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«Senta, agente, non voglio essere noiosa, ma questa donna è veramente malata e sta girando per la città, e crede che qualcuno stia cercando di ucciderla. È sicuro di averlo diramato a tutti?»

«Signora, glielo assicuro. Questo è il quarto giorno che telefona. Tutti qui sanno di Kathy Wilson. Tutte le nostre auto e i nostri agenti sono impegnati nella ricerca. La chiameremo appena la troviamo.»

Erano passati quattro giorni dalla telefonata di Kathy e, fino a quel momento, non l’aveva più sentita. Quando Nikki era tornata a casa dallo stadio, aveva trovato un suo incoerente messaggio sulla segreteria telefonica, ma nessun numero che potesse dire da dove aveva chiamato. Il messaggio, caustico e sconnesso, era terrificante sia per il tono sia per il contenuto. Kathy Wilson era chiaramente impazzita.

Joe Keller aveva cercato di confortarla come meglio poteva, date le circostanze, senza trattarla con la condiscendenza usata invece dalla polizia. Era affascinato, come Nikki si era aspettata, dal rapido sviluppo di quelli che, da ciò che aveva intuito dalla sua descrizione, dovevano essere dei neurofibromi. Per due volte aveva iniziato a spiegarle le diverse diagnosi di quella malattia, ma, appena aveva capito che lei sentiva solo una frazione di ciò che stava dicendo, aveva smesso.

Nikki camminò su e giù per l’appartamento, usando un telecomando per cambiare i cinque dischi contenuti nel lettore CD, passando da Mahler a Carly Simon a Miles Davis ai due CD dei Bluegrass Ramblers, per ricominciare da capo. Ogni superficie piatta nell’appartamento sembrava reggesse una tazza di caffè o tè mezzo vuota. Più di una volta aveva dovuto lottare contro l’impulso di uscire e comperare un pacchetto di Merit, la marca che fumava prima di smettere più di dieci armi fa. Il soggiorno era disseminato di libri di testo, ognuno aperto su qualche aspetto dei neurofibromi o dell’acuta paranoia. All’esterno, la pioggia incessante era diminuita, ma stava mugghiando il vento.

Nikki passò di nuovo su Mahler, una registrazione intensa della sinfonia n 7, quindi s’inginocchiò accanto a uno dei testi medici. Sindrome di Bourneville, morbo di von Recklinghausen, sindrome di Sturge-Weber, sindrome di Hippel-Lindau. Tutte queste patologie, che includevano neurofibromi, erano per lo più il risultato di mutazioni genetiche di uno qualsiasi dei numerosi e diversi cromosomi. Tutte erano accompagnate da disturbi cerebrali, provocati da tumori o dallo sviluppo di neurofibromi nel sistema nervoso centrale. La miglior diagnosi che Nikki riuscì a fare fu che Kathy Wilson aveva qualche variante del morbo di von Recklinghausen, la malattia più comune, che, stando ai testi, colpiva un individuo su 3500. Morbo di von Recklinghausen; esito: letale, a volte entro pochi anni dalla diagnosi. Cura: nessuna.

Lo squillo del telefono la fece sobbalzare.

«Kathy!» esclamò mentre scavalcava il testo di patologia e strappava il ricevitore.

«Nikki, Sono Joe Keller.»

«Oh, salve. Grazie per aver chiamato. Ancora nessuna notizia. Ogni volta che squilla il telefono, salto fuori dalla pelle pensando sia lei.»

Per alcuni secondi cadde un silenzio spiacevole.

«Nikki, mia cara, ascolta», disse infine Keller. «Kathy Wilson non ti telefonerà.»

Nikki crollò sul divano, e un velo di incredulità le coprì la mente.

«Oh, no», esclamò.

«Mi spiace doverti dare questa notizia al telefono. Non sono riuscito a trovare un modo per farti venire qui e dirtelo di persona. Nikki, Kathy è morta. È stata investita da un camion in Washington Street circa un’ora fa. Il suo corpo è qui.»

No, no, no!

«Joe, io… ha lasciato un messaggio solo poche ore fa. Oh, è terribile.»

«Nikki, hai fatto tutto il possibile.»

«Avrei potuto fare qualcosa. Avrei dovuto dirle qualcosa di diverso quando abbiamo parlato l’ultima volta.»

«Nikki, hai fatto tutto ciò che potevi. Ne sono certo. Dall’aspetto dei fibromi, direi che la malattia di Kathy sarebbe progredita rapidamente, portandola con ogni probabilità a una morte prematura. Se le descrizioni del suo comportamento immediatamente prima della morte sono vere, questo incidente potrebbe essere stato in realtà una manifestazione della malattia che seguiva il suo corso.»

«Cosa è successo?»

«Non lo so con precisione, ma lo saprò. La polizia arriverà qui a minuti. Ho sentito che stava facendo a pezzi un bar. Gli agenti della sicurezza l’hanno scortata fuori e lei è improvvisamente scappata ed è corsa in strada. L’autista del camion ha detto di non avere avuto nemmeno la possibilità di frenare.»

«Oh, mio Dio.»

«So che sarà dura, ma puoi venire a identificarla?»

Nikki si asciugò le lacrime con la manica. Per tutta la settimana aveva temuto, addirittura previsto, il peggio. Ora era successo.

