23

L’ambasciata della Sierra Leone a Washington si trovava sulla Diciannovesima Strada, non lontana dagli uffici del PAVE. Un tempo signorile villa di città, ora era caduta in rovina. Tendaggi e tappeti di scarso valore e un condizionamento d’aria costituito di elementi applicati qua e là alle finestre, alcuni dei quali neppure funzionavano. Ellen era già stata in altre ambasciate, come quelle del Canada, del Messico o della Francia, ma nessuna era tanto antiquata e malridotta come questa.

Era arrivata in orario, ma dal torpore del giovane addetto alla ricezione seduto dietro il bancone, aveva capito che avrebbe incontrato sua eccellenza Andrew Strawbridge quando sarebbe capitato. Nell’anticamera, sei indefinibili sedie in legno dallo schienale diritto, tre lunghi tavoli e niente da leggere, a parte parecchie copie di un vecchio opuscolo di propaganda che decantava i meriti della Sierra Leone e una copia del Time letta e riletta. Era una fortuna che l’ambasciatore non potesse riceverla subito, aveva pensato Ellen. Aveva bisogno di un po’ di tempo per calmarsi e concentrarsi. In quel momento c’era qualcuno che stava rimuovendo dalla sua mente sia la febbre di Lassa sia l’Omnivax, e cioè Rudy Peterson.

Come aveva fatto spesso, Ellen era rimasta a dormire nella stanza degli ospiti nella casetta di Rudy. Quello che lui le aveva svelato riguardo la febbre di Lassa e la prospettiva di incontrare Strawbridge l’avevano innervosita e, dopo poche ore di un sonno agitato, si era alzata, aveva indossato l’accappatoio che Rudy aveva tirato fuori per lei, aveva fatto del caffè e portato i suoi appunti nello studio al primo piano. Non erano ancora le quattro e mezzo del mattino. Mentre cercava una penna nel cassetto in alto a destra dello scrittoio, aveva visto una busta. Era in cima a una pila di fogli e non ci avrebbe fatto caso, se non avesse notato che era indirizzata a lei, scritta con l’accurata calligrafia di Rudy. Nell’angolo superiore destro vi era pure un francobollo, ma di valore non sufficiente per inviarla. Ellen si era detta, e a ragione come scoprì in seguito, che forse la lettera era stata scritta da tempo, quando le tariffe postali erano più basse.

Aveva infilato di nuovo la busta nel cassetto e per mezz’ora era riuscita a non tirarla fuori. Era sempre stata un tipo curioso, probabilmente più della maggior parte della gente, e la passione per il pettegolezzo la metteva spesso in imbarazzo. Dato il suo carattere, non le era riuscito facile resistere alla tentazione offerta da quella scoperta. Alle cinque del mattino non era più distaccata e analitica come al solito. In quei trenta minuti le sue razionalizzazioni si erano fatte sempre più deboli. Se Rudy non aveva avuto l’intenzione che lei la vedesse, perché l’aveva lasciata nello scrittoio, dove avrebbe potuto trovarla? Se era combattuto tra lo spedirla o no, non l’avrebbe così liberato dal tormento? Per quanto assurdi e difettosi fossero quei ragionamenti, pian piano era riuscita a seppellirvi sotto il buonsenso. Quasi prima di rendersene conto, si era ritrovata con la busta aperta in mano. Il proposito di non leggerne il contenuto durò solo pochi secondi.


Cara Ellen,

penso che la cosa migliore sia togliere subito di mezzo questa parte. Ti amo. Ti amo da quando Howard ti ha portato per la prima volta nella nostra camera al dormitorio e ci ha presentati. Sono passati quattro anni da quando lui se ne è andato di casa, e sono innamorato di te come non mai, pur sapendo che tu non hai mai provato gli stessi sentimenti per me. Che fare?

