10

Più emozionato di quanto non fosse stato da anni, Matt uscì dal garage in sella alla sua Kawasaki. La Honda 250cc era più adatta per i boschi e la Harley non aveva pari sulle strade, ma la Kawasaki poteva portare due persone e le sue sospensioni erano adatte a qualsiasi tipo di pista. Era una Vulcan 900cc, nera e argento, con un motore bicilindrico a quattro tempi e cinque marce, e rispetto alla Harley era ciò che una Corvette era in confronto a una berlina Lexus.

Era passata l’una di notte. L’aria, resa umida da una sottile nebbia, era gelida. Il buio era di buon augurio, pensò Matt, mentre percorreva il vialetto coperto di ghiaia e s’immetteva nella strada a due corsie. Da qualche parte dietro quelle dense nuvole c’era la luna piena.

Quella era la seconda volta nel giro di poche ore che si recava alla fattoria degli Slocumb. La prima volta c’era andato verso le sedici per controllare Kyle. Dopo che il più giovane dei fratelli si era decisamente rifiutato di farsi fare un altro esame rettale dal gastroenterologo, Matt aveva faticato a convincere lo specialista che valeva la pena fare una gastroscopia. L’esame aveva rivelato suppergiù ciò che Matt aveva previsto: una gastrite emorragica, un’infiammazione erosiva della parete dello stomaco di Kyle. Non era comunque il caso peggiore che avesse visto, per cui, quando i segni vitali e il conteggio sanguigno di Kyle si furono stabilizzati, accettò con una certa riluttanza di dimetterlo, benché stesse assumendo farmaci per bloccare la produzione di acidi e di antiacidi per lenire il tessuto danneggiato. Gli aveva assolutamente vietato di bere alcolici di qualsiasi genere, ma specialmente quel torcibudella a 150 gradi prodotto nella distilleria dei fratelli. Sorprendentemente, per quello che poteva dire Matt, Kyle aveva seguito tutte le sue prescrizioni e stava abbastanza bene.

Tenendo al minimo il motore, percorse lentamente l’ultimo mezzo chilometro della strada dai profondi solchi che portava alla fattoria degli Slocumb. Lewis lo aspettava sulla veranda. Un uomo brizzolato e muscoloso sui sessant’anni, indossava una tuta intera in tela jeans, una sbrindellata felpa nera con la scritta WVU, stivali da lavoro e un berretto nero. Si era annerito volto e mani con una specie di cerone.

«Ecco qui», esclamò, mostrando un vasetto di quella roba, «lascia che ti spalmi un po’ di questo sulla faccia.»

«Cos’è?»

«Vernice nera», rispose Lewis.

«Puah! Puzza come… Lewis?»

«Mettitene un po’ anche sulle mani.»

«Non posso credere che ti stia permettendo di fare questo», sbottò Matt. «Prevedi guai? È per questo che ci stiamo camuffando come dei commandos?»

«Che t’aspettavi? La gente che dirige quella miniera non è sopravvissuta comportandosi da sciocca. Hai portato fatto ciò che ti ho chiesto?»

Matt diede un colpetto allo zaino. «Corda, coltello da caccia, macchina fotografica, torcia elettrica, fuochi di segnalazione, una bussola e alcuni vasetti per portare via campioni.»

«Se ce la facciamo ad arrivare tanto vicini», borbottò Lewis.

«Sei proprio un ottimista.»

Sbuffò e salì sul posto del passeggero della Kawasaki.

«Vai da quella parte», disse, indicando una pista fangosa che attraversava il campo completamente buio dietro la casa.

«Questa non è un fuoristrada, sai», osservò Matt. «Non è stata neppure costruita per passare sopra la merda di vacca.»

«Laggiù c’è un sentiero», disse Lewis. «Una scorciatoia bella larga. Continua sempre diritto.»

