32

Nikki sapeva che la caviglia era fratturata. Aveva sentito il crac dell’osso che si spezzava e l’esplosione di dolore quando la donna, che Matt chiamava Tarzana, ottanta, ottantacinque chili al minimo, l’aveva aggredita di sorpresa. Ora non poteva fare altro che mordicchiarsi le labbra e fare del suo meglio per sopportare il dolore. Si trovavano in una situazione spaventosa con una riserva d’aria limitata e nessun modo evidente per uscire dalla caverna. L’ultima cosa di cui gli altri avevano bisogno era preoccuparsi per lei.

La nuova arrivata, Ellen Kroft, sostanzialmente illesa, comprimeva la ferita di Fred Carabetta, mentre Matt usava l’orecchio come stetoscopio per auscultare i polmoni di Colin Morrissey.

«Penso stia muovendo sufficiente aria», osservò, «almeno per ora. Anche il suo stato di coma si sta alleggerendo.»

«Speriamo sia sano di mente quando si sveglia.»

«Con la laringe tanto gonfia che è quasi chiusa, non credo che darà grossi problemi. Come va la gamba?»

«Bene», rispose Nikki, forse un po’ troppo velocemente, per cui soggiunse: «Fa un po’ male».

«Pensi di poterci appoggiare su un po’ di peso?»

«Ne… ne dubito.»

«Vi ho osservati lavorare su quest’uomo da laggiù», s’intromise Ellen indicando il buio alla sua destra. «Siete entrambi medici?»

«Io sono Matt Rutledge, un internista di Belinda, e lei è Nikki Solari, di Boston. Patologa.»

«Quante altre persone ci sono qui, oltre a noi?»

«Sa di qualcun altro?»

«No. Per un certo tempo mi hanno tenuta legata, poi mi hanno iniettato qualcosa che mi ha fatto perdere i sensi. Quando ho ripreso conoscenza ero coperta di polvere e pezzi di roccia. Presumo che Grimes mi abbia slegata mentre ero svenuta e che poi abbia fatto esplodere la caverna. È il capo della polizia di qui.»

«Oh, sappiamo chi è. E lei presume la cosa giusta. Oltre a quell’uomo e a noi quattro, vi sono due persone — una donna e una ragazza — con noduli sul viso come questi. Non sembrano gravemente ferite, ma la donna è impazzita. L’abbiamo dovuta legare. La ragazza è ancora priva di sensi.» Matt abbassò la voce. «Vi sono poi due guardie di sicurezza della miniera. Una è morta, l’altra probabilmente è paralizzata.»

«E due uomini che erano con noi sono dispersi», aggiunse Nikki.

«Sapete perché Grimes ha fatto questo?» chiese Ellen.

«Non so perché abbia incluso anche lei», rispose Matt, «ma, come può vedere, la miniera ha illegalmente ammassato qui dentro sostanze chimiche tossiche. Noi stavamo per rivelare l’intera faccenda. E Grimes è legato ai proprietari della miniera.»

Con la malattia letale causata dai prioni di Kathy non adeguatamente spiegata, Nikki non aveva mai ritenuto soddisfacente la tesi di Matt riguardo alla miniera.

«Non per intorbidare le acque», disse, «ma ciò che Matt non ha detto è che alcune persone di questa zona hanno sviluppato una sindrome di orribili noduli facciali e paranoia progressiva. Matt ritiene che abbia a che fare con queste sostanze chimiche. Io non ne sono tanto sicura. Lei ha qualcosa a che fare con la miniera?»

«No. Non ero mai stata qui prima.»

«Allora, perché?»

«Che mi crediate o no, sono venuta qui perché un uomo era entrato in casa mia a Glenside nel Maryland e aveva giurato che avrebbe ucciso mia nipote se io non avessi fatto ciò che voleva. Ero riuscita a scoprire chi poteva essere e il suo indirizzo qui a Tullis, ma prima dovevo dargli un’occhiata per essere sicura che fosse lui. Il capo della polizia avrebbe dovuto aiutarmi e registrare anche una mia dichiarazione, ma non siamo mai arrivati a quel punto.»

