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Il pronto soccorso del moderno ospedale regionale da centoventi letti della contea di Montgomery poteva accogliere dodici pazienti ed era dotato di sale attrezzate per l’ortopedia, la pediatria e della sala 10, chiamata «suite degli scontri», per le emergenze mediche o chirurgiche più gravi. Quando arrivò, c’erano due chirurghi e un medico generico in attesa vicino alla saletta delle infermiere, ma sapeva che in giro ce n’erano almeno altri due o tre e un radiologo. Inoltre, nel laboratorio, vi era di certo già Hal Sawyer, il capo del reparto di patologia, zio di Matt. Hal, in parte montanaro, in parte personaggio attivo nella comunità, in parte playboy, di fatto uno studioso, era fratello di sua madre, suo padrino e il motivo principale per cui lui aveva scelto la professione medica. Dal crollo della galleria C-9, Hal gli aveva praticamente fatto da padre.

Era passato poco più di un minuto dal suo arrivo al pronto soccorso, quando un furgone si fermò con un forte stridio di ruote nello spazio per le ambulanze con il primo infortunato. Matt fece segno agli altri di rimanere all’interno e accompagnò due infermieri al furgone. Se il minatore, coperto da un misto di calcare, polvere di carbone, terra e sudore, rappresentava la strage nella miniera, sarebbe stata una lunga notte. La gamba coperta di sangue ed efficacemente steccata presentava una chiara frattura esposta del femore. Una grottesca punta d’osso spuntava da uno strappo nella tuta a metà coscia.

Matt seguì la barella nella sala ortopedica. Con la coda dell’occhio, vide l’addetto alla sicurezza della miniera Blaine LeBlanc, pantaloni di cotone perfettamente stirati e una camicia da cento dollari indosso, parlare con l’autista del furgone e prendere appunti su un blocco, ma non riuscì a evitare il contatto visivo. LeBlanc si girò verso di lui, il volto pallido e sofferente. A Matt venne di colpo in mente ciò che quell’uomo privo di senso dell’umorismo stava forse pensando.

Oh, no, si ricomincia. Un’altra maledetta crociata del dottor Senza Importanza. Forza, vai avanti e cerca di causarci altri problemi, cretino. Tanto nessuno ti dà retta…

LeBlanc scosse la testa derisoriamente e Matt rispose con un allegro pollice in alto. Finché Matt avesse continuato a cercare di fare ammettere alla BC C le insufficienze e le scorciatoie nella sicurezza, sarebbero stati nemici.

Brian O’Neil, l’ortopedico della squadra B, arrivò alla porta della sala gessi assieme a Matt. Lo superava in altezza di un cinque centimetri e aveva un paio d’anni più di lui. Aveva aggiunto una decina di chili al fisico da giocatore di football dei tempi dell’università, ma, a quarant’anni, era ancora un bell’atleta. Era anche un eccellente chirurgo, oltre che il più caro amico di Matt tra lo staff medico.

«Prima tu», disse Matt. «Vengo sufficientemente martellato da te sotto canestro.»

«Quando mai, cannoniere Rutledge, hai lottato sotto canestro? Avresti bisogno di una cartina solo per capire dove si trova, il canestro! Inserisci una flebo, Laura, per piacere. Soluzione salina. Soliti esami del sangue. Gruppo e prova crociata per sei unità. Lastre del petto e della gamba. Appena il nostro dottor cannoniere avrà finito di esaminarlo, dagli settantacinque unità di Demerol e venticinque di Vistaril I.M.»

«Ricevuto», ripose Laura Williams, calma come sempre.

«Sai, amico, Laura e alcune delle altre infermiere stavano scommettendo sul fatto che avresti continuato a dormire.»

«Potrebbero avere ancora ragione. Vederti qui, puntuale, mi induce a pensare che forse sto sognando.»

Insieme si avvicinarono al letto e aiutarono l’infermiera che stava tagliando gli abiti del giovane minatore. Il ragazzo, sui vent’anni, aveva capelli rossastri e occhi grandi e furbi. Il viso era segnato dal dolore, contrasse le labbra ma non emise un gemito, mentre gli toccavano la gamba frantumata.

«Io sono il dottor O’Neil, l’ortopedico», spiegò Brian. «E quello è il dottor Rutledge. È un veterinario, ma uno veramente bravo. Ci prenderemo cura di te.»