Come sai, nel corso degli anni sono uscito con un bel po’ di donne. Con alcune sono andato a letto, e ho anche cercato di instaurare una relazione seria con un paio di loro. Ho comunque sempre saputo che non ero onesto nei loro confronti. Poi, alcuni anni prima che distruggesse il vostro matrimonio, Howie mi aveva detto, in una delle nostre conversazioni da uomo a uomo, che non ti era fedele. Avrei voluto dirti allora cosa stava combinando e quello che io avevo sempre provato per te. Ma mi era sembrata una cosa, come dire, sbagliata. Pur sapendo ciò che sapevo e amandoti come ti amavo, non sono mai riuscito a smettere di essere suo amico. Di questo provo vergogna.

Ebbene, ora Howie se ne è andato da tanto e tu ti sei ripresa bene. Mi racconti tutto ciò che stai facendo e mi parli anche di alcuni appuntamenti sentimentali. Questo fa male. «Io sono qui!» vorrei gridare. «Proprio sotto il tuo naso! E ti ho amata per trentacinque anni.»

Con ogni probabilità non invierò questa lettera, o forse sì. In ogni caso, penso sia fantastico che tu abbia accettato quel posto nella commissione di valutazione del vaccino e che mi abbia chiesto di aiutarti in alcune ricerche. Ti prometto che farò tutto ciò che posso per farti diventare una esperta nel campo. Vorrei essere un po’ più vivace e carismatico e un po’ meno timido, ma, ahimè, è così che sono. E non rimpiango affatto il corso preso dalla mia vita.

Ho solo pensato che era ora che tu lo sapessi.


Il tuo devoto amico

Rudy


Ellen aveva alzato gli occhi dal rattoppo logoro che stava esaminando sul tappeto orientale nella sala d’attesa dell’ambasciata e si era resa conto che l’attaché di Andrew Strawbridge le stava sorridendo.

«Presto», le aveva detto con un vellutato accento inglese. «L’ambasciatore Strawbridge sarà qui.»

«Grazie. Non mi spiace aspettare.»

La lettera era ancora nella sua borsetta. Rudy si era alzato attorno alle sei e, senza sapere che lei era nel suo studio, era uscito nel cortile dove aveva fatto una ventina di minuti di tai chi, un tai chi di alto livello, per quanto ne capiva lei. Sapeva che praticava quella splendida arte marziale e di tanto in tanto l’aveva osservato esercitarsi da solo nel cortile. Non aveva mai pensato di chiedergli se poteva unirsi a lui e lui, coerente con il suo carattere riservato, non le aveva mai proposto di farlo. Quella mattina, tuttavia, l’aveva osservato mentre si esercitava. Più tardi, durante la colazione a base di frittatine ai funghi e brie che lui aveva cucinato alla perfezione, aveva appreso che insegnava tai chi in un vicino centro ricreativo.

Era stata parecchie volte sul punto di parlare della lettera e di confessare ciò che aveva fatto, ma ogni volta si era tirata indietro. Quando si erano abbracciati, mentre lei si preparava per tornare a Washington, come avevano fatto centinaia di volte nel corso degli anni, era stato come se si fossero toccati per la prima volta.

Perché diavolo non hai infilato quella dannata lettera nella cassetta della posta quando hai avuto intenzione di farlo? aveva pensato mentre partiva.

«Signora Kroft? Signora Kroft, sono Andrew Strawbridge», si era presentato l’ambasciatore, con voce melodica e profonda.

Svegliata di soprassalto dalle sue fantasticherie per la seconda volta, Ellen era balzata in piedi, aveva mormorato una scusa e stretto la mano dell’ambasciatore. Era un uomo piccolo, esile e vivace, con cordiali occhi marrone intenso e una pelle profondamente nera. Il viso era leggermente butterato, probabilmente a causa di una malattia infettiva infantile.

«Grazie per essere venuto ad accogliermi di persona.»

«Leighton si è già alzato dalla sua sedia una volta», aveva replicato lui, ammiccando, «non volevo affaticarlo. In verità, sono venuto personalmente perché la sua telefonata di ieri mi ha incuriosito e non vedevo l’ora di conoscerla.»

