22

Con un occhio fisso nello specchietto retrovisore, Matt percorse il letto asciutto del torrente fin dentro il bosco, dove si congiungeva a un ruscello. Matt costeggiò il ruscello per circa un chilometro e mezzo prima di sentire i rumori del traffico. Non riconobbe la strada a due corsie e, infatti, si diresse verso sud per parecchi minuti prima di rendersi conto di avere sbagliato direzione e di girarsi. A quel punto, Nikki, che pure indossava la giacca di Matt, batteva i denti. Lui le offrì le sue calze per coprirsi i piedi nudi, ma lei lo esortò a continuare finché non fossero stati sicuri di essere fuori pericolo.

Era stravolta, ma resistette coraggiosamente per altri trenta chilometri, finché Matt non si sentì abbastanza al sicuro da fermarsi. In un negozio Target, comprarono una spazzola per capelli, altri articoli da toilette, vestiti per entrambi e scarpe da ginnastica per Nikki. Al distributore Sunoco lì accanto fecero il pieno di benzina e acquistarono una carta stradale. Trovarono una strada secondaria che correva parallela alla principale e puntarono verso nord.

Pochi chilometri dopo il negozio Target videro un lungo locale, eretto, pareva, nel bel mezzo del nulla. Nikki aveva indossato nel negozio dei jeans e una camicia da caccia in flanella e si era legata al collo un bandana rossa. Aveva le labbra secche e screpolate e, sul viso, un reticolo di graffi in via di guarigione. Gli occhi erano cerchiati di scure ombre. In lei vi era, tuttavia, una dolce bellezza e un’intelligenza che Matt trovò decisamente attraenti. Nel corso dell’ultimo anno era stato qualche volta con una donna, ma si era sentito tanto disinteressato e distratto, che, per l’imbarazzo, era stato sul punto di scusarsi. Il nodo in gola e il desiderio di saperne di più su Nikki Solari erano tanto pericolosi quanto eccitanti, tanto disorientanti quanto piacevoli. Il ricordo di Ginny era vivido come sempre, ma, negli ultimi due giorni, aveva sentito che qualcosa in lui era cambiato.

È perché è passato tanto tempo? si chiese. O è questa donna?

«Come ti senti?» domandò.

«Non sono ancora pronta per i necrologi, se è questo che intendi, ma potrei candidarmi per le pagine dei fumetti. Questa storia è assolutamente irreale. Matt, dobbiamo andare alla polizia o… o all’FBI. Il rapimento non è un reato federale?»

«Sì, lo è», rispose lui. «Non ho idea di cosa succeda accusando un capo della polizia, anche se fossero due medici a raccontare la stessa storia. Questa sera gli siamo sfuggiti, ma Grimes non è affatto stupido. È un assassino, e ora è disperato. Sono certo che inventerebbe controaccuse, come, per esempio che sono stato io a rapirti e che poi ti ho fatto il lavaggio del cervello con droghe o altro. Sono successe cose ancora più strane.»

«Che altro possiamo fare?»

«Non lo so. Non ho il tempo per spiegarti, ma voglio muovermi contro i proprietari della miniera, prima che abbiano la possibilità di svuotare una discarica. Ora che ci hanno persi entrambi, potrebbero decidere di farlo. Se ci facessimo coinvolgere in accuse e controaccuse con Grimes e qualche dipartimento di polizia o l’FBI, temo che finiremo per perdere. Inoltre, una volta usciti alla scoperto, Grimes potrebbe tentare di nuovo di farci fuori.»

«Credo di capire. E allora, che cosa si fa?»

«Non lo so. Metterci in contatto con un parente o amici o… o forse un avvocato. Raccontare loro ciò che è successo. Formulare una qualche strategia. E poi forse andare alla polizia. Vorrei veramente trovare un modo per affrontare quelli della miniera prima di fare qualsiasi altra mossa.»

«D’accordo. Non capisco tutto, ma so che mi hai appena salvato la vita. Per ora facciamo a modo tuo, cominciando dal mio capo.»

