«Codice blu, unità di Terapia Intensiva… Codice blu, unità di Terapia Intensiva…»
Matt era nel reparto di medicina e chirurgia 2 e stava annotando disposizioni concernenti il trasferimento di Nikki in una camera privata, quando risonò la chiamata in codice. Non dubitò per un attimo che l’oggetto di quella chiamata fosse il boscaiolo sui sessant’anni che aveva preso il letto di Nikki. Matt l’aveva visto mentre lo trasportavano nell’unità e aveva notato il pallore attorno alla bocca e la leggera chiazzatura della pelle, tutti segni indicanti che il cuore non stava pompando in modo efficace.
Matt corse nell’unità, e vi arrivò insieme a due infermiere e al tecnico dell’apparecchio respiratore. Sebbene non rimpiangesse la decisione presa di passare dal visitare e curare un paziente dopo l’altro al pronto soccorso al rapporto più intenso e profondo dell’assistenza di base, era rimasto una specie di ibrido, e l’intensa azione richiesta da un codice blu o da traumi multipli gli procurava ancora una gradita eccitazione.
Era nella stanza prima di rendersi conto che il cardiologo al capezzale dell’uomo era Robert Crook. Matt non aveva più affrontato la sua nemesi da quella riunione finita male alla BC C. Crook salutò il suo arrivo guardandolo in cagnesco e scuotendo la testa in modo derisorio.
«Ha bisogno d’aiuto?» chiese Matt con accentuata cordialità.
«Credo di averne a sufficienza», borbottò Crook. Da dietro le spalle di Crook, l’infermiera Julie Bellet scosse con forza la testa e disse, muovendo solo le labbra: «Rimanga!»
«Rimarrò qui in giro, se avesse bisogno di me.» «Faccia come vuole. Sia pronta a dargli una scarica elettrica da quattrocento joule, per favore.»
Centoventicinque dovrebbero bastare, pensò Matt. La Bellet gli lanciò un’occhiata implorante, ma lui non poté fare altro che scrollare le spalle. Quattrocento erano decisamente eccessivi, ma non un trattamento tanto grave da spingerlo a litigare con Crook.
Il cardiologo procedette, sistemando gli elettrodi del defibrillatore sul torace dell’uomo. «A posto!… Pronti, scarica!»
Julie Bellet premette il pulsante inviando quattrocento joule di elettricità nel petto del taglialegna. Quasi immediatamente, i caotici picchi della fibrillazione vennero sostituiti da un ritmo rapido e regolare.
«Bene», dichiarò Crook in un tono significativamente indifferente, «ora è in una piacevole tachicardia sovraventricolare. Diamogli un milligrammo di Propranolol via endovena.»
No! gridò la mente di Matt. Diagnosi sbagliata, trattamento sbagliato. Si avvicinò a Crook.
«Robert», mormorò tanto sottovoce che la maggior parte dei presenti nella stanza non si rese conto che stava parlando, «Questa è una tachicardia ventricolare. Ne sono certo. Xylocaina, non Propranolol.»
Crook gli lanciò un’occhiata carica di odio. «Un milligrammo di Propranolol per endovena», ordinò di nuovo. «Anzi, due e immettetelo lentamente.»
Dannazione! pensò Matt, cercando, senza riuscirvi, di evitare la disperata occhiata di Julie Bellet che, con l’altra infermiera, stava rispondendo lentamente all’ordine di Crook, chiaramente temporeggiando. Stava per scoppiare la guerra.
«Robert», sussurrò di nuovo, «gli instilli della Xylocaina e forse riuscirà a evitare che entri in fibrillazione.»
L’occhiata di Crook fu ancora più pungente di prima.
«Mi faccia il santo piacere di…»
In quel momento, in una convulsione di battiti inefficienti, il ritmo instabile della tachicardia ventricolare del boscaiolo degenerò in una fibrillazione ventricolare pericolosa per la sua vita.
«Quattrocento joule», ordinò Crook, senza guardare Matt. «Iniettategli anche cento milligrammi di Xylocaina. Rimandiamo per ora il Propranolol.»
