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Il viaggio di Nikki da Boston a Belinda fu cupo, introspettivo, ricco di musica, country-western, jazz, musica classica e ogni genere di musica folcloristica bluegrass. Oltre ai due album di Kathy Wilson, aveva altre cassette in cui l’amica accompagnava cantanti di fama, parecchi dei quali cantavano canzoni scritte da lei. Kathy suonava in modo straordinario numerosi strumenti, ma soprattutto il mandolino, e Nikki non aveva sentito nessun altro suonarlo come lei.

Ciò che aveva spinto Nikki ad acquistare la Saturn era stato il suo impianto audio, sorprendentemente potente in tutti i registri. Fece buona parte del viaggio con il volume al massimo e il tettuccio aperto. Il sedile posteriore e il bagagliaio erano stipati di libri, vestiti, stereo, oggetti personali e strumenti di Kathy, compreso il suo bene di maggior valore, un mandolino Gibson F-5, fabbricato, si vantava di raccontare a chiunque l’ascoltasse, conoscesse o no i mandolini, da Lloyd Loar.

La giornata, come quella precedente, pur splendente, non era troppo afosa. Nikki aveva trascorso la notte in un motel Best Western appena fuori Harrisburg in Pennsylvania, ed era ripartita sul presto per poter arrivare a Belinda almeno un’ora prima della funzione funebre. Tra la musica e le sue riflessioni sulla vita e la morte di Kathy Wilson, le centinaia di chilometri erano passate senza che se ne accorgesse.

L’autopsia eseguita da Joe Keller su Kathy aveva rivelato ben poco. Il cervello, almeno a un primo esame, sembrava normale. Nessun tumore, nessun vecchio colpo, nessuna malformazione vascolare o occlusioni, nessuna cicatrice, in breve nessuna spiegazione della trasformazione psicologica invasiva che alla fine l’aveva uccisa. Le sezioni microscopiche del cervello sarebbero state pronte per la lettura entro oggi o domani, ma Nikki non s’aspettava molto né da quello né dall’esame tossicologico del sangue.

Secondo l’ironica saggezza medica, gli internisti sapevano tutto, ma non facevano nulla; i chirurghi non sapevano niente, ma facevano tutto; i patologi, infine, sapevano tutto, ma un giorno troppo tardi. Nel caso di Kathy, il vecchio detto non avrebbe potuto essere più lontano dalla realtà. Anche dopo il più esauriente esame autoptico, si sarebbero ritrovati tra le mani solo domande, con poche valide risposte.

Neppure gli spaventosi neurofibromi avevano rivelato qualcosa. La prima impressione di Joe sulle protuberanze che coprivano il volto e il cuoio capelluto di Kathy era che fossero caratteristiche di quella malattia, di cui era ignota la causa, a parte la probabilità che fossero provocate da qualche mutazione o altro fattore genetico. Aveva assicurato Nikki che non si sarebbe dato per vinto e che avrebbe chiesto il consiglio di qualche altro patologo e provato alcune speciali tecniche di colorazione. Ma, per il momento almeno, le domande che restavano senza risposta erano come promesse non esaudite.

Nikki aprì a metà il finestrino e aspirò la fragrante aria degli Appalachi. Aveva visitato in lungo e in largo gli Stati Uniti, aveva disceso il fiume Colorado attraverso il Grand Canyon su un gommone, aveva girato con la mountain bike i parchi nazionali Bryce, Zion e Yosemite e aveva trascorso almeno una settimana in città come New Orleans, Chicago e San Francisco. Questa era la prima volta che andava nel West Virginia. Anche se solo dall’autostrada, la zona era straordinariamente selvaggia e bella, con boschi fitti e lussureggianti, e in gran parte intatti. Un infinito numero di torrenti e fiumi s’insinuava sotto la strada, intorbidendosi dopo lunghi tratti di acque chiare o serpeggiando attraverso verdi distese verso montagne lontane e semibuie. Cascate che altrove sarebbero state un’attrazione, erano semplicemente… lì. Attraversando quella regione, le fu facile capire la passione per la natura che si intuiva nella musica di Kathy.