«G… grazie, signore», riuscì a dire il giovane. «Io sono Fenton. Robby Fenton.»

«Che diavolo è successo laggiù, Robby?» chiese O’Neil, mentre Matt iniziava una rapida valutazione fisica.

«È stato Darryl Teague, signore. Lui… è andato su tutte le furie. Era da un po’ che si comportava in modo irascibile, ma questa sera stava azionando l’M.C, quando si è infuriato. Lei sa cosa è un M.C., un minatore a ciclo continuo?»

«Quella macchina mostruosa che raccoglie il carbone e lo mette su un nastro trasportatore?» chiese Matt.

«Proprio così. Dodici tonnellate o più al minuto.»

«Sai, non cessi mai di sorprendermi, Rutledge», ammise O’Neil. «Nulla di strano che tu non abbia mai appuntamenti amorosi, anche se molti mi dicono che sei il miglior partito della regione. Fai scappare tutte le donne, con questa tua enorme conoscenza.»

«Non dargli retta, Robby. Lui è fortunato a essere un ottimo medico delle ossa, altrimenti nessuno gli rivolgerebbe la parola. Continua.»

«All’inizio del turno, Teague ha cominciato a spintonarsi con uno dei ragazzi, Alan Riggs. Non so per quale motivo. È da un po’ che Teague si comporta così sempre pronto a litigare: a lamentarsi che tutti, ce l’hanno con lui… Alcuni di noi li hanno separati, ma, poco dopo, Teague si è messo a inseguirlo con l’M.C. Lo travolge, lo investe veramente. Poi va avanti e strappa via almeno sei supporti. È stato allora che il tetto è crollato. Come stanno gli altri?»

«Ancora non lo sappiamo. Sei stato il primo ad arrivare.»

«Alan deve essere morto. Avrebbe dovuto vedere la scena. Maledetto Darryl Teague. Di solito non auguro male a nessuno, ma spero che anche lui sia ferito gravemente.»

«Dottor Rutledge, abbiamo bisogno di lei», gridò Laura dall’uscio.

Matt si era fatto trasportare dal racconto di Fenton e si era completamente dimenticato del delirio che stava per piovergli addosso. Ora il pronto soccorso sembrava un alveare. Sei letti erano occupati da minatori più o meno gravemente sofferenti. Tecnici, infermieri e medici erano in costante movimento, ma il caos era organizzato e tutto pareva sotto controllo.

«Non abbiamo bisogno della sua perizia di internista», gli spiegò Laura, «ma del suo talento nelle emergenze. Nella stanza 3 c’è una lacerazione. Una meraviglia. Ho richiesto lastre del cranio, ma ci metteranno un po’. Non è considerato molto grave.»

Matt si fermò nella stanza di guardia e indossò la tuta. Si stava dirigendo verso la stanza 3, quando Blaine LeBlanc lo intercettò. Newyorchese con un forte accento, cinquantenne in forma smagliante, un paio di centimetri più basso di Matt, spalle più larghe. I capelli folti e neri come l’ebano erano lisciati all’indietro. La striscia bianca, larga tre centimetri con il marchio della ditta in diagonale sul petto, brillava sotto le lampade fluorescenti.

«Che le ha detto il ragazzo là dentro?» domandò.

«È gentile da parte sua informarsi di come sta, Blaine. Ha una frattura esposta del femore. Succede quando il femore sporge dalla pelle. Non spingerà carbone per un bel po’.»

«Si calmi, Rutledge. Che le ha raccontato?»

Matt rispose allo sguardo di ghiaccio di LeBlanc con uno dei suoi. Quell’uomo era potenzialmente pericoloso, di ciò Matt non dubitava affatto. Prima che Ginny morisse, era riuscito a tenere a bada molto meglio il suo disprezzo per LeBlanc e la BC C. Dopo la sua morte, tuttavia, non gliene era più importato. Nella famiglia di Ginny, che non aveva mai fumato ed era una fanatica igienista, non vi erano mai stati casi di cancro al polmone. Quando le era stata fatta quella diagnosi Ginny aveva solo trentatré anni, e il tumore era formato da un insolito gruppo di cellule, che avrebbe potuto essere stato provocato da una tossina sconosciuta.