In quel momento, la rianimazione, che avrebbe dovuto essere semplice e ben riuscita, poteva prendere o una o l’altra strada. Fortunatamente, un potere più grande di chiunque in quella stanza decise che non era giunta l’ultima ora per quel boscaiolo. Alla defibrillazione elettrica seguì la Xylocaina che avrebbe dovuto ricevere immediatamente, che a sua volta fu seguita da un’altra scarica e all’improvviso eccoli là, un decente pattern sul monitor e una funzionale pressione sanguigna.
«Ben fatto», si congratulò Matt.
Robert Crook non si degnò di rispondere.
Nel giro di pochi minuti lo stato cardiaco del paziente si era stabilizzato. Il colorito era migliorato e la pressione era salita e si manteneva costante. Crook fece cenno a Matt di spostarsi in un angolo, dove avrebbe potuto parlargli sottovoce senza farsi sentire.
«Mi creda sulla parola», mormorò aspramente, «e inizi a cercare un altro posto dove esercitare la professione. Qualche posto molto lontano da qui.»
«Ma qui mi piace», ribatté Matt. «Sono cresciuto qui. Ho sempre pensato che sarei invecchiato qui.»
«Ebbene, può benissimo invecchiare da qualche altra parte. Cioè, se vuole invecchiare. Ha oltrepassato i limiti, Rutledge.»
«Non so di che sta parlando.»
«Ad alcune persone verrà fatto del male, e io non sarei affatto sorpreso se lei fosse una di quelle.»
«Mi sta minacciando…»
«Dottor Crook?»
Julie Bellet stava indicando lo schermo del monitor, dove erano apparsi alcuni battiti irregolari.
«Altri cinquanta milligrammi di Xylocaina per endovena», ordinò con rabbia Crook, prima di rivolgersi di nuovo a Matt: «Lei non fa fesso nessuno».
Matt allungò il braccio e afferrò l’uomo per la cravatta e la camicia, senza farsi notare dalle infermiere.
«Neppure lei», ribatté con voce stridula. «Non mi minacci mai più.»
Stupito, le guance infuocate, Crok si staccò e, sistemandosi cravatta e camicia, tornò al capezzale.
Matt non ricordava di avere mai aggredito fisicamente qualcuno da adulto. Stupido! Totalmente stupido! Era stata una fortuna che nessuno avesse visto cosa aveva fatto. Con i pugni chiusi, roteò su se stesso e, senza lanciare neppure un’occhiata all’indietro, lasciò l’unità di Terapia Intensiva. Era evidente, pensò, che Crook sapeva della loro incursione nella discarica tossica. Ma l’avvertimento proveniva da Armand Stevenson o il cardiologo aveva oltrepassato i limiti della sua posizione alla BC C? E precisamente, cosa aveva inteso dire sostenendo che: «ad alcune persone verrà fatto del male?» Quali persone?
Gli Slocumb!
Matt andò subito nella camera di Nikki per vedere se l’agente di polizia era arrivato. Era rimasto lontano da Lewis Slocumb anche troppo. Arrivò alla camera proprio mentre l’agente Tarvis Lyons percorreva a pesanti passi il corridoio. Lyons era stato compagno di classe di Matt al liceo regionale di Montgomery. Il soprannome di Tarvis, «Fossile», si riferiva alla velocità con cui faceva quasi tutto. Matt si era meravigliato che Tarvis fosse riuscito a prendere il diploma, per di più con la fedina penale pulita, ma era rimasto addirittura scioccato quando, tornato a casa dopo l’internato, aveva scoperto che era entrato nella polizia. Difficile credere che qualcuno potesse affidargli un paio di manette, per non parlare di una pistola di servizio.
«Ehi, Ledge, che succede», lo salutò Lyons, usando il soprannome di Matt al tempo del liceo. La sua voce era di un’ottava più alta di quanto ci si sarebbe aspettati dalla sua stazza.
«Grimes ha mandato te?»
Matt sperò di non avere dato troppo rilievo al «te».
«Oggi è la mia giornata libera, il che significa che sono disponibile per gli straordinari. Il capo ha detto che c’è una bambola da sorvegliare.»
«Grimes ha chiamato bambola la dottoressa Solari?»
«Ehm, non ricordo esattamente.»