«Non capisco», borbottò Matt, girandosi per controllare Morrissey. «Chi era l’uomo per cui è venuta qui?»

«Si chiama Sutcher. Vinyl Sutcher.»

Sbalorditi, Nikki e Matt si fissarono.

«Forse dovrebbe raccontarci qualcosa di più», disse infine Nikki.

Fred Carabetta aveva perso i sensi. Il suo respiro rumoroso e regolare fece da sottofondo al racconto di Ellen: del suo posto nella commissione di studio sull’Omnivax, della promessa politicamente motivata di Lynette Marquand al popolo americano, del suo spaventoso incontro con Vinyl Sutcher e, dei frutti dell’ostinata ricerca di Rudy Peterson della verità dietro gli attacchi di febbre di Lassa. Infine, dopo che ebbe concluso, per un po’ nessuno parlò. Matt chiuse gli occhi mentre guardava nel caleidoscopio dei ricordi, cercando di connettersi a qualcosa… qualcosa che sapeva esserci.

All’improvviso fissò le due donne con un’espressione cupa.

«Il vaccino contro la febbre di Lassa è stato testato qui», affermò.

«Cosa?»

«Non so esattamente quando, penso più o meno nel periodo tra quando me ne sono andato all’università e quando sono tornato per esercitare qui la professione. Una società farmaceutica aveva pagato i medici della valle per ogni paziente che riuscivano a convincere a farsi iniettare il vaccino. Al mio ritorno, un giorno alcuni vecchi dottori si erano messi a scherzare su questa faccenda nella mensa dell’ospedale. Nessuno di loro aveva mai visto un caso di febbre di Lassa e ora, con un gruppo di cittadini immunizzati, nessuno di loro ne avrebbe mai visto uno. Era di questo che stavano ridendo. Un paio di loro neppure conosceva la malattia, anche se avevano convinto alcuni dei loro pazienti e avevano iniettato loro il vaccino. Ricordo che dicevano di aver ricevuto cento dollari per ogni paziente e che alcuni di loro avevano diviso quei soldi con i pazienti. Era una cosa perfettamente legale, per quanto ne so; medici e pazienti pagati per partecipare a protocolli di ricerca o per testare farmaci. Non so, tuttavia, quanti abitanti della valle abbiano ricevuto il vaccino.»

«Quattrocento», asserì Ellen. «Quattrocento persone di ogni età. Ho visto i riepiloghi della sperimentazione su campo, ma non ho mai preso nota di dove fosse stata condotta.»

«Quanti anni fa?» chiese Nikki.

«Non lo so», rispose Matt. «Forse dieci.»

«Oh, mio Dio», esclamò Nikki.

«Che c’è?»

«Matt, non capisci? Prioni. Il periodo di latenza tra l’esposizione al germe e lo sviluppo dei sintomi può essere di dieci anni o più. Ecco da dove deriva la sindrome di Belinda: dal vaccino, non da questi bidoni di veleno! Le cellule di coltura dei tessuti su cui è cresciuto il virus devono essere state contaminate con prioni fin dall’inizio. È probabile che abbiano usato tessuti di scimmie. Se così fosse, forse le scimmie da cui provenivano le cellule erano contaminate.»

«Ma…»

«Avevi ragione sui rifiuti tossici ammassati dalla miniera. Avevi ragione e ti eri lanciato con passione in questa tua crociata. Grimes conosceva bene questa discarica, e probabilmente ti ha inviato lui quel biglietto per spingerti in questa direzione e impedirti di indagare a fondo sui casi che avevi scoperto.»

«Ma perché mai avrebbe fatto una cosa simile?»

«Deve avere un interesse nel vaccino.»

«Se lo ha», rivelò Ellen, «è sul punto di diventare estremamente ricco. Il Lasaject è una delle componenti più costose dell’Omnivax. L’anno prossimo, quando verranno vaccinati non solo i neonati ma anche i bambini più grandi e gli adulti, verranno somministrate decine di milioni di dosi. Che cosa è questa storia dei prioni? Che cosa sono?»

