Erano già passate le dieci del mattino quando finalmente Matt si sentì abbastanza tranquillo da lasciare Lewis ai fratelli. Frank parve assumere spontaneamente il ruolo di capo nell’assistere il fratello e, paragonato a Lyle e Kyle, era proprio lui il fratello che Matt stesso avrebbe scelto per quel compito. Gli diede un sacco di istruzioni su come curare la ferita e su quali osservazioni generali fare, lo implorò di portare Lewis in ospedale, se si fosse presentato qualsiasi peggioramento, e promise di tornare appena il lavoro glielo avesse permesso. Mandò su di giri la Vulcan e si diresse verso casa per fare una doccia, cambiarsi e chiamare Mae.
«Dottor Rutledge, stavo per mandare la polizia a casa tua», lo rimproverò Mae.
«Scusami. Ieri notte ho fatto un lungo giro in moto e ho dormito sotto le stelle.»
«Non c’erano stelle la notte scorsa, signore», replicò Mae nel suo tono cantilenante. «Non c’è bisogno che racconti a me bugie. Io sono la tua più grande ammiratrice e crederò a qualsiasi cosa tu dica.»
«Va bene lo stesso, Mae. Credimi. Tutto a posto?»
«No, non è tutto a posto. Oggi è di rimpiazzo al pronto soccorso ed è da un’ora che stanno cercando di contattarla.»
«Gesù!»
«Pardon?»
«Ho detto che li chiamerò immediatamente.»
«L’infermiera ha detto qualcosa su un cinquantenne di Hawleyville con diarrea e febbre e nessun medico.»
«È fortunato. Ho ricevuto il premio ‘febbre e diarrea’ a Harvard. L’ambulatorio va bene?»
«L’ambulatorio è a posto… E tu?»
«Che cosa sei, una specie di strega?»
«C’è chi lo sostiene. Posso fare qualcosa?»
«Per il momento, nulla. Ma lasciami il pomeriggio il più libero possibile.»
«Farò del mio meglio.»
Matt telefonò al pronto soccorso e diede parecchi ordini diagnostici e terapeutici per l’agricoltore che sembrava avesse contratto un’infezione batterica intestinale, forse salmonella o Shigella. Si spogliò poi in camera da letto, con un calcio mandò i vestiti sporchi sotto una sedia, quindi s’infilò sotto una doccia, la più calda possibile. I graffi e le escoriazioni sul viso non erano brutti come aveva pensato, ma dovette fregarsi per alcuni minuti prima di rendersi conto che il nero attorno agli occhi non aveva nulla a che fare con l’unguento mimetizzante di Lewis e che non sarebbe scomparso lavandolo.
Mentre si asciugava, lanciò un’occhiata al libro che teneva sulla cassetta del water: Manuale di medicina e chirurgia d’urgenza. Sarebbe passata una vita intera prima che dovesse eseguire di nuovo uno di quegli interventi. Eppure… lo sfogliò brevemente, quindi lo mise in un posto più prestigioso, il comodino in camera da letto.
L’agricoltore con febbre e diarrea era disidratato e aveva moderati disturbi addominali. Matt lo esaminò, prescrisse una serie di esami e dettò la lunga cartella clinica di ricovero. Pregò che la giornata non fosse troppo convulsa, ma non venne esaudito. Venti minuti dopo, da una casa di riposo arrivò in ambulanza una novantenne colpita da ictus, che le aveva paralizzato il lato destro e tolto la capacità di parlare. Un tipico incubo medico ed etico, e naturalmente il suo medico di fiducia era in vacanza. Matt si chiese se fosse giusto sottoporla a trattamento. Rimase accanto al suo letto, tenendo la mano nodosa nella sua, fissando i suoi occhi appannati, ma senza ricevere alcun messaggio preciso. Sua madre era molto più giovane di quella donna e non era ancora arrivata a quel punto, ma l’Alzheimer stava progredendo costantemente e non sarebbero passati molti anni prima che lui dovesse chiedersi se il trattamento che le facevano era crudele o no. Per sua madre, tuttavia, oggi era oggi, proprio come lo era per quella povera donna. Sospirando, prese la cartella e prescrisse cure per l’idratazione, esami diagnostici e un consulto neurologico. Avrebbe avuto bisogno di saperne di più su di lei, prima di indossare il camice e iniziare a fare la parte di Dio.