Nessuno poteva negare che lo stabilimento di lavorazione del carbone della BC C pullulasse di sostanze chimiche cancerogene. Che trattassero ed eliminassero quelle tossine in modo legale e sicuro era un’altra storia. Matt aveva un sacco di teorie e aveva anche sentito parlare di discariche e depositi illegali, ma nessuna prova. Non c’era mai alcuna prova. Era comunque certo che, se vi fossero state scorciatoie per qualsiasi aspetto della sicurezza nella miniera o dello smaltimento dei rifiuti tossici, i dirigenti della BC C le avrebbero seguite. Era stato così quando era morto suo padre, e Matt era certo che le cose non erano cambiate.

Nel corso degli anni aveva inviato una lunga serie di lettere all’MSHA, l’ufficio governativo per la sicurezza e la salute in miniera, pretendendo accertamenti e ispezioni sul posto. Due anni prima, avevano risposto alle sue richieste inviando un’ispezione. Nulla, assolutamente nulla, a parte alcuni difetti di scarsa importanza nella manutenzione. Ora la sua credibilità era a un livello molto basso. I dipendenti dell’ente o si rifiutavano di rispondere alle sue telefonate o, quando lo facevano, scoppiavano a ridere all’idea di fare, sulla base della sua segnalazione, un’altra incursione a sorpresa.

Malgrado disprezzasse LeBlanc, Matt ritenne di non avere alcun motivo per non far sapere all’agente della sicurezza che cosa era successo nella miniera.

«Fottuto Teague», borbottò LeBlanc, quando Matt terminò il racconto. «Stupido bastardo.»

Mickey Shannon, il minatore che Matt era stato chiamato a suturare, aveva cinquantaquattro anni, decisamente troppi per il lavoro in miniera. Ricordava infatti di essere stato nella squadra del padre di Matt.

«Un brav’uomo… Davvero un brav’uomo… Era rimasto uno di noi anche dopo essere diventato caposquadra.»

Un acuminato pezzo di pietra del tetto della galleria era rimbalzato sulla fronte di Mickey sotto l’attaccatura dei capelli. Fosse volato due centimetri più in alto, l’avrebbe colpito direttamente sul cranio e il suo nome sarebbe finito nell’elenco delle vittime della miniera appeso alla parete del locale The Grub Pit. La pietra gli aveva invece fatto ricadere un lembo di pelle largo dodici centimetri sul naso e sugli occhi.

«Ora le inietterò della novocaina per addormentare la parte mentre la suturo», spiegò Matt.

«Non occorre, dottore. Mi ricucia e vada da chi ha più bisogno di lei.»

Matt sapeva per esperienza che questo atteggiamento non era finta spacconeria. Mickey Shannon e gli altri minatori si erano confrontati con il dolore fisico ogni giorno della loro vita. Prendersi cura di loro e di gente come loro era stato uno dei principali motivi per cui aveva deciso di esercitare la professione medica nella sua città natale. Buona parte della sua clientela era formata dal tipo di montanaro rude che si guadagnava duramente ogni dollaro e che aiutava il vicino anche se non aveva quasi mai il tempo di parlare con lui.

«Ehi», esclamò Matt, «lei si occupi del lavoro in miniera, il medico sono io.»

«Se lo dice lei. La gente di qui parla molto bene di lei, dottore. Ultimamente pensavo di farmi vedere da un medico ed è a lei che mi sarei rivolto.»

«Allora lo faccia», ribatté Matt, tremando al pensiero di ciò che i raggi X del petto di quell’uomo avrebbero rivelato.

Anestetizzò i bordi dell’ enorme ferita con una soluzione all’un per cento di Xylocaina, preparò la zona con Betadine, la attorniò con una serie di garze sterili, quindi, con grande attenzione, ripose il lembo al suo posto. Sarebbe rimasta una cicatrice, come sempre, quando si sutura la pelle. Il dubbio era se fare una microscopica, meticolosa chiusura con minuscole suture che potevano saltare se Mickey fosse tornato troppo presto al lavoro, o un lavoro più rapido, usando materiale di sutura più grosso, che avrebbe, tuttavia, resistito meglio.

«Come funziona il suo contratto di sussidio per malattia?» chiese Matt.

«Riceviamo il salario intero finché abbiamo giornate di malattia disponibili. Poi c’è un periodo di attesa di un mese, prima che venga contribuita l’invalidità. Con la nota del medico che dice che il problema è correlato al lavoro, iniziamo immediatamente a riscuotere il sussidio senza perdita del tempo di malattia. Ma io…»

«Sttt.»