Il cartello sulla Statale 29 diceva BELINDA, TRENTA CHILOMETRI. Come programmato, sarebbe arrivata un’ora o poco più prima della cerimonia funebre. Avrebbe potuto prendere un aereo e poi noleggiare un’auto come aveva fatto il complesso di Kathy, ma, pur dovendo tornare immediatamente a Boston per non sprecare parte delle ferie o, peggio ancora, per non ritrovarsi indebitata con Brad Cummings che avrebbe dovuto lavorare al posto suo, aveva voluto passare un po’ di tempo da sola per ascoltare la musica e riflettere sulle scelte che aveva fatto nella sua vita.

La decisione di iscriversi a medicina, che pure si era rivelata giusta, si era basata più che altro sul desiderio di emulare il padre. Lo stesso valeva per la decisione di diventare chirurgo. L’unica svolta decisiva della sua vita e della sua autoconsapevolezza era stata la decisione di abbandonare la chirurgia per la patologia. Finalmente non sceglieva più una via solo perché altri la spingevano in quella direzione. La rottura del fidanzamento con Joe DiMare, un uomo che tutti, genitori e amici, consideravano un ottimo partito, perfetto per lei, aveva sottolineato la sua crescita. Era successo un anno dopo aver portato a termine l’internato di patologia. Un anno circa dopo la rottura, era uscita dal complesso di musica da camera e aveva supplicato Kathy di insegnarle la musica bluegrass.

La sua esistenza, come quella di quasi tutti gli altri esseri umani, era imprevedibile e fragile anche nei momenti di massima serenità. Sulla sua strada, come massi in un fiume che scorre veloce, c’èrano malattie, incidenti, errori di giudizio, scelte errate, assieme a sfide d’amore, di lavoro e di relazione. Tutto quello che poteva fare, come stava finalmente apprendendo, era esaminare di continuo la propria anima per capire chi fosse e cosa volesse, prendere decisioni senza timori e far sì che ogni giorno fosse importante.

Quando Nikki, in un completo pantaloni in lino nero con camicetta in seta color argento senza maniche, arrivò, la bianca chiesa battista si stava riempiendo. C’erano più di ventisei gradi e la gente era vestita in modo abbastanza informale da permetterle di tenere la giacca sul braccio.

Il complesso di Kathy la salutò calorosamente, come fecero i suoi genitori, Sam, un allevatore di mucche da latte, e Kit, che creava e vendeva trapunte. Erano due campagnoli austeri e taciturni, i visi affaticati dalle difficoltà della vita, e ora ancor più dalla morte della loro unica figlia. Kathy aveva parlato di loro con amore e ammirazione, malgrado le differenze di carattere e di filosofia di vita avessero, con il passare degli anni, reso difficile il loro rapporto.

Nikki rimase sorpresa quando Kit le chiese di accompagnarli lungo una strada sterrata che portava oltre la chiesa e attraversava un grande campo incolto. Quando aveva telefonato loro dopo l’autopsia, a parte alcune domande indirette per sapere se Kathy fosse ubriaca o drogata quando era stata uccisa, nessuno dei due si era mostrato interessato a dettagli sulla sua salute o alle conclusioni dell’esame autoptico. Forse lo choc aveva tolto loro lucidità mentale, ma neppure ora Nikki pensò di dover rispondere a domande che non avevano posto. Avevano deciso rapidamente per la cremazione e una funzione religiosa in sua memoria, e questo fu tutto.

Ora Nikki camminava tra i due, senza riuscire a immaginare completamente la loro perdita.

«La ringraziamo per essere venuta», disse Kit con una voce che assomigliava paurosamente a quella di Kathy.

«Mi manca moltissimo», ammise Nikki. «Aveva un anno meno di me, ed ero io quella che aveva trascorso tutta la vita nella grande città, ma lei era tanto saggia e tanto sintonizzata con la vita che a volte pensavo a lei come a una sorella maggiore.»

«Capisco. Anche quando era molto giovane, a volte la sentivo io stessa come una sorella maggiore.»

«Quando l’ho conosciuta la prima volta, suonavo il violino e solo musica classica. Le avevo chiesto se poteva trasformarmi in una suonatrice di fiddle bluegrass e lei mi aveva risposto che ci avrebbe pensato. Non era una decisione facile. Era venuta a casa mia la sera successiva e mi aveva portato in un campo enorme in aperta campagna. Aveva poi disteso una coperta, tirato fuori una fiaschetta di whisky di mele dal sapore terribile e un lettore CD portatile. Eravamo rimaste ad ascoltare fin oltre l’alba un esecutore dopo l’altro di musica bluegrass e a bere quell’orribile whisky finché non seppe di miele. Al mattino, le zanzare mi avevano mangiata tanto che faticavo a muovermi. Lei non aveva una sola puntura d’insetto, si era avvolta in un repellente. Aveva voluto vedere se io mi sarei immersa tanto nella musica da non notare che le zanzare mi stavano mangiando viva. Il giorno seguente mi diede la prima lezione. Mio Dio, se sapeva suonare.»

