30

Erano le dieci e mezzo di sera quando Fred Carabetta arrivò a casa di Hal, una villa rustica ma costosa con una decina di camere da letto, tre caminetti in pietre raccolte nei campi e una rimessa per barche edificata in cima a un’alta sporgenza sopra un lago naturale lungo otto chilometri. Matt e Nikki lo osservarono dalla finestra della cucina fare uscire la sua considerevole stazza da quella che sembrava una Cadillac.

«Carabetta è arrivato», gridò Matt. «In alcuni di quei tunnel passerà a fatica, ma penso che ce la farà.»

Hal entrò in cucina, la custodia di una macchina fotografica appesa a un braccio e un fucile stretto nell’incavo del gomito dell’altro. Tutto vestito di nero, come aveva consigliato Matt, era visibilmente eccitato, ma, avesse provato anche solo un po’ di paura e tensione, queste le nascondeva bene. Conoscendo il senso d’avventura dello zio, Matt non se ne stupì affatto.

«E con Freddy siamo in quattro», disse Hal allegramente. «Il nostro uomo della sicurezza dovrebbe arrivare a momenti. Con l’arma che porterà lui, più la mia vecchia Occhio di Falco e la tua pistola, dovremmo essere meglio equipaggiati di quanto fossi stato tu quando sei entrato nel deposito con Lewis Slocumb, entrambi disarmati.»

«Credimi, sono molto più bravo a correre che a sparare. Speriamo che non. succeda niente. È stato un caso che le guardie abbiano fatto il loro giro in quel momento. Sono entrate nella caverna senza immaginare che fossimo lì. Questa notte dovremo solo stare all’erta. Non ci saranno guai.»

«Penso di no», concordò Hal. «Sei sicuro di riuscire a portarci là?»

«Ho prestato molta attenzione al percorso, entrando, devi fidarti di me. Dopo ciò che è successo a Lewis, non mi pare giusto coinvolgere di nuovo gli Slocumb, anche se sono certo che uno degli altri fratelli ci accompagnerebbe, se lo chiedessi. Hanno fatto abbastanza. È un miracolo che Lewis sia ancora vivo.» Se lo è ancora.

Carabetta bussò alla porta d’entrata e gli venne aperto. Aveva un aspetto un po’ ridicolo in maglione nero e berretto da guardia, ma appesa alla spalla aveva una Pentax molto sofisticata e uno stretto astuccio in pelle che Matt arguì contenesse arnesi per raccogliere campioni. Dal momento in cui era entrato in casa, il funzionario dell’OSHA era parso a disagio.

«Salve, Freddy», lo salutò Hal. «Sei pronto a diventare il Numero Uno in quel tuo ente?»

«Non sono certo che questa sia una grande idea», ribatté Carabetta. «A che serve il fucile?»

«Vogliamo essere pronti per ogni situazione», spigò Hal. «Non prevedo guai, ma, se ce ne fossero, almeno potremo negoziare da un punto di forza.»

«Quel fucile è il punto di forza?»

«In realtà, verrà con noi anche un altro uomo, una guardia del corpo professionista. Credimi, Fred, non c’è nulla di cui preoccuparsi.»

«Entrare, osservare, forse raccogliere alcuni campioni di materiale e uscire. Questo è tutto ciò che vogliamo da lei», s’intromise Matt.

«Io… devo parlarti, Hal, in privato», disse Carabetta.

«Parli con me», replicò Matt con decisione, intuendo ciò che l’uomo voleva discutere con Hal. «Questo è il mio progetto. Venga, andiamo in un posto tranquillo.»

«La camera da letto padronale sarà perfetta», disse Hal.

Heidi, l’altra metà di Hal, era andata a trovare sua madre per una settimana. Matt guidò Carabetta in quella lussuosa camera che presentava una zona ammobiliata con poltrone e divani confortevoli, un alto soffitto con travi a vista e una finestra panoramica che dava sul lago. Lo notò fissare la stanza da bagno in cui vi era una parete di roccia da cui scendeva una cascata d’acqua direttamente in una grande vasca. Hal spiegava quella magnifica camera da letto ripetendo sempre la stessa frase: «Le tasse universitarie che non ho dovuto mai pagare». Matt intuì i pensieri di Carabetta.

Di più.

«Allora», esordì, «che c’è?»

Carabetta si raddrizzò e fissò Matt con aria di sfida.