Matt scelse del filo riassorbibile per una sutura accurata a stratificazione e del filo di nylon sottile per la pelle. Infilò occhiali protettivi con lenti d’ingrandimento e un paio di guanti. Il volto rugoso di Mickey, segnato dal tempo, mostrava chiaramente tre decenni passati in miniera. Oggi, tuttavia, avrebbe lasciato il pronto soccorso con qualcosa di più della più sottile cicatrice.

«Lei è in malattia per due settimane», disse Matt. «Le darò il certificato. Anzi, facciamo tre. E se avrà un qualsiasi genere di emicrania, uno qualsiasi, aggiungeremo qualche altra settimana.»

Venti minuti dopo era a metà strada di una sutura che avrebbe soddisfatto una star del cinema, quando, ansante, Laura Williams lo chiamò dalla porta.

«Matt, il dottor Easterly ha immediatamente bisogno di lei nella ‘suite degli scontri’. Dovrà finire qui più tardi.»

Matt pose alcune garze imbevute di disinfettante sulla ferita di Shannon. Arretrò poi di un passo dal lettino, flettendosi per rilassare parte dell’irrigidimento del collo.

«Mickey, ha sentito?» domandò.

«Non si preoccupi per me. Chi deve andare a visitare, signorina?»

«Un certo Darryl Teague», rispose Laura. «Gli è caduta addosso un’attrezzatura pesante.»

«Lo lasci morire!» sbottò Mickey.


Pur essendo occupato ogni letto del pronto soccorso e la maggior parte dei pazienti fosse assistita, nella stanza 10 stava lavorando un bel po’ di gente. Matt lanciò un’occhiata al monitor e ne comprese il motivo. Frequenza cardiaca 140. Pressione del sangue 80/40. Saturazione di ossigeno nel sangue solo 89 per cento. Jon Lee, l’infermiere che lavorava accanto alla barella, intercettò lo sguardo di Matt e fece un breve segno con pollice verso. Sembrava che le preghiere di Robby Fenton e di Mickey Shannon stessero per essere esaudite. Da qualche parte al di là del muro di tecnici, infermieri e del medico generico Judy Easterly, Darryl Teague era in punto di morte.

«Che succede?»

Sorpresa, Judy Easterly si girò, poi gli si avvicinò. Era al settimo mese di gravidanza e sembrava che avrebbe preferito trovarsi da qualsiasi altra parte, se solo ne avesse avuto la possibilità.

«È il tipo che ha causato tutto questo casino», gli sussurrò.

«Lo so», annuì Matt. «Emorragie?»

La donna spinse in fuori il ventre e inarcò la schiena, cercando di stirarsi i muscoli.

«Non sono in grado di dirlo», rispose, sempre mormorando. «Ha gettato un macchinario o qualcosa di pesante su due minatori. Nessuno sa perché. Uno è morto. L’altro è in sala operatoria e non credo ce la farà. Dopo averli investiti, ha fatto cadere dei supporti e il tetto è crollato. È rimasto intrappolato sotto un ammasso di pietre. I soccorritori hanno detto che la pressione sanguigna si era mantenuta normale mentre lo portavano qui. Credo che l’infermiere lo abbia assegnato a me perché quando è arrivato sembrava stesse bene.»

«Ora non più. Fratture evidenti?»

Oltre alle tipiche emorragie interne nelle cavità addominali e toraciche, in alcuni casi una gamba o un braccio fratturati potevano causare un’emorragia nel muscolo sufficiente da provocare un collasso.

«Nessuna», rispose la Easterly. «Muove tutte le estremità. Joe Terry era qui in attesa che fosse pronta la sala operatoria per il suo caso, per cui gli ho chiesto di inserirgli un ago in arteria.»

«Ben fatto.»

Matt aveva voluto farle un complimento, anche se era chiaro che a parte il catetere in arteria, l’atteggiamento della dottoressa non era stato dei più adatti con un uomo ferito tanto gravemente. Sembrava nel punto di scoppiare a piangere.

«Sai», borbottò, «se avessi saputo che mi sarei trovata alle prese con il responsabile dell’incidente, sarei rimasta a casa.»