«Lo sappiamo», osservò la madre. «Lo sappiamo. A volte le vie del Signore ci sono occulte, finché non siamo pronti a capirle e accettarle.» Fece girare il marito e Nikki verso la chiesa dove la folla continuava ad aumentare, quindi chiese: «Nikki, Sam e io vogliamo saperlo, Kathy aveva un volto splendido, un viso d’angelo. L’incidente lo ha…? Quello che intendo dire è…?»

«Kit, era splendida anche alla fine», rispose Nikki, scacciando le infinite immagini sgradevoli. «Si sono separate due ossa nel collo. Ecco perché è morta. Nient’altro. Il viso è stato salvaguardato.»

«Grazie a Dio», borbottò Sam. «Ha sempre detto che voleva essere cremata se le fosse accaduto qualcosa, per cui abbiamo pensato che dovevamo farlo.»

Nikki accompagnò i genitori di Kathy in chiesa e rimase seduta accanto a loro. Al telefono le avevano chiesto di dire qualche cosa durante la funzione. Piuttosto che parlare dei ricordi che teneva in cuore, per paura di non riuscire a essere abbastanza forte, Nikki aveva deciso di leggere alcune poesie di Kathy e il testo di due sue canzoni per le quali non aveva ancora scritto la melodia. Dovette interrompersi parecchie volte per calmarsi, ma la forza e la fede imperturbabile che sentiva in quella sala le diedero l’impressione che qualsiasi cosa dicesse o facesse fosse adeguata. La funzione durò meno di un’ora e fu tanto intensa, con inni, letture, ricordi, due brani del CD di Kathy e una canzone cantata da alcuni amici e il complesso, che, alla fine, ben pochi occhi erano asciutti.

Il ricevimento in una sala adiacente alla chiesa fu molto più una celebrazione della vita e della musica di Kathy che una commemorazione. Con il suo complesso al centro, i musicisti venivano, suonavano per un po’, se ne andavano e tornavano. In gran parte erano dilettanti, ma tutti sorprendentemente ricchi di talento. Qualcuno menzionava un motivo o semplicemente iniziava a suonare, e subito gli altri si univano a lui. Nikki si cambiò, indossò jeans e scarpe da ginnastica e andò a prendere in macchina il suo violino. Era ancora una principiante rispetto alla maggior parte degli altri, ma riuscì ad accompagnarli per una mezz’ora senza disonore e a suonare un suo assolo improvvisato in Foggy Mountain Breakdown che si guadagnò l’applauso del suonatore di banjo. Alla fine, asciugatasi la fronte con un fazzoletto che teneva nell’astuccio, fece una pausa e andò in cerca del punch.

«Qui», disse un uomo alla sua destra. «Mi permetta di portarle un bicchiere. Senza alcol o ben carico?»

Era sulla quarantina, di bell’aspetto, del genere spalle larghe e rigide, capelli color sabbia tagliati cortissimi, muscoloso e occhi scuri, un po’ troppo piccoli per il gusto di Nikki. Indossava una camicia bianca elegante e una nera cravatta a stringa con un grosso turchese montato sulla chiusura scorrevole. Il suo accento montanaro sembrava molto meno pronunciato di quello delle altre perone che aveva conosciuto e il suo modo di fare e di parlare le fecero capire che aveva frequentato corsi di studi superiori.

«Oh, niente alcol, per favore», rispose. «Mi aspetta un lungo viaggio questo pomeriggio.»

«Allora devo assolutamente insistere affinché si tenga lontana da quella roba. Credo di sapere in quale distilleria è stato fabbricato, inoltre io sono il capo della polizia di Belinda. Bill Grimes.»

Tese la mano e Nikki gliela strinse. La presa dell’uomo era baldanzosa.

«Nikki Solari. Felice di conoscerla.»

«Quello che ha letto è stato molto commovente.»

«Kathy era una splendida scrittrice. Le sue parole sono importanti per tanta gente.»

«Kit mi ha detto che lei è un medico.»

«Sono patologo per mestiere, ma musicista per passione. Kathy mi stava trasformando da violinista in suonatrice di fiddle.»

