38

Le ombre del pomeriggio si allungavano nelle strade di Washington, quando Matt avviò la Harley e si diresse verso il West Virginia. Viaggiava da solo. Ellen e Rudy erano rimasti in città per rispondere ad altre domande dell’FBI e per riesaminare le prove che Rudy aveva portato. Il passaggio dall’agente dei servizi segreti addetto alla sicurezza alla sua controparte nello staff di Lynette Marquand era stato rapido.

Per tutti, vi erano troppe cose in gioco per ritardare.

In una piccola sala conferenze, mentre Matt ed Ellen venivano interrogati dall’ex rappresentante del Congresso della Georgia, Joanna Kramer, capo del personale di Marquand, avevano ricevuto la notizia che il cavo tagliato da Rudy era stato sostituito. La Kramer era corsa fuori dalla stanza, lasciandoli con un agente dei servizi segreti. Erano passati cinque interminabili minuti prima che la porta si fosse aperta e la Kramer fosse rientrata. Era accompagnata dalla first lady. Sotto il pesante make-up da trasmissione televisiva, Lynette Marquand era cinerea. Non vi era alcuna cordialità nella sua espressione, mentre studiava prima Matt, poi Ellen.

«Allora, signora Kroft», aveva detto, sempre in piedi, «a quanto pare la sua astensione dalla votazione per l’Omnivax non indicava che lei aveva perso interesse nel vaccino.»

«Per niente», aveva ribattuto Ellen. «Un uomo aveva minacciato di morte mia nipote se avessi votato contro. Avevo bisogno di guadagnare tempo.»

«E ora quell’uomo è morto.»

«Sì. Lavorava per il proprietario della Columbia Pharmaceuticals, i fabbricanti del vaccino contro la febbre di Lassa dell’Omnivax.»

«E in quel vaccino c’è qualcosa di mortalmente sbagliato?»

«Sì.»

«E lei è convinta che per noi sarebbe un grave errore iniettare in quella neonata il vaccino che sta aspettando.»

Ellen aveva sospirato di sollievo a quella notizia. «Il botto sentito in tutto il mondo» non era stato ancora sparato.

«Sì», aveva risposto di nuovo. «Ne sono profondamente convinta.»

«E lei, dottor…»

«Rutledge», si era presentato Matt, schiarendosi la gola. «Matthew Rutledge. Alcuni abitanti della mia comunità nel West Virginia, che dieci anni fa avevano ricevuto dosi di prova del vaccino contro la febbre di Lassa, stanno morendo. Credo che l’agente che li sta uccidendo sia ancora nel vaccino.»

La Marquand aveva riportato lo sguardo su Ellen.

«Signora Kroft, il mio staff mi ha informata che lei ha finanziato la campagna dell’avversario di mio marito nella passata elezione. La sua miracolosa comparsa di oggi è motivata politicamente?»

Ellen aveva riflettuto un attimo prima di rispondere.

«Io disapprovo la posizione di suo marito riguardo alla sicurezza sociale», aveva risposto infine. «Ecco perché appoggio il signor Harrison. La nostra presenza qui non ha, tuttavia, nulla a che fare con la politica. Glielo garantisco.»

Per quindici secondi, era regnato il silenzio, mentre Lynette Marquand sondava con i suoi gli occhi di Ellen.

«Grazie», aveva detto infine. La voce roca, l’espressione ancora cupa. «Grazie anche a lei, dottor Rutledge.»

Senza nessun’altra parola, lei e la Kramer si erano girate ed erano uscite dalla stanza. Quindici minuti dopo, era iniziato il primo interrogatorio dell’FBI. La neonata era stata mandata a casa; le telecamere erano state spente, e, senza alcun dubbio, i consiglieri del governo erano stati chiamati per un lavoro d’urgenza.

Prima di partire per tornare a casa, Matt, seduto da solo in una della stanze per le visite della clinica, si era dibattuto tra il desiderio di riferire alla polizia la questione della discarica tossica e il buonsenso di aspettare di aver valutato la situazione di persona. Non vedendo tornare Lyle, Lewis e Frank avevano di certo capito che alla casa di Hal vi erano stati dei guai. Di questo era più che sicuro. Ciò che avrebbero fatto o potuto fare, tuttavia, era un’altra questione. Il fratello era morto. Il loro amato vecchio furgone era in fondo al Long Lake. Si trovavano a parecchi chilometri dalla loro fattoria, e Lewis non era certo nelle condizioni migliori per viaggiare. Eppure i guai che Matt avrebbe provocato loro inviando le autorità sulla scena di una simile carneficina avrebbero potuto distruggerli. Nikki e gli altri all’interno della grotta erano piuttosto stabili quando lui ed Ellen erano partiti per la casa di Hal.