«Senti, Judy, perché non ci vai subito, a casa», le suggerì Matt. «Sei riuscita a mettere la situazione sotto controllo e mi pare che tu e il bambino abbiate bisogno di riposo.»

All’inizio cercò di protestare, ma poi lo ringraziò.

«I campioni di sangue sono già in laboratorio, più altre sei unità», si affrettò a dire. «Ho richiesto lastre del torace e dell’addome.»

«Dai soltanto il mio nome al nascituro», scherzò.

«Matthewina», replicò la dottoressa. «Credo che le piacerà. Grazie ancora e buona fortuna.»

Prima che Matt potesse risponderle, era già andata via. Tanto meglio. Era evidente che aveva altre cose per la mente e rischiava di diventare pericolosa o, nella migliore delle ipotesi, inutile. Lanciò di nuovo un’occhiata al monitor e prese il posto della Easterly, di fronte a Jon Lee. Poi si bloccò di colpo, fissando incredulo l’uomo la cui folle ira aveva già ucciso un collega e, con ogni probabilità, un altro. Il volto di Darryl Teague era coperto di protuberanze carnose, ce n’erano almeno venti, alcune grandi come un pisello, altre come una noce. Quasi certamente neurofibromi: fasci di tessuto nervoso mescolati a cellule fibrose fusiformi. Causa della malattia: ignota. Cura: nessuna nota. Darryl Teague stava diventando un Elephant Man.

Ciò che più lo stupì fu che Teague era il secondo caso di elefantiasi che aveva visto negli ultimi quattro o cinque mesi.

«Laura, il dottor Hal Sawyer fa parte della squadra. Per favore, puoi chiamarlo in laboratorio e chiedergli di venire qui il più presto possibile?»

«Già fatto.»

Matt rivolse la sua attenzione al minatore. Teague era cosciente e respirava da solo, ma la pelle era chiazzata e le labbra di un rosso grigiastro.

«Jon, è stato ordinato niente per la pressione?»

«Non ancora, dottore.» Il tono di Lee gli fece capire che era felice che fosse lui a dirigere la situazione.

«Fagli una fleboclisi di dopamina. Falla scendere ben aperta finché non vediamo che cosa succede. Infilagli un catetere e mantieni alto il volume del sangue.»

Laura Williams tornò e annunciò: «Il dottor Sawyer sarà qui a momenti».

Matt scrutò il monitor dell’elettrocardiogramma. La dimensione dei battiti sul tracciato grafico sembrava molto più piccola del normale. Per il momento archiviò quel dato e iniziò un esame accurato. I suoni del cuore di Teague erano attutiti e lontani. Al centro dello sterno vi era una certa iperestesia, una sensibilità alla pressione sufficiente a indurre l’uomo in stato semicomatoso a urlare quando il punto veniva premuto. Il ventre era molle e per nulla iperestesico. I polmoni erano chiari, gambe e braccia senza alcunché di rilevante. Anche il cranio e il cuoio capelluto avevano un aspetto normale, se non si considerava il fatto che, nascosti sotto i lunghi capelli color paglia, si annidavano altri neurofibromi.

Non c’era alcuna evidenza di emorragie interne. Come mai allora era collassato?

La risposta più probabile, al momento, sì basava sul trauma allo sterno e, sotto l’osso, al cuore.

«Laura, dov’è il dottor Crook?»

«Sta arrivando. A quanto pare il suo cercapersone era accidentalmente spento e il telefono non funzionava. La polizia di Sandersonville è andata a casa sua e lo ha svegliato.»

Sandersonville era a venti minuti dall’ospedale e Crook non era certo il tipo d’uomo da infilarsi una tuta da ginnastica e correre all’ospedale, specialmente quando nessuna vittima dava segni di avere bisogno di un cardiologo.

«Dottor Rutledge?»

Lee gli indicò con la mano il monitor, 70/30.

«Preparati a intubarlo, Jon. L’anestesista c’è?»

«È in sala operatoria.»

«Il radiologo?»

«Anche lei. Sta assistendo il dottor Terry.»

Dentro di sé, Matt gemette. Aveva intubato dozzine di pazienti, molti in situazioni critiche. Non era questo il problema. La sua abilità nell’interpretare un ultrasuono era invece appena decente. In una situazione come questa, avrebbe voluto l’opinione del radiologo.

