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Da due giorni non smetteva di piovere. Nikki Solari odiava correre con quel tempo, ma oggi stava pensando di farlo comunque. Era passata più di una settimana da quando la sua compagna d’appartamento e intima amica, Kathy Wilson, si era precipitata fuori della loro casa nella zona meridionale di Boston. Una settimana senza farsi sentire, né con lei né con amici comuni. La polizia era stata di poco aiuto. Nikki aveva compilato moduli e consegnato fotografie, ma, fino a quel momento, niente.

«… signorina Solari, cerchi di calmarsi. Sono certo che la sua amica tornerà.»

«Dottoressa Solari, per favore, e come mai ne è tanto sicuro?»

«È quello che succede nei casi come questo. Tutti si preoccupano, poi la persona scomparsa riappare.»

«Vede, questa persona scomparsa è una musicista di grande talento che non avrebbe mai lasciato il suo complesso nei guai. Cosa che ha fatto. È un’amica profondamente fidata, che non farebbe mai nulla per sconvolgermi. Cosa che invece ha fatto. È inoltre una donna estremamente gentile e sensibile che non direbbe mai nulla di offensivo a chiunque. Eppure, prima di scomparire non faceva che insultare tutti.»

«Dottoressa Solari, in tutta sincerità, lei e la signorina Wilson eravate amanti?»

«Oh, Cristo…»

Nikki aveva un disperato bisogno di scacciare dalla mente la preoccupazione, anche solo per un po’, e l’unico modo per riuscirci era mettersi a correre, suonare ed eseguire autopsie.

Erano le undici del mattino. Ancora un’ora alla pausa pranzo, poi sarebbe potuta andare a correre per un paio di chilometri. Era alla finestra del suo studio e guardava le automobili che percorrevano Albany Street lungo il moderno edificio, il quartier generale del medico legale e del suo staff. Da tre anni era associata nello studio di medicina legale di Josef Keller. Era affascinata dal suo lavoro e adorava letteralmente il suo capo. L’ultima settimana, tuttavia, era stata un inferno. Lanciò un’occhiata alla scrivania: c’erano referti da leggere, dettature da fare e parecchi vetrini da riesaminare, ma non riusciva a concentrarsi.

«Ehi, bellezza, c’è un caso per te.»

Senza aspettare di essere invitato, Brad Cummings entrò nello studio a grandi passi. Divorziato con due figli, Cummings era il vicecapo medico legale. Atletico, gentile e, agli occhi di ogni donna della città, tranne quelli di Nikki, attraente. Lei lo trovava compiaciuto, pieno di sé e decisamente troppo belloccio. Proprio l’opposto di quello che cercava in un uomo.

«Dov’è il dottor Keller?» chiese Nikki.

«Rientra all’una. Ciò significa che fino a quel momento il capo sono io, per cui spetta a me dire chi riceve un caso. Ti tocca questo vascaiolo.»

«Questo cosa?»

«Questo sessantaseienne ha avuto una trombosi coronarica mentre entrava nella sua Jacuzzi, ha sbattuto la testa ed è partito per la sua nuotata eterna. Otto mesi fa gli hanno fatto un bypass. Ho parlato con il suo medico, mi ha detto che assumeva un sacco di farmaci e che senza alcun dubbio ha avuto un infarto miocardico. Per cui c’è solo da dargli un’occhiata. Il che significa che abbiamo tutto il tempo per andare a mangiare in quel localino in Newbury Street di cui ti ho già parlato.»

«Brad, non voglio uscire con te.»

«Pensavo che tu avessi rotto con quell’omuncolo con cui uscivi.»

«Rettifica. È stato quell’omuncolo a piantarmi. E io non ho alcuna voglia di mettermi con qualcun altro.»

«Ti piaccio. Lo capisco.»

Nei momenti migliori, Nikki lo tollerava appena.