Alla fine, dopo un dibattito interiore infuocato, aveva deciso che avrebbe chiamato aiuto solo dopo essere tornato lui stesso nella montagna.


Il traffico dell’ora di punta era intenso e Matt corse più di quanto non facesse di solito nell’attraversare il Potomac e nell’uscire dalla città. Erano le sette e mezzo di sera quando poté finalmente superare i centodieci chilometri orari.

Appena fuori White Sulphur Springs, lanciò un’occhiata al cicalino; in viaggio, lo teneva in un astuccio in plastica sul manubrio della Harley, che agganciava poi alla cintura. Era rimasto sulla Harley dalla sera in cui aveva seguito Bill Grimes alla casupola in montagna. La spia luminosa brillava a intermittenza, ma lui non poteva sapere da quanto tempo era accesa. Uscì dall’autostrada e chiamò il pronto soccorso dell’ospedale.

«Dottor Rutledge», esclamò la segretaria di guardia, «abbiamo cercato di rintracciarla da ore. C’è una esercitazione antisciagura in corso, solo che non è una esercitazione.»

Il polso di Matt accelerò.

«Che sta succedendo?»

«Non lo so con precisione. C’è una certa confusione. Credo vi siano problemi alla miniera. Forse un crollo o un’esplosione. I primi due casi dovrebbero arrivare in ambulanza a minuti.»

«Dica a chiunque è responsabile che sarò lì entro un’ora.»

Cinquanta minuti più tardi, Matt fece un’ampia curva a sinistra, una di quelle che amava percorrere, e vide le luci di Belinda racchiuse nella valle sottostante. Uno spettacolo stupendo, ingannevolmente sereno. Main Street era più calma del solito, ma l’ospedale compensava anche troppo quella tranquillità. Un’ambulanza vuota era ferma al suo posto, una seconda, che aveva appena scaricato qualcuno, si era spostata al lato dell’entrata, mentre una terza, il lampeggiante acceso, stava percorrendo il vialetto d’accesso. Matt parcheggiò la Harley e corse ad aiutare.

«Mai vista una cosa simile. Mai», stava dicendo, tutto eccitato, uno dei paramedici dell’ambulanza all’infermiera del pronto soccorso, Laura Williams. «Queste persone le abbiamo tirate fuori da un buco in cima a una parete. Vi erano dei fari che indicavano l’entrata di una caverna e una corda a terra che guidava all’interno dove era successo il disastro, ma nessuna indicazione su chi abbia messo lì quelle cose.»

«Lo so», commentò la Williams. «L’altra squadra ne sta ancora parlando.»

«E quei bidoni di sostanze chimiche. Mio Dio, che puzza. Impossibile siano legali. Ma come potevano pensare quelli della miniera che avrebbero potuto passarla liscia con una cosa simile?»

«Ha bisogno di una mano?» domandò Matt, lottando contro il desiderio di rispondere alla domanda del paramedico e scrutando nell’ambulanza dove vi erano due barelle.

«Certo. Quello a sinistra è pesante.»

Fred.

Matt si alzò in punta di piedi e notò che l’occupante dell’altra lettiga era Sara Jane Tinsley.

«Come avete fatto a sapere dove andare?» domandò.

«Uno dei poliziotti di servizio al momento della telefonata anonima conosceva la zona di cui parlava quell’uomo. Siamo partiti tutti in carovana.»

Matt afferrò un’estremità della lettiga di Carabetta, la trascinò sulla piattaforma in cemento e aiutò l’altro a sistemarla in modo da poterla spingere dentro l’ospedale. Il funzionario OSHA, che continuava a gemere e a ciondolare la testa da una parte all’altra, non pareva in pericolo immediato. Matt si avvicinò per parlargli, poi cambiò idea e corse nel pronto soccorso gremito. Ci sarebbe stato tempo per Fred.

Individuò subito l’ortopedico, Brian O’Neil, una mezza testa sopra tutto il resto della squadra di soccorso.

«Ciao, Brian», gridò, correndo da lui.