«C’è che tutta questa faccenda è molto più complicata di quanto mi avete fatto credere. E ora ci sono armi e… e guardie del corpo e agenti di sicurezza che potrebbero o no comparire mentre siamo là.»

«E?»

«E io non penso che quello che avete pagato valga il rischio che corro.»

Matt represse uno scatto. Senza Carabetta non avevano niente.

«Quanto?» chiese.

Carabetta sbirciò di nuovo oltre la porta del bagno.

«Altri cinquemila», rispose rapidamente.

Hal non aveva rivelato nei dettagli quale era stato il suo accordo, ma da qualcosa che aveva detto, Matt aveva arguito che si trattava di circa quindicimila dollari. E ora Carabetta ne voleva altri cinquemila. Ventimila dollari, niente male per il lavoretto di una notte. A Matt venne in mente il suo anemico conto in banca da cui poteva prendere cinquemila dollari, ma nulla di più. Poi gli apparvero davanti Armand Stevenson, Blaine LeBlanc, Robert Crook, che non voleva essere chiamato Bob, e gli agenti della sicurezza che l’avevano portato fuori dagli uffici della miniera e che poi avevano tentato di uccidere i fratelli Slocumb. Infine, c’era Bill Grimes.

«Cinquemila e non un centesimo in più», accettò.

«Mi aspetto di venire pagato subito, domattina. Niente soldi, nessuna azione da parte mia qualsiasi cosa troviamo stanotte», ribatté Carabetta.

Onori proprio la tua professione, avrebbe voluto dire Matt. «Avrà i suoi soldi», disse invece.

Tornarono nel soggiorno dove, con un cenno, Matt fece capire a Hal che la questione era risolta. Indicò poi a Nikki di uscire nel corridoio, dove l’abbracciò per un attimo, quindi la baciò leggermente sulla bocca.

«Grazie», disse lei. «Stavo proprio pensando che era passato troppo tempo. Allora, quanti soldi ha cercato di cavarti?»

«Non solo cercato», rispose Matt. «Quell’uomo è un essere spregevole.»

«Sarà anche spregevole, ma serve ai nostri scopi.»

«Continua a ricordarmelo. Come ti senti?»

«Nervosa, forse un po’ spaventata. E tu?»

«Più adirato che altro, credo, per mio padre, per tutti quegli altri minatori, per tutte le umiliazioni che ho dovuto sopportare solo perché cercavo di fare la cosa giusta. Senti», continuò, chiaramente alla ricerca delle parole adatte, «tu potresti benissimo restare qui e aspettare il nostro ritorno.»

«Vuoi dire starmene sdraiata sul divano e guardare un programma di televendite mentre voi uomini ve ne andate a saldare i conti con la gente della miniera e forse con l’uomo che ha rapito me e ucciso Joe? Non mi farei mai scappare un’occasione del genere.»

«Io ho solo…»

«Mi hai appena baciata», lo interruppe Nikki. «Questo vuole dire che vengo con voi. Voglio inoltre assicurarmi che ne uscirai tutto d’un pezzo. Ma tu e io abbiamo una faccenda incompiuta da portare a termine, quando tutto questo sarà finito.»

Malgrado la bellezza e le piacevolezze sensuali della casa di Hal, la morte tremenda di Joe Keller era ancora troppo fresca. Avevano passato la notte abbracciati, a parlare e a toccarsi e a sapere che presto, molto presto, sarebbero diventati amanti. Il bacio di Matt, questa volta, fu molto meno inibito. Nikki gli rispose piantandogli le unghie nella nuca.

«Andrà tutto bene», mormorò, mentre si staccavano. «Andrà tutto bene.»

Pochi minuti dopo, un paio di fari squarciarono l’oscurità del viale d’accesso di Hal.

«Questo deve essere il nostro protettore», osservò Matt, indicando l’esterno. «Come l’hai trovato, zio?»

«So che mi consideri puro come un giglio e privo di difetti», rispose Hal, «ma la verità è che, dopo avere passato quasi tutta la mia vita da queste parti, conosco alcune persone. Proprio come te, anch’io ho le mie piccole relazioni nella valle. Ho parlato con un amico che se ne intende di queste cose. Ha accettato di trovarmi ciò di cui avevamo bisogno e, poche ore dopo, mi ha telefonato quest’uomo.»

