37

«Matthew, per favore, tu non stai pensando al bene più grande. L’Omnivax salverà centinaia di migliaia di vite ogni anno. Se blocchi l’uscita del vaccino, pensa a tutto il sangue che avrai sulle mani. Perbacco, non sei neppure certo che sia stato il Lasaject a causare quelle deformità. Stai supponendo, ipotizzando…»

Hal Sawyer blaterava a non finire mentre Matt ed Ellen utilizzavano metri e metri di corda da bucato per legarlo stretto, a faccia in giù, sul suo letto. Se qualcuno fosse capitato a casa sua e l’avesse liberato prima che loro avessero avuto la possibilità di riferire la situazione alla polizia di stato, tanto peggio. Grimes era morto, e con lui Sutcher e gli altri assassini, Larry e Verne. Hal avrebbe forse cercato di scappare, ma non sarebbe andato molto lontano.

«Maledizione, Matthew, non è così che si trattano quelli del tuo stesso sangue!… Chi andrà a trovare tua madre se io non sarò più in giro?… Tua madre!… Questo le spezzerà il cuore, ed è tutta colpa tua… Io sono il tuo padrino, Matthew… Ellen, Ellen, lei che appartiene alla mia generazione, spieghi a mio nipote l’importanza della famiglia. Io sono suo zio, geneticamente questo vuole dire che, per il venticinque per cento, siamo la stessa cosa. Venticinque per cento! È come vendere un quarto di te stesso…»

«Non ce la faremo», disse Ellen, dando un’occhiata all’orologio di Matt. «Non arriveremo in tempo.»

«Possiamo fare solo del nostro meglio», ribatté Matt, tirando la corda un po’ più del necessario. «Abbiamo una possibilità, a seconda del traffico, ma è più concreta di quanto lei creda.»

«Può continuare da solo?»

«Certo, perché?»

«Devo fare una telefonata. Il mio amico Rudy Peterson deve essere terribilmente preoccupato per me. Inoltre, conosce delle persone, forse qualcuno da chiamare.»

«Si sbrighi. Qui ne ho ancora per uno o due minuti, poi vorrei partire. Senta, l’amica di Hal, Heidi, vive qui. Perché non fruga tra le sue cose alla ricerca di qualche indumento caldo? Un viaggio in motocicletta può essere molto freddo.»

Ellen si appropriò di un paio di pantaloni scuri, di una felpa e di una giacca in pelle, corse poi in cucina, mentre Matt annodava l’ultimo pezzo di corda alle caviglie di Hal e poi alla gamba in fondo al letto. La morte di Lyle Slocumb e la confessione, senza alcun cenno di rimorso, dello zio avevano sconvolto Matt. L’Alzheimer aveva reso sua madre meno consapevole di alcune cose, ma di certo si sarebbe resa conto che suo fratello non andava più a trovarla, se ne sarebbe resa conto e ne avrebbe sofferto. Malgrado la situazione e l’urgenza di raggiungere Washington, Matt si ritrovò a inventare spiegazioni da dare alla madre, più gentili dell’orribile verità.

«Non puoi lasciarmi qui così», gridava Hal, ogni volta sempre più disperato, sempre più patetico di prima. «E se avessi un attacco di cuore? E se dovessi andare a fare pipì? In questo paese si è considerati presunti innocenti fino a che non viene dimostrata la colpevolezza. Chi ti ha reso giudice, giuria e boia? Per amor di Dio, Matthew, ascoltami. Ti conosco da quando sei nato. Non puoi farmi questo!»

«Hal, dove sono le chiavi della tua auto?»

«Le mie cosa?»

«Le chiavi della tua auto.»

Matt aveva trovato la motocicletta nel garage e le chiavi sulla mensola della cucina, ma se voleva percorrere i duecentosettanta chilometri dalla Virginia a Washington a centotrenta chilometri all’ora, avrebbe preferito farlo in una berlina Mercedes che appollaiato su una Harley con una dilettante, che odiava le motociclette e si dimenava sul sedile dietro di lui.

Hal smise di blaterare e scoppiò a ridere.

«Se le avessi di certo non te le darei. A meno che tu non mi lasciassi andare. Ma, grazie a te, non ho alcuna chiave.»

«Che intendi dire?»

«Ho un solo mazzo di chiavi, l’altro ce l’ha Heidi, e il mio l’aveva Larry in tasca quando ha fatto quel gran tuffo. Peccato.»

«Hal», commentò Matt, controllando per l’ultima volta i nodi, «spero che, per il resto della tua vita, non avrai più il piacere di guidare un’automobile.»