«I germi che provocano il morbo della mucca pazza e altre malattie neurologiche», rispose Nikki. «Riteniamo siano responsabili dello stato di quell’uomo e anche della donna che mi ha aggredita e della ragazza laggiù. I sintomi non compaiono per anni dopo l’esposizione, ma non esiste un test capace di dire se qualcuno senza sintomi ha contratto il morbo.»

«Lei ritiene quindi che tutti coloro che ricevono il vaccino verranno contagiati dai prioni?»

«Ne dubito. Quelli che si ammalano hanno probabilmente una qualche predisposizione agli effetti dei prioni. In Inghilterra, malgrado centinaia di migliaia di persone abbiano mangiato carne bovina contaminata, sono stati denunciati relativamente pochi casi del morbo della mucca pazza.»

«Quanti di quei quattrocento ritiene abbiano sviluppato il morbo?»

Nikki scrollò le spalle. «Vediamo», rispose. «Matt e io ci siamo imbattuti in sei casi, compresi questi tre. Se, diciamo, ne sono stati fatti scomparire altri sei da Grimes e dai suoi uomini, arriveremmo a dodici.»

«Il tre per cento», calcolò Ellen.

«Quella potrebbe essere una percentuale più alta che per il morbo della mucca pazza», s’intromise Matt, «ma c’è ancora molto da indagare sul resto delle persone esposte, perché non sappiamo quanto sia variabile il periodo di latenza della malattia. E gli inglesi hanno mangiato il germe. A questa gente è stato iniettato.»

«Tre per cento al minimo», ribadì Ellen. «È terribile. Uno di voi sa che giorno è oggi e che ore sono?»

«Il due», rispose Matt guardando l’orologio. «L’una e mezzo del mattino. Perché?»

«Perché oggi, alle tre del pomeriggio, credo, la first lady presiederà una cerimonia teletrasmessa dal vivo, durante la quale il ministro della Sanità farà a una neonata di quattro giorni la prima iniezione ufficiale di Omnivax. Verrà vaccinata al centro sanitario di Anacostia, un quartiere di Washington. Subito dopo quella prima iniezione, i pediatri di tutto il paese inizieranno a somministrare l’Omnivax ai loro pazienti. Hanno già il vaccino nei loro frigoriferi.»

«E probabilmente nessuno di quei bambini si ammalerà immediatamente», commentò cupamente Nikki. «Nessuno si renderà conto che qualcosa non va.»

«Oh, qualcuno si ammalerà», ribatté Ellen. «Una percentuale di bambini vaccinati si ammala inevitabilmente, alcuni di loro gravemente, altri addirittura in modo letale. I pediatri e gli scienziati e le ditte farmaceutiche ci dicono che le loro vite sono un compromesso per il bene di tutti. Mi chiedo come si sentirebbero se si trattasse della vita dei loro figli. Il problema che ha preoccupato me e molti altri da tempo riguarda le inoculazioni: chi mai potrà dire ciò che accadrà dopo cinque o dieci anni che una bambina è stata vaccinata, specialmente adesso che tutte le vaccinazioni sono accumulate nell’Omnivax?»

«Questi tre lo possono dire», rilevò Matt. «Grimes deve avere capito che il vaccino era difettoso. Con tutti quei soldi in gioco, piuttosto che dire la verità sul Lasaject o rischiare che qualcuno come noi vedesse un numero sufficiente di casi da mettere insieme i pezzi, ha deciso di eliminare tutti quelli che avevano sviluppato il morbo dei prioni. Guadagna così dieci anni prima che arrivi la prossima ondata di encefalopatie spongiformi e neurofibromi.»

«Un’ondata, forse», commentò Nikki, «o, con ogni probabilità, uno tsunami.»

«Nikki, mi hai detto che Kathy era convinta che degli uomini la seguissero per ucciderla. Forse aveva ragione. Credo che Grimes abbia rintracciato ogni singolo paziente del gruppo su cui era stato testato il vaccino. I tre che sono qui potrebbero essere gli ultimi con la sindrome.»