Seguendo il raggio dei fari abbaglianti della moto, attraversarono a sobbalzi il campo e s’infilarono nel bosco. Per circa venti minuti viaggiarono in silenzio, seguendo quella che forse era stata una vecchia strada per il trasporto di tronchi d’albero. Era difficile viaggiare in due, ma Lewis era un ottimo passeggero.

Il bosco nero come la pece era spaventoso. A un certo punto una civetta gigantesca, con ogni probabilità un assiolo, attraversò il fascio di luce a non più di tre metri da loro, facendo quasi prendere un colpo a Matt.

«Un uccello implume», commentò Lewis, ridacchiando.

Per quanto riusciva a intuire, stavano viaggiando verso ovest, parallelamente alle alte colline, sul lato opposto delle quali vi era la miniera. Matt s’aspettava che lo stretto sentiero scomparisse di colpo, continuava invece ad attraversare il fitto bosco, diritto come un righello. La foschia gli rendeva arduo scrutare attraverso il visore in plexiglas, per cui agganciò il casco al manubrio.

«Sei certo di sapere dove stiamo andando?» chiese.

«Lo so.»

«Quanto manca?»

«Ci siamo. Spegni i fari.»

Ubbidì. Immediatamente li avvolse l’oscurità. Lewis si portò un dito alle labbra. Per parecchi minuti rimasero seduti in quella che pareva una radura, ad ascoltare.

«D’ora in avanti si sussurra», ordinò Lewis. «Non so se quelli della miniera hanno mandato qui qualcuno, ma non mi sorprenderebbe. I loro uomini della sicurezza sono figli di buona donna più cattivi di quanto tu possa pensare.»

«Quanto è lontano il crepaccio?»

«Un po’. Questa moto non è esattamente silenziosa.»

Matt la trascinò nel bosco e la legò a un albero. Prese poi la bussola dalla tasca dei jeans e la esaminò con una pila.

«In quale direzione è la tua fattoria?»

«Da quella parte.»

Sudest, a otto chilometri circa, notò Matt.

«Noi andiamo da quella parte», lo avvisò Lewis, indicando la pista.

Camminarono per una decina di minuti, per circa ottocento metri. Da qualche parte a destra sentì scorrere dell’acqua. Quel suono era coperto dai rumori di insetti e uccellini e di tanto in tanto dal richiamo di una civetta. Il bosco di notte.

«Dove va quel ruscello?» domandò Matt.

«Scende nel crepaccio della collina verso cui siamo diretti. Scorre sottoterra per un bel po’, poi esce nella valle.»

«Da dove viene?»

«Scorre vicino alla fattoria. È tutto ciò che so. Pronto?»

«Pronto.»

Lewis indicò un punto davanti a loro. Matt riuscì a notare un leggero cambiamento nell’oscurità. Pochi attimi dopo si rese conto che la differenza di tonalità era il fianco ripido di una collina rocciosa. Alla loro destra, il torrente, largo forse due metri, si tuffava in un’apertura nella roccia.

«Ci sono un sacco di vie che portano nelle grotte», spiegò Lewis. «Ma questa è il crepaccio ed è quello di cui ha scritto il tuo uomo misterioso. È anche la via che con ogni probabilità non è sorvegliata. Non mi sembra ci sia qualcuno, ma faremo meglio a stare in guardia.»

Entrarono nel ruscello e si abbassarono sotto una cengia per infilarsi nella collina attraverso un’apertura alta circa due metri e larga uno, il crepaccio. L’acqua ribolliva e ora arrivava loro fino alle ginocchia, poi virava bruscamente a destra per cadere in una pozza lunga e scura da un’altezza di circa trenta centimetri.

«Come ho detto, questa qui è solo una delle vie che portano dentro la collina», gli sussurrò Lewis. «Non possono introdurre i bidoni per questa via, è troppo stretta e ci sono troppi strapiombi.»

«Come fanno allora?»