Si fermò in corridoio e prese la giacca in pelle con interno in lana di Hal, corse poi nel garage, si infilò il casco e mandò su di giri la Harley. Aveva già compiuto quel viaggio in due ore e mezzo. Togliendo quindici minuti a quel tempo, le possibilità di farcela, crescevano. Controllò poi l’indicatore del livello della benzina e gemette. Appena sotto il mezzo serbatoio, due galloni e mezzo, al massimo. Alla velocità che intendeva mantenere, sarebbero bastati per ottanta chilometri, era impossibile fare quel percorso senza fermarsi. Non ci avrebbe messo molto a fare benzina, ma tra il rallentare per entrare nella stazione di servizio, fare benzina e uscire avrebbe perso almeno tre, se non quattro minuti. Eppure, a seconda di quando sarebbe stata realmente fatta quella iniezione e di quanto sarebbero stati fortunati appena raggiunta la clinica, era ancora possibile farcela.

Ellen si precipitò fuori dalla porta d’entrata e lo raggiunse mentre stava facendo indietreggiare la Harley, all’altezza della Mercedes di Hal. Con la giacca in pelle e i pantaloni neri di Heidi, sembrava in tutto e per tutto una motociclista.

«Facciamo questo tentativo», disse, montando dietro di lui.

«Indossi soltanto il casco, si inclini all’indietro, si rilassi, resista e guardi il mondo scorrerle accanto», ordinò Matt, imboccando il vialetto in accelerazione. «È riuscita a parlare con il suo amico?»

«No, ma gli ho lasciato un messaggio. Di solito a quest’ora sta pescando nello stagno dietro casa sua. Oggi spero stia camminando su e giù, preoccupato perché non ha avuto mie notizie.»

«Sono certo che lo è. Ebbene, si parte. Seconda stella a destra e diritti fino al mattino.»

«Non si preoccupi per me, ma corra il più possibile.»

Corra… Dannazione a te, Hal.

Con vivide e tremende immagini delle vittime della sindrome di Belinda in pieno controllo della sua mente, Matt imboccò l’autostrada e diede gas.


«Sher, è arrivata la limousine», gridò Don. «Una limousine bianca. Niente male.»

«Siamo quasi pronte», lo avvisò Sherrie dalla camera da letto. «Voglio che questa ragazzina sia bellissima per il debutto sulla televisione nazionale.»

«Televisione mondiale», la corresse Don.

Osservò l’uomo e la donna, occhiali da sole e abito da ufficio, scendere dalla limousine e imboccare il vialetto. Men in Black, pensò.

«Ta-da», canticchiò Sherrie, sollevando la bambina verso il marito.

«Siete entrambe splendide», disse Don, raggiante. «Veramente belle.» Prese in braccio la neonata e baciò Sherrie sulla bocca. «Nessuno potrebbe credere che tu abbia avuto questa piccola solo quattro giorni fa.»

«Sta raccogliendo una bella serie di punti, signore», scherzò lei, osservando la scena sotto la loro finestra. «Non tutti i bambini vanno a farsi vaccinare scortati dai servizi segreti. Sei pronto?»

«Prontissimo. Nemmeno quando combattevo per il Golden Gloves sono mai stato tanto agitato.»

«Tu, nervoso? Perché mai?»

«Che tu ci creda o no, per la piccola.»

Stupita, Sherrie si girò lentamente e lo fissò, mentre un’ombra di preoccupazione le offuscava il viso.

«Intendi dire l’iniezione?»

«Già.»

Lei sospirò.

«Anch’io», ammise. «Avevo paura di parlartene, perché temevo che pensassi che fossi matta o… o ingrata. So che la signora Marquand ci ha detto che un sacco di persone, neonati e adulti, hanno ricevuto questo vaccino quando è stato testato. Eppure, Donelle sarà la prima a riceverlo dopo l’approvazione.»

«Lo so.»

«Stavo parlando ieri sera con Andrea di suo figlio Randy. Ha compiuto un anno a maggio. Ha continui attacchi e il medico dice che sono provocati da una reazione a una delle vaccinazioni. Deve assumere farmaci e ora Andrea sostiene che la medicina lo sta scombussolando.»

«Questo non lo sapevo. Quel vaccino è uno di quelli che riceverà anche Donelle?»

«Deve esserlo. Lei riceverà trenta vaccini in un colpo solo, tutti quelli di cui avrà bisogno.»

«Vorrei saperne di più», confessò Don.

Sherrie attraversò la stanza e abbracciò figlia e marito.

«Anch’io», ammise, proprio mentre gli agenti dei servizi segreti bussavano alla porta.