«Chi potrebbe trovare una migliore raccomandazione di questa», ridacchiò Matt. «Sai almeno come si chiama?»

«Lo saprò. Ricorda, nipote, non abbiamo assunto quest’uomo per sfrondare il rododendro.»

«Capito.»

I due colpi alla porta furono come due spari, molto più forti di quelli di Carabetta. Hal spalancò la porta e tutti videro un uomo le cui spalle riempivano quasi il vano e la cui testa massiccia toccava quasi l’infisso orizzontale. L’uomo salutò con un cenno della testa ed entrò nella stanza. La sua enorme testa e la faccia piatta e stretta ricordarono a Matt il cattivo di un cartone animato di Dick Tracy. Aveva un grosso livido e una escoriazione in via di guarigione sopra l’occhio destro, e un cerotto quadrato gli copriva una qualche ferita sulla guancia sinistra.

Chissà se l’uomo che ha ammazzato Keller assomiglia a questo, stava pensando Matt.

«Sutcher», si presentò l’uomo. «Vin Sutcher.» Il suo nome faceva rima con butcher, macellaio.


Hal e Matt avevano deciso di parcheggiare in uno dei piccoli spazi all’inizio di una serie di sentieri. Da lì, avrebbero camminato per circa ottocento metri verso il crepaccio su un terreno che, secondo Hal, Carabetta, l’anello fisicamente debole della spedizione, sarebbe riuscito a superare senza troppa fatica. La galleria che portava alla caverna era forse un’altra storia, ma Matt era certo che ci fosse abbastanza spazio per quell’uomo, anche nei passaggi più stretti. Partirono con due macchine, Hal con la sua Mercedes assieme a Nikki e Carabetta, nella Grand Cherokee Matt e Vin Sutcher.

Matt si meravigliò nello scoprire che l’uomo era colto, aveva letto molto ed era disposto a parlare della sua vita e della sua professione. Sutcher aveva avuto una borsa di studio per la Penn State University, grazie alle sue doti di giocatore di football, ma si era rotto un ginocchio e aveva lasciato gli studi dopo il secondo anno. Per un certo tempo aveva venduto automobili e poi assicurazioni. Alla fine, grazie alla sua stazza e alla sua disponibilità a menare le mani, aveva trovato un impiego in un’agenzia che forniva guardie del corpo a divi del rock e di tanto in tanto anche a star del cinema. Viaggiava di continuo, ma aveva scelto una dimora nelle colline a ovest di Belinda come casa base, perché in quella zona la caccia e la pesca erano fantastiche e gli era sempre piaciuta la riservatezza. Era stato un caso che fosse in zona quando l’amico di Hal gli aveva telefonato.

L’arsenale di Sutcher era composto da una pistola infilata in una fondina da spalla appesa sopra una T-shirt nera a maniche lunghe e una specie di mitraglietta semiautomatica, che teneva con dimestichezza nella mano destra. Matt si chiese se avesse mai ucciso o sparato a qualcuno, ma di certo non glielo avrebbe mai domandato. Ciò nonostante, si sentiva molto più fiducioso e sicuro sapendo che quell’uomo li accompagnava.

Ci misero mezz’ora per raggiungere il crepaccio lungo un sentiero mal definito. Hal, tuttavia, conosceva la strada e guidò in silenzio la processione in fila indiana. Carabetta seguiva Hal, poi venivano Nikki, Matt e infine Sutcher.

«Sono veramente felice che tu sia qui», disse Matt a Nikki, mentre avanzavano a fatica.

«Sei molto carino quando parli così», gli mormorò lei.

Sebbene tutti avessero torce elettriche, solo Hal accendeva la sua e solo quando era necessario. La notte senza nuvole era rischiarata da una argentea luna gibbosa sufficientemente splendente da illuminare il sentiero. Il gruppo attraversò il largo torrente che ora Matt conosceva bene e senza alcuna difficoltà raggiunse il crepaccio.

«Ebbene, dottore», disse Hal, «Ora tocca a te. Facci entrare e facci uscire.»

«Ricevuto», rispose Matt, ponendosi alla testa della fila. «Fred, perché non sta dietro di me? Ci sono alcune strettoie e un punto dove dovremo strisciare per un paio di metri, ma sono certo che ce la farà.»

«Mio Dio», gemette Carabetta, «nessuno mi aveva mai parlato di dover strisciare sulla pancia.»