Quando ebbe terminato una seconda lunga cartella di ricovero e visitato parecchi pazienti nel suo ambulatorio, il pomeriggio stava svanendo. Tornato al pronto soccorso, rilesse l’elenco di attrezzature e farmaci che avrebbe «sottratto» dall’ospedale per Lewis. Aveva appena messo insieme un vero apparato di drenaggio polmonare, quando vide avvicinarglisi di corsa un tecnico del servizio di emergenza su ambulanza. Si chiamava Gary Lydon ed era un giovane poco più che ventenne, serio, dal viso infantile.
«Dottor Rutledge», disse ansimando, «è appena arrivato un avviso via radio. La polizia ha ricevuto una telefonata da un automobilista in Wells Road. A quanto pare alcuni ragazzi si sono immersi e hanno tirato su dal fondo del Crystal Lake una donna. Stavano pescando sotto la Niles Ledge quando lei è precipitata dalla cengia proprio sopra di loro ed è affondata.»
«È viva?»
«Così dicono.»
Kirsten Langham, il secondo tecnico medico dell’ambulanza, si unì a loro. Aveva più esperienza di Gary, ma era ancora alle prime armi. Mettere insieme una simile squadra non era tipico della società di soccorso. Matt accompagnò i due all’ambulanza.
«Per quanto è rimasta sott’acqua?» domandò.
«Il messaggio non l’ha specificato. Ma c’è un problema.»
«Quale?»
«Rick Wise è il paramedico di turno, ma è andato a recuperare un motociclista. Se questa donna avesse bisogno di essere intubata, né io né Kirsten siamo qualificati a farlo.»
Crystal Lake è vicino a Wells Road. Matt valutò che i due tecnici ci avrebbero messo perlomeno mezz’ora, se non più, per raggiungere la donna, portarla fuori del bosco, caricarla sull’autoambulanza e tornare all’ospedale. Se avesse avuto bisogno di un tubo respiratorio, cosa più che certa, a meno che non fosse stata sveglia e in grado di parlare in modo sensato, i due avrebbero dovuto effettuare l’intubazione appena arrivati da lei.
«Aspettate un minuto», li fermò. «Vengo con voi.»
«Che Dio la benedica, dottore», esclamò Gary. «Le tengo un posto davanti.»
«No. Voglio stare dietro per verificare l’attrezzatura.»
«Kirsten l’aiuterà. Io mi metto al volante.»
Matt tornò di corsa al pronto soccorso, spiegò all’infermiera dove andava, quindi saltò nella cabina posteriore dell’ambulanza. Gli Slocumb avrebbero dovuto aspettare. Sperò che Lewis fosse ancora stabile, in caso contrario Frank avrebbe dovuto raccogliere tutto il suo coraggio e il suo buonsenso e ricoverarlo in ospedale.
A sirene spiegate, raggiunsero Wells Road in dieci minuti. Una macchina della polizia di Belinda, bianca e nera, era parcheggiata, vuota, sul bordo della strada, i lampeggianti accesi. Gary Lydon superò l’auto della polizia prima di accostare accanto a uno stretto sentiero che Matt sapeva portare alla Niles Ledge. Aveva preparato una grande cassetta di pronto soccorso in plastica con tutta l’attrezzatura che gli sarebbe servita se avesse dovuto intubare la donna. Con la cassetta in mano, corse attraverso il bosco, provando una forte, spiacevole sensazione di déjà vu. Sembrava fosse passato un anno dalla sua avventura con Lewis. Dopo quattrocento metri, il sentiero sinuoso si divise in due rami, uno che portava alla cengia, l’altro al lago.
«Prendete a destra», gridò, temendo che i due tecnici medici non fossero cresciuti in quella zona.
«Capito», rispose Gary.
La scena sotto l’enorme cengia era impressionante. Numerose barchette da pesca erano ormeggiate lungo la riva e i loro occupanti attorniavano due poliziotti in divisa e due adolescenti. Il Crystal Lake era lungo e piuttosto largo. La cengia, situata in una larga baia vicino all’estremità meridionale del lago, era difficile da raggiungere, ma forniva la possibilità di tuffarsi in cinque metri d’acqua e tutt’attorno la pesca era buona. I due ragazzi, che ancora indossavano jeans inzuppati d’acqua, ma si erano tolti camicia e scarpe, se ne stavano in disparte. Un poliziotto era inginocchiato accanto alla donna supina e le stava facendo la respirazione bocca a bocca, interrompendosi di tanto in tanto per guardarla trarre un respiro lento, da sola.
«Questi ragazzi sono stati degli eroi, dottore», disse con orgoglio il poliziotto in piedi. «L’hanno salvata.»