«È un medico, Tarvis. Cioè dodici anni di studi dopo il liceo. Credo si sia guadagnata qualcosa di più rispettoso di un semplice ‘bambola’ da parte tua. Verrà qui anche Grimes?»
«Ha detto che sarà qui tra poco per interrogarla.»
«Fa’ esattamente quello che ti dice.»
«È proprio quello che ha detto lui.»
«Cosa?»
«Ha detto che devi aspettare e fare esattamente quello che ti dice.»
Matt sospirò. «Senti, appostati qui fuori. Assicurati che o tu o una delle infermiere conosca personalmente chiunque venga qui a visitarla. Io devo lasciare l’ospedale per alcune ore. Terrò sempre acceso il cercapersone. Chiama il centralino dell’ospedale se hai delle domande e la telefonista mi troverà.»
«Ho capito, Ledge», commentò Lyons. «Giochi ancora a pallacanestro?»
«Sì, sì, anche se non ho più un gran braccio e, a dire il vero, nemmeno gambe.»
«Sei sempre stato un gran tiratore, Ledge.»
«Grazie, Tarvis. Tieni d’occhio la dottoressa Solari.»
Matt si fermò sull’uscio e lasciò che gli occhi si abituassero alla fioca luce della camera. Nikki dormiva, respirando rumorosamente attraverso la maschera a ossigeno. Preoccupato per ciò che aveva detto Crook, non vedeva l’ora di arrivare alla fattoria degli Slocumb. Corse nella saletta delle infermiere e prescrisse un controllo neurologico ogni mezz’ora per due ore, quindi uno ogni ora per cinque ore. Un’ultima occhiata a Tarvis Lyons che stava portando fuori da una stanza vuota una sedia, e via di corsa alla motocicletta.
Il viaggio fino alla fattoria gli parve interminabile. Ancora una volta, tutti i sensi di colpa che Matt aveva provato per avere messo in pericolo la vita di Lewis Slocumb riemersero. Crook era uno stupido, ma aveva ragione. Lui aveva passato il segno. Forse sarebbe stato meglio lasciar cadere l’intera faccenda, dimenticare la discarica tossica e ammettere di non poter dare del filo da torcere alla Belinda Coal Coke più di quanto avesse potuto fare suo padre. Gli vennero poi in menti i volti sfigurati di Darryl Teague e Teddy Rideout. Quanti altri come loro ce ne saranno? Quanti altri già ce ne sono? No, decise, mentre si fermava davanti alla fattoria, per nulla al mondo avrebbe fatto marcia indietro. Avrebbe soltanto fatto attenzione a non mettere nessun altro in pericolo in nome della sua crociata.
Proprio come Lewis l’aveva atteso sulla veranda la notte della loro escursione nella miniera, così ora ad attenderlo vi era Frank. Se ne stava appoggiato alla balaustra, un fucile dall’aspetto efficiente tra le braccia. Matt si chiese se i fratelli avessero in qualche modo saputo che stava arrivando. «Come sta?» domandò Matt.
«Se la sta passando piuttosto male, soprattutto per il dolore alla spalla. Ma è ancora vivo e non fa che imprecare.»
«Questo è un buon segno. Frank, mi spiace veramente di averci messo così tanto per tornare. Ho avuto molto da fare in ospedale. Non ho potuto allontanarmi prima.»
«Sapevamo che saresti tornato appena ti fosse stato possibile.»
Nessun accenno di irritazione o di diritto acquisito. Questi uomini, duri e forti, erano abituati a prendere la vita come veniva e a concedere ai loro amici il beneficio del dubbio. Lewis, che indossava solo un paio di jeans sbrindellati e nulla dalla vita in su, era nella camera al piano superiore, appoggiato a due cuscini in una poltrona dallo schienale diritto in legno di quercia. Aveva un ottimo colorito e la benda attorno al torace era inzuppata di sangue, come era prevedibile. Il sistema di drenaggio era intatto e la garza che aveva avvolto alla meglio all’estremità del preservativo era impregnata di sangue secco e di sangue che si stava seccando. Chiaramente l’apparato stava funzionando bene.