«Grazie.»

«Ha detto che lei faceva parte della commissione che di recente ha approvato il supervaccino?»

«Sì. Alla fine però non ho votato né a favore né contro l’approvazione dell’Omnivax. Mi sono astenuta.»

«A volte, l’astensione è una dichiarazione molto forte», aveva osservato lui.

Le aveva fatto strada in un ufficio spazioso dalle pareti ricoperte di pannelli in mogano, con un tavolo da conferenze e una parete nascosta da scaffali pieni di libri. Una bandiera a strisce verdi, bianche e blu incorniciata era appesa dietro la scrivania. Sulle altre due pareti spiccavano le solite fotografie di diplomatici e dignitari che si stringevano le mani e una carta geografica della Sierra Leone.

«Caffè? Tè?» aveva chiesto l’ambasciatore. «Prendo in giro Leighton, ma in verità mi è di grande aiuto e prepara un caffè ottimo.»

Ellen si era raffigurata i piccoli eserciti di impiegati che facevano funzionare le altre ambasciate che aveva visitato.

«In questo caso, un caffè nero, grazie.»

«Leighton, per favore, caffè nero per la signora Kroft e il solito per me.» Lasciata la porta socchiusa, le aveva indicato una sedia di fronte alla scrivania. «E così lei è qui per parlarmi di un vaccino.»

«Sì, quello contro la febbre di Lassa.»

Strawbridge aveva sospirato.

«Un tema delicato per noi, temo, signora Kroft.»

«Non capisco.»

«La società che aveva creato il Lasaject circa dieci armi fa è la Columbia Pharmaceuticals, situata poco distante da qui.»

«Questo lo so.»

«Per quanto ne sappiamo, il vaccino è molto efficace. È d’accordo con me?»

«Sì e no», aveva risposto Ellen. «Il vaccino era stato sperimentato su un gruppo molto piccolo di persone nel suo paese, e si era rivelato protettivo. Per qualche motivo, però, la sperimentazione venne bloccata. Il vaccino è stato poi valutato su un gruppo più ampio qui, negli Stati Uniti.»

Strawbridge aveva annuito con l’aria di chi la sapeva lunga e si morse il labbro inferiore. Ellen aveva intuito che stava decidendo quanta verità svelarle.

«Sfortunatamente», aveva dichiarato infine, «nel periodo in cui la Columbia stava cercando di valutare il Lasaject, nel nostro paese vi era un certo, come posso dire, trambusto. Decisero allora di allontanare i loro tecnici e di testare il vaccino altrove.»

«È quella la sperimentazione che ho menzionato prima. Ma invece di valutarne la protezione contro la febbre di Lassa, hanno valutato i livelli protettivi degli anticorpi stimolati dal vaccino. Il rapporto della Columbia alla Food and Drag Administration afferma che, a quel riguardo, le inoculazioni avevano avuto un buon effetto.»

«Sono molto felice per loro», aveva ironizzato Strawbridge. «Ahimè, nessun cittadino del mio paese ha tratto beneficio dalla loro ricerca. Sono certo che non la sorprenderà sentire che la Sierra Leone non è un paese ricco. Le due persone a capo della Columbia, una virologa e un altro medico, sono venute a Freetown e hanno incontrato il nostro ministro della Sanità. Purtroppo, non hanno potuto trovare, come posso dire, un comune terreno finanziario per iniziare un programma di vaccinazioni di massa.»

«Mi spiace. Ho letto che l’Organizzazione Mondiale della Sanità era restia a farsi coinvolgere, finché non fosse risolta l’agitazione politica.»

Gli scuri occhi di Strawbridge avevano lampeggiato, per poi ammorbidirsi di colpo.

«Purtroppo, nel nostro paese c’è stato un certo dissenso, che ha privato milioni di persone di una conquista medica.»

«Mi spiace.»