«L’ho sentita. Kathy ha fatto un ottimo lavoro.»

«Grazie. Non sono al suo livello, ma, che dire, non molti lo sono.»

«Io non sono cresciuto da queste parti, ma ho saputo che è stato suo padre a insegnarle la musica e che, da quando era bambina, la gente si affollava ovunque lei suonasse. I locali l’hanno presa male quando se ne è andata.»

Nikki sorrise all’idea.

«Posso crederci», ammise.

«La sua morte ci ha sconvolti tutti. Dottoressa Solari, se tutta la faccenda fosse ancora troppo dolorosa per lei per parlarne, lo capirò, ma, da poliziotto e amico della famiglia, sono interessato a sapere quanto più è possibile sulle modalità dell’incidente.»

«Parlare delle cose mi aiuta ad affrontarle, anche se si tratta di cose dolorose come questa. E, mi chiami pure Nikki.»

«E io sono Bill. Mi chiamano così spesso ‘Capo’ che ormai è diventato quello il mio nome.»

Il poliziotto aveva un modo di fare calmo e rassicurante. Con i bicchieri in mano si allontanarono dalla ressa e si diressero verso una panchina isolata, posta lungo un enorme salice. Il sole aveva iniziato a spostarsi verso ovest e, in lontananza, le lussureggianti colline sembravano fosforescenti. Nikki non si era mai espressa nell’arte visiva, ma, l’avesse fatto, i colori del West Virginia sarebbero stati il Nirvana.

«E così lei è patologa», osservò Grimes, dopo che si furono accomodati, ciascuno a una estremità della panchina. «Lavoro per l’ufficio del medico legale.» «Interessante. Il nostro medico legale ha assistito alla funzione, ma se ne è andato poco fa. Alto, magro, un tipo solenne che indossava un abito grigiastro.»

«Temo di non avere fatto attenzione a molte cose, oggi», replicò.

«È comprensibile. Lui è un patologo come lei. Si chiama dottor Sawyer, Hal Sawyer. Una persona gentile. Molto intelligente, e non solo per quello che riguarda la medicina. Allora, che mi dice di Kathy?»

«È stato proprio il mio studio a occuparsi della sua morte. Il mio capo, Josef Keller, medico legale capo dello stato, ha fatto l’esame autoptico.»

«Ha trovato qualcosa di insolito. Droghe? Alcol?» «Nulla di quel genere. Sa qualcosa di ciò che stava succedendo a Kathy prima dell’incidente?» Grimes scrollò la testa.

«Tutto ciò che so è che è stata investita da un’automobile.» «Si trattava di un camion. Era corsa fuori da un bar, direttamente in strada. Il povero autista non ha avuto nemmeno la possibilità di frenare.»

«Ma lei ha detto che non stava bevendo.» «Il livello alcolico nel suo sangue era zero. L’esame tossicologico, la parte almeno che ci hanno reso finora, totalmente negativa. Era impazzita, Bill. Completamente impazzita. Stava scivolando da mesi in una tremenda paranoia. Pensava che qualcuno volesse ucciderla. Io ho cercato di indurla a farsi vedere da qualcuno, ma più insistevo, più lei si allontanava da me.»

«Ha mai parlato con la sua famiglia?» «Li avevo chiamati, quattro settimane circa prima che Kathy venisse uccisa, ma mi sono parsi soltanto sconcertati e quasi arrabbiati con Kathy per essersi allontanata da loro. Non capivano cosa potessero fare per aiutarla, se io, un medico, non potevo fare niente.»

«I Wilson sono brava gente», commentò Grimes, «ma semplice, irrigidita nelle proprie abitudini. Kathy era la loro unica figlia. Hanno sempre pensato che non avrebbe dovuto andarsene.» «Lo so.»

«Allora cosa è stato? È semplicemente impazzita?» «Suppergiù. Come ho detto, alla fine era convinta che degli uomini le stessero dando la caccia per ucciderla. Credo che volesse scappare da loro quando è morta.» «È possibile che avesse ragione?» «Per quanto ne so, no.»

«E così l’autopsia effettuata dal suo capo non ha rivelato nient’altro?»

«Nulla che non sapessimo già. C’era comunque un’altra cosa molto strana in lei. Qualcosa che non ho ritenuto giusto dire ai suoi genitori. Per un bel po’ di mesi prima che morisse, e in coincidenza con l’evoluzione della sua pazzia, il suo viso era sempre più sfigurato da protuberanze, che noi chiamiamo neurofibromi.»