«Ci sono altri sentieri più larghi, oppure li portano attraverso la miniera.»

«Questa galleria attraversa tutta la collina fino alla miniera?»

«Proprio così. È tutta in discesa. L’entrata della miniera è molto più in basso di dove siamo noi. Le cave di deposito sono a metà strada.»

«Lewis, quanto tempo fa lavoravate per la miniera?»

«Ecco… non abbiamo più fatto niente da dieci anni o più.»

«Mi sorprende che vi abbiano lasciati vivi, con tutto quello che sapete.»

«Oh, avevano pensato di mandarci qualcuno, una stupidata, poi si sono fatti furbi e hanno mandato soldi.»

«Hanno comprato il vostro silenzio per dieci anni?»

«Suppongo di sì.»

«Lewis, sai che farò chiudere quella discarica, dovessi metterci tutto il resto della mia vita.»

«Lo so.»

«Ebbene, non so quanti soldi perderete quando finiranno i pagamenti, ma voglio dirti quanto apprezzo quello che stai facendo.»

«Tu sei stato buono con noi», ribatté semplicemente.

Matt illuminò con la torcia la galleria davanti a loro. Le pareti, il soffitto e il pavimento parevano stringersi come un corridoio in Alice nel paese delle meraviglie.

«Diventa sempre più stretto e basso?»

«Ce la farai a passare», rispose Lewis. «Bada solo a non fare sospiri troppo profondi.» Ridacchiò.

«Lewis, non so come dirtelo, ma io… ho problemi con gli spazi stretti e chiusi. Li ho sempre avuti. Io… ecco… mi viene il panico.»

«Ehi, da dove ha tirato fuori una storia simile un bravo ragazzo del West Virginia? Ce la farai, dottore. Ci sono solo alcuni punti in cui dovrai strisciare e dove si passa a malapena.»

«Mio Dio», borbottò Matt.

«È passato parecchio tempo dall’ultima volta che sono stato qui, per cui faremo bene a muoverci lentamente. Non sono le strettoie che ti devono preoccupare. Sono gli strapiombi.»

Tenendo le torce puntate a terra, i due si diressero verso il centro della montagna, camminando sempre in discesa. Il rumore dell’acqua che scorreva o precipitava era costante, a volte sembrava vicino, a volte echeggiava attraverso una galleria laterale. Per due volte avevano dovuto schiacciarsi contro una parete e camminare a sghembo lungo il bordo di un precipizio. Una volta, deliberatamente, Matt aveva dato un calcio ad alcuni sassolini facendoli cadere in quelle nere fauci. Il tonfo si era udito appena.

«Non credo che ti piacerebbe cadere laggiù», aveva commentato Lewis.

La stretta galleria fece alcune svolte e Matt cominciò a chiedersi se avrebbero avuto dei problemi sulla strada del ritorno, ma Lewis sembrava muoversi con sicurezza in quell’aria pesante e stantia. Una volta, un passaggio particolarmente basso e stretto l’aveva costretto a mettersi sulle ginocchia. Matt non era riuscito ad abbassarsi sufficientemente e aveva dovuto percorrere quattro, cinque metri strisciando sulla pancia, come un marine. Immediatamente aveva iniziato a battergli forte il cuore. Si era ritrovato a pensare agli uomini delle caverne e a chiedersi come avessero potuto provare qualcosa di diverso dal terrore quando dovevano attraversare strette fenditure nella roccia senza alcuna speranza di potersi inginocchiare, girarsi, o rotolarsi e senza alcuna certezza che il cammino non sarebbe improvvisamente finito. L’idea l’aveva fatto star male e gli aveva irrigidito i muscoli tra le scapole.

Poco dopo si erano rimessi in piedi, la galleria sì era allargata e riceveva ampi affluenti da sinistra. L’aria si era fatta meno pesante.

«Là», sussurrò Lewis, indicando una delle gallerie, «quella è una delle vie che abbiamo usato per portare dentro i barili. Li trasportavamo su carrelli.»