«Dobbiamo bloccare il supervaccino!» esclamò Ellen.

«Ellen», ribatté dolcemente Nikki, «Grimes è riuscito in qualche modo a farci assegnare il suo amico Sutcher come guardia del corpo. Sono quasi certa che sia stato lui a fare scattare l’interruttore che ha fatto esplodere le entrate alla caverna. È un miracolo che il soffitto non sia crollato, è evidente che era quello che volevano. Siamo però rinchiusi qui, ben dentro la montagna. Non c’è via d’uscita.»

«C’è, perché deve esserci», replicò Ellen con cupa convinzione.

«Spero che lei abbia ragione», commentò Nikki. «Abbiamo girato per questa caverna, ma non abbiamo visto nulla. Penso che ora possa allentare la compressione.»

Ellen ubbidì. A parte una piccola quantità di sangue che fluiva lentamente, la ferita aperta sotto l’inguine di Carabetta rimase asciutta. In silenzio, Nikki la riempì con della garza sterile e la chiuse in parte con del nastro adesivo. L’investigatore dell’OSHA reagì a quel procedimento doloroso soltanto con un gemito soffocato.

«Ellen ha ragione», esclamò Matt, i pugni stretti. «C’è una via per uscire, perché deve esserci. È troppo pericoloso starcene qui seduti in attesa di soccorsi che sappiamo non arriveranno mai.»

«Vuoi che ci mettiamo a scavare? Matt, alcuni di quei massi pesano centinaia o migliaia di chili. E io non riesco neppure a camminare senza aiuto.»

«Allora lo faremo Ellen e io. Forse la ragazza quando riprenderà conoscenza, e anche Tarzana, se riusciamo a calmarla. Che altra possibilità abbiamo?»

«Forse ce n’è una», ribatté Nikki. «Il corso d’acqua là dietro. Viene da qualche parte e va da qualche parte.»

Matt si attaccò immediatamente a quell’idea.

«Credo entri proprio vicino al crepaccio da dove siamo entrati», disse, un pizzico di eccitazione nella voce, «ma è un percorso dannatamente lungo sottoterra e, da qui, per la maggior parte in salita. Non credo che qualcuno possa farcela.»

«Allora, forse la via d’uscita è dall’altra parte.»

Matt guardò da una all’altra donna come se cercasse di immaginare come sarebbe stato quel viaggio e come sarebbe finito. Ricordò il panico provato strisciando lungo le basse gallerie. Che cosa avrebbe provato facendosi portare attraverso un canale stretto, buio come la pece e pieno d’acqua? E se fosse rimasto incastrato? E se il passaggio fosse diventato troppo piccolo e non lui riuscisse più a indietreggiare? Poteva esserci un modo peggiore di morire dell’annegare, bloccato tra pareti di roccia in un fiume sotterraneo? Quanto ci avrebbe messo a perdere finalmente conoscenza?

«Andiamo a dare un’occhiata», si sentì dire.

Senza chiedere permesso, si chinò e sollevò Nikki tra le braccia. Poi, con Ellen che portava una lanterna, e un’altra lasciata accesa per confortare e orientare gli altri, si diressero, tra i detriti e i bidoni, verso il fiume. Nikki cinse le braccia attorno al collo di Matt e premette la guancia contro la sua.

«Grazie per il passaggio, straniero», scherzò, mentre lui la metteva a terra sulla gamba sana e lei si sosteneva alla ringhiera del ponte.

«Di niente, signora.»

Diede un colpetto alla tesa di un immaginario cappello, quindi s’inginocchiò e scrutò l’acqua nera come l’inchiostro e ribollente. Alla loro sinistra il fiume entrava nella caverna attraverso una stretta apertura, al massimo una cinquantina di centimetri tra la superficie dell’acqua e la roccia. A tre metri da loro vi erano i resti dell’altro ponte. A destra, nella direzione della corrente del fiume, l’apertura era ancora più piccola, forse non più di trenta centimetri. Allungò la mano e trovò conferma di ciò che già sapeva, l’acqua era dannatamente fredda.