«Ehi, Matt, hai un aspetto tremendo. Dov’eri, a fare un po’ di motocross?»

«No, ero nella grotta con tutte queste persone.»

«Ma…?»

«Più tardi. Ti stai occupando di Nikki Solari?»

«La dottoressa?»

«Sì.»

«Che donna.»

«Comportati bene. Ha una brutta lesione?»

«Frattura del malleolo. Una leggera lussazione, ma nulla che un po’ di tempo nel reparto ortopedico e alcune viti ben piazzate non possano risolvere.»

«Promettimi di fare un buon lavoro e io ti prometto che non le dirò che sei laureato in veterinaria. Dov’è ora?»

«In ortopedia. Dille che sarò da lei tra due minuti.»

«Facciamo cinque.»

Occhi chiusi, una fleboclisi che le instillava fluido e antibiotici nel braccio, Nikki giaceva su una lettiga, il piede gonfio e scolorito e la caviglia appoggiati su un cuscino in un tutore ad aria trasparente. Le avevano lavato viso e braccia, ma i capelli erano ancora ricoperti di polvere e piccoli frammenti di pietra. Era, tuttavia, bellissima.

«Ehi, tu», sussurrò Matt, «dottoressa.»

Nikki fece un ampio sorriso ancora prima di aprire gli occhi. Matt le diede un bacio sulla fronte, poi sulla bocca.

«Ce l’hai fatta in tempo?» chiese Nikki.

«Nessuna vaccinazione oggi, signorina», rispose. «Torni un’altra volta. Mi spiace tanto.»

«Una notizia fantastica. Bravo.»

«C’entrava da sempre mio zio Hal, Nik. Possedeva la maggior parte delle azioni della Columbia Pharmaceuticals. Grimes e gli altri lavoravano per lui.»

L’espressione di Nikki s’incupì, aveva immediatamente compreso le implicazioni per lui e sua madre.

«Mi dispiace tanto», disse.

«Già. Probabilmente anche John Dillinger e Attila avevano dei nipoti.»

«Suppongo di sì», sospirò tristemente.

«Come siete usciti?»

Nikki scrollò le spalle. «Mentre i fratelli Slocumb facevano quello che dovevano fare, io mi sono trascinata di nuovo nella grotta per occuparmi di Fred e Morrissey e degli altri. È passato un sacco di tempo e cominciavo a preoccuparmi. Poi, all’improvviso, ho sentito dei rumori, quindi delle luci potenti hanno illuminato la caverna e, pochi secondi dopo, è iniziata la Carica di Calgary di paramedici dell’ambulanza, poliziotti e pompieri.»

«Gli Slocumb?»

«Non ho idea di dove siano.»

Matt la baciò di nuovo.

«Sono preoccupato», ammise. «Ora ti lascio riposare e vado a vedere se riesco a scoprire cosa è accaduto loro. Brian O’Neil, l’ortopedico che si prende cura di te, è una persona fantastica.»

«Ehi, grand’uomo, non sapevo t’interessasse», commentò con la sua profonda voce Brian dalla soglia.

«D’accordo, mi interessa. Non pensare però che il mio giudizio sia viziato anche in altri campi.» Premette la guancia contro quella di Nikki. «Tornerò presto, bambina», mormorò. «Sii coraggiosa.»

«Dopo tutto ciò che abbiamo vissuto, non c’è più nulla che mi spaventi.»

«Abbiamo una sala operatoria libera», annunciò l’ortopedico, «e penso che faremmo meglio a prenderla finché nessun altro è pronto.»

«Sì, sì, togliamoci il pensiero.»

«Voglio che ti rimetta in salute a casa mia», le sussurrò Matt nell’orecchio.

«Sei ancora nel commercio dei massaggi alla schiena?»

«Non chiudiamo mai.»

Matt diede un colpetto sul braccio di O’Neil, quindi tornò al pronto soccorso e si mise a passeggiare tra medici e infermieri e i loro pazienti. Sid, la guardia di sicurezza, era nella stanza 3, lo spazio chiuso da tende vicino a Fred. Due cubicoli più in là, un’aiutoinfermiera stava lavando Sara Jane e, vicino a lei, l’otorinolaringoiatra, Evan Julian, era chino su Colin Morrissey. Julian era il medico più meticoloso e compulsivo di tutto l’ospedale e non iniziava mai un intervento prima che ogni strumento non fosse perfettamente allineato sul vassoio dell’infermiera di sala. Matt sorrise pensando a Nikki, la caviglia lesionata immobilizzata alla bell’e meglio, che eseguiva con successo una tracheotomia d’urgenza alla luce di una lanterna in una grotta piena di polvere e esalazioni tossiche.