«Chi lo fa adesso?» chiese Matt.

«E chi lo sa. Per quello che ne so hanno smesso.»

«Non credo… Aspetta. Senti questo odore?»

«Sì. La grotta che cerchiamo non è molto distante.»

L’odore, dolce, pungente e leggermente nauseante, era quello di sostanze chimiche. Benzina, toluene, Matt cercò di individuarli con precisione, ma non poté farlo con certezza. Vittoria! pensò. Tutti quei frustranti anni durante i quali aveva cercato di far capire alla gente con quale genere di morale veniva gestita la Belinda Coal Coke stavano per dare i loro frutti. Oltre a quella puzza, dalle pareti rocciose e umide riecheggiava il rumore dell’acqua che scorreva. Alla loro sinistra, appena dietro il punto in cui era Lewis, Matt riuscì a scorgere un piccolo fiume che usciva a forza da un’ampia fessura nella roccia. Il raggio della torcia elettrica riflesso dall’acqua nera illuminò lo spazio al di là. Il soffitto era inclinato verso l’alto. Ora l’odore organico era più intenso. Quali che fossero le sostanze chimiche nascoste più avanti, di certo non erano ben sigillate.

«Lewis», mormorò, «ci siamo?»

«Proprio là», rispose lui, facendo oscillare per un attimo la torcia davanti a sé.

Per circa un minuto i due uomini rimasero al buio. Il rumore del fiume che scorreva rapido riempì la caverna, di cui ora Matt intuì la grandezza.

«Avanza in silenzio, diritto davanti a te», ordinò Lewis. «Non si accende più la torcia, finché non siamo certi di non avere compagnia.»

«Riesco a vederli, Lewis!» esclamò eccitato Matt. «Posso vedere i bidoni!»

Davanti a loro, due enormi piramidi di bidoni di benzina, sei metri di base e tre metri d’altezza, riempivano solo una frazione della caverna. Un terzo mucchio stava prendendo forma. Dietro i bidoni, a quasi 180 gradi dalla galleria attraverso la quale erano entrati, vi era un altro passaggio, più largo, che con ogni probabilità veniva direttamente dalla miniera. Un filo di luce, che arrivava dal profondo di quella galleria, illuminava in controluce i bidoni.

Rimasero schiacciati contro la parete di quella camera sotterranea, lontani dai barili. Lewis accese la sua torcia elettrica, che era molto più potente di quella di Matt, e gliela porse. La vista di ciò che aveva di fronte creò nel petto di Matt un groviglio di tristezza e rabbia. Molti bidoni di benzina parevano essere ancora in buone condizioni, ma alcuni erano corrosi. Un certo numero, sei o sette per quanto poteva vedere da dove si trovava, si erano vuotati sul pavimento roccioso. A meno di dieci metri dietro i mucchi di bidoni, un largo torrente attraversava gorgogliando la caverna, diretto vagamente verso la miniera. Era impossibile pensare che le tossine non passassero attraverso le principali zone di lavoro e da lì nell’ambiente.

«Bastardi», borbottò. «Faremo meglio a muoverci alla svelta, Lewis, non ho idea di cosa facciano ai nostri polmoni o al nostro cervello queste esalazioni.»

«Niente può rovinarmi il cervello più di così», replicò lui, rafforzando la battuta con una risata roca.

Matt si sfilò lo zaino, s’inginocchiò e lo aprì. Estrasse la macchina fotografica e fece una decina di scatti con il flash. Tirò poi fuori una sacca in plastica che conteneva i flaconi per la raccolta di campioni e fece alcuni passi esitanti verso i bidoni. Era a due metri dalla pila, quando i riflettori fissati alle pareti si accesero di colpo, illuminando quasi tutta la caverna come il sole a mezzogiorno.