«Fantastico, e poi forse mio zio, Hal Sawyer, il patologo. In qualche modo arriveremo alla polizia, te lo prometto.»

Nikki ordinò del caffè nero e del cibo unto e caldo. Matt scelse un piatto di chili. Quando la cameriera si fu allontanata, Nikki rivelò a Matt gli stupefacenti dettagli della malattia e della morte di Kathy Wilson.

«La sua malattia, era questo che Grimes voleva sapere», spiegò. «Non mi ha mai detto perché, ma continuava a chiedermi, ‘Chi altri è a conoscenza della sua malattia? Chi altri sa del suo stato?’»

La descrizione dei noduli facciali e del deterioramento mentale di Kathy stupì Matt. Sembrava che Nikki stesse parlando di Darryl Teague o di Teddy Rideout. C’era però un problema. Kathy Wilson non aveva mai lavorato in alcun impianto della società Belinda Coal Coke e se ne era andata di casa per seguire il suo destino musicale quasi nove anni prima.

«Sei sicura che non sia più tornata a Belinda dopo essersene andata?» domandò.

«Forse prima che ci conoscessimo, o forse, di tanto in tanto, per un giorno o due quando era in giro con il suo complesso.»

«Mai a lungo, comunque.»

«Credo proprio di no.»

«E che hai detto a Grimes davanti alla chiesa?»

«Non ricordo i particolari della nostra conversazione.»

«È comprensibile. Dopo quel trauma cerebrale, passeranno settimane o mesi prima che tu possa ricordare fatti recenti, forse non li ricorderai più.»

«Lassù… in quella casupola, non ha fatto che insistere sulla stessa cosa, chiedendomi chi altri era a conoscenza della malattia di Kathy oltre a me. Sembrava particolarmente interessato a ciò che avevo detto a te.»

«Ci puoi scommettere.»

Toccò poi a Matt rivelare ciò che sapeva, inclusa la sua sfortunata incursione nella montagna con Lewis e il suo successivo trattamento del polmone collassato dell’uomo. Alla fine del racconto, Nikki scosse la testa e fece spallucce.

«Non assomiglia ad alcuna sindrome tossica che conosco», commentò. «Presumo, tuttavia, che sia possibile.»

«Che altro potrebbe essere? Tre persone della stessa città con la stessa strana sindrome, e una discarica di rifiuti tossici nelle vicinanze con un fiume che l’attraversa.»

«Forse hai ragione», ammise Nikki pensosa, «forse l’acqua freatica è contaminata dalla discarica e forse Kathy, in qualche modo, ne è rimasta esposta. Le prove paiono incontestabili, eppure non mi convincono.»

«Se non ha mai lavorato alla miniera, la colpa deve essere delle acque sotterranee.»

«Sono curiosa. Cosa ha rivelato la patologia del cervello dei due minatori?»

«Mio zio, Hal Sawyer, è il medico legale ed ha eseguito lui l’esame autoptico. Ha riferito che i noduli erano dei tipici neurofibromi e che i cervelli dei due uomini erano all’incirca normali, per cui non si è preoccupato di fare uno studio microbiologico autoptico.»

«Non lo biasimo», commentò Nikki, «ma alcune devastanti malattie del sistema nervoso centrale presentano cervelli che paiono abbastanza o del tutto normali a un esame grossolano. Forse apprenderemo qualcosa dall’esame microbiologico di Kathy.»

«L’hai fatto?»

«L’ha eseguito il mio capo, Joe Keller, dietro mia insistenza. Non mi sono mai piaciute le faccende rimaste in sospeso, nemmeno quelle piccoline.»

«Non vedo l’ora di sentire cosa ha scoperto. Forse può fare un esame tossicologico sul tessuto. Continuo a credere che alla base di tutto ci sia la miniera.»

«Non mi metterò a discutere con te», disse Nikki, svuotando la sua seconda tazza di caffè. «Inoltre, chi sono io per mettere in dubbio l’acume clinico di un medico che salva la vita dei suoi pazienti con un preservativo?»