Matt controllò ansiosamente le altre stanze. La donna che aveva chiamato Tarzana si stava dimenando selvaggiamente in una stanza laterale, legata al letto con cinghie di pelle. Non trovò nessuno degli Slocumb.

Se ci fosse stato impellente bisogno del suo aiuto, Matt si sarebbe dato da fare, ma in quel momento si sentiva esausto e più che preoccupato per Frank e Lewis. Uscì dalla sala d’aspetto del pronto soccorso e si avviò verso la motocicletta. Mentre si avvicinava alla Harley, notò una Mercedes rosso cupo parcheggiata non molto distante. L’autista, il volto nascosto nell’ombra, lo stava chiamando con un cenno della mano. Si diresse verso l’auto, poi si bloccò: era la Mercedes di Hal.

«Dottore, sono io, Frank», gridò, sussurrando, l’autista.

Matt corse da lui e balzò sul sedile del passeggero. Lewis Slocumb, sdraiato dietro, non pareva fosse peggiorato.

«Tutto bene?» gli chiese, indicando il tubo nel petto.

«Io sto bene», rispose cupamente Lewis. «Quel bastardo ha ucciso Lyle.»

«Lo so. Ero presente. Mi spiace veramente, ragazzi. Sono terribilmente addolorato. Lyle è morto salvandoci la vita. E anche un sacco d’altre vite. È stato un eroe. Come siete usciti e… e siete arrivati da Hal?»

«Il tuo amico Grimes aveva uno di quei telefoni, sai, come una radio ricetrasmittente. Quando Lyle non è tornato, abbiamo capito che qualcosa non andava. Un paio di nostri amici ha il telefono. Te lo avevo detto che conosciamo alcune persone. Frank ha chiamato Earl Morris, lo conosci?»

«No.»

«Earl è un montanaro come noi. Ha portato un gruppo di amici nella montagna e ci ha aiutati a ripulire la galleria. Non credo che qualcuno troverà mai Grimes e i suoi amici, a meno che non si immerga in acque veramente profonde, veramente scure.»

«Perché mai mi preoccupavo tanto per voi due? Che mi dite di Hal? Come siete arrivati a casa sua?»

«Earl Morris sapeva dove vive. Ci siamo ammucchiati nel suo camion e siamo andati là e l’abbiamo trovato, tutto legato come un maiale per il barbecue.»

«Ha cercato di convincervi a slegarlo?»

«Oh sì, ci ha provato», rispose Frank. «Credimi, ci ha provato.»

«E questa macchina? A me aveva detto che non aveva un’altra chiave.»

«Mentiva», disse Frank, ammiccando.

«Sapevamo che stava mentendo», soggiunse Lewis. «Non è molto bravo a farlo. Crede di esserlo, ma non lo è. Con un po’ di aiuto da parte nostra, ci ha detto cosa è successo a Lyle, poi dove era la chiave dell’auto. Voleva darcela solo se lo slegavamo.»

«L’avete ucciso?»

«Ci abbiamo pensato.»

«Sono felice che non l’abbiate fatto. Ho bisogno che lui sia vivo.»

«Gli abbiamo lasciato alcuni segni.»

«Di qualsiasi cosa si tratti, se la merita. Appena potete, trovate qualcuno che vi acquisti la sua auto e usate i soldi per comprarvi un nuovo furgone.»

«Lo faremo. Prima però vogliamo trovare il corpo di Lyle. Vogliamo seppellirlo alla fattoria. Bastardi.»

«Andremo al lago domattina all’alba. Troviamoci alla casa di mio zio e vi mostrerò dove è caduto in acqua. Lewis, devo tornare in ospedale per prendere qualcosa e toglierti quel tubo dal petto. Non penso che tu ne abbia ancora bisogno e non vorrei che insorgesse un’infezione.»

«Come vuoi. Hai intenzione di mandare la polizia a casa di tuo zio?»

«Hai controllato i miei nodi?»

«Sì. Non si scioglieranno tanto presto.»

Matt aprì la portiera e scese dall’auto. La notte era priva di nuvole e serena. Una tipica notte del West Virginia.

«Forse tra qualche giorno», rispose.

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