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Durante l’anno di internato in chirurgia, prima di passare a patologia, Nikki si era guadagnata il soprannome di «Cubetto», di ghiaccio naturalmente, grazie alla sua assoluta freddezza e padronanza di sé anche di fronte alle emergenze mediche più terribili. Non aveva mai potuto spiegare interamente quella che sembrava una caratteristica innata, ma una volta controllò le sue pulsazioni dopo avere salvato un paziente eseguendo una tracheotomia d’urgenza. Cinquantotto.

«Penso di essere semplicemente una persona molto logica», era stata la spiegazione che aveva dato una volta a un amico medico. «E anche molto positiva. Una volta avviata una situazione, critica o no, mi concentro su ciò che devo fare e quasi mai su ciò che succederebbe se fallissi.»

La zaffata di cloroformio diede a Nikki tre secondi prima che l’uomo impeccabilmente vestito le incollasse la pezza sulla bocca. Come con le urgenze in ospedale, le sue reazioni in quei tre secondi parvero automatiche, mentre di fatto erano il prodotto di un certo numero di rapidissime osservazioni e deduzioni.

Cloroformio, inspira profondamente e trattieni il fiato!… Movimenti rapidi, decisi da parte della cosiddetta vittima, è una trappola… Ciao ciao, dottore, sa chi sono! Questa non è un’aggressione per rapina casuale. Cercare di implorarli, di indurli a chiacchiere a non fare ciò che hanno intenzione di fare sarebbe inutile…

Per tre volte Nikki aveva seguito dei corsi di autodifesa per donne, e per tre volte li aveva abbandonati frustrata, imbarazzata e un po’ spaventata da quanto avesse già dimenticato. C’erano, tuttavia, tre regole ricorrenti che i corsi avevano permanentemente impresso nella sua mente: fate qualcosa alla svelta; mirate ai testicoli, al naso o alle ginocchia; e, il più presto possibile, datevela a gambe. Ancora inginocchiata, la schiena rivolta al massiccio aggressore, Nikki alzò il pugno davanti agli occhi e colpì con il gomito nell’inguine dell’uomo con tutta la forza che riuscì a radunare. Dai polmoni dell’uomo vi fu un’esplosione di aria. Grugnì, la lasciò andare, barcollò all’indietro, quindi cadde sul sedere come un sacco di grano gettato da un camion. Lo strofinaccio imbevuto di cloroformio volò di lato. L’esile uomo dalla T-shirt gialla si stava rimettendo in piedi, ma Nikki fu più veloce. Gli tirò un calcio sotto il mento mentre si stava drizzando, facendogli sbattere i denti e mandandolo di nuovo a gambe all’aria. Si girò e, attraversata di corsa la strada, s’infilò nel bosco.

«Prendila, Verne!» gridò il più grosso, con un accento diverso da quello montanaro cui si era abituata quel giorno. «Per l’amor di Dio, sparale e basta!»

«Merda, Larry, mi ha rotto un dente. Me lo ha spezzato in due.»

Nikki si era già inoltrata di parecchi passi nel bosco, quando osò lanciare un’occhiata alle spalle. Larry, il signor Abito Serio, era malfermo sulle gambe, ma in piedi. Aveva lasciato cadere la giacca, rivelando un torace grande come una Volkswagen. Il sole illuminava la camicia bianca, mettendo in evidenza una fondina a sinistra e scure macchie di sudore sotto braccia che parevano prosciutti. Verne, pure lui in piedi, sembrava meno stordito. Aveva tirato fuori una pistola a canna cortissima dalla cintola e stava per attraversare la strada e inseguirla, fregandosi ancora la mascella. Sparò una volta, ma Nikki si stava lanciando nella boscaglia e neppure capì se il colpo fosse vicino o no.

Questi uomini sanno chi sono e cercano di uccidermi! gridò la sua mente. Muoviti! Corri!

Atterrita e disorientata, corse avanti, cercando di dare un senso alla situazione e di formulare un piano. A suo favore c’era il fatto di essere molto più in forma di Larry e almeno quanto Verne. Inoltre, stava scappando per salvarsi.

L’aspetto sfavorevole era evidente: due uomini armati, che conoscevano la zona, arrabbiati come bestie e decisi a ucciderla. Brutta situazione. Sentì comunque che riusciva a mantenere una certa calma e a combattere il panico.

«Taglia da quella parte!» sentì Verne gridare. «Se non la becco prima, presto uscirà dalla proprietà. Impediscile di tornare indietro.»

Nikki tenne le mani davanti agli occhi per evitare di essere colpita dai rami. La città era a parecchi chilometri alla sua sinistra. Alla sua destra, da ciò che ricordava, non vi era nulla fino alla strada principale, a forse sedici chilometri di distanza. Verne le era parso preoccupato che tornasse indietro tra lui e Larry, per cui forse era proprio quello che doveva fare. Scartò subito quell’idea. Le probabilità di venire acciuffata da uno dei due mentre tornava verso la strada erano troppo alte, specialmente senza alcuna garanzia che, anche se ce l’avesse fatta, sarebbe poi passata un’automobile. Doveva continuare a correre in avanti, cercando un posto dove nascondersi fino al calare del buio. Solo allora sarebbe potuta tornare a Belinda.