Ma che è rimasto di lei? si chiese Matt mentre s’inginocchiava accanto all’altro poliziotto.
«Agente Gibbons, signore», si presentò il giovane poliziotto. «Credo che ci siamo già conosciuti.»
«Che cosa è successo?» chiese Matt, già intento a esaminare la donna.
La donna, snella, bianca, sulla trentina, era priva di sensi e respirava debolmente. I capelli neri erano appiccicati sulla fronte, le labbra rosse. Matt disse all’agente di continuare a respirare per lei. Le pupille erano in posizione intermedia, ma non reagirono al lampo della penna luminosa, un segno pessimo o il risultato di un esame tecnicamente limitato. Indossava jeans, scarpe da ginnastica e una T-shirt nera con un’ondeggiante scala musicale sul davanti; sopra l’occhio sinistro notò un livido e una escoriazione. Vi era anche una lunga lacerazione, anzi un’incisione, lungo l’attaccatura dei capelli, appena sopra la tempia destra.
Quando arrivarono i due tecnici dell’ambulanza, Matt ordinò loro di iniziare a farle immediatamente la respirazione artificiale con il palloncino.
«Questi ragazzi stavano pescando proprio qui», cominciò a raccontare l’agente, «quando all’improvviso hanno visto questa donna precipitare dalla cengia sopra di loro. Uno di loro, Harris, il figlio di Percy Newley, giura di avere sentito qualcosa come uno sparo un istante prima di vedere la donna volare giù e finire in acqua.»
«Sono riusciti a tirarla fuori al primo tentativo?» domandò Matt, mentre le auscultava il torace con lo stetoscopio.
«Come, scusi?»
«Il figlio di Percy e il suo amico, l’hanno tirata fuori alla prima immersione?»
L’imbarazzata espressione dell’agente rivelò che aveva appena afferrato l’importanza di quella domanda che, ovviamente, non aveva posto.
«Harris, quanti tentativi avete fatto prima di portare su la donna dal fondo?»
«Due. Michael ci ha provato per primo, poi l’abbiamo fatto insieme. L’abbiamo tirata su per i capelli.»
«Grazie», disse Matt, preparandosi a intubarla.
Valutò che fosse rimasta sott’acqua per circa due minuti e sperò di non avere dato troppo credito ai ragazzi. Nel frattempo, Gary stava sistemando la coppetta triangolare del palloncino per la respirazione sulla bocca e sul naso della donna, mentre Kirsten inseriva un ago endovenoso. Dopo avere sistemato il tubo di ventilazione, avrebbe spostato la coppetta e collegato il palloncino direttamente al tubo endotracheale.
«Soluzione salina normale?» chiese Kirsten.
«Giusto», rispose Matt. «Vi state comportando benissimo. Grazie a questi eroi e alla buona tecnica bocca a bocca effettuata dai due agenti, questa donna ce la farà. Ha però ancora bisogno del nostro aiuto. Infilerò ora il tubo di ventilazione per farle arrivare dell’ossigeno concentrato nei polmoni. Mettiamola sulla barella, Gary, e solleviamola. Non vorrei lavorare disteso sulla pancia, con lei sdraiata a terra.»
In ospedale gli anestesisti erano le autorità dell’intubazione, avendo affinato la loro capacità centinaia di volte in sala operatoria. Durante uno dei suoi internati, Matt aveva scelto anestesia e intubato decine di casi sotto la loro guida. Negli anni successivi, aveva apprezzato quelle opportunità per una miriade di motivi. La regola principale era che, se il sanitario non eseguiva l’intervento in posizione comoda, fisicamente e mentalmente, le probabilità che l’intubazione non riuscisse aumentavano di molto. Le sciagure che capitavano più spesso erano le intubazioni esofagee invece che tracheali, il che portava al riempimento d’aria dello stomaco; la lacerazione dei tessuti della gola che causavano emorragie, che rendevano a loro volta più difficili i tentativi successivi; danni alle corde vocali, provocati nel tentativo di forzare il tubo troppo in profondità senza una adeguata visione; e infine, un’inserzione troppo profonda della cannula e l’occlusione di uno dei due condotti bronchiali.