Frank Slocumb e i suoi fratelli avevano dimostrato di essere degli infermieri in gamba. La stanza era sorprendentemente pulita e gli parve che le lenzuola fossero state lavate da quando era stato lì l’ultima volta. I tre uomini rimasero in un angolo della stanza, fieri e rispettosi, mentre lui lavorava.
«I tuoi fratelli sono stati bravi, Lewis», dichiarò Matt, auscultando con lo stetoscopio e notando che i suoni respiratori si estendevano in ogni area di entrambi i polmoni.
«Sapevano cosa sarebbe successo loro se non lo fossero stati. Allora, vivrò?»
«Frank ha detto che eri troppo irascibile per morire, e aveva ragione.»
Matt sistemò l’attrezzatura per una endovenosa e chiese che appendessero al soffitto un grosso filo di ferro che servisse da uncino. In meno di due minuti Lyle aveva inchiodato esattamente ciò di cui aveva bisogno. Matt vi appese il piccolo sacchetto in plastica che conteneva un potente antibiotico e lasciò che il farmaco entrasse nel braccio di Lewis.
«Questo garantirà che non insorga un’infezione», spiegò.
«Che mi dici di questo aggeggio?» chiese Lewis, indicando il tubo di aspirazione.
«Ecco», rispose Matt, «per quanto incredibile sia, pare che questo aggeggio ti abbia salvato la vita.» Senza alcun dubbio, pensò, doveva assolutamente inviare una lettera all’autore di Chirurgia d’urgenza. «Adesso, per come la vedo io, abbiamo tre opzioni. Lasciarlo dov’è, tirarlo fuori o cambiarlo.»
«Vuoi che votiamo?» domandò Frank.
I quattro fratelli risero alla sua battuta, che Matt non aveva afferrato.
«Come ritieni giusto tu, dottore», disse Lewis. «Preferirei comunque che non mi infilassi più niente nel petto. Non ho avuto il coraggio di dirtelo, ma quelle pinze che mi hai infilato l’ultima volta hanno fatto un male del diavolo.»
Per rispetto di Matt, i tre fratelli in piedi sghignazzarono il più sottovoce possibile.
«D’accordo, Lewis», accettò Matt, «lascerò le cose come stanno. Il problema è che, se tolgo il tubo troppo presto, il polmone potrebbe collassare di nuovo, e se lo lascio troppo a lungo, potrebbe insorgere un’infezione. In ogni caso, ragazzi, ascoltate, se dovesse insorgere un’infezione con febbre, tosse, dolore, pus o rossore attorno al foro, o altro di simile, tagliate immediatamente i punti e tirate fuori il tubo. Capito?»
«Capito», rispose Frank. «Hai fatto un bel lavoro, dottore.»
Matt tolse le bende, pulì la ferita e la fasciò di nuovo.
«Sentite», esordì. «Devo parlarvi di un’altra cosa. Credo che quelli della miniera sappiano che sono stato io a entrare in quella discarica di rifiuti. Non so per certo se sanno che c’era anche Lewis, ma volevo avvertirvi. Questo cretino all’ospedale, Crook, è nel consiglio. Mi ha fatto capire che qualcuno sarebbe rimasto ferito o ucciso per ciò che ho fatto, e che la colpa sarebbe ricaduta su di me.»
Lyle e Kyle si scambiarono occhiate furbesche.
«Che c’è?» domandò Matt. «Che avete voi due?»
Questa volta rispose Lewis.
«Sapevano che ero io, dottore. Ne siamo certi. A differenza di ciò che un sacco di gente di qui pensa, abbiamo anche noi degli amici, buoni amici per di più. Sentiamo molte cose.»
«E allora, che avete intenzione di fare per difendervi?»
I fratelli si scambiarono di nuovo occhiate d’intesa.
«Sappiamo prenderci cura di noi», rispose Lyle. «Credimi.»
Matt raccolse le sue cose, quindi fece cenno ai tre fratelli di uscire dalla stanza.
«Lewis, vuoi che ti aiuti a tornare a letto?» chiese.
«Ce la faccio da solo. Ma se il dottore è d’accordo, preferirei stare seduto in poltrona ancora un po’.»
«Mi fa piacere che te la stia cavando bene. Mi addolora ancora molto ciò che è successo. Non so per quale motivo Frank e i ragazzi continuassero a sorridere furbescamente, ma temo veramente che quei bastardi della miniera abbiano intenzione di darvi la caccia.»