«Neu-ro-fi-bro-mi.» Grimes pronunciò il termine lentamente, come se volesse affidarlo al suo vocabolario. «Causa?»

«Sconosciuta, o forse genetica o una mutazione, quel genere di cose. Magari un virus. Ha mai visto il film The Elephant Man

«Temo di no. Ma credo di sapere di cosa sta parlando.»

«Nella sua forma peggiore, quella sarebbe stata la sua condizione, e ci stava arrivando. Alla fine era veramente deforme. Non saprei dire che aspetto avrebbe assunto, se avesse continuato a vivere.»

Nikki lanciò un’occhiata al sole, quindi all’orologio.

«Ha veramente intenzione di partire oggi?» chiese Grimes.

«Sono di guardia domani sera, per cui devo essere di ritorno per quell’ora. Sono una delle più inaffidabili guidatrici notturne, per cui andrò fino a New York e completerò il percorso domani mattina. Mi piacerebbe, tuttavia, suonare ancora un po’, prima di partire. Ci sono un paio di pezzi di Kathy che vorrei provare a suonare con i ragazzi.»

«Vorrei proprio che rimanesse», insisté Grimes, con tono d’invito nella voce e nell’espressione.

«Grazie per il pensiero», rispose lei, senza sentirsi affatto minacciata dal tono del capo della polizia, «ma sono costretta a tornare a casa.» Si alzò. «Venga con me, suoneremo qualcosa per lei. Ha qualche motivo che ama particolarmente e che non ha sentito?»

«Non sono un grande esperto di bluegrass», ammise, «anche se la musica mi piace. Mi dica una cosa», soggiunse mentre la riaccompagnava verso la sala, «come mai ha deciso di non parlare ai Wilson dei neu-ro-fi-bro-mi di Kathy?»

«Non c’era alcun motivo per parlarne al telefono e oggi, quando li ho conosciuti di persona, non ero ancora certa di volerlo fare. Poi mi hanno detto… Kit mi ha chiesto se il volto di Kathy era stato rovinato dall’incidente. Era già difficile per quei poveretti comprendere che il suo stato mentale era squilibrato. Mi è parso crudele dire loro che anche il suo viso era deforme. Inoltre, non è stato ancora fatto l’esame al microscopio del cervello e dei neurofibromi. Dovesse rivelare cosa è successo, ne parlerò con loro. Se non fornisse alcuna spiegazione, deciderò se vale la pena farlo. Come sa, Kathy era figlia unica, per cui non c’è da temere che qualche gene cattivo si faccia strada nella sua famiglia.»

«Se fossi al posto suo, non ne parlerei con i Wilson», ammise Grimes. «Nulla da guadagnarci.»

«Nulla da guadagnarci», ripeté Nikki.

«Ebbene», disse Grimes appena raggiunta la sala, «mi spiace di averla incontrata in questa circostanza, ma sono felice di averla conosciuta.»

«Lo stesso vale per me.»

«Chi lo sa? Forse ci rivedremo.»

«Non si può mai dire. Dovesse capitarmi di ripassare da queste parti, verrò a trovarla alla stazione di polizia.»

«Lo faccia, e io verrò a trovarla all’ufficio del coroner, dovessi trovarmi a Boston.»

«Mi farebbe piacere.»

«E, Nikki, se quei vetrini di cui mi ha parlato dovessero rivelare qualcosa, per favore, me lo faccia sapere.»

Nikki prese il violino e lo strofinò delicatamente con un panno.

«Lo farò, Bill», disse, prendendo posto tra i musicisti che stavano facendo una pausa tra un pezzo e l’altro. «Dato che non ha espresso alcuna richiesta, sceglierò io. Abbiamo suonato alcuni brani di Alison Krauss. Era l’idolo di Kathy. E anche il mio.»

L’intelligente e solenne medico legale che non aveva avuto occasione di conoscere se ne era andato, ma pochi altri l’avevano fatto. C’erano persone raccolte attorno al tavolo del buffet e altre sparse sulla pista da ballo, sottobraccio, in attesa della melodia successiva. Kathy avrebbe approvato e con ogni probabilità avrebbe insistito per aggiungere un barilotto di Budweiser alla celebrazione della sua vita.