«Nessun problema», disse infine. «Procurami un tubo sette punto cinque, per piacere. Laura, possiamo parlare là fuori?»

L’infermiera lo guardò con curiosità.

«Naturalmente.»

«Jon, grida, se avessi bisogno di me.»

Matt si diresse con Laura nella stanzetta delle infermiere. Era una nonna sulla cinquantina, tradizionale nel suo approccio alla medicina, e un’infermiera molto in gamba. Non si era mai sentita a suo agio con lo stile di vita, il modo di comportarsi e gli abiti di Matt, e l’aveva detto parecchie volte. Ciononostante, erano sempre riusciti ad andare d’accordo. Ora, stava per mettere alla prova il loro rispetto reciproco.

Al pronto soccorso la confusione sembrava essersi stabilizzata e i gemiti dei minatori feriti erano calati.

«Come sta?» chiese Blaine LeBlanc.

«Più tardi», gli rispose Matt.

«Lei parlerà con me prima di fare qualcosa di eroico, mi ha sentito? Quel… quel pazzo ha assassinato uno o forse due dei miei uomini.»

«Certo, dottor Onnipotente», ribatté Matt. «Non dimenticherò di fare un consulto con lei.»

Volse le spalle a LeBlanc e si mise a parlare con l’infermiera. Da ciò che aveva percepito, si stava ammassando sangue tra il rivestimento del cuore e il muscolo cardiaco. Il conseguente restringimento del cuore impediva che l’organo si riempisse in modo adeguato tra un battito e l’altro.

«Laura, quest’uomo ha un tamponamento pericardico.»

«Come fa a saperlo?»

«Non può essere altro. Dobbiamo infilare un ago e aspirare il sangue.»

«Non possiamo aspettare l’arrivo del dottor Crook?»

«Solo se fossimo certi che sarà qui entro cinque minuti al massimo.»

«Che ne dice di alcuni esami? Un ultrasuono?»

«Il radiologo è in sala operatoria. Non credo che né il tecnico né io siamo capaci di interpretare una lastra con certezza. Non penso, inoltre, che ne avremmo il tempo. Questo ragazzo sta morendo.»

«Forse sarebbe la cosa migliore», proruppe Laura.

«Non ricominciamo con questa storia», ribatté Matt. «Mi procuri, per favore, l’occorrente per un drenaggio pericardico.»

«Matt, tutto ciò non mi piace affatto. Quante volte ha eseguito questo intervento?»

«Un paio di volte durante l’internato», mentì. «Sono in grado di farlo.»

«Non c’è pressione», gridò Lee. «L’elettrocardiogramma mostra molti battiti in più.»

«Per favore», la supplicò, tornando nella stanza 10.

«Se è un ordine, sarò lì vicino a lei con tutto l’occorrente.»

«Ricordi ciò che le ho detto», disse LeBlanc, mentre Matt gli passava vicino.

Matt si inginocchiò vicino alla testa di Teague e con perizia gli infilò una sonda per la respirazione giù per la gola e tra le corde vocali. Il tecnico dell’apparecchio per la respirazione artificiale collegò la sonda a un palloncino e all’ossigeno e iniziò a pompare. Il torace di Teague si dilatò, ma la pressione sanguigna salì solo a 50.

«Bella intubazione, dottore.»

Hal Sawyer era appena al di qua della porta. Con i suoi capelli scuri, ingrigiti alle tempie, i baffi ben curati, gli occhiali dalla montatura dorata e il camice lungo fino al ginocchio, zio Hal aveva l’aspetto professionale di un preside di facoltà di medicina. Aveva una cattedra universitaria, ma per la maggior parte del tempo rimaneva vicino a Belinda, dove era a capo del reparto di patologia, in cui lavorava un altro patologo a tempo pieno e ispettore medico della contea di Montgomery. Hal era anche colto: amava la lettura e le avventure. Raramente parlava durante le riunioni dello staff medico, ma, quando lo faceva, lo ascoltavano tutti.

Non si era mai sposato, ma non gli mancava la compagnia femminile. La sua ultima ragazza, Heidi, era una donna giovane e carina che aveva conosciuto facendo rafting. I pettegoli di Belinda chiacchieravano della sua vita privata, ma lui non dava l’impressione di curarsene, proprio come non gli era importato quando, alcuni anni prima, era corsa voce che fosse omosessuale. Hal era un tipo autonomo e Matt attribuiva alla sua influenza il proprio senso di indipendenza.