«Brad, hai più che sufficienti scalpi appesi nella tua tenda, anche senza il mio. E sono certa che ce ne sono molti altri, là dove hai raccolto i primi. Andremo perfettamente d’accordo, a patto che tu mantenga i rapporti su un livello professionale. Ma chiamami di nuovo bellezza o dolcezza o baby o in qualsiasi altro modo che non sia Nikki o dottoressa Solari, e ti prometto che scriverò una nota e la darò al dottor Keller. È abbastanza chiaro?»

«Ehi, calma.»

Nikki ebbe l’impressione che si fosse fermato un attimo prima di aggiungere «baby».

«Vado a occuparmi del nuovo caso», borbottò lei.

«Te l’ho già detto, basterà un semplice sguardo. Non richiede lo scalpello, dagli solo un’occhiata e firma la dichiarazione di morte.»

«Se non ti fa niente, prenderò quella decisione dopo averlo esaminato.»

Nikki non aggiunse che per nulla al mondo avrebbe trascurato questo caso, per quanto semplice fosse. Era l’occasione ideale per non pensare a Kathy per alcune ore senza infradiciarsi nelle vie di Boston.

«Fa’ come ti pare», replicò lui. «Tre giorni.»

«Cosa?»

«Tre giorni. Ecco quanto è rimasto in acqua quel tipo. È un po’… ecco, gonfio. Sei certa di non volerlo solo ‘guardare’ e poi fuggire via?»

«Buon pranzo, Brad.»

Nikki si infilò la tuta e trovò il cadavere di Roger Belanger su uno dei tre tavoli in acciaio inossidabile nella sala autopsie. Figlia di un italiano e di una irlandese, poteva facilmente far risalire i folti e neri capelli e la larga (qualcuno diceva sensuale) bocca al padre, e la pelle chiara, gli occhi verde mare, la struttura slanciata e lo spirito caustico alla madre. Spinta dal padre, aveva cercato di seguire le sue orme in chirurgia, ma, dopo un anno di internato e dopo essersi resa conto che il suo desiderio di avere una vita al di fuori della medicina sarebbe stato annullato dalle troppe ore in sala operatoria o dai giri di visite in corsia, era passata a patologia. Non aveva mai rimpianto quella decisione.

Belanger non era di certo il cadavere più brutto che avesse esaminato, ma non era neppure molto gradevole alla vista. Sovrappeso e quasi completamente calvo, era gonfio e scolorito, con la pelle, marmorizzata e rossastra. Gli arti flaccidi erano ben oltre il rigor mortis. La cicatrice bianca del bypass gli correva lungo lo sterno.

Addio, per ora, Kathy, pensò, mentre iniziava a concentrarsi sui dettagli del corpo. Ti farò tornare nei miei pensieri tra due ore.

«Per quanto chiaro sia un caso», le aveva ricordato più di una volta il dottor Keller, «per quanto apparentemente da aprire e chiudere immediatamente, evita di fare ipotesi. La procedura è tutto. Se ti attieni alla procedura, passo dopo passo, ti capiterà raramente di dover spiegare di non avere notato qualcosa.»

Primo passo: leggere attentamente quante più informazioni sul soggetto si riescono ad avere. Secondo passo: ispezionare ogni millimetro della pelle.

Mentre eseguiva il suo lavoro, Nikki attivò il sistema di dettatura con il piede.

«… cicatrice ben rimarginata di sette centimetri e mezzo nel quadrante addominale inferiore destro, con ogni probabilità causata da una appendicectomia; cicatrice di ventidue centimetri e mezzo, suppergiù dello stesso periodo, sulla coscia interna destra, probabilmente perché era stata utilizzata una vena per il bypass; cicatrice ben rimarginata di cinque centimetri appena sotto la rotula sinistra, probabile conseguenza di una vecchia lacerazione.