Si guardò attorno alla ricerca di qualcosa con cui misurare la profondità e prese una delle assi della ringhiera del ponte rotto. L’asse, lunga circa un metro, toccò il fondo appena prima di scomparire sott’acqua, un buon segno.

«Lo posso fare», disse, conscio del nodo di paura che si stava materializzando nel suo petto.

«Dovrei farlo io», ribatté Ellen. «Sono molto più piccola e vado a nuotare all’YMCA quattro volte alla settimana.»

L’aveva conosciuta da poco, ma Matt non dubitò affatto che Ellen Kroft avesse la tenacia di portare a termine con successo quel tentativo di fuga. Lui, tuttavia, era più giovane e più forte e non meno motivato di lei.

«Questi boschi e la gente di montagna possono essere piuttosto inospitali», ammise, «specialmente nel bel mezzo della notte. Forse dovrà comunque provarci. Se non mi sentite tra tre, quattro ore, potrebbe provare a seguire l’altra via. Dipenderà da lei, ma le voglio comunque dire che non deve preoccuparsi. All’YMCA facevo il bagnino.»

«In questo caso, aspetterò», concesse Ellen. «Ce la farà.»

«Ne sono sicuro.»

Matt abbracciò Nikki e la tenne stretta a sé.

«Vuoi che ti riporti dai tuoi pazienti?» chiese.

«Ellen e io ce la faremo da sole», rispose lei, tirando su col naso alcune lacrime. «Matt, ho paura. Io… non voglio che tu te ne vada.»

Matt la baciò, dapprima dolcemente, poi con fervore.

«Vengono in mente anche a me alcune cose che preferirei fare», sussurrò. «Ma, come ha detto Ellen, ce la farò perché devo farcela.»

Intuì di non avere dato alla sua voce il tono di convinzione che avrebbe voluto. Il nodo di paura sotto lo sterno stava diventando grande come una palla da bowling. Fissò prima il fiume, poi il sottile spazio sopra la superficie dell’acqua dove rientrava nella montagna. All’università, lui e i suoi compagni di stanza si erano chiesti, di tanto in tanto, cosa avrebbero fatto, quali sarebbero state le loro sensazioni se avessero saputo esattamente quando sarebbero morti. A quanto pareva, ora si sarebbe forse trovato nella situazione di poter rispondere.

Le domande ripresero a scorrergli nella mente.

Avevano un altro modo, un’altra ragionevole possibilità di salvarsi? Se rimaneva incastrato, dopo quanto tempo avrebbe perso i sensi? Per quanto tempo riusciva a trattenere il fiato? Come ci si sentiva ad annegare?

Il revolver che aveva preso al grosso compare di Grimes era infilato nella tasca dei pantaloni della tuta. L’arma avrebbe potuto risultare utile, se fosse riuscito a uscire e poi fosse finito nei guai. Ne sapeva abbastanza di pistole da sentirsi sicuro che l’arma avrebbe sparato anche dopo essere stata immersa per un breve periodo, a patto che si ricordasse di togliere l’acqua dalla corta canna prima di premere il grilletto. Fosse rimasto intrappolato, dubitava che avrebbe avuto la possibilità di usarla contro se stesso.

Altre domande…

C’era qualcos’altro di utile da portare con sé? Meglio togliersi le scarpe o no? Trarre profondi e prolungati respiri o partire e basta?

Matt sapeva che stava indugiando. Si stimolò immaginando la tremenda perdita di vite che sarebbe avvenuta se i loro sospetti sul Lasaject e la malattia spongiforme fossero stati veri. Con quel pensiero fisso nella mente, scivolò oltre il bordo roccioso nell’acqua gelida. Nikki si chinò e gli toccò la punta delle dita con le sue.

«Ci vediamo presto», mormorò.

Lui camminò piegato in due verso l’apertura nella roccia. Una volta arrivato, trasse parecchi respiri profondi e lanciò uno sguardo dietro le spalle.

«Puoi scommetterci», gridò.

Inspirò un’ultima volta, si tuffò sotto la superficie dell’acqua nera e si spinse nella corrente diretta a valle.

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