Ellen si era stupita di ritrovarsi, in quel momento, a pensare a Rudy, a quanto più tranquilla si sarebbe sentita se lui fosse stato lì con lei, a quanto sciocca era stata ad aprire quella lettera. Perché diavolo non aveva mai parlato francamente?

«E così», stava dicendo l’ambasciatore, «quando lei ha telefonato, mi ha incaricato di due compiti.»

«So che poteva essere difficile esaudire le mie richieste.»

Strawbridge aveva sorriso pazientemente.

«Non possiamo permetterci gli esorbitanti prezzi richiesti dalla Columbia Pharmaceuticals per il vaccino», aveva ammesso Strawbridge, «ma fortunatamente possiamo permetterci i computer. La sua prima domanda aveva a che fare con il numero di casi di febbre di Lassa verificatisi tra americani.»

«Negli ultimi tre anni, giusto.»

«In base alle leggi del mio paese sulla riservatezza medica, non mi è permesso riferirle i nomi. Posso, tuttavia, dirle che, nel corso degli ultimi tre anni, in Sierra Leone sei americani si sono ammalati di febbre di Lassa e due di loro sono morti.»

«Tutto qui? Sei?»

«Tre di loro lavoravano negli ospedali.»

Sei casi in tre anni, in un paese dove la febbre di Lassa era endemica. Diciotto casi in tre anni in americani che tornavano in patria dall’Africa occidentale.

«Stranissimo, sempre più strano», aveva osservato Ellen.

«Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll», aveva esclamato Strawbridge. «È uno dei miei libri preferiti.»

«Anche per me. Ebbene, sua eccellenza, da una settimana circa, è precisamente là che mi sembra di essere, nel paese delle meraviglie.»

«Signora Kroft, ha intenzione a un certo punto di dirmi che cosa è tutta questa storia?»

Ellen si era sentita avvampare.

«Ambasciatore Strawbridge, sinceramente mi spiace di esserle apparsa tanto ambigua e la prego di essere paziente con me. Sto investigando su alcuni punti rimasti in sospeso riguardanti il vaccino Lasaject. Per ora questo è quanto mi sento di rivelarle.»

«C’è qualcosa che non va in quel vaccino?»

«No. Non ho alcun motivo per pensare che qualcosa non vada.»

«Mi terrà informato?»

«Appena avrò informazioni certe.»

Ellen aveva trattenuto il fiato mentre l’ambasciatore rifletteva sulla situazione.

«Passiamo allora», aveva detto infine, «alla sua seconda richiesta.»

«La lista dei passeggeri.»

Il contatto di Rudy al CDC aveva ottenuto il numero del volo che ognuna delle vittime americane della febbre di Lassa aveva preso per tornare negli Stati Uniti. Dieci di loro avevano viaggiato da Freetown a Londra con la Sierra National Air, quindi da Londra verso varie città degli Stati Uniti. Le altre otto vittime avevano preso voli della Ghana Air da Freetown a Accra e da lì direttamente a Baltimora. Ora speravano che la lista dei passeggeri fornisse un nome ricorrente, che potesse indicare un vettore della malattia.

«Sa», aveva osservato Strawbridge, «a noi diplomatici insegnano a non dare mai nulla per niente. Se le consegno questi documenti, ho anch’io una richiesta da farle.»

«Sì?»

«Con la decisione di tenersi ben stretto il vaccino, finché non avessimo potuto soddisfare le loro richieste in danaro, quelli della Columbia Pharmaceuticals hanno profondamente deluso il mio governo. Se lei scoprisse qualcosa che ci permettesse di, come dire, rendere loro la vita più difficile, mi promette di farmelo sapere?»


Ellen, seduta su una panchina illuminata dal sole al DuPont Circle, cullava il cellulare in grembo e seguiva ogni coppia che passava. Andrew Strawbridge le aveva consegnato non solo le liste dei passeggeri dei voli della compagnia nazionale della Sierra Leone, ma anche quelle della Ghana Air. Il successivo passo logico sarebbe stato quello di intervistare alcune delle poche vittime sopravvissute alla febbre di Lassa. Aveva sufficiente credito sulla carta Visa per poter fare qualsiasi viaggio fosse stato necessario.