«Ehi, Hal», lo salutò, «grazie per essere venuto. Questo è il tipo che è impazzito nella miniera e ha provocato questo incubo. La gente dice che si comportava in modo paranoico da mesi. Paranoia e una diffusa neurofibromatosi sul volto e il cuoio capelluto. Non ti fa venire in mente nulla?»

«Proprio come quel tipo che si è tuffato dalla scogliera.»

«Esattamente. Si chiamava Rideout. Teddy Rideout. E dove lavorava?»

«Se ben ricordo», rispose Hal, palpando le escrescenze, «anche lui era un minatore.»

«Proprio così. BC C, per essere esatti.»

«Santo cielo!»

Alcuni mesi prima, Matt stava percorrendo sulla sua Harley una strada di montagna particolarmente tortuosa quando Rideout l’aveva superato all’interno, a una velocità eccessiva per quella strada. Un paio di minuti dopo Matt aveva raggiunto un guardrail sfondato e aveva visto l’auto capovolta parecchie centinaia di metri più in basso. Rideout era morto sul colpo. Le protuberanze sul suo viso erano identiche a quelle di Teague, e la sua famiglia, interrogata da Matt, aveva parlato di paranoia progressiva e irrazionale e di un comportamento aggressivo. Durante l’autopsia, Matt aveva chiesto allo zio se Rideout non potesse essere rimasto intossicato da qualcosa alla miniera.

Hal gli aveva promesso di fare altri test, che però erano risultati negativi. Era sicuro che l’uomo fosse un caso isolato, molto insolito, certo, ma un punto casuale sul diagramma della vita.

Ecco, pensò ora Matt, qui c’è il punto numero due.

«Vedrò cosa posso scovare su Rideout», promise Hal. «Non mi sembra di ricordare nulla di insolito nell’autopsia, a parte quei neurofibromi, interessanti per il quantitativo ma non per l’aspetto microscopico.»

«Ecco l’attrezzatura», s’intromise Laura, poggiando il vassoio contrassegnato dalla scritta PERICARDIOCENTESI sul sostegno in acciaio inossidabile.

«Nessun segno di Crook?»

«Potrebbe arrivare a minuti. È sicuro di…»

«Ora però non è qui. La pressione sanguigna di quest’uomo è tornata a zero. Sta attivando extrabattiti. Procediamo.»

«Faccia come le pare», borbottò Laura freddamente.

In verità Matt aveva fatto qualche tamponamento pericardico come ultima manovra respiratoria in pazienti in arresto cardiaco che stavano per morire malgrado i più straordinari tentativi di rianimazione. Gli interventi non avevano, tuttavia, mai individuato alcun imprevisto sangue pericardico. E nessuno dei pazienti era sopravvissuto.

«Hai bisogno di aiuto?» chiese Hal.

«Fai che Robert Crook entri nel pronto soccorso in questo momento», rispose Matt. «Non penso proprio che si possa aspettare.»

Dietro Hal, appena fuori la porta della stanza, Matt riusciva a vedere Blaine LeBlanc che osservava, in attesa.

«Continuo a non sentire alcuna pressione», riferì Lee. «Extrabattiti ventricolari a coppie.»

A volte si deve fare ciò che si deve, pensò.

Attaccò un ago cardiaco di grosso calibro, lungo dieci centimetri, a una siringa da 20cc e agganciò una pinza dentata alla base. Avrebbe saputo di avere avuto torto sulla presenza di sangue pericardico solo dopo avere spinto il grosso ago attraverso la membrana pericardica di tessuto sottile, alla base del cuore di Teague. L’elettrocardiogramma avrebbe reagito immediatamente al trauma e, se tutto andava bene, avrebbe avuto il tempo di ritirare l’ago prima che il muscolo cardiaco subisse gravi danni. Se tutto andava bene. Ma se avesse forato il muscolo e l’arteria coronarica, l’attacco cardiaco che sarebbe seguito non avrebbe lasciato a Teague alcuna chance di sopravvivenza.

Matt spinse l’ago attraverso la pelle nella V formata dalle costole inferiori di sinistra e la punta dello sterno. L’angolò quindi verso la spalla sinistra. Mantenendo costante la pressione, spinse l’ago attraverso il diaframma verso ciò che immaginava fosse la base del cuore.