«I miei fratelli non stavano affatto sorridendo furbescamente, dottore. È solo che…»
Il sibilo forte e ripetitivo di un segnalatore acustico lo interruppe. Immediatamente si sentirono pesanti passi sul pavimento in legno a pianoterra e su per le scale.
«Scusami, dottore», esclamò Lewis, alzandosi, sganciando la flebo dall’uncino improvvisato e trascinando la sedia in corridoio. «Abbiamo dei visitatori.»
Matt si affrettò dietro di lui, chiudendo la valvola regolatrice del flusso per evitare che il sangue rifluisse nel tubo della fleboclisi. I passi che aveva sentito erano quelli dei tre fratelli che si spostavano per la casa come se si fossero esercitati per questo momento molte volte. Qualcuno aveva già interrotto l’allarme. Kyle corse su per le scale e infilò una lastra di metallo di un metro e ottanta per novanta centimetri tra dove si era posizionato Lewis e la balaustra. Aprì poi l’armadio del corridoio e cominciò a impilare armi sul pavimento. Questa volta Matt notò una decina di schioppi, alcune pistole, parecchi fucili con potenti mirini e due armi semiautomatiche. Kyle lasciò due degli schioppi, una grossa pistola e un fucile vicino a Lewis, quindi gli mise in grembo una scatola in metallo nero con tastierino e numerosi interruttori. Passò poi le armi a Lyle attraverso la balaustra.
Stupito dalla dimensione e dalla portata del loro arsenale, Matt non poté fare altro che starsene alle spalle di Lewis e guardare.
«Quanti?» gridò Lewis.
«Quattro, credo», rispose Frank. «Mi pare che tra loro vi sia anche il vecchio Lonnie Tuggle. Non mi era mai piaciuto.»
Fotocamere! pensò Matt, incredulo. Da qualche parte tra gli alberi là fuori, i fratelli Slocumb, quelle leggendarie rozze creature del bosco, avevano installato un sistema d’allarme e fotocamere di sorveglianza.
«Frank», disse ad alta voce, «là fuori c’è la mia Harley. Vuoi che la sposti?»
«Dottore, pensi forse che lasceremo che accada qualcosa a quella tua splen-di-da moto? È già al sicuro nel granaio.»
«Lewis, sapevi che quegli uomini stavano arrivando?»
«Abbiamo sentito che poteva succedere.»
«Gesù», borbottò Matt. «Siete proprio degli strani eremiti. Ehi, fate attenzione», gridò. «Non voglio che vi capiti qualcosa di brutto. Nemmeno a me, a dire il vero.»
«Non è di noi che devi preoccuparti, dottore», ribatté Lewis. «Ora entra in quella stanza e tieni la testa bassa, nel caso fossero più stupidi di quanto pensiamo.»
Matt ubbidì e si lasciò cadere sulle ginocchia dietro la porta parzialmente aperta, a pochi passi da Lewis. Il più vecchio degli Slocumb, con tutti i suoi sessantadue o sessantatré anni, rimase al suo posto, con nel torace l’improvvisato tubo di drenaggio che ancora faceva colare il sangue attraverso il preservativo, il sacchetto della flebo sul pavimento ai suoi piedi, la mano destra stretta attorno alla pistola, la sinistra poggiata sulla scatola nera.
«Eccoli qui!» gridò Frank. «Due ancora in macchina. Due che stanno aggirando la casa a piedi.»
«Rimanete calmi, ragazzi», ordinò Lewis. «Non lasciatevi prendere dalla frenesia. Tutti zitti, tranne Frank.»
In quel momento si sentirono tre forti raspate alla porta d’entrata.
«È aperta», gridò Frank. «Fatemi vedere le mani entrando.»
Dal sud punto di osservazione, sbirciando oltre la lastra di metallo e attraverso la balaustra, Matt riuscì a vedere la porta che si spalancava. La grossa guardia di sicurezza della BC C che l’aveva scortato fuori della riunione con Armand Stevenson mise un piede dentro. Era alto almeno un metro e novanta per circa centotrenta chili, con la testa rasata poggiata sulle spalle come un pallone da pallacanestro. Matt non poteva vedere Frank, ma lo immaginò dall’altra parte della stanza, lo schioppo pigramente poggiato nella curvatura del gomito.