«Continui a pensare a tutti quei soldi e agli encomi che riceverà. La renderanno più magro. Avanzeremo anche lungo alcuni strapiombi. Lei non ci faccia caso.»

«Oh, Cristo», imprecò Carabetta.

Per Matt, la seconda camminata nel tunnel stretto e umido fu decisamente più facile della prima. Avanzava silenziosamente e con una certa sicurezza malgrado, di tanto in tanto, dovesse prendere per mano un Carabetta che bestemmiava sottovoce per fargli superare un salto o attraversare una sporgenza. La claustrofobia di Matt fu meno pesante di quanto aveva previsto, forse grazie alla familiarità con la via o perché era distratto, dovendo guidare gli altri.

Con sorprendente facilità, Carabetta superò lo stretto passaggio che tutti dovettero percorrere carponi. Davanti a uno ancora più stretto, tuttavia, si rifiutò di andare avanti.

«Basta, cazzo», imprecò facendosi sentire da tutti. «Qui mi fermo e lei può tenersi i suoi dannati soldi.»

«Fred, forza», lo esortò Matt. «Può farcela. E dopo circa tre metri potrà raddrizzarsi. Al ritorno prenderemo altri sentieri meno stretti.» A patto che riesca a trovarli.

«Niente da fare. Io resto qui.»

«Signor Carabetta, venga a parlare con me», ingiunse con voce rauca Vin Sutcher.

Senza mettere in discussione l’ordine, Carabetta passò accanto a Hal e Nikki e affrontò il gigante. Sutcher si chinò e gli sussurrò qualcosa nell’orecchio. Anche in quella galleria quasi buia, Matt credette di vedere Carabetta impallidire.

«D’accordo», disse, fermandosi a metà frase per schiarirsi la gola, «ma se temessi di rimanere incastrato, io torno indietro.»

«Che gli ha detto?» chiese Matt a voce bassa a Sutcher, dopo che tutti e cinque avevano superato la bassa fenditura senza grosse difficoltà.

«Gli ho detto che, se non andava avanti, gli avrei strappato il braccio», rispose la guardia del corpo, senza un minimo di umorismo.

«Molto efficace.»

Ora, per la prima volta, Matt colse il pungente odore della discarica di prodotti chimici. Erano trascorsi quattro giorni da quando lui e Lewis erano entrati nella caverna, un tempo con ogni probabilità non sufficiente per svuotarla anche se Armand Stevenson avesse deciso di farlo. Assoldare killer e corrompere funzionari era molto meno costoso e molto più efficace, specialmente con il capo della polizia sul libro paga. Matt si ritrovò per un attimo a chiedersi chi fosse la persona — un uomo, pensava — che aveva infilato il biglietto sulla discarica sotto la sua porta. Qualsiasi fosse stata la molla contro la BC C che aveva spinto lo sconosciuto a scrivergli, ora sarebbe scattata.

«Lo sentite?» mormorò.

«Oh, sì», rispose Nikki.

«Toluene», giudicò Carabetta. «Toluene e forse creosoto.»

«Tenete pronte le macchine fotografiche», ordinò Hal. «Signor Sutcher, prenda per favore il suo posto.»

«Con piacere», rispose Sutcher, stringendo il mitra ancora di più.

«Avanti diritto», disse Matt. «Tenete il più possibile spente le torce elettriche e bassa la voce. Qualsiasi problema verrà dall’entrata opposta.»

Cautamente, con Sutcher in testa e Hal che chiudeva la fila, la colonna attraversò lo stretto, tetro tunnel, seguendo l’odore sempre più forte dei prodotti chimici.

«Là», esclamò Matt.

Davanti a loro, non molto distante, una fioca luce grigia forava l’oscurità.

«Andate avanti», li esortò Sutcher. «Io starò all’erta.»

Matt guidò il gruppo nella caverna. Il fiume sotterraneo, l’enorme piramide tridimensionale di bidoni, che si alzava per sei metri o più, lo sgradevole, nauseante odore dolciastro, l’apparecchio di protezione appeso lungo una parete rocciosa, tutto sembrava uguale a come l’avevano visto pochi giorni prima lui e Lewis. Usando la torcia, indicò a Carabetta di avvicinarsi e fece strada lungo il perimetro prima a lui, poi a Nikki.

«Bene», ordinò Matt, «facciamo alcune foto e prendiamo alcuni campioni.»