Con un piano, per quanto debole, stabilito, si appiattì dietro un grosso tronco e ascoltò. Verne non era molto distante da lei. Lo sentiva parlare. Ci mise, tuttavia, un po’ per capire che non stava parlando, ma cantando, che si stava rivolgendo a lei con una voce da bambino, distorta e ossessionante.

«Vieni fuori, vieni fuori, ovunque tu sia. Tut-tiii, tut-tiii liberi. Forza, signorina, non puoi andare da nessuna parte.»

L’attenzione su Verne venne interrotta da uno sparo alla sua sinistra. Il proiettile si conficcò nel tronco dietro il quale era nascosta.

«Che diavolo stai facendo?» gridò Verne.

«È proprio là, cretino», ribatté Larry. «Proprio dietro quell’albero. Si arrenda, dottore, non può andare da nessuna parte.»

Vi fu un secondo sparo, poi un terzo, ma Nikki stava già correndo via, serpeggiando tra gli alberi e saltando i cespugli. L’enorme killer si era mosso molto più rapidamente di quanto avesse immaginato. Averlo sottovalutato era stato un errore che non avrebbe commesso di nuovo. Gli alberi e il fitto sottobosco erano sia alleati sia nemici, nascondendola fino a un certo punto, ma anche lacerandole faccia e braccia, minacciando di farla inciampare o di accecarla, e impedendole di riprendere fiato.

Perché mi state facendo questo? Perché?

Nikki avrebbe voluto fermarsi e gridare quel perché. Quelli, comunque, erano uomini con ordini e nessuna risposta. Si tuffò, invece, in avanti, cadendo in un basso torrente e cercando, per alcune decine di metri, di percorrerlo di corsa. Doveva esserci qualche posto dove nascondersi, o un sentiero su cui accelerare il passo e mettere una certa distanza tra sé e gli uomini. Scivolò sulle pietre bagnate, scivolò di nuovo. Alla fine, rinunciò e si arrampicò su per la sponda fangosa.

«È nel torrente», gridò Verne. «No, eccola là, sull’altra riva. Da questa parte! Da questa parte!»

Crepitarono altri due spari. Uno spezzò un ramo proprio vicino al viso di Nikki. A meno di non avere un po’ di spazio per correre, l’avrebbero colpita. Tagliò a destra, correndo china per essere un bersaglio meno visibile e per evitare che i cespugli le sferzassero gli occhi. Era tarda estate e sul terreno non vi erano sufficienti foglie morte da nasconderla. Respirava a fatica, cercando di mantenere il ritmo. Sapeva comunque che stava rallentando. Una voce dentro di lei cominciò a dirle di rannicchiarsi a terra dietro un albero e di mettersi semplicemente a pregare che non la vedessero. Quale altra possibilità aveva?

Si poggiò su un ginocchio e rimase immobile, mentre cercava di riprendere fiato. Per dieci secondi, forse quindici, calò il silenzio. Li aveva forse distanziati tanto in così poco tempo? A quella domanda rispose pochi istanti dopo il rumore di un bastone che si spezzava e il fruscio di alcuni cespugli. Almeno uno di loro era vicino, molto vicino. Era in preda al panico e non aveva più idee. La voce interiore le disse di rimanere ferma e di rischiare. L’istinto la esortò ad agire in altro modo. Balzò in piedi e riprese a correre, muovendosi rumorosamente attraverso la fitta boscaglia.

«Da questa parte! Laggiù!» gridò Verne.

Nikki irruppe da alcuni cespugli e si fermò di botto. Era in piena luce sul bordo superiore di una cengia. Davanti a lei si stendeva un lago, annidato in una conca di verdeggiante bosco. La cengia pendeva leggermente per una decina di metri verso un salto di una quarantina di metri sopra la superficie del lago. In lontananza riuscì a malapena a distinguere un paio di barche. Era questo ciò che Verne aveva inteso quando aveva detto che lei presto non sarebbe più andata da nessuna parte. La sua tipica calma era completamente svanita. ‘Cubetto di ghiaccio’ non esisteva più. Era in trappola e stava per morire e l’unica cosa che pensava di poter fare era urlare.

Sentì i due killer sopraggiungere. Non poteva più sfuggire loro. La sua unica mossa era il lago, tuffarsi completamente vestita e sperare di non finire come un pesce nel bidone raccoglipioggia. Nell’attimo in cui si voltò per precipitarsi lungo il pendio in granito, vi fu uno sparo, seguito immediatamente da un altro. La seconda pallottola le scalfì il cuoio capelluto, appena sopra l’orecchio. Stordita, roteò e cadde pesantemente. Sbatté con forza la testa contro la roccia. Impotente e a malapena cosciente, rotolò giù per la china e cadde dalla cengia.

Colpì la superficie del lago con la faccia, consapevole soltanto dell’acqua fredda che l’avvolgeva e del fatto che non si stava muovendo in modo coerente e finalizzato. La caduta le aveva tolto quasi tutta l’aria dai polmoni e, come entrò in acqua, cominciò subito a sprofondare. Nel giro di dieci secondi aveva raggiunto il fondo roccioso. Per alcuni istanti rimase cosciente, sconvolta dall’orrore della situazione. Poi, quando l’oscurità e la pace calarono su di lei, trasse un profondo respiro.

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