Il motel Starlight a Red Wolf in Pennsylvania era proprio ciò che Matt sperava di trovare. Un tipico albergo a conduzione familiare, lontano da vie principali. La stanza 212 era al primo piano sul retro e dava su un laghetto. Radunò le sue cose e aiutò Nikki a salire le scale. Nella camera ristagnava un antico sentore di muffa e un accenno di fumo. Nikki andò in bagno e ne uscì indossando un paio di leggeri pantaloni da ginnastica e una T-shirt con il logo della Champion. Appoggiandosi alla parete, tirò giù un lato del copriletto e si lasciò cadere dalla sua parte, respirando pesantemente.

«Su, solleva la lingua», le ordinò Matt. «Voglio misurarti la febbre.»

«Voglio dormire, ho bisogno di dormire.»

«Lo so, ancora un minuto.»

Matt infilò il termometro digitale sotto la lingua: 38,5. Prese lo stetoscopio e le auscultò torace e schiena: alcuni crepitìi indicavano una leggera polmonite, ma nulla che necessitasse di cure immediate.

«Salta su», mormorò Nikki. «Mi hai salvato la vita due volte in due giorni. Questo vuol dire che non devi dormire sul pavimento.»

«Cercherò di non scalciare troppo.» Matt spense la luce, ma un po’ di luminosità filtrava attraverso le tende sottili come garza. Si mise sulla schiena vicino a lei e tirò le lenzuola e la sottile coperta su entrambi. «Sai», continuò, «non ho fatto che cercare di immaginare come Kathy possa essere rimasta esposta alle tossine della miniera. Potrebbe essersi trovata nel posto sbagliato nel momento di una fuoriuscita particolarmente densa. Forse anche gli altri due casi si trovavano là proprio in quel momento. Pensi sia possibile?… Nikki?»

Aveva gli occhi chiusi e respirava in modo affannato ma regolare. Aveva resistito il più tenacemente e il più a lungo possibile.

Matt si girò sul fianco e, per un po’, osservò il suo viso nella fioca luminescenza, inspirando il suo profumo.

«Buonanotte, amica mia», sussurrò infine. «Te lo prometto, la prossima volta andiamo in un bel museo tranquillo.»


«Ecco un’altra contrazione.»

«Sto bene… Sto bene, Donny… è passata. Bazzecole… bazzecole… è passata.»

Amici e parenti le avevano detto quanto sarebbe stato duro. Quanto doloroso. L’infermiera responsabile del corso per puerpere aveva iniziato la lezione sul travaglio e il parto dicendo: «Chi l’ha chiamato travaglio, l’aveva chiaramente sperimentato».

Sherrie Cleary, dopo nove ore di doloroso travaglio, concentrò i suoi pensieri su tutti i discorsi apocalittici e pessimistici che aveva sentito e sorrise. Certo, le contrazioni facevano male. A volte, un male d’inferno. Ma il dolore era solo quello, si ripeteva di continuo, niente di più, e lei ancora resisteva. A ventisei anni, questo era il primo figlio e non sarebbe stato l’unico. Suo marito, Don, che lavorava in una carrozzeria, aveva ottenuto un buon aumento di stipendio e lei, grazie a una gravidanza senza problemi, aveva potuto continuare il suo lavoro di cameriera fino a tre settimane fa. Vivevano ancora nel quartiere di case popolari Anacostia, ma quelli di Fannie Mae (Federal National Mortgage Association) pensavano che entro poco lei e Don avrebbero avuto i requisiti per ottenere un’ipoteca. Qualcuno poteva forse biasimare il suo desiderio di avere altri figli?

Margie Briscoe, la levatrice, entrò nella sala parto, controllò il monitor del bebè, quindi si avvicinò al capezzale.

«Tutto bene», confermò. «Come te la stai cavando, Sher?»

«Sopporto le contrazioni, almeno per ora, ma sto perdendo la pazienza.»

«Non saresti normale se non fosse così. Su, fatti visitare. Rilassati e lascia cadere di lato le ginocchia… Perfetto… Sei anche ben distesa. Grazie a tutta la preparazione che hai fatto, non credo che dovremo fare una episiotomia.»

