanto a te stesso. Se spari qui dentro, comunque vada diventerà sorda. Io voglio solo un telefono funzionante. Procurati una prolunga, procurane cinque o sei e collegale tutte insieme... hanno le prese e le spine e poi cala il telefono quaggiù. Ti spedirò la cagnetta per via aerea, dovunque vorrai. La mia famiglia ha dei cani, mia madre vuol bene ai cani. Puoi scappare, non m'interessa quello che fai.»

«Non avrai più acqua. Hai bevuto la tua ultima acqua.»

«Non ne berrà più neanche lei, e non gliene darò della mia bottiglia. Mi dispiace dovertelo dire... credo che abbia una zampa rotta.» Era una bugia: la cagnetta, insieme al secchio con l'esca, le era piombata addosso, ed era stata Catherine a ritrovarsi con una guancia graffiata dalle unghie frenetiche della bestiola. Non poteva metterla a terra, o l'uomo si sarebbe accorto che non zoppicava. «Soffre. Ha la zampa tutta storta e cerca di leccarla. Mi dà la nausea» mentì Catherine. «Devo portarla da un veterinario.»

Il gemito di rabbia e di angoscia di Gumb fece guaire la cagnolina. «Tu pensi che lei soffra» disse Jame Gumb. «Tu non sai cos'è la sofferenza. Provati a farle del male e ti bucherò.»

Quando lo sentì salire precipitosamente le scale, Catherine Martin si mise a sedere, scossa da un tremito violento. Non riusciva a tenere la cagnolina, non riusciva a tenere la bottiglia dell'acqua, non riusciva a tenere niente.

Quando la barboncina le si arrampicò sulle ginocchia, l'abbracciò, grata per quel tepore.

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