«Rutledge», esclamò Carabetta, indicando oltre i bidoni, «che c’è laggiù?»

Matt non ebbe il tempo di rispondere. Con un rombo assordante, una luce brillante e una forza mai vista prima di allora, le due entrate della caverna esplosero simultaneamente. Immediatamente, tutto lo spazio si riempì di fumo acre e di polvere soffocante. Massi grossi come automobili e pietre di ogni genere volarono in giro. Scagliato di lato, Matt sbatté malamente contro la parete. Crollò a terra mentre la polvere gli riempiva i polmoni. Su di lui piovvero sassi. Un masso grosso come una palla da pallacanestro gli cadde sulla schiena. Altri pezzi gli seppellirono le gambe e gli colpirono le braccia con tanta forza da frantumare ossa.

In pochi istanti, le esplosione finirono. La caverna completamente buia si riempì di sedimento soffocante e dell’odore delle sostanze chimiche che uscivano dai bidoni. Matt rimase a terra, la faccia mezzo sepolta nel pietrisco. Riusciva a inspirare un po’ d’aria solo premendo la bocca e il naso contro la camicia. Le orecchie gli ronzavano tremendamente e sentì che perdeva sangue dal naso. Poi, nell’oscurità, pensò di sentire un lamento.

«Nikki?» gridò, ma le corde vocali coperte di terra riuscirono a emettere appena un gracidio.

Tossì, sputò, quindi tossì di nuovo, finché non gli parve di avere eliminato un po’ di terra dalla gola. Notò anche che il dolore alla schiena era sì forte, ma non l’aveva reso inabile. Probabilmente era solo coperto di lividi. Si fregò il naso con la mano. Non era rotto, ma stava decisamente sanguinando. Quanto, difficile dirlo. Rapidamente si esaminò le braccia, che gli parvero intatte, le gambe, che erano completamente sepolte sotto molti chili di pietre.

«Nikki?» gridò di nuovo.

«Matt?»

Pensò di avere sentito la sua voce, debole e tesa, da qualche parte alla sua sinistra, ma non ne era certo. I timpani lesi smorzavano il suono, ma la mancanza di un intenso dolore lo indusse a credere che, benché le membrane e gli ossicini fossero gonfi e contusi, i timpani non erano stati lacerati. Doveva essere stata la voce di Nikki.

Si tirò la camicia sulla bocca e sul naso per facilitare la respirazione. Con un grande sforzo, riuscì a girarsi sul fianco quel tanto da smuovere le pietre dalle gambe.

«Nikki?» riprovò.

Questa volta non vi fu risposta.

Aveva il dorso delle mani escoriato e si sentiva tutto ammaccato, ma, pietra dopo pietra, riuscì a liberare le gambe. Sembrava logico che le persone che avevano fatto esplodere la caverna avessero fatto affidamento sul crollo del soffitto per sigillare tutta la faccenda in un attimo. Chiaramente, dato che non era schiacciato sotto qualche decina di tonnellate di pietre, ciò non era successo. Liberò le gambe e le fletté. Un po’ di male, ma non quel dolore che avrebbe indicato ossa rotte. Considerato quello che era appena successo, era piuttosto integro.

«Nikki?… Hal?… C’è qualcuno?»

Il suono della sua voce non riuscì quasi a riecheggiare. Era impossibile dire quanto della caverna e quanta aria fossero rimasti. Rotolò sulle mani e le ginocchia e strisciò sopra le pietre acuminate, verso il punto da dove aveva sentito arrivare la voce di Nikki. Si era spostato di un metro quando urtò un corpo. Era una donna, distesa a faccia in giù, coperta di polvere e sassi. Aveva capelli molto più lunghi di quelli di Nikki e indossava jeans e una T-shirt su un corpo molto magro, che non poteva pesare più di una cinquantina di chili. Una ragazza, pensò, non una donna. Le controllò il battito alla carotide e lo trovò subito. In quel momento, la ragazza trasse un respiro.

«Che diavolo…» mormorò Matt. «Mi senti?» chiese parlando nell’orecchio. Nessuna risposta.

Delicatamente, attento a tenere bloccato il collo, la rigirò. Allungando la mano nella totale oscurità, le spostò i capelli e un po’ di polvere dal viso.

«Oh, mio Dio», gemette nel toccare i duri neurofibromi sparsi sul viso e sul cuoio capelluto. «Oh, mio Dio, no.»

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