Matt fece ciò che gli era stato insegnato e ciò che aveva poi insegnato a tanti studenti e paramedici, ma prima sprecò alcuni secondi per posizionare la sua nuova paziente e calmarsi prima di procedere. Piegò leggermente all’indietro la testa della donna, sdraiata sulla schiena, raddrizzandole il collo. Gary Lydon s’inginocchiò accanto a lui per tenere bloccata la testa in quella posizione. Ben saldo su un ginocchio e fiducioso nelle sue capacità per quanto poteva esserlo in quella situazione, Matt infilò la lama curva e illuminata del laringoscopio lungo la lingua della donna, quindi tirò la lama in su verso il mento. Tutto quello che riuscì a vedere fu acqua lacustre che sgorgava dai polmoni. Guai, forse grossi guai. Al pronto soccorso avrebbe potuto liberare le vie aeree con suzione. Qui no. Era possibile infilare alla cieca il tubo semirigido, una manovra comunque pericolosa. L’avrebbe fatto solo come ultimo espediente.
Adagio, ora, con calma.
Il colorito della donna era ancora brutto. Di secondo in secondo le cellule cerebrali venivano compromesse. Presto avrebbero iniziato a morire.
Forza, Rutledge. Mantieni la calma e non farti prendere dal panico. Lo puoi fare… Tu… lo… puoi… fare.
Trasse un profondo respiro, strinse il manico del laringoscopio e spinse la lama verso l’alto di un altro quarto di centimetro. Il movimento spostò ancora di più la lingua della vittima e sollevò l’epiglottide, la cartilagine che impedisce che i polmoni aspirino cibo o liquidi. Il lieve aggiustamento fece sì che l’acqua si ritirasse di quel tanto da esporre le due mezzelune argentee che erano le corde vocali.
Sì!
Infilò delicatamente il tubo tra le corde vocali.
«Ci siamo», esclamò, cercando, inutilmente, di suonare indifferente.
Si udì il sollievo dei due tecnici del soccorso e dei poliziotti.
«Bel lavoro», commentò uno dei due.
Matt utilizzò una grossa siringa per gonfiare il pallone fissato attorno all’estremità del tubo, e lo chiuse ermeticamente per evitare che l’aria fuoriuscisse. Kirsten Langham fissò rapidamente il pallone in lattice nero al tubo e lo collegò all’ossigeno. Nel giro di pochi secondi, il colorito grigiastro e chiazzato della donna cominciò a cambiare. Forse ce l’avrebbe fatta. Restava da vedere che cosa era successo al suo cervello.
Matt azionò il pallone di ventilazione, mentre i due paramedici spingevano la barella lungo il sentiero fino all’ambulanza. Mentre la donna veniva issata nella cabina posteriore, Matt prese da parte i ragazzi.
«Voi due avete fatto una cosa fantastica. È più che probabile che le abbiate salvato la vita.»
«È stata fortunata che fossimo lì», commentò uno dei due.
«Direi proprio di sì. Tu sei Harris?»
«Io sono Michael. Lui è Harris.»
«Capito. Due domande. In primo luogo, ripetete cosa è successo. Stavate pescando e lei è caduta in acqua proprio davanti a voi.»
«Sì.»
«Ed è andata a fondo?»
«Potrebbe essere rimasta a galla per un paio di secondi», s’intromise Michael, «ma nel complesso le cose sono andate proprio così. Mi sono immerso, ma non sono riuscito ad afferrarla prima di restare senza fiato. Poi l’abbiamo fatto insieme e l’abbiamo tirata su per i capelli.»
Due minuti, al minimo, valutò di nuovo Matt. Quattro al massimo, a seconda di quando hanno iniziato a farle la respirazione bocca a bocca e di quanto bene l’hanno fatta.
«Avete fatto la respirazione bocca a bocca?»
«È stato Harris. Io mi sono messo a chiedere aiuto a squarciagola.»
«Harris, le hai tenuto chiuso il naso?»
«Sissignore. E le ho anche inclinato la testa all’indietro.»
«Dove hai imparato a fare al respirazione bocca a bocca?»
«Ce lo hanno insegnato durante l’ora di igiene, signore. Abbiamo usato un manichino per impratichirci.»
«Non c’è che dire, siamo proprio felici che tu abbia prestato attenzione a quella lezione», scherzò. «E ora, riguardo a quegli spari?»
«Non erano spari», s’intromise Michael. «Troppo deboli. Forse era il rumore di rami spezzati o il ritorno di fiamma di una macchina sulla strada.»
«No, erano degli spari», insisté Harris. «Michael, ascolta, le pistole non fanno lo stesso rumore di un ritorno di fiamma. Ci sono stati due spari, forse tre.»
«Pronti», gridò Gary dal retro dell’ambulanza. «Kirsten l’aiuterà con il palloncino. Io guiderò.»