«Lonnie», lo salutò Frank.
«Frank. Ascolta, non vogliamo guai, ma ci hanno mandato qui per fare un lavoro. Sai come vanno le cose.»
«E quale sarebbe questo lavoro?»
«L’altra notte, due uomini si sono introdotti abusivamente nella proprietà della miniera. Pensiamo che uno dei due fosse il dottor Rutledge di giù in città.»
«E allora?»
«Crediamo anche che l’altro fosse uno dei tuoi fratelli.»
«Perbacco, che cosa ve lo fa credere?»
«Senti, Frank, ci conosciamo da tanto. Non dirmi stronzate e io non le dirò a te. Il signor LeBlanc delle miniera vuole incontrare quello di voi che lo ha fatto e anche il dottore. Sostiene che possano essere stati esposti a sostanze chimiche pericolose e che potrebbero essere in pericolo se non fanno la cosa giusta.»
«Lonnie, vai a dire al signor LeBlanc che hai fatto del tuo meglio, ma qui nessuno sapeva di che cosa stavi parlando.»
«Frank, dove sono Lewis e gli altri?»
«La mia parola non ti basta?»
Matt sbirciò di nuovo dalla balaustra proprio mentre Lonnie Tuggle estraeva una pistola dalla cintola.
«Frank, uno dei due che hanno sconfinato è stato colpito. C’era del sangue sulle pietre all’interno della miniera. Non era il medico, per cui, dov’è Lewis?»
«Lewis è proprio qui», ribatté Lewis, avvicinandosi alla balaustra e poggiandovi sopra la sua pistola. «Ora te ne puoi andare.»
«Mi sembri un po’ malaticcio, Lewis», osservò Tuggle. «Ti sei per caso beccato una pallottola di recente?»
Ogni muscolo del corpo di Matt era teso. Ci sarebbe stata una sparatoria, lo sapeva. Iniziò a strisciare verso gli schioppi che erano sul pavimento accanto a Lewis. Se si fosse aperto il fuoco, non avrebbe potuto fare altro che combattere a fianco degli Slocumb.
«Fermo!» mormorò Lewis senza girarsi.
Matt si appiattì sul pavimento.
«Mi hanno detto di portarti via con me, Lewis. Non posso andarmene senza di te.»
«Puoi e lo farai, a meno che tu non voglia andartene con i piedi in avanti.»
«Siamo in quattro. Uno di loro tiene sotto mira Frank proprio ora.»
«Lo vedo», dichiarò Lyle da sotto. «Farà bene a essere un pistolero dannatamente rapido per colpire Frank e non beccarsi una di queste pallottole in testa.»
«Lo stesso vale per te», esclamò Kyle, uscendo sulla balconata dalla stanza in fondo al corridoio, a tre metri da Lewis.
Lewis premette rapidamente alcuni numeri sul tastierino della scatola nera.
«Questo è un avvertimento, Lonnie», disse, premendo il pulsante d’innesco.
L’assordante esplosione proveniente dal largo cortile in terra battuta fece roteare Tuggle. In un attimo, Frank era dall’altra parte della stanza, lo schioppo contro la nuca di quell’uomo gigantesco.
«Butta a terra la pistola! Buttala ora, Lonnie!»
Riluttante, Tuggle ubbidì.
«Quell’esplosione era a circa tre metri dietro la vostra auto», gridò Lewis. «La prossima sarà esattamente sotto.»
«E i prossimi panettoni di questo schioppo finiranno nel tuo cervello», aggiunse Frank. «Forza, hai dieci secondi per riunire i tuoi ragazzi e andartene di qui. A quello ordina di mettere giù la pistola prima di muoversi.»
«Fallo, Cork», ordinò Tuggle.
Tuggle fece un cenno all’uomo dietro Frank e, un attimo dopo, apparve, spaventato e senza armi, alla vista di Matt. I due uscirono, indietreggiando, dalla porta d’entrata e chiamarono gli altri due.
