34

La prima cosa che Matt notò, riprendendo conoscenza, fu l’odore di olio di motore. La seconda, che era vivo e gelato. Si trovava in un grande capannone ed era disteso su un letto di pezze sporche, con ancora indosso i suoi abiti zuppi d’acqua. Le pareti erano in legno trattato con creosoto. La lampadina sospesa sopra di lui era spenta, ma una sottile, grigia luce filtrava da una finestra schermata di trentacinque centimetri per lato, vicino al soffitto. Impilati non molto distanti da lui vi erano dei secchi in plastica chiusi contenenti qualche sostanza chimica e un grande sacco di carta senza marchio pieno forse di semi o fertilizzante. In un angolo del grezzo pavimento in legno vi erano degli attrezzi da giardinaggio, sulla parete erano appesi parecchi tagliaerba a benzina e sotto di loro un grosso motore parzialmente a pezzi.

Solo quando cercò di muoversi, si rese conto che il polso sinistro era ammanettato a un tubo a U che sembrava fosse stato costruito nel muro proprio a quello scopo. Si guardò attorno, cercando di capire chi fossero quelli che lo tenevano prigioniero. Lo stomaco, reagendo agli odori e al capogiro, gli lanciava getti di acre bile in gola. L’orologio era sparito, come pure la pistola che aveva in tasca. Aveva i dorsi delle mani escoriati a vivo e ricoperti di sangue coagulato. Dall’esterno non arrivava alcun rumore di traffico, ma nel giro di un quarto d’ora aveva sentito due volte una motocicletta partire rombando. Due moto diverse, pensò, entrambe delle Harley. Pezzetto dopo doloroso pezzetto, i ricordi del suo devastante viaggio nel fiume sotterraneo si cristallizzarono.

«Aiuto!» gridò. «Qualcuno mi aiuti!»

Attese una risposta, quindi gridò di nuovo. Con esitazione, la porta di fronte a lui si aprì e una donna snella sulla ventina sbirciò dentro e si pose un dito sulle labbra. Aveva capelli rossi malamente pettinati, spesso ombretto nero e piercing nel naso, nelle sopracciglia e nel labbro inferiore. I pantaloni in pelle nera erano sfilacciati e polverosi, come la T-shirt nera e il gilet in pelle.

«Silenzio!» mormorò in tono pressante. «Si prenderanno cura di te quando saranno pronti.»

«Ma io devo andare…»

La donna si era già allontanata e aveva chiuso la porta alle sue spalle. Matt fece passare alcuni minuti, quindi riprese a urlare. Questa volta, quando riapparve, la donna teneva un bambino sul fianco, un ragazzino di due anni, sporco e gracile, con un colorito giallastro, una brutta tosse e del muco verdastro che gli colava da entrambe le narici. Lei gettò a Matt una coperta militare marrone sbrindellata.

«Senta, le ho detto di stare zitto», borbottò la donna, sempre sussurrando con urgenza. «Non è affatto improbabile che la uccidano. Urlare in quel modo e disturbare i bambini potrebbe far svanire anche quella piccola possibilità.»

La donna stava per andarsene, ma esitò quando lui parlò.

«Aspetti, la prego, sono un medico», disse rapidamente. «Mi chiamo Matt Rutledge. Sono il dottor Matt Rutledge di Belinda. Non so come sono arrivato qui né dove sono, ma devo andare via e cercare aiuto. I miei amici sono intrappolati nel crollo di una miniera e moriranno.»

«Lei non è un dottore», ribatté la donna. «Hanno detto che aveva una pistola. Di solito i dottori non ne portano.»

«Questo lo posso spiegare. Senta, il suo ragazzino ha una brutta sinusite, e forse anche una laringite. Scommetto che non mangia e non dorme bene. Dovrebbe farlo visitare da un medico, e alla svelta. Ha bisogno di antibiotici.»

«Noi non andiamo da nessun medico.»

«Posso curarlo io. Posso farle avere le medicine di cui ha bisogno. Come si chiama lei?»

La donna strinse gli occhi.

«Becky», rispose infine. «Questo qui è Samuel. E non lo chiami Sam, è una cosa che fa arrabbiare suo padre.»

«Io sono un dottore molto bravo, Becky, e posso guarire Samuel. Mi lasci andare a cercare aiuto per i miei amici. Poi tornerò per prendermi cura di lui.»

L’indecisione guizzò negli occhi di Becky, ma poi svanì rapidamente.