Fortunatamente, era una giornata soleggiata e calda. Matt spinse la Harley al massimo delle sue possibilità, oltre il confine della Virginia, quindi, lungo strade a due corsie, attraverso le lussureggianti montagne Shenandoah e gli Appalachi. In meno di un’ora, avevano imboccato la Route 81 a Staunton e si stavano dirigendo a nord verso la 66. Matt mantenne la velocità a centotrenta chilometri all’ora, aggiungendovene un paio quando aveva l’impressione che non vi fossero poliziotti in giro. Grazie al parabrezza e ad ammortizzatori di gran classe sembrava di non superare i sessanta. A Harrisonburg misero quattro galloni di benzina nel serbatoio e vennero a sapere di trovarsi a centosettancinque chilometri da Washington. Mancava un’ora e mezzo prima che venisse sparato quel famoso «botto sentito in tutto il mondo».

A seconda del traffico che avrebbero trovato una volta giunti in città, avrebbero avuto una possibilità di farcela. A Middletown imboccarono l’Interstatale 66 e si diressero verso est, a gran velocità nel traffico leggero. Riverton… Markham… Marshall… The Plains… pian piano recuperavano minuti preziosi che li separavano dal momento in cui Lara Bolton avrebbe iniettato la prima dose di Omnivax nella coscia di una bambina di quattro giorni.

Tre per cento. Forse di più. Probabilità che non avrebbe mai voluto avere a sfavore di suo figlio.

Sul sedile dietro di lui, Ellen rimase tranquilla per quasi tutto il viaggio, aggrappata alle maniglie per mantenere l’equilibrio o, di tanto in tanto, alle sue braccia.

«Non è spiacevole come ricordavo», gridò mentre attraversavano a gran velocità un passo di montagna particolarmente spettacolare.

«Le darò una mano a scegliere la sua prima motocicletta», scherzò Matt.

Per la maggior parte della prima ora del viaggio, Matt aveva continuato a guardare nello specchietto retrovisore e a ispezionare la strada davanti a sé, temendo guai o la polizia. Mentre il giorno si faceva più luminoso e la strada più ipnotica, i suoi pensieri si spostarono su Nikki. La immaginò china su Fred Carabetta, lottare contro il dolore alla caviglia fratturata, usando strumenti di fortuna per eseguire un delicato intervento che avrebbe potuto facilmente tranciare a metà la vena dell’uomo. Coraggio, intraprendenza, pietà, intelligenza, nel breve periodo da quando si erano conosciuti, lei gli aveva mostrato tutte quelle doti. Non aveva mai creduto che esistesse una donna capace di prendere il posto di Ginny nella sua anima e nel suo cuore. Ora, almeno, sapeva che era possibile. Forse per la prima volta, riconobbe l’effetto che la morte di Ginny continuava ad avere su di lui, la forte depressione che aveva eretto un muro, impedendogli di sperimentare la vera gioia. Nikki era forse la risposta? Forse, disse a se stesso mentre filava lungo l’interstatale. Forse lo era.

Catharpin… Centerville… Fairfax… quando attraversarono Arlington, rimanevano loro solo dieci minuti. Con ogni probabilità non sufficienti, a meno che non vi fossero stati dei preliminari. C’era poi sempre il problema di contattare qualcuno con tanto potere da bloccare l’iniezione, e di farlo senza farsi uccidere.

Il traffico ora era più intenso, molto più pesante, e Matt fu costretto a rallentare fino a quaranta chilometri all’ora per unirsi al flusso lungo la riva occidentale del Potomac. Alla sua destra scorse il cimitero nazionale di Arlington. Joe Keller non sarebbe mai stato sepolto là, e neppure Kathy Wilson o Teddy Rideout o una qualsiasi delle altre vittime della guerra di Hal Sawyer. Matt sapeva, tuttavia, che grazie alla donna seduta dietro di lui, la morte di ciascuno di loro avrebbe alla fine salvato molte vite.

Ancora otto minuti alle tre.

«Prenda quell’uscita», gridò Ellen. «Attraverseremo qui il Potomac, poi cercheremo indicazioni per Anacostia. Siamo quasi a destinazione.»

Presero la 395 diretti verso est, attraversarono il fiume Anacostia alla Pennsylvania Avenue, quindi svoltarono in Minnesota Avenue. Questo era il settore popolare della città, un’isola di violenza e disperazione, infestata dalla droga, con una disoccupazione dell’ottanta per cento, a meno di tre chilometri dalla sede del Congresso. Non era stato certo per caso che Lynette Marquard aveva scelto un centro sanitario di quel quartiere per pubblicizzare l’Omnivax. Suo marito non aveva grande successo tra gli elettori neri e ispanici. Matt si chiese quanto tempo ci avrebbe messo Lynette per accettare la storia del Lasaject e dare l’alt alle vaccinazioni.