«Questo lo rimpiangerai, Frank», sbraitò Tuggle. «Non sei l’unico capace di fare esplodere le cose.»
«Prima devi arrivare a noi, Lonnie. E questa volta non sei stato tanto bravo. Facci un favore e non riprovarci. Non ricaviamo un gran piacere dall’uccidere creature inermi. Di’ al vecchio LeBlanc che nessuno di noi era alla miniera. Neppure il dottore. E se dovesse succedergli qualcosa, sarai tu quello cui daremo la colpa. Capito? Capito?»
«Sì, sì, ho capito.»
Matt ascoltò l’automobile partire, poi si raddrizzò e si avvicinò a Lewis.
«Non posso credere che abbiate minato questo posto», esclamò.
«Negli anni Sessanta mi ero lasciato incantare dall’avventura e mi ero arruolato nell’esercito», replicò Lewis.
«Ricordo che me ne avevi parlato.»
«Ciò che forse non ti ho detto è che mi ero arruolato più che altro perché volevo imparare a far esplodere le cose. Ero nel reparto demolizioni in Vietnam. È stato utile, di tanto in tanto, per fare esplodere tronconi o altro. Inoltre, nessuno può avvicinarsi a questo posto, a meno che non decidiamo noi che lo può fare.»
«O allontanarsi da qui, a quanto pare. Voi ragazzi non smettete mai di stupirmi.»
«Aiutami a tornare a letto, dottore», disse Lewis, raccogliendo il sacchetto della flebo e il tubo del drenaggio. «Tutta questa agitazione mi ha un po’ stancato.»
Qualsiasi beneficio il sonnellino al capezzale di Nikki avesse procurato a Matt, ora era svanito. Con gli occhi che gli bruciavano dalla stanchezza, fissò con nostalgia la strada secondaria che l’avrebbe portato a casa, mentre puntava la Harley verso l’ospedale. Avrebbe fatto il giro di visite e poi avrebbe lasciato il suo posto a chiunque gli fosse subentrato. E dopo, il letto.
Era ancora possibile che i criminali della BC C gli stessero dando la caccia, ma, a parte essere prudente, non c’era nulla che potesse fare. Tranne fuggire, cosa che non avrebbe mai fatto. Gli Slocumb avevano chiarito il loro punto di vista e l’avevano fatto in modo fantastico. Vieni a cercarci solo se vale la pena morire per prenderci. Per quello che riguardava la discarica tossica, era impossibile prevedere cosa avrebbero fatto Armand Stevenson e gli altri dirigenti della miniera. Al momento, l’unica cosa certa era che, grazie a un biglietto anonimo di un abitante di Belinda ben poco istruito che non voleva farsi riconoscere né ricevere una ricompensa, la sua lunga battaglia contro la BC C, era stata legittimata.
Il parcheggio dei medici era quasi pieno. Costruito solo quindici anni prima, l’ospedale vantava ora specialisti in ogni campo della medicina interna e anche della maggior parte delle specialità chirurgiche. Gli seccava tributare qualche onore alla BC C, ma di fatto proprio la società era responsabile della continua crescita dell’ospedale.
Trovò un posto vicino allo spazio riservato all’ambulanza e bloccò la Harley. Attraversò poi il pronto soccorso e salì le scale, diretto al reparto di medicina e chirurgia 2. Non si sorprese nel vedere Tarvis Lyons dormicchiare nella sedia vicino alla porta della stanza di Nikki, il mento appoggiato sul petto. Qualcosa, forse i passi di Matt sul pavimento in piastrelle o una brezza nel corridoio, svegliò il poliziotto proprio prima che Matt arrivasse accanto a lui.
«Ehi, Ledge, come va?» chiese.
«Tutto bene?»
«Sì. Il trasferimento della tua signora è andato liscio come l’olio.»
«Trasferimento dove?» chiese Matt, provando un improvviso brivido.
«Per la risonanza magnetica che avevi richiesto», rispose Lyons, chiaramente disorientato.
Matt corse all’uscio. Il letto di Nikki era vuoto ed era stato rifatto, in previsione di un ritorno che Matt dubitava sarebbe mai avvenuto.
«Tarvis», disse, con il polso che gli martellava, «io non ho richiesto alcuna risonanza magnetica.»