«Ragazzi, siete stati fantastici», ripeté il dottore. «Molte persone, inclusi medici, credono a volte di avere salvato la vita a qualcuno, mentre, in verità, potrebbero non averlo fatto. Credetemi, voi due l’avete veramente fatto.»
Saltò sull’ambulanza e salutò con la mano i due ragazzi, mentre Gary chiudeva lo sportello. Si sedette sulla panca di fronte a Kirsten e, per la prima volta, guardò attentamente la donna che per poco non moriva sotto la Niles Ledge.
Era ancora priva di sensi. Il gonfiore sopra l’occhio sinistro era pronunciato e cominciava a sbiadire. Matt lo toccò, ma non ebbe l’impressione che sotto vi fosse una frattura del cranio. L’incisione lineare sopra la tempia destra avrebbe potuto essere stata causata da una pallottola. Aveva graffi anche sulle guance e il mento, simili a quelli che si era fatto Matt solo dodici ore prima. Non era esagerato immaginarla attraversare correndo quel fitto bosco, atterrita, inseguita da qualcuno che le sparava contro.
Separò le palpebre e usò la penna luminosa per esaminare di nuovo la reazione delle pupille alla luce. Questa volta il risultato cambiò.
«Entrambe le pupille reagiscono», dichiarò.
«Fantastico», commentò Kirsten. «La saturazione di ossigeno nel sangue è novantasette.»
«Sufficientemente buona. Non saprei dire il perché, ma non mi sembra che il suo stato di incoscienza sia più tanto profondo.»
«So che cosa intende dire. Ha come iniziato a mordicchiare il tubo.»
Matt le spostò i capelli bagnati dalla fronte. Il volto, un po’ deformato dal tubo di ventilazione, aveva una sua serenità, una certa delicatezza, fronte liscia, pallida… zigomi alti… occhi grandi a mandorla. Sollevò la mano floscia e la pose sulla sua. Aveva dita lunghe e sottili, unghie tagliate corte. Se erano coperte di smalto, doveva essere trasparente. Nell’anulare destro era infilato un anello Claddagh d’oro, simbolo d’amicizia — due mani che reggevano un cuore — e un singolo cerchietto d’oro al polso sinistro. Nessun altro gioiello. I palmi erano morbidi senza accenno di calli, ma avevano una certa muscolosità. Matt immaginò quelle mani suonare il piano o scrivere o creare vasi in creta, qualcosa di manuale e di artistico.
Ehi, tu, forza, la esortò silenziosamente, svegliati!
L’apparecchiatura mobile per la risonanza magnetica nucleare che serviva la regione si trovava al momento, per i suoi due mesi di rotazione, all’ospedale Hastings, a quaranta chilometri di distanza. La contea di Montgomery aveva, tuttavia, un apparecchio per la tomografia computerizzata quasi altrettanto preciso per traumi senza fratture della testa. Matt chiese via radio che gli riservassero una camera entro un’ora. Chiese inoltre al capo del servizio infermieristico di telefonare al dipartimento di polizia di Belinda e di chiedere che un agente si recasse al pronto soccorso per iniziare le indagini su una possibile sparatoria e anche per cercare di scoprire l’identità della sua paziente. Mentre chiudeva il contatto radiofonico, si chiese se i potenti alla BC C avessero presentato un reclamo contro di lui alla polizia.
Paziente salvato, medico arrestato.
Il genere di notizia amato dalle piccole città.
Quando entrarono a marcia indietro nello spazio riservato alle ambulanze, in loro attesa vi era la squadra di pronto soccorso. Per i successivi quindici minuti, Matt passò in secondo piano. I principali sanitari divennero gli infermieri e il tecnico dell’apparato per la respirazione artificiale, mentre il flebotomo e il tecnico di radiologia raccoglievano informazioni diagnostiche. La loro comatosa Jane Pincopalla venne sollevata dalla barella e stesa su un lettino del pronto soccorso, spogliata e coperta con un camice e un lenzuolo. I tubicini della flebo e del monitoraggio vennero trasferiti sull’attrezzatura ospedaliera. Nella vescica le venne inserito un catetere per seguire le emissioni urinarie e l’idratazione e venne attaccata a un apparecchio per la respirazione artificiale. Vennero poi fatte radiografie del torace e del cranio con un apparecchio portatile.