Dopo lo scontro nel suo soggiorno con il mostro che aveva minacciato sua nipote, non aveva pensato ad altro che a trovare un sistema per bloccare la produzione e la distribuzione di Omnivax senza mettere in pericolo Lucy o chiunque altro della sua famiglia. L’enorme testa dell’uomo, i suoi occhi crudeli e la caratteristica cicatrice si erano incisi nella sua mente. In qualche modo l’avrebbe trovato e, allora, avrebbe cercato anche i mezzi per distruggerlo nel modo più doloroso possibile. Con sua grande sorpresa, da quando era comparso in casa sua con la sua sciocca vanità e le sue minacce, si era resa conto di essere pienamente capace di uccidere un uomo. Intanto, avrebbe corso qualsiasi rischio fosse stato necessario per distruggere coloro che l’avevano assoldato. Il guaio era che, all’improvviso, non voleva più farlo da sola.

Da quando Howard se ne era andato, lei era riuscita a tenere sotto controllo la sua vulnerabilità e la solitudine. Avere letto la lettera di Rudy aveva cambiato ogni cosa. Di colpo si era sentita incerta e spaventata. L’ultima cosa di cui aveva bisogno a questo punto era perdere acutezza, diluire in qualche modo l’odio che la spingeva ad agire. Eppure era proprio questo che sembrava le stesse accadendo.

Il primo dei casi sulla Usta ottenuta da Rudy non aveva risposto al telefono e non aveva alcuna segreteria telefonica. Alla seconda telefonata aveva risposto un uomo che le aveva detto che, sì, sua moglie era sopravvissuta a quella terribile malattia e, sì, sarebbero stati felici di incontrare Ellen appena fosse tornata a casa dal lavoro.

Ellen chiamò subito il servizio informazioni e annotò il numero telefonico della United Airlines. Poi, senza quasi rendersi conto di ciò che stava facendo, compose il numero della casetta di Rudy.

«Pronto?»

«Rudy, ciao, sono io.»

«Chiami dalla grande città?» le chiese, con un finto tono nasale.

«DuPont Circle.»

«Cosa hai scoperto?»

«Sei casi in tre anni, Rudy. Questo è il totale di americani rimasti infetti dalla febbre di Lassa nella Sierra Leone. Sei. Tre lavoravano in ospedali.»

Rudy fischiettò.

«Non penso di avere bisogno della mia laurea in statistica per sapere che non sono molti rispetto a quelli contagiati su quei voli», commentò.

«Penso proprio di no. Strawbridge mi ha dato anche le diciotto liste. Ho già contattato una delle pazienti del tuo elenco. Vive nei paraggi di Chicago.»

«Vai a trovarla?»

«Certo.»

«Sono d’accordo.»

«Rudy?»

«Sì?»

«Io… io vorrei che tu venissi con me.»

«Ehi, grazie di cuore. Quando pensi di andarci?»

«Oggi. Questo pomeriggio.»

«Oh, maledizione. Mi spiace, El, ma devo tenere una conferenza a scuola e dare anche una lezione privata. Temo che anche domani non vada bene. C’è questa famiglia di immigranti russi cui insegno a leggere e a scrivere l’inglese. Potrei spostarli a un altro giorno se riuscissi a contattarli, ma non hanno telefono e…»

Ellen osservò una coppia coccolarsi su una panchina di fronte a lei, e sentì un nodo in gola.

«No, no. Per piacere, non cambiare i tuoi piani», riuscì a dire. «Andrà tutto bene. Volo a Chicago e torno in giornata e questa notte o domattina presto vengo su da te.»

«Hai ragione. Andrà tutto bene. Chi è la donna? Dove vive?»

«Vive a Evanston. Si chiama Serwanga. Nattie Serwanga.»

Загрузка...