«Se lo facessi, non troverebbero più molti pezzi di me», disse. «Lei ora se ne stia lì in silenzio. Se non è un dottore, Bass la ucciderà più velocemente di uno schiocco di dita. E se lo è, è probabile che la uccida lo stesso. Ora chiuda il becco!»

«Ma…»

Questa volta la donna chiuse la porta sbattendola.

«Becky, per favore», gridò Matt.

Nessuno rispose. Fissò la finestrella, cercando di capire che ora del giorno fosse. Per quanto tempo era rimasto svenuto? Gli indumenti bagnati e il sangue appena rappreso indicavano che non lo era stato a lungo, ma non poteva esserne certo. Le manette erano da dipartimento di polizia e applicate troppo strette per potersi liberare. Poggiò i piedi contro la parete, afferrò con entrambe le mani il tubo di rame e cercò di strapparlo dal muro. L’inutile sforzo gli inviò una fucilata che gli esplose nella testa. Frustrato, ricadde sugli stracci unti e prese a calci il muro finché rimase senza forze. Doveva esserci un modo per uscire. Aspettare l’arrivo di Bass o di chiunque dovesse ucciderlo non gli pareva una buona idea.

«Becky», gridò. «Samuel è malato, molto malato e lei lo sa. Non guarirà senza medicine. Quella roba che gli cola dal naso è una cosa seria. Io posso aiutarlo. Potrebbe ammalarsi gravemente. Per favore, mi ascolti. Moriranno delle persone se non riesco a trovare soccorsi. Non mi lasci qui così.»

«Bass, no!» sentì Becky urlare.

Un attimo dopo la porta del capannone si spalancò. L’uomo rimase sull’uscio, riempiendo lo spazio. Era alto un metro e novantacinque, con spalle che toccavano quasi entrambi gli stipiti; braccia grosse come tronchi piene di tatuaggi e un enorme pancione. I folti capelli biondo rame lunghi fino alle spalle e la barba non avevano visto forbici da mesi, se non da anni, e il suo panciotto, una volta forse il rivestimento di una intera mucca, era ornato di chiodi cromati. Gli occhi stretti e selvaggi non contenevano una sola goccia di cordialità.

«Chi diavolo sei?» domandò, facendo un passo in avanti. «E per chi lavori?»

Dietro di lui, Matt vide almeno un altro motociclista e Becky, con Samuel sempre appollaiato sul suo fianco. Si tirò in piedi.

«Sono un medico», rispose, certo che avrebbe fatto meglio a esporre i fatti alla svelta. «I miei amici e io siamo rimasti intrappolati dall’esplosione di una miniera. Io sono uscito nuotando nel fiume sotterraneo per cercare aiuto.»

«Cazzate.»

«No, la prego, è vero. Vivo a Belinda. Ho bisogno di raggiungere la fattoria dei fratelli Slocumb. Li conosce? Possono garantire per me.»

«Non li conosco. Non so niente, a parte il fatto che tu eri dove non dovevi essere con una pistola in tasca. Ora, possiamo intenderci con le buone o con le cattive. Fai parte dell’Antidroga?»

«No, sono un medico di Belinda.»

«Lo scoprirò e ti prometto che non sarà piacevole. Dimmi per chi lavori e farò in modo di non farti soffrire troppo. Fottimi e ti prometto che supplicherai di morire.»

«Ciò che ho detto è la verità», ribatté Matt con voce stridula. «Lo giuro.»

Bass gli si avvicinò, afferrò la camicia di Matt nel suo possente pugno e lo sollevò. Matt sentì l’odore della marijuana spandersi dai suoi vestiti.

«Hai ancora mezz’ora», ringhiò Bass.

Roteò su se stesso e se ne andò, sbattendo la porta con tanta forza da far vacillare tutto il capannone.

«Te lo ripeto, lui è veramente un dottore. Chiedigli di dare un’occhiata a Rake.»

Matt poté udire Becky parlare con Bass.

«No!»

«Cristo, Bass, è tuo fratello.»

«Chiudi il becco! Quell’uomo è un federale e tra poco sarà un federale morto. Quello che stiamo facendo qui non è un fottuto gioco. Voglio sapere come diavolo ha fatto a trovarci.»

Droghe! Matt comprese che quei motociclisti stavano coltivando droghe o le lavoravano, o più probabilmente facevano entrambe le cose. Controllò di nuovo la finestrella. Il cielo sembrava ora più chiaro. Il tempo stava scadendo, per lui, per Nikki, e per tutti gli altri nella caverna. Stava scadendo anche per alcuni bambini che stavano per ricevere la cosiddetta impareggiabile vaccinazione.