Lentamente… lentamente…

«Un sacco di extrabattiti», riferì l’infermiere.

«Ha raggiunto il cuore?» domandò Laura.

Matt controllò il monitor.

Spero proprio di no, pensò.

«No», rispose con sicurezza.

«Ne è certo?»

Senza alcun avviso, la siringa si riempì di sangue.

Sì!

Matt girò la valvola a tre posizioni della siringa su svuotamento e iniettò il contenuto rosso in una piccola tazza in vetro. Poi estrasse altri 25cc di sangue e li spruzzò in un contenitore più grande.

«Come fa a sapere che non sta estraendo sangue direttamente dal cuore?» chiese Laura.

La donna non aveva proprio intenzione di mollare.

Hal si fece avanti.

«Signora Williams», disse in tono calmo, «a quanto pare il dottor Rutledge sa ciò che sta facendo. È possibile sapere dove si trova la punta dell’ago. Se il sangue appena estratto dal dottor Rutledge si trovava nello spazio pericardico di quest’uomo, con ogni probabilità non coagulerà. Se invece proveniva direttamente dal ventricolo del cuore, coagulerà.»

«Dopo quanto tempo?»

Matt ignorò la domanda ed estrasse un’altra dose di sangue. Lo stato del paziente non mutò. Alla sua sinistra, Lee cercò di nuovo di sentire la pressione, quindi scosse la testa.

«Se fosse sotto choc e lei gli estraesse sangue dal cuore, la sua situazione non peggiorerebbe?» insisté Laura.

La smetta! avrebbe voluto gridare Matt. L’infermiera si stava chiaramente proteggendo dall’attacco furibondo e più che certo di Robert Crook.

Ho cercato di ragionare con lui, dottor Crook, davvero.

Matt fece scivolare un sottile catetere in plastica nell’ago e in ciò che sperava fosse lo spazio pericardico. Poi, con estrema attenzione, ritirò l’ago e fissò il catetere con un’unica sutura alla pelle del torace di Teague. Il sangue fluì lentamente dall’apertura del catetere e creò una chiazza sempre più larga sulla garza sterile. Per parecchi secondi calò un pesante silenzio.

«La pressione è ancora a zero», riferì Lee, proprio mentre Robert Crook entrava di corsa nella stanza.

Un uomo grassoccio dal volto rubicondo, Crook aveva sopracciglia folte d’un giallo grigiastro che a Matt ricordavano due giganteschi bruchi lanuginosi sul punto di azzuffarsi. Il bordo della mascella di sinistra era segnato da puntolini freschi, chiaro segno di una rasatura affrettata, come pure un minuscolo pezzettino di carta velina impregnato di sangue. L’emergenza all’MCRH l’aveva chiaramente fatto correre in bagno dove aveva tirato fuori rasoio e sapone da barba.

«Rutledge, che sta succedendo?»

Matt scrollò le spalle.

«Gli è crollata la pressione sanguigna e non riuscivo a comprenderne il motivo. Ho deciso che aveva un tamponamento pericardico, per cui gli ho estratto sangue mediante paracentesi.»

«Lei… gli ha estratto sangue?»

«Ancora nessuna pressione», gridò Lee.

«Assicurati che la fleboclisi di dopamina sia aperta del tutto», gli ordinò Matt.

«Lo è.»

«Ha visto liquido pericardico nella risonanza?» chiese Crook, trascurando l’area sterile e il sottile catetere per poter auscultare con lo stetoscopio.

«Io… non ho potuto fargliela. Non c’è stato abbastanza tempo.»

Crook esplose.

«Cristo! Come può essere sicuro di avere infilato quell’ago nella zona pericardica e non nel cuore?»

«Ho fatto ciò che pensavo fosse giusto fare», replicò Matt con la voce più ferma possibile. «Ho fatto ciò che pensavo fosse necessario fare, e l’ho fatto come meglio sapevo fare.»

«Come meglio sapeva fare? Rutledge, lei non è un medico. Lei è un maledetto cowboy. Un irresponsabile. E sappia che ho intenzione di riferire le sue azioni a…»

«Aspetti», gridò l’infermiere. «Sento una pulsazione. È forte e chiara a sessanta… No, ora è a ottanta. È a ottanta.»

In quel momento, Darryl Teague sollevò un braccio e girò la testa.

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