Il traffico ora si era fatto lentissimo.

Ancora due minuti.

«Siamo abbastanza vicini, affinché lei possa arrivare là a piedi?» domandò Matt.

«Forse. Non sono del tutto certa di dove ci troviamo rispetto a… aspetti! Fenwick Road. Laggiù! È quella la strada. Ne sono sicura.»

Matt accelerò e fece balzare la Harley nella zona alberata e, attraverso un prato, in Fenwick Road. Dopo parecchi isolati individuarono dei camion delle reti televisive, allineati lungo il bordo della strada. Videro quindi, a un isolato davanti a loro, la barriera blu.

«Che ore sono?» chiese Matt, con la speranza che il suo orologio e quello preso da Ellen dalla scrivania di Heidi non concordassero.

«Le tre passate», rispose Ellen tristemente, «da cinque o sei minuti. Lei ha fatto l’impossibile.»

Quanto sarebbe durato in tutto quello spettacolo, si chiese Matt. Non più di dieci o quindici minuti, pensò, seguito forse da alcuni commenti dei guru della salute di varie compagnie televisive. Sarebbero passate ore prima che i telegiornali normali mandassero in onda la loro storia, avvisando così i pediatri di tutto il paese che le vaccinazioni erano state bloccate. Non erano riusciti a fermare la prima iniezione, ma forse sarebbero riusciti a contattare in tempo una qualche autorità e a evitare migliaia di altre vaccinazioni pericolose. Tre per cento.


«Barricate», annunciò Matt. «Siamo arrivati.»

Mentre raggiungevano l’incrocio, un giovane poliziotto di Washington si diresse lentamente verso di loro. Fissò in modo strano la Nonnetta Motociclista, appollaiata comodamente sul sedile rialzato del passeggero dietro Matt.

«Qui non si può entrare», li avvisò. «Dovrete dirigervi da quella parte per due isolati fino a che non troverete l’agente di polizia, o tornare sulla circonvallazione.»

«Parlo con lui?» domandò sottovoce Ellen.

«Abbiamo un’unica opportunità e non credo proprio sia lui. Quando finirà di parlare con il suo sovrintendente, che a sua volta chiamerà il suo capo, sarà già domani.»

«Che fare, allora?» chiese Ellen.

A quel punto, dietro di loro si erano incolonnate molte altre automobili. L’agente di polizia ripeté le stesse istruzioni anche agli occupanti di un minifurgone color argento.

«Secondo me, dobbiamo salire alcuni gradini nella scala del commando. Resista.»

«Preghiamo soltanto che quel ragazzino in divisa da poliziotto non inizi a sparare.»

«Non è lui che mi preoccupa», ribatté Matt. «Si tenga salda. Voglio provare a raggiungere la porta d’entrata della clinica. Che ore sono?»

«Le tre e dieci.»

«Dannazione.»

Matt attese che il poliziotto fosse passato a un’altra macchina, quindi aggirò a gran velocità la barricata, balzò sul basso cordolo e si lanciò lungo il marciapiede. Se il poliziotto aveva sparato contro di loro, non udirono il colpo. Si stavano avvicinando rapidamente alla falange di furgoni delle compagnie televisive che indicavano l’entrata della clinica. Novanta metri… quarantacinque… Matt già si vedeva sfondare la porta a vetri, quando, con la coda dell’occhio, colse un movimento alla sua sinistra. Rallentò e stava girando la testa, quando una donna si lanciò su di loro. Le braccia tese, sbatté contro le spalle di Matt ed Ellen e li fece volare dalla motocicletta e atterrare sulla terra battuta di un terreno coperto d’erbacce e immondizie. La Harley, senza guidatore, sbandò di lato lungo il cemento e si fermò contro la base di un albero. La donna, un’atletica brunetta sulla trentina, li tenne a terra finché non arrivarono altri due agenti dei servizi segreti, le pistole puntate.

«Non muovetevi», sibilò uno di loro, la pistola puntata. «Toglietevi il casco, lentamente, lei per primo.»

Ellen e Matt ubbidirono.

«Sono un medico», si presentò Matt.

«Vi prego, ascoltateci», li implorò Ellen. «Io sono un membro della commissione che ha approvato il vaccino che è stato appena inoculato a quel bebè là dentro. Mi chiamo Ellen Kroft. Abbiamo scoperto che l’Omnivax presenta un grave problema. Dobbiamo assolutamente parlare con qualcuno di autorevole mentre la televisione sta ancora trasmettendo, per poter avvertire la cittadinanza e impedire che altri bambini vengano vaccinati. Centinaia di vite potrebbero essere in pericolo. Vi prego! Sto dicendo la verità. Il vaccino contiene un elemento infettivo. Bisogna avvisare la signora Marquand.»