Matt intravide, appese a una rastrelliera, maschere antigas e tute intere. Istintivamente si lasciò cadere sul pavimento umido, proprio mentre due guardie di sicurezza entravano dall’altra galleria. Le loro esatte parole si persero nell’eco dell’acqua gorgogliante, ma capì che stavano ridendo e scherzando. Uno di loro attivò un quadro di controllo della sicurezza fissato alla parete rocciosa.

Matt si diresse carponi verso Lewis che se ne stava schiacciato contro la parete in una sacca d’ombra.

«Svelto!» bisbigliò Lewis.

Muovendosi il più velocemente possibile, Matt era a circa un metro dall’ombra quando una delle guardie lo scorse.

«Merda, Tommy, guarda! Laggiù!»

Matt vide l’uomo estrarre la pistola.

«Corri!» gridò Lewis mentre stava già scappando verso la galleria.

Matt lo seguì.

«Non dovremmo semplicemente dire loro chi siamo e che non vogliamo guai?» chiese mentre correvano.

«A loro interessa solo assicurarsi che non usciamo dalla caverna vivi», rispose Lewis. «Credimi.»

In quell’istante, dietro di loro esplosero dei colpi e le pallottole rimbalzarono dalle rocce.

«Gesù!» urlò Matt, chinandosi.

Aveva lasciato a terra lo zaino da montagna e l’apparecchio fotografico, ma per puro miracolo teneva ancora in mano la torcia elettrica di Lewis. La passò a Lewis e, seguendo la luce, si tuffarono nell’oscurità del corridoio.

All’inizio, Lewis si mosse con sorprendente velocità e agilità, ma, rapidamente, età e anni di sigarette presero il sopravvento e, quando raggiunsero la prima strettoia della galleria, stava ansimando. Matt sapeva che avrebbe potuto muoversi più velocemente da solo, ma, anche se avesse conosciuto le gallerie, non avrebbe mai abbandonato l’amico. Imprecò contro se stesso per avere cacciato entrambi in una simile situazione. Avrebbe dovuto aspettare, avrebbe dovuto mostrare quel misterioso biglietto alle autorità.

Altri spari. Matt pensò che non sarebbero mai riusciti a sfuggire ai loro inseguitori, ma Lewis aveva altri propositi. Girarono bruscamente a destra, quindi si calarono in una serie di corridoi bassissimi che Matt non ricordava d’avere preso all’andata. Il martellamento nel petto e l’oppressione in gola si accentuarono come capitava sempre quando si trovava in uno spazio ristretto. Si sforzò di continuare a strisciare. All’improvviso si ritrovò a pensare a suo padre. Come erano stati per lui quegli ultimi secondi dopo il crollo? Aveva avuto il tempo di provare paura? Avrebbe avuto paura se ne avesse avuto il tempo? L’esplosione l’aveva ucciso immediatamente, o era stato schiacciato dalle pietre?

I proiettili continuavano a rimbalzare dalle pareti rocciose e a schiacciarsi sulle pietre sotto di loro. Poi, bruscamente, la sparatoria finì.

«Da questa parte!» gridò Lewis, spegnendo la torcia. «Non possono più vederci. Ecco perché hanno smesso di sparare.»

Venne scosso da un accesso di tosse, ma esitò solo pochi secondi prima di riprendere a correre.

«Sai dove siamo?» chiese Matt.

«Mettiamola in questo modo. Io so dove sono io.»

Fece una risata gorgogliante e riprese a tossire.

«Lewis, tutto bene?» domandò Matt.

Non rispose. Si lasciò, invece, cadere sulla pancia e iniziò a strisciare attraverso una fenditura lunga due metri, non più alta di una cinquantina di centimetri e larga una sessantina di centimetri. Borbottava ad alta voce, ma continuava ad avanzare coraggiosamente. Matt chiuse gli occhi e lo seguì in quello stretto passaggio, con la paura che, da un momento all’altro, sarebbe svenuto, avrebbe vomitato o sarebbe semplicemente rimasto bloccato e sarebbe impazzito. Alla fine della fenditura, una sessantina di centimetri in più sopra la testa gli diedero lo stesso tipo di sollievo che si prova quando il dentista smette di trapanare.