«Un’unica contusione appena sopra e dietro l’orecchio destro, con alterazione del colore e un certo rigonfiamento, ma nessun infossamento dell’osso sottostante. Vi è una abrasione della dimensione di un nichelino appena sotto la mandibola destra che…»

Nikki fissò il semplice graffio. Era l’unico punto sul corpo infradiciato di Belanger dove la pelle era scorticata. Infilò un paio di occhiali con lenti d’ingrandimento e illuminò la zona con una lampada a collo d’oca. L’abrasione aveva una perfetta forma esagonale. Al centro, dieci minuscoli lividi formavano la lettera «H». Fotografò la zona, quindi continuò il suo esame meticoloso.

La procedura è tutto.

Un’ora dopo aveva compiuto due cose importanti. Era riuscita, temporaneamente, a togliersi dalla mente le sue preoccupazioni per Kathy Wilson, e le mancava pochissimo per poter dimostrare che Roger Belanger era stato assassinato. Si sfilò i guanti, afferrò le Pagine Gialle di Boston e telefonò. Pochi minuti dopo faceva squillare il cercapersone di Brad Cummings.

«Cristo», esclamò, i piatti che tintinnavano in sottofondo, «questo cercapersone squilla tanto di rado, che mi sono spaventato a morte.»

«Hai finito?»

«Stavamo aspettando i flan.»

Nikki non aveva alcuna voglia di venire a sapere con chi stesse pranzando.

«Ho bisogno che tu vada a ritirare qualcosa per me e che torni immediatamente qui, Brad.»

«Ma…»

«Nessun ma, nessun flan. Vai al Pool and Patio di Mulvaney sulla Statale 9, proprio dietro il centro commerciale. Sai dov’è?»

«Sì.»

«Hanno un pacco a tuo nome. Undici dollari e novantacinque centesimi, più tasse. Ti renderò i soldi. Sbrigati.»

Nei successivi quarantacinque minuti, Nikki terminò di raccogliere campioni, quindi attese. Inesorabilmente riemerse l’ansia per l’amica. Si erano conosciute circa tre anni prima in un circolo folcloristico a Cambridge. Nikki suonava il violino da quando, a soli tre anni, suo padre l’aveva iscritta a un corso d’apprendimento con metodo Suzuki. Aveva suonato in complessi di musica da camera durante gli anni dell’università, ogni volta che trovava il tempo, e ciò che otteneva dalla sua musica l’aveva soddisfatta, almeno fino al giorno in cui aveva sentito suonare Kathy Wilson e i Lost Bluegrass Ramblers. Kathy era la prima voce e suonava strumenti a corda — mandolino, chitarra e contrabbasso — con talento straordinario e sentimento.

Nikki aveva già sentito quel genere di musica country, ma in verità non vi aveva mai prestato molta attenzione. Ma quella sera, i Ramblers, e Kathy in particolare, l’avevano entusiasmata come da tempo non le era successo ascoltando o suonando la sua musica. Dopo l’esibizione, aveva aspettato accanto alla porta del camerino.

«Non colleziono autografi», aveva spiegato appena Kathy era uscita, «ma volevo dirle che la sua voce e la sua energia mi piacciono moltissimo.»

«È una cosa naturale. Lei suona il violino professionalmente?»

«No, no. Ma come…»

«Ha il segno del violino proprio sotto la mascella.»

Nikki conosceva quel segno marrone rossiccio e la piccola protuberanza sotto il segno, provocati dalla pressione della mentoniera del violino.

«È diventata un’abitudine ai tempi dell’università», ammise. «Suono per lo più musica da camera.»

«Occhi e collo, è così che giudico una persona. Occhi e collo. E i suoi mi dicono che lei ha a cuore la gente e la musica.»

Mezz’ora più tardi, Nikki stava bevendo birra con il complesso e condividendo con Kathy dettagli intimi sulla sua ridicola mancanza di senno nella scelta degli uomini. Una settimana dopo, Kathy le diede una lezione di musica folcloristica bluegrass. Nei due anni successivi, Nikki divenne una musicista di bluegrass ragionevolmente esperta, sufficientemente brava da poter suonare con il gruppo quando il complesso non era in tournée.