Per un po’ rimase in silenzio, accertandosi di nuovo che le manette non avrebbero ceduto e cercando di escogitare un modo per servirsi di Becky, chiaramente l’anello debole della catena. Per due volte sentì una motocicletta allontanarsi, senza capire se si trattava di una di quelle che aveva sentito prima. Immaginò la sua Harley e l’indescrivibile senso di libertà e di completezza che provava quando correva sulle colline. Poi, silenziosamente, Becky aprì la porta, sgusciò dentro e la richiuse. Samuel non era con lei. Portava invece una federa sporca, piena per metà di qualcosa.

«Lei è un dottore, vero?»

«Proprio così. Becky, io…»

«Mi dica quali di queste potrà aiutare Samuel.»

La donna rovesciò il contenuto della federa sul pavimento: decine di flaconi e fiale di svariate pillole e medicine liquide, quasi tutte con l’etichetta di varie farmacie.

«I ragazzi svuotano quasi sempre gli armadietti delle medicine nelle case che… ehm… visitano», sussurrò. «Tutti adorano il Percocet e l’Oxicodone, ma alcuni di loro preferiscono la codeina. Una di queste può servire a Samuel?»

Matt fece scorrere le dita tra le fiale e scelse due differenti marche di amoxicillina, 250 milligrammi, trenta capsule in tutto.

«Questo funzionerà», disse, aprendone una. «Prenda metà del contenuto di una di queste capsule e lo mescoli nel suo cibo tre volte al giorno. Come prima dose, usi una capsula intera. Samuel soffre di allergie?»

«Di che?»

«Non si preoccupi. Ecco, mezzo cucchiaino da tè di questo sciroppo gli allevierà la tosse.»

«Grazie, dottore. Mi dispiace che Bass non le creda.»

«Becky, lei mi deve aiutare a uscire di qui.»

«Non posso.»

«Coltivano la droga, qui, non è vero? È questo che Bass non vuole che io scopra?»

«Adesso devo andare.»

«Becky, giuro che non lo dirò a nessuno. Voglio solo aiutare i miei amici a uscire da quella miniera. Per favore, lui mi ucciderà.»

«Lo so. Vorrei tanto non lo facesse.»

«Chi è Rake?» chiese improvvisamente Matt.

«Come fa…? Ah, mi ha sentita parlare con Bass.»

«Che cosa ha che non va?»

«È… malato. Un cancro che gli ha preso la schiena, hanno detto. Non riesce quasi a camminare e non può più usare la motocicletta.»

«Mostrami su di te dov’è localizzato il cancro di Rake», chiese, passando al tu.

Becky esitò, poi si girò e indicò il fondoschiena.

«Ora devo andare. Grazie per Samuel.»

«Becky, vai da Bass», la implorò disperatamente. «Digli che sono pronto a parlare, pronto a dirgli tutto.»

«Non sei un medico?»

«Lo sono, ma ora, ti prego, portalo qui.»

«Mi spiace», la sentì dire mentre chiudeva la porta.

Matt sentì la donna allontanarsi di corsa. Avrebbe dovuto essere più duro con lei. Al suo rifiuto di aiutarlo, avrebbe dovuto minacciarla di dire a Bass che l’aveva fatto. Che stupido. Frustrato, sbatté la mano ammanettata con tale forza che si scorticò il polso. A malapena notò il dolore.

«Bass, parlerò», gridò, certo che la sua voce non avesse superato le mura. «Facciamo un patto. Forza.»

Niente.

Passarono dieci minuti, forse più, prima che la porta si riaprisse. Due motociclisti, entrambi vestiti di nero, anche se nessuno dei due aveva bisogno di vestirsi da duro per sembrare un duro, entrarono e lo misero rudemente in piedi. Uno dei due, testa rasata, naso largo e piatto, collo tatuato, aprì la manetta sul tubo e la agganciò al suo polso.