«Fantastico.»

«Non durerà ancora molto, mia cara.»

«Bene.»

«Sei sempre decisa a chiamarla Donelle?»

«Donelle Elizabeth Cleary. Se fosse stato un maschietto l’avremmo chiamato Donald Junior. Elizabeth è il nome di mia nonna.»

«Un nome bellissimo.»

«Sarà una bellissima bambina. Oh, Donny, eccone un’altra… Mio Dio… Oh, questa è peggiore della altre… No, aspetta… Oh, Signore, fa’ che sia molto peggiore… Oh!»

Margie pose le mani sulla pietra, grossa come una palla da pallavolo, che era l’utero che si contraeva di Sherrie e fissò il monitor che rivelò solo il previsto rallentamento del battito cardiaco fetale. Un minuto, due, tre. Sherrie continuava a gemere e ad ansimare.

«Io… non… so… se… posso… Aspetta, aspetta, sta andando un po’ meglio. Sta scomparendo. Oh, mio Dio…»

«La contrazione tornerà subito», esclamò Margie, «perché sta accadendo! La piccola Donelle sta per arrivare. Don, per favore, chiama Sue e dille che è ora. Sherrie, ti massaggerò un po’ la pelle per distenderla e aiutare la piccola a uscire… Brava. Ce l’hai fatta, Sher. Sei arrivata fino in fondo senza farmaci. Continua a respirare rapidamente e preparati a spingere. Tutti, al loro posto? Sue, il pediatra sta arrivando?… Fantastico. Don, infilati questi guanti, vieni qui e prendi il mio posto. Io resto vicina a te. Farai nascere tu questa bambina. Pronto?»

«Io… io credo di sì.»

«Sarai bravissimo. Sherrie, preparati a spingere. Ecco, sta uscendo la testa. Spingi, Sherrie, spingi!… Eccola qui, Don. Prima la testa, ora tirerò fuori una spalla. L’hai afferrata?… Bene! Ora l’altra spalla, ed eccola qui. Bellissima. Proprio splendida. Le ventuno e quindici. Sue, aspirazione, per favore.»

Le urla piagnucolose di Donelle Elizabeth Cleary riempirono la sala parto. Don Cleary, che aveva il fisico muscoloso e lo stoicismo di uno scaricatore portuale, stava piangendo quando l’infermiera prese sua figlia, l’avvolse e la depose sul petto di Sherrie, che era raggiante come il sole di mezzogiorno, le guance solcate da lacrime.

«Ve l’avevo detto», disse a tatti e a nessuno in particolare. «Ve l’avevo detto che sarebbe stata una cosa incredibile.»

Tre ore dopo, quando Sue entrò nella sua stanza, Sherrie stava dormicchiando, ma sorrideva ancora. Suo marito, seduto davanti alla culla di vimini, fissava, colmo di soggezione, la perfezione che era sua figlia.

«Sherrie, tesoro, svegliati», le intimò dolcemente Sue. «C’è qualcuno per te, una persona molto speciale. Ecco, ti passo sul viso un panno freddo. Bene. Sei sveglia?»

«Sono sveglia. Che succede?»

«Signor Cleary, è sveglio?»

«Certo. Chi c’è?»

«Ve lo direi, ma credo che dovrete scoprirlo da soli.» Corse alla porta e gridò: «Sono pronti».

La moglie del presidente degli Stati Uniti, da sola, entrò nella stanza e si diresse subito da Sherrie. L’espressione sui volti di Sherrie e Don fece capire che non era necessaria alcuna presentazione.

«Signora Cleary», si presentò ugualmente la visitatrice, «sono Lynette Marquand. Congratulazioni per la sua splendida bambina. Anche a lei, signor Cleary.»

«Grazie», riuscì a dire Sherrie. «Grazie. Sono realmente sorpresa.»

«È un piacere per me essere qui in questa occasione tanto gioiosa», ribatté Lynette. «Signor Cleary, signora Cleary, ho delle splendide notizie per voi.»

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