Alla fine, la squadra si ritirò e Matt riprese il suo posto accanto al letto. Questa volta, l’esame sarebbe stato più dettagliato e avrebbe incluso l’esame del fondo degli occhi della donna con l’oftalmoscopio. Si sentì sollevato nel notare pulsazioni nelle vene in fondo agli occhi e nitidezza ai bordi dei nervi ottici. La loro assenza sarebbe stata un brutto segno, dato che avrebbe indicato la presenza di un notevole edema cerebrale causato da trauma e/o da prolungata mancanza di ossigeno.
«Allora, dottor Rutledge? Ho saputo che ha telefonato.»
Grimes.
Matt si voltò lentamente per affrontare il capo della polizia di Belinda. I due uomini avevano avuto alcune discussioni nel corso degli anni, di solito concernenti qualche azione di Matt contro la BC C. Matt si era inoltre lamentato più di una volta di essere tormentato da multe, per parcheggi e velocità. Grimes era un ex militare e teneva ben a freno la città. Trapiantato dal Nord, con un diploma in diritto criminale, aveva adottato un certo accento montanaro. Era divorziato, con un figlio da qualche parte in Florida che, secondo quello che aveva sentito Matt, non vedeva mai. La diversità di stile di vita avrebbe messo a dura prova il loro rapporto, ma il legame di Grimes con Armand Stevenson e gli altri dirigenti della miniera aveva segnato la loro inimicizia.
Nel corso degli anni, il capo della polizia si era autonominato presidente della commissione di sorveglianza formata da una sola persona per intervenire ogni qualvolta Matt non avesse un adeguato permesso o affiggesse volantini contro un’ordinanza cittadina. Matt sospettava che Grimes o i suoi lacchè avessero qualcosa a che fare con la sparizione della maggior parte, se non di tutti, i volantini color cremisi.
«Ho solo chiesto un poliziotto», riprese Matt, «non il poliziotto.»
«Lei è una persona molto importante per noi», ribatté Grimes, sorridendo garbatamente. «Che cosa c’è?»
Matt indicò la paziente. Nel vederla, Grimes strinse con forza le labbra.
«Questa donna è caduta dalla Niles Ledge nel lago», spiegò Matt. «Uno dei due ragazzi che l’ha salvata ha detto di avere sentito parecchi spari. L’altro non è d’accordo. Ha un grosso livido sopra l’occhio. Forse è per questo che è priva di sensi, ma ha anche una ferita al cuoio capelluto che potrebbe essere stata provocata da un proiettile. Per legge, devo riferire qualsiasi possibile sparatoria.»
«Grazie per avermelo detto, dottore. Di tanto in tanto dimentico alcune leggi. Per quanto tempo è stata sott’acqua?»
«Due minuti al minimo, quattro al massimo. Non aveva con sé un documento d’identità, per cui, oltre a riferire la possibile ferita d’arma da fuoco, speravo che potesse scoprire chi è.»
Grimes fece un passo avanti, pose le mani sulla sbarra del letto. E abbassò lo sguardo sulla donna.
«Si chiama Nikki Solari», disse con voce piatta. «È venuta qui da Boston per assistere alla funzione religiosa in memoria di Kathy Wilson, tenutasi questa mattina. Ho parlato con lei al cimitero. La Wilson era la sua compagna d’appartamento. Sa chi era?»
«So chi era e ho ascoltato la sua musica, ma non la conoscevo di persona.»
«È stata investita da un camion a Boston ed è morta sul colpo.»
«Ho sentito qualcosa da Hal Sawyer. A quanto pare, lui conosceva Kathy e la sua famiglia.»
«Già, c’era anche lui alla funzione. Questa donna suonava il violino nel complesso di Kathy.»
Matt decise che suonare il violino era quasi come suonare il piano. Si stava mentalmente dando pacche sulle spalle per avere capito che le mani di Nikki Solari erano quelle di un’artista, quando Grimes soggiunse: «Suonava solo per hobby. In realtà è una patologa, un coroner su a Boston. Trascorre il suo tempo immersa fino ai gomiti nel sangue coagulato e nelle budella».
Smise immediatamente di darsi pacche.
«Che ne pensa di questa ferita sopra l’orecchio?»
Grimes la esaminò.
«Penso possa essere stata causata da una pallottola», rispose. «Ma potrebbe trattarsi altrettanto facilmente di qualcosa d’altro, come un ramo spezzato.»
«Lo scopriremo senz’ombra di dubbio, quando si sveglierà.»
Grimes si girò di colpo per guardarlo negli occhi.
«E lei faccia in modo che si svegli!» disse di scatto.