Grazie a Dio, pensò Matt. Poi però, mentre lo conducevano fuori, gli passò per la mente un pensiero molto più infausto. I motociclisti non si sforzarono neppure di non fargli vedere il campo. Con ogni probabilità, qualsiasi cosa avesse fatto o detto, era un uomo morto. Sparse nel fitto bosco, ben nascoste dall’alto, vi erano dieci strutture in legno di varie dimensioni. Dai due camini della più grande, che assomigliava a una casa tribale indiana, usciva del fumo. Sopra i camini, da un grande tetto in metallo, appeso agli alberi, proveniva il fumo che aveva un caratteristico odore chimico. Oppio, suppose Matt. Era improbabile che lo lasciassero andare via, dopo quello che aveva visto.

I due uomini gli fecero attraversare un cortile in terra battuta ricoperto di aghi di pino fino a una casetta informe con una piccola e bassa veranda. Bass era là dentro, in piedi accanto a un letto in quello che una volta era forse stato il soggiorno. Disteso sul fianco, in posizione fetale, vi era un uomo tanto simile a Bass che Matt pensò fossero gemelli. Una donna robusta, la faccia butterata dall’acne, seduta su una sedia a dondolo in un angolo della stanza, stava allattando al seno un bambino che pareva stesse lottando con lo stesso germe di Samuel. Rake, pallido e bagnato di sudore, era chiaramente ammalato e sofferente.

«Questo qui è mio fratello Rake», disse Bass mentre il pelato apriva la manetta di Matt. «Sta male da un paio di settimane per questa specie di cancro alla schiena. Se sei veramente un medico, curalo. Se non lo sei, ti caverò gli occhi, tanto per cominciare.»

«Mi ucciderà in ogni caso», ribatté Matt.

Come pronunciò quelle parole, capì di avere commesso uno sbaglio. Muovendosi come un cobra, Bass lo afferrò per la camicia e lo sollevò, i piedi non toccavano il pavimento.

«Non fregarmi», inveì con voce stridula. «E non fregare neppure mio fratello.»

«D’accordo, d’accordo. Mettimi giù.»

Pregando che il suo intuito fosse corretto, Matt girò attorno al letto e scostò il lenzuolo. Le cose stavano proprio come aveva sospettato, un gigantesco ascesso di un residuo congenito, conosciuto come cisti pilonidale, situato direttamente sopra il coccige appena sopra la fessura tra le due enormi natiche di Rake. Un grande e geometrico tatuaggio che sembrava dipinto con uno spirografo nascondeva parzialmente l’ascesso, lungo quindici centimetri e profondo fino all’osso.

«Posso curarlo», ammise Matt.

«Nessuno può curare un cancro», ribatté un motociclista.

«Taci», sibilò Bass.

«Non è un tumore», rispose Matt. «È un’infezione. Devo aprirla e fare uscire il pus. Avete qui qualcosa che possa vagamente somigliare a una vasca da bagno? Una con acqua calda, intendo. Deve essere sufficientemente grande da contenerlo.»

«La vasca è là dietro», disse Bass. «Possiamo prendere tutta l’acqua calda che serve da… ne abbiamo.»

«E sapone, quello con cui si lavano i piatti.»

Bass lanciò un’occhiata alla madre che stava allattando, che annuì.

«Abbiamo anche quello.»

«E un sacco di pezze, più pulite sono, meglio è.»

Un’altra occhiata, un altro cenno di assenso, questa volta nella direzione della cucina. Uno dei motociclisti andò in cucina e tornò con una bracciata di stracci che posò dove gli indicava Matt, ai piedi del letto.

«Bene. Ora ho bisogno di un coltello ben affilato.»

In un attimo, tutti e tre i motociclisti estrassero delle lame da foderi quasi invisibili, la più piccola delle quali era lunga almeno quindici centimetri.

«Scegline una e non fare stupidate», lo ammonì Bass.

Matt scelse il coltello più piccolo e lo soppesò in mano, esaminandone nello stesso tempo la punta.

«Ho anche bisogno di acqua calda saponata. Un mezzo secchio.»

Bass borbottò qualcosa e, nel giro di un minuto, il motociclista rasato era uscito, era tornato e aveva posato ai piedi di Matt un secchio mezzo pieno di acqua saponata.

«Digli che questo gli farà un male tremendo», disse Matt. «Poco dopo il mio intervento, gran parte del dolore che ha avuto dovrebbe svanire.»

«Hai sentito?»

«Digli di fare tutto il cazzo che ha da fare», gemette Rake.

Con quello che c’era nella cisti pilonidale di Rake, non valeva la pena sterilizzare il coltello o la pelle. Matt avvolse un panno attorno alla lama e lo fissò a circa due centimetri e mezzo dalla punta.

«Bene, Rake. Pronto…via!»