«Ragazza mia, sei capace di andare a quattro cilindri quando ti impegni con tutta l’anima e la mente», aveva commentato Kathy. «Devi però imparare ad allontanare gli estranei, specialmente tutti quelli che vogliono un pezzo di te. Fallo, e mentre suoni ti sembrerà di galleggiare sopra il pavimento.»

Fin dal primo giorno, stare vicino a Kathy era stata un’avventura di spontaneità. Nikki aveva amici — buoni, intimi amici — anche di vecchia data. Eppure, fin dai primi tempi passati a ridacchiare e chiacchierare dalla fine dello spettacolo all’ora della colazione, Kathy e lei si erano sentite come due sorelle.

«Non ne posso più degli uomini», aveva borbottato una volta Kathy dopo che si era lasciata per la terza e definitiva volta con il suo amico, suonatore di contrabbasso. «Bere birra è tutto quello che sono capaci di fare.»

«Quello, e scusarsi per avere lasciato l’asse del water alzata.»

«Ma solo dopo che hai fatto all’amore.»

La notte in cui era avvenuta quella conversazione, un anno prima, avevano deciso che Kathy si sarebbe trasferita nell’appartamento al secondo piano di Nikki. Si erano accordate su un quarto dell’affitto per Kathy e lezioni settimanali per Nikki. Kathy le aveva insegnato scrupolosamente, quando lei e il suo complesso non erano in tournée. Era un tesoro, del tutto irrefrenabile e innamorata della vita in generale e della sua musica in particolare. Non aveva timore di giudicare ogni uomo con cui usciva Nikki, tanto che una volta aveva detto a un avvocato che lui era troppo interessato a se stesso e alla sua BMW per poter avere dei progetti sulla sua amica. Erano in un club, uno dei preferiti di Kathy e Nikki, e quell’uomo si stava agitando a disagio, come se fosse combattuto tra il desiderio di distruggere i mobili e probabilmente anche alcuni dei clienti. Schietta quando era sobria, quella sera Kathy aveva forse bevuto una birra di troppo.

«Arrenditi avvocato», era sbottata improvvisamente, mentre Nikki la fissava in silenzio. «So che questa donna è bella, e so anche che è intelligente, e so che sarebbe splendida al ricevimento di Natale nel tuo studio, per non dire nel tuo letto. Ma io sono il guardiano della sua castità, e ti dico io ciò che lei è troppo gentile per dire: non esiste alcun mazzo di chiavi capace di portarla dove vorresti tu.»

Pur non essendo molto istruita in senso classico, Kathy sapeva ascoltare con pazienza, era divertente quando lo voleva, e sempre serena in un modo realistico e semplice tatto suo. La compagna di stanza perfetta, almeno finché non erano iniziati i suoi sbalzi d’umore.

L’insonnia era cominciata circa quattro o cinque mesi prima. Alle tre, alle quattro o alle cinque del mattino si metteva a camminare per l’appartamento o usciva in strada. In seguito le era capitato di non tornare a casa per uno, due o addirittura tre giorni. Poco dopo, aveva iniziato ad avere scoppi d’ira imprevisti e incontrollabili, contro il complesso e a casa. Nikki l’aveva supplicata di farsi vedere da un medico e aveva addirittura fissato degli appuntamenti ai quali Kathy non si era presentata.

Alla fine, forse sei o sette settimane prima, sul suo volto erano comparse delle strane protuberanze, le prime due proprio sotto le sopracciglia, poi una vicino all’orecchio e un’altra sulla guancia. Non aveva permesso a Nikki di toccarle, anzi neppure di parlarne fino a dieci giorni prima. In un raro momento di assoluta lucidità, era crollata su una sedia in cucina, si era nascosta il volto tra le mani ed era scoppiata in singhiozzi.