Nikki chiuse gli occhi e lasciò che ka musica le riempisse la mente e il corpo. Poche ore prima era una sconosciuta a Belinda. Ora, grazie a Kathy e al potere del bluegrass, si sentiva legata alla città e ai boschi e alle montagne e ai fiumi in un modo che sarebbe durato finché fosse vissuta.


Erano quasi le tre e mezzo del pomeriggio. Nikki diede una mano a trasferire le cose di Kathy nel furgone Dodge Ram dei Wilson. Quando tutto fu sistemato, infilò la mano nel bagagliaio della Saturn e tirò fuori l’astuccio che conteneva lo splendido mandolino di Kathy.

«Ecco», disse, porgendolo a Sam. «Il capo della polizia Grimes mi ha detto che è stato lei a insegnare a Kathy a suonare.»

«Solo per un paio di settimane», replicò il padre, estraendo lo strumento e cullandolo nelle sue enormi mani, un’espressione nostalgica sul viso. «Dopodiché ha iniziato lei a insegnare a me.»

Fece scorrere il pollice sulle corde che Nikki aveva accordato prima di caricare lo strumento nel bagagliaio. Prese poi uno dei plettri dall’astuccio e suonò un breve riff di notevole chiarezza e con qualche difficoltà tecnica.

«È fantastico», esclamò Nikki. «Adesso capisco perché Kathy era tanto brava. L’aveva nel sangue.»

«Voglio che lo tenga lei», disse Sam, mentre rimetteva lo strumento nell’astuccio e lo ridava a Nikki.

«Ma io…»

Da dietro le spalle di Sam, Kit la interruppe bruscamente scuotendo la testa.

«Sam soffre di artrite», spiegò la moglie. «Saremmo entrambi felici sapendo che lo strumento di Kathy è con lei.»

Non vi era nulla nelle espressioni dei genitori di Kathy che incoraggiasse la discussione.

«Potrei tornare per farmi dare da lei qualche lezione», disse.

«Ne saremmo felicissimi», riuscì a dire lui, gli occhi umidi.

Nikki pose lo strumento sul sedile del passeggero, abbracciò i Wilson, quindi percorse il viale della chiesa e imboccò la strada che portava a nord. Appena fuori Belinda, si fermò e fissò a lungo, attraverso il lunotto posteriore, la via principale. Era veramente una bella città, gente cortese, seria; una campagna stupenda; e un ritmo incantevole di vita. S’addolorò al pensiero che non avrebbe mai conosciuto quel posto con la sua amica.

Svoltò a nord, ripercorrendo la stretta strada a due corsie che l’avrebbe portata alla Statale 29. La strada, che serpeggiava attraverso il fitto bosco, era deserta, proprio come lo era stata al mattino entrando in città. Nikki s’infilò un berretto blu dei Red Sox per tenere a posto i capelli e aprì il tettuccio e il finestrino. La luce del sole filtrava attraverso le cime degli alberi, screziando la pavimentazione stradale. Dietro una secca curva vide una macchina ferma sulla stretta banchina. Un uomo che indossava jeans e una T-shirt gialla era a faccia in giù sulla strada. Un altro, di costituzione robusta che indossava un abito scuro, era inginocchiato accanto a lui. Da una immediata valutazione della scena, Nikki immaginò che l’uomo avesse investito un pedone. Mentre si avvicinava, il presunto investitore alzò lo sguardo, quindi si drizzò e cominciò a farle cenni con la mano. Nikki si fermò, esaminando il terreno attorno alla vittima alla ricerca di sangue.

L’uomo, sulla trentina e chiaramente sconvolto, corse al finestrino.

«Io… non l’ho visto. Ho svoltato l’angolo ed era lì. Ha un telefono cellulare?»

«Respira?»

«Io… credo di sì.»

Nikki scese dall’auto e si affrettò verso l’uomo immobile, prevedendo il peggio. Niente sangue, nessuna ferita. C’era un leggero saliscendi del petto, stava decisamente respirando. Non aveva alcuna intenzione di farlo rotolare sul fianco senza avergli prima immobilizzato il collo. S’inginocchiò accanto a lui, gli scrutò la faccia e allungò la mano per controllargli il polso. In quell’attimo, lui si girò sul fianco e, nello stesso momento, l’altro, in piedi dietro di lei, l’afferrò violentemente per i capelli e le chiuse naso e bocca con una pezza. Una pezza imbevuta di una sostanza che conosceva anche troppo bene: cloroformio.

«Ciao, ciao, dottore», la schernì l’uomo.

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