Spinse dentro il coltello attraverso il tatuaggio, per almeno cinque centimetri. Rake sibilò tra i denti serrati, ma non emise altri suoni. Il pus, sanguinolento e dall’odore ripugnante, spruzzò dalla ferita e colpì in buona parte il panno attorno alla lama, in parte inzaccherò Matt.

«Appena potrà muoversi, mettetelo in una vasca piena di acqua calda e saponata», ordinò Matt, pulendo al meglio la ferita e lavandosi le mani nel secchio d’acqua. «Brucerà, forse, ma gioverà molto. Qualcuno ha degli antibiotici? Ora che la ferita è aperta, potrebbero essergli di giovamento.»

«Stronzo, sai che li abbiamo», gridò Bass. «Becky mi ha detto cosa hai fatto per Samuel.»

Avendo ovviamente previsto ciò di cui avrebbe avuto bisogno, rovesciò la federa piena di farmaci rubati e Matt scelse l’antibiotico più potente.

«Due di queste, quattro volte oggi», ordinò, chiedendosi se l’essere stato colto a dire quella particolare bugia sarebbe stato per lui un vantaggio o uno svantaggio, «poi una, quattro volte al giorno. Dovrebbe farsi ricoverare in ospedale, ma, anche se non lo porta là, questa cavità dovrebbe guarire dall’interno entro due settimane, tre al massimo. Mandi qualcuno a comperare dieci o dodici bottiglie di perossido e delle bende. Potete pulire il foro con il perossido e poi tamponarlo con le bende.» Lanciò un’occhiata alle sue mani nude e soggiunse: «Prendete anche un paio di scatole di guanti in gomma».

Esitò, scegliendo con cura le parole per stringere una specie di patto con Bass. Prima di poter parlare, tuttavia, senza una parola di ringraziamento o di avvertimento, Bass fece un cenno con la testa e Matt venne tirato, quasi trascinato senza cerimonie, fuori dalla casa e riportato nel capanno.

«Aspetta un po’», si lamentò mentre Testa Rasata lo ammanettava di nuovo al tubo in rame. «Aspetta un fottuto minuto. Ho appena salvato la vita di quell’uomo. Senti, devo andare via di qui. I miei amici moriranno se non lo faccio. Di’ a Bass che non dirò mai a nessuno ciò che ho visto qui. Lo prometto.» I motociclisti si stavano già avviando verso la porta. «Alt! Questo non è giusto! Ho salvato la vita del vostro amico!» Stava inveendo contro l’interno della porta chiusa. «Dannazione.»

Matt prese a calci la parete e fece altri inutili tentativi per staccare il tubo. Niente da fare. Era già bell’e morto. Se l’avessero lasciato in vita, sarebbe stato solo per curare la ferita alla schiena di Rake.

«Bastardi!» gridò. «Ingrati bastardi!»

Si lasciò cadere sul letto di stracci unti, tirò su la coperta e chiuse gli occhi. Nemmeno Nikki e gli altri avevano ora più alcuna possibilità di sopravvivere. Per un po’ pensò alla lenta asfissia. La respirazione sempre più difficile, la sensazione di avere sonno, sdraiarsi, chiudere gli occhi e non svegliarsi più. C’erano di certo modi peggiori di morire, compreso probabilmente anche quello che i motociclisti avevano in serbo per lui.

Il tempo passò. Forse si era appisolato quando la porta venne di nuovo spalancata. Bass rimase sull’uscio come aveva fatto la prima volta, bloccando la visuale di ciò che c’era dietro di lui. Questa volta vi era, tuttavia, qualcosa di diverso. Questa volta teneva la mano sinistra dietro la schiena e nella sua enorme zampa destra, ciondolante lungo il fianco, una pistola.

«Merda. Bass, no», lo implorò Matt in un mezzo sussurro. «Non dirò a nessuno di voi. Lo prometto.»

«Farai meglio a ricordartelo», borbottò Bass. «È un bene per te che tu sia un bugiardo tanto scadente.»

Si chinò e lanciò la pistola di Matt, facendola scorrere sul pavimento fino a quella specie di giaciglio. Matt non aveva ancora afferrato il significato di quel gesto, quando vide arrivare dietro la pistola anche le chiavi delle manette, un paio di jeans asciutti e una camicia da lavoro. Senza dire un’altra parola, Bass si voltò e uscì dalla capanna.

Al suo posto, occupando molto meno spazio, c’era Frank Slocumb.

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