«Nikki, che mi sta succedendo?… Dove è finita la mia mente?… Dove è andata la mia musica?… Perché mi stanno facendo questo?»

I singhiozzi parevano incontrollabili. Nikki l’aveva stretta a sé e aveva sentito nel suo corpo paura e confusione. Sotto i capelli aveva sentito altre protuberanze, più solide che cistiche, leggermente mobili, e, per quanto poteva dire, non iperestesiche. Nodi linfatici? Uno strano genere di cisti solida? Neurofibromi? Impossibile dirlo. Nikki l’aveva supplicata di andare con lei al pronto soccorso. Alla fine Kathy aveva accettato di farsi vedere dal medico di Nikki il giorno seguente, ma all’ora dell’appuntamento era scomparsa. Era tornata all’appartamento ancora una volta, poi era sparita nel nulla.

«Nikki, come va?»

Il dottor Josef Keller era entrato nella sala autopsie e ora era accanto al cadavere gonfio di Roger Belanger. Nikki aveva coperto con dei teli il torace e le cavità addominali aperti. A Keller, ebreo tedesco sfuggito all’olocausto, mancavano uno o due anni alla pensione, ma era ancora esuberante, curioso e carico di energie. La tensione di dirigere un reparto responsabile della valutazione di più di cinquantamila morti all’anno gli stava, tuttavia, costando cara. Zoppicava per l’artrite al fianco e una lombalgia gli rendeva doloroso chinarsi a lungo sui cadaveri.

«Sono felice che sia qui», ammise. «Questo è un caso interessante.»

«Credevo che quest’uomo avesse avuto un attacco cardiaco», commentò, con il suo caratteristico accento.

«È stato ammazzato.»

«Assassinato? Hai visto le repliche di quella serie televisiva con un patologo… ehm… come si chiamava?»

«Quincy. No. Avrò anche torto, ma guardi qui.»

Gli mostrò la strana abrasione sotto il mento di Belanger.

«Un anello?» domandò Keller, che immediatamente e come sempre aveva già compreso la situazione.

«È quello che penso.»

«Tempestato di diamanti che formano una iniziale.»

Nikki gli porse l’otoscopio, lo strumento usato dai medici per esaminare il meato acustico e il timpano. Molto spesso aveva visto internisti e addirittura specialisti patologi omettere questa parte dell’esame postmortem. Procedura.

Keller se la prese comoda, borbottando tra sé e sé mentre esaminava le orecchie di Belanger, girando la grossa testa violacea da un lato all’altro e inserendo l’otoscopio nel meato esterno dell’orecchio.

«Rotto, con grumi di sangue secco», confermò infine. «Vi è stata rottura di entrambe le membrane timpaniche, poco prima della morte.»

«Non sono andata a vedere la sua Jacuzzi», continuò lei, «ma scommetto che non è profonda un metro e mezzo.»

Un metro e mezzo, la profondità minima in cui la pressione sui timpani, se non equiparata, poteva provocarne la rottura.

«Stai ipotizzando che quest’uomo non sia annegato nella vasca da bagno?»

«Sì. Penso che sia annegato, certo, ma credo che qualcuno che stava nuotando con lui, qualcuno con l’iniziale ‘H’ sull’anello tempestato di diamanti, l’abbia trascinato sott’acqua per la gola, forse sul fondo di una piscina, e che poi l’abbia portato a casa e l’abbia infilato nella vasca.»

«Una lite?»

«Forse.»

«E l’acqua nei polmoni e nello stomaco?»

«Sto aspettando…»

«Il cacciatore è tornato, è tornato a casa dalla caccia. Oh, ciao, Joe.»

«È tornato dalla collina, Brad», lo corresse Nikki. «Hai preso il pacco?»

«Certo. A che ti servono le strisce per un test del cloro?»