«Sarò lì tra dieci minuti», rispose.


Neonati picchiati e maltrattati fino alla morte, corpi completamente bruciati, colpi di fucili in pieno volto, lunghe immersioni in acqua, incidenti di ogni genere, durante gli anni passati nello studio del coroner aveva visto di tutto. Nulla comunque l’aveva preparata alla tremenda angoscia di vedere il cadavere maciullato di Kathy Wilson, steso sul tavolo in acciaio inossidabile proprio vicino a quello su cui, pochi giorni prima, aveva eseguito l’autopsia di Roger Belanger.

Da una certa distanza, sembrava che il collo, piegato in modo innaturale, fosse spezzato. Sopra il lenzuolo che le copriva il corpo, il volto pallido dai lineamenti già deformati dalle numerose protuberanze era stato sorprendentemente risparmiato. Vi era tuttavia un rivoletto di sangue essiccato che scendeva dall’angolo della bocca, una bocca che non avrebbe più cantato. Con l’impressione che qualcosa le stesse comprimendo il petto, Nikki fece un passo avanti e, piano piano, sollevò il lenzuolo. La polizia o il tecnico dell’autopsia le avevano strappato i vestiti. Come Nikki, anche lei amava correre, ed era più larga di spalle e più muscolosa dell’amica. Quando i loro orari di lavoro lo permettevano, correvano volentieri insieme. Ora il corpo di Kathy appariva fragile e ossuto. Aveva evidentemente subito un urto da sinistra, un impatto a grande velocità. Il braccio era quasi del tutto strappato all’altezza della spalla e, da quel lato, la parete toracica era incavata. Era solo una misera consolazione, ma data l’angolazione della testa e la probabilità che il colpo al torace le avesse tranciato l’aorta, la morte doveva essere stata istantanea.

Per alcuni momenti, il suono del mandolino di Kathy le riempì la testa. Era l’assolo, svettante, avvolgente e sbalorditivo, da Nik the Quick, un pezzo che Kathy aveva scritto per lei e registrato nel secondo album del complesso.

Grazie a Dio per i CD. Una parte di Kathy Wilson avrebbe continuato a vivere, finché viveva la sua musica.

Nikki riabbassò delicatamente il lenzuolo, quindi si chinò e baciò l’amica sulla fronte.

«Ho finito, Joe», riuscì a dire.

Tornò nello studio di Keller e si lasciò cadere sulla sedia di fronte a lui.

«Avresti dovuto sentirla suonare e cantare, Joe. Quando finiva, tutti si alzavano in piedi e applaudivano, chiedendo ad alta voce un bis. Faceva ballare gli ottantenni, era splendida.»

«Grazie al nastro che mi hai portato, posso dire, in tutta sincerità, che sono d’accordo con te. La sua non è una musica cui sono abituato, ma mi piace.»

«Mi fa piacere sentirtelo dire. Joe, se fosse possibile, puoi fare tu il postmortem autoptico sul cadavere?»

Non permettere che le si avvicini Brad Cummings!

«Era mia intenzione», rispose lui. «Lo farò questa sera stessa.»

Dalla morte della moglie, Keller aveva sposato il lavoro. Lo si poteva trovare nel suo studio a tutte le ore, fine settimana compreso, curvo sul microscopio, a interrogare le cellule e le loro aggregazioni, ricevendone spesso risposte. Non era certo insolito per lui trascorrere la notte in una delle camera di guardia.

«E, Joe?»

«Sì?»

«Ho un altro favore da chiederti. Anche se ti sembra del tutto normale, potresti fare un esame autoptico del cervello?»

Keller le lanciò un’occhiata interrogativa.

«Anche se non notassi alcun problema, vuoi che sezioni, fissi e colori il cervello?»

A differenza della maggior parte degli altri tessuti, i vetrini del cervello richiedevano una fissazione e una colorazione lunga, dettagliata e costosa. Non si poteva eseguire l’esame microscopico prima che fossero passati alcuni giorni, a volte addirittura due settimane. A causa del costo, a meno che un primo esame avesse rivelato un problema anatomico cerebrale, l’esame al microscopio non veniva mai eseguito.

«Per favore, fallo in ogni caso», lo pregò. «Fa’ qualsiasi colorazione ti venga in mente alla ricerca di tossine. Era impazzita, Joe. Continuava a parlare di persone che cercavano di ucciderla. Nel giro di pochi mesi si era trasformata da una delle donne più creative, affascinanti e concentrate, in una persona paranoica che temeva che io stessa cercassi di farle del male.»

«Come posso dirti di no?»

«Grazie, Joe.»

«Ehm… non vorrei renderti questa giornata ancora più difficile, ma nessuno ha ancora avvisato la sua famiglia.»

«Immaginavo che avrebbe voluto lo facessi io. Entrambi i suoi genitori sono ancora vivi. Negli ultimi anni Kathy non si sentiva più molto vicina a loro, ma erano in contatto e, quando poteva, faceva suonare il complesso dalle loro parti.»

«Di dove era?»

Estrasse dalla borsa un’agendina tutta stracciata.

«Viene da una città carbonifera nei monti Appalachi. Ho qui il suo numero telefonico e l’indirizzo. Il paese si chiama Belinda. Belinda nel West Virginia.»

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