Uno degli agenti, un dinoccolato uomo nero con una cicatrice che gli attraversava il mento, li fissò sospettosamente, quindi lanciò un’occhiata interrogativa agli altri due, che scrollarono le spalle.

«Certificato d’identità?» chiese.

Ellen scosse la testa.

«Lo immaginavo.»

«Portafogli, nella tasca della giacca», disse Matt.

«Lo tiri fuori lentamente.»

L’agente porse il portafogli di Matt al collega che esaminò il contenuto.

«Concessione del West Virginia. Matthew Rutledge. Dice che è un dottore.»

«E io sono il Papa», borbottò il primo agente, prendendo un paio di manette dalla tasca posteriore. «In piedi, tutti e due. Jill, perquisiscili.»

«Per favore», ripeté Matt disperatamente, mentre il suo polso sinistro veniva ammanettato a quello destro di Ellen, «dobbiamo andare laggiù prima che venga interrotta la trasmissione dal vivo.»

«Stia zitto!» L’agente si rivolse agli altri due. «Allora?»

Jill sollevò dal fianco la radio ricetrasmittente.

«Bert, sono Jill. Quanto ritardo ancora prima che inizi lo spettacolo?»

«Ritardo?» domandò Ellen.

«Ho detto, silenzio!»

«Alan, Bert dice ancora dieci minuti», riferì Jill all’agente nero.

L’uomo sospirò.

«Digli che gli portiamo giù due non invitati. Prima ce li togliamo dalle mani e li passiamo alle sue, meglio è.»

«Grazie», esclamò Ellen, decisamente sollevata. «Ha fatto la cosa giusta.»

«Perché le sue parole suonano più come ‘Si trovi un altro lavoro?’»

«Hanno già iniettato il vaccino?» osò chiedere Ellen.

«No, non sono neppure andati ancora in onda.»

«Che è successo?»

«È successo che un pazzo è entrato là dentro vestito da elettricista. Con un paio di forbici ha troncato il cavo che collega la telecamera all’interno della clinica con il camion che trasmette il segnale a tutte le stazioni televisive. Abbiamo accumulato un ritardo di quarantacinque minuti. Credo però che stiano sostituendo il cavo proprio ora.»

«Affrettatevi, allora», li esortò Matt. «Portateci da uno dello staff della signora Marquand prima che facciano quell’iniezione e vi prometto che diventerete degli eroi.»

«Spero per lei che abbia ragione.»

Scortati da due agenti ai fianchi e da una folla che li scherniva dalle finestre delle case popolari, Ellen e Matt percorsero il vialetto verso la clinica.

«Non riesco a credere che ce l’abbiamo fatta», esclamò Matt.

«Glielo avevo detto di non arrendersi.»

«No, ero stato io a dirlo a lei.»

Ellen si rivolse a Jill.

«Ha una qualche idea del perché quell’uomo ha tagliato il cavo?»

«Come ha detto Alan, è l’opera di un pazzo. Sentite, se ancora non se ve foste resi conto, questa per noi non è una gran bella giornata. Se ci state prendendo in giro riguardo alla vostra identità o al vaccino, vi ammanetteremo allo stesso albero che sta abbracciando quel pazzo e vi faremo passare lì la notte a saggiare l’ospitalità del quartiere.»

L’agente indicò alla loro destra, dove se ne stava il colpevole, le braccia ammanettate attorno a una grossa quercia.

Ellen sorrise mentre superavano l’uomo dirigendosi verso il luccicante centro sanitario.

Rudy agitò la punta delle dita.

«Ehi, Rudy», gridò Ellen, «questo è il mio nuovo amico, Matt Rutledge. Matt, lui è il mio… qualcuno che significa molto per me, Rudy Peterson.»

Nel momento in cui raggiunsero la clinica, ne uscì una coppia. La donna teneva tra le braccia una neonata, in modo tale che la piccola fosse inondata dal caldo sole pomeridiano. Dietro di lei, appena dentro la soglia, Matt scorse altri agenti dei servizi segreti. Alla vista di loro due ammanettati, la coppia indietreggiò.

«Buongiorno», li salutò Ellen allegramente, il sorriso tanto ampio che minacciava di oltrepassare i limiti del suo viso. «È questa la piccola che riceverà la vaccinazione?»

«Sì», rispose Sherrie, lanciando un’occhiata colma di amore alla sua bambina. «Si chiama Donelle.»

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