«Credo che il tuo ‘vascaiolo’, come l’avevi chiamato in modo tanto pittoresco, sia annegato in una piscina.»

«Ma allora come… un omicidio?»

«Acuto», sbottò Nikki. «Non mi stupisce che ti abbiano chiamato Brad, come un chiodo con la testa a scomparsa.»

Immerse una delle strisce nell’acqua tolta dallo stomaco di Belanger. Nel giro di pochi secondi il minuscolo riquadro indicatore era diventato rosso pallido.

«Sono stupefatto», disse Keller. «Chiamerò i nostri amici alla stazione di polizia e glielo farò sapere. Affascinante… davvero affascinante.»

Se ne andò zoppicando nel suo studio.

«Ho fatto bene a insistere che tu facessi una autopsia completa a questo tizio», osservò Brad.

Nikki lo guardò di traverso, ma in tutta sincerità non poteva dire se stesse parlando seriamente. L’altoparlante le impedì di scoprirlo.

«Dottoressa Solari, è ancora lì?»

«Sì, Ruth, sono qui.»

«C’è una telefonata dall’esterno per lei. Gliela passo.»

Un attimo dopo squillò il telefono appeso alla parete. Brad non si mosse, mentre lei passava, per cui Nikki dovette schiacciarsi tra lui e la tavola per l’autopsia di Belanger.

«Cresci», borbottò.

«Mi ammira», replicò Brad.

Questa volta lo ignorò.

«Patologia, sono la dottoressa Solari.»

«Nikki?»

Nikki sentì il cuore arrestarsi.

«Kath, dove sei, tesoro? Stai bene?»

La voce di Kathy Wilson sembrava quella di una bambina.

«Nikki, ho tanto freddo… Mi inseguono e io ho tanto freddo.»

In sottofondo vi erano rumori di traffico, il clacson di un’automobile. Stava chiamando da una cabina telefonica.

«Kathy, stai calma. Ti aiuterò. Andrà tutto bene.»

«Perché stanno cercando di uccidermi, Nik?… Perché ho tanto freddo?»

«Ehi, che succede?» chiese Brad Cummings.

Nikki si mise un dito alle labbra, poi gli fece segno di uscire dalla sala.

«Esci», disse muovendo solo le labbra.

«D’accordo, d’accordo. Vuoi sapere una cosa, oggi sei proprio suscettibile. Devi avere le…»

«Fuori!» Questa volta gridò la parola. Fingendo di essere imbronciato, Cummings se ne andò. «Kathy, ascolta, dimmi soltanto dove sei e verrò a prenderti immediatamente… Kath?»

«Sei come tutti gli altri, Nikki. Vuoi che la mia musica si fermi… È per questo che mi danno la caccia? Perché vogliono fermare la mia musica?»

La sua voce cantilenante era ossessionante e vaga. Nikki la immaginò in qualche angolo di strada, rannicchiata in una cabina telefonica sotto la pioggia scrosciante. Cercò un mezzo qualsiasi per avvertire la polizia e fare rintracciare la telefonata.

«Kathy», chiese di nuovo, «guardati attorno e dimmi cosa vedi.»

«Nikki… Nikki… Nikki. Li hai mandati tu, non è vero? Ti beccherò, fosse anche l’ultima cosa che faccio.»

«Ti voglio bene, Kathy. Sei mia amica. Non farei mai nulla per farti del male. Il tuo cuore lo sa. Tesoro, in questo momento non stai ragionando con lucidità. Devi venire a casa. Lascia che ti aiuti.»

«Aiuta… mi…»

«Kathy, dimmi solo cosa devo fare.» Seguì un lungo silenzio.

«Kathy?»

Nikki attese altri trenta secondi prima di appendere la cornetta. Poi, senza neppure cercare di occuparsi del cadavere di Roger Belanger, scoppiò in lacrime e corse fuori della stanza.

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