Dopo un’eternità di tempo che strisciavano con le mani, le ginocchia e la pancia, il soffitto s’inclinò verso l’alto e l’aria prese un sapore più fresco. Lewis si alzò, traballando, in piedi, e testa e spalle furono nascoste dal soffitto. Matt strisciò fino a lui, inclinò la testa all’indietro e sentì una fine pioggia sul viso. Due metri circa sopra le spalle di Lewis, in cima al piano inclinato, vide una sfumatura più chiara di oscurità, il cielo.

«Puoi arrampicarti lassù?» gli chiese, sussurrando di nuovo, Lewis.

«Se non rimango incastrato, credo di sì.»

«Puoi spingermi su?»

«Certo. Infilo la testa tra le tue gambe e mi drizzo. Ma tu non tirarmi un pugno se divento intraprendente.»

Lewis non colse la pallida battuta di Matt, perché stava tossendo di nuovo.

«Sei certo di farcela?» chiese appena riprese fiato. «Non sono un peso mosca, sai.»

«Se vuole dire uscire di qua, posso sollevare un elefante. Poggiami le mani sulla testa, quindi, appena riesci ad afferrare qualcosa per tirarti su, fallo. Io t’aiuterò spingendoti i piedi. Pronto. Okay, uno, due, tre.»

Lewis non pesava più di sessantacinque, settanta chili al massimo e Matt aveva sufficiente energia nelle gambe per drizzarsi e tenere saldo Lewis stringendogli prima i fianchi, poi i piedi. Lewis gemette, emise un debole urlo, quindi si tirò su per lo scivolo e uscì.

«Svelto ora, e non fare rumore», mormorò verso il basso.

Matt alzò gli occhi e questa volta temette di non avere la forza o l’appiglio sulla roccia bagnata per tirarsi su. Mentre stava esaminando le pareti, si rese conto di avere la mano destra bagnata e appiccicosa. Annusò il palmo e cercò di vederlo, ma senza sforzarsi troppo. Aveva visto un numero sufficiente di incidenti al pronto soccorso per riconoscere l’odore e la sensazione tattile del sangue.

Puntellò schiena e spalle contro un lato del piano inclinato, allungò le braccia fino a che non riuscì a piegare le dita attorno a una roccia, quindi tirò su le ginocchia per incunearsi. Centimetro dopo centimetro fece scivolare la schiena su per la roccia, finché non poté tirare di nuovo su le ginocchia e ripetere la manovra. Finalmente sentì la punta dello stivale premere contro una piccola sporgenza. Un attimo dopo, Lewis l’afferrò per il colletto e lo aiutò a uscire.

Si trovavano sul fianco della collina, tra alberi fitti. Sei metri sotto di loro, due uomini con torce elettriche stavano ispezionando la base del pendio. A quanto pareva, le guardie avevano chiesto aiuto via radio.

«Te lo ripeto», stava dicendo uno dei due, «se ce la fanno a uscire, sarà attraverso uno dei posti giù da quella parte. Non serve a nulla continuare a cercare qui.»

Il secondo uomo scrutò il fianco della collina, ma si fece sfuggire la sua fiaccata preda per solo una quarantina di centimetri.

Matt, che aveva trattenuto il fiato, si avvicinò a Lewis che giaceva pressoché immobile sul terreno umido e coperto di foglie, respirando pesantemente.

«Stai sanguinando da qualche parte», osservò Matt.

«Come se non lo sapessi», ribatté Lewis, grugnendo e reprimendo un colpo di tosse. «Se esamini il fianco destro, proprio tra le costole, credo che troverai il foro di una pallottola.»

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