King accompagnò Williams in macchina alla stazione di polizia per prendere visione della lettera anonima, mentre Michelle restò all’obitorio con Sylvia e l’agente Clancy a occuparsi degli esiti delle autopsie già eseguite su Canney e Pembroke.
Strada facendo King telefonò a Bill Jenkins, una sua vecchia conoscenza di San Francisco. Quando espresse il motivo della sua telefonata, l’amico rimase comprensibilmente sorpreso.
«Per che cosa ti serve?» domandò Jenkins.
King scambiò un’occhiata d’intesa con Williams e rispose: «Per un corso di criminologia che sto tenendo all’università».
«Ah, d’accordo» disse Jenkins. «Dopo tutto il parapiglia che tu e la tua socia avete provocato l’anno scorso, pensavo che foste rimasti di nuovo invischiati in qualcosa di simile.»
«No. Wrightsburg è tornata a essere una tranquilla e sonnolenta cittadina del Sud.»
«Se mai tu dovessi decidere di tornare ai bei tempi e riunirti al gruppo, fammelo sapere.»
«Quanto tempo ti ci vorrà per farmi avere il materiale?»
«Sei fortunato. Proprio questa settimana abbiamo in programma un ripasso speciale sui serial killer classici. Mi basta mezz’ora. Tu dammi solo un numero di fax e una carta di credito.» Jenkins ridacchiò alla propria battuta.
King prese da Williams un biglietto da visita con il numero di fax della stazione di polizia locale e lo dettò al suo amico.
«Come fai ad averlo così in fretta?» domandò poi.
«Il tempismo della tua telefonata è eccezionale. Abbiamo fatto una pulizia generale degli uffici, da tempo necessaria, e la settimana scorsa ci è capitato fra le mani proprio quel fascicolo. Contiene copie degli appunti dell’insegnante. In effetti le stavo giusto riguardando l’altra sera, tanto per guadagnare tempo. È quello che ti invierò, con la chiave di lettura che aveva elaborato per decifrare le lettere in codice.»
King lo ringraziò e terminò la comunicazione.
Quando arrivarono alla stazione di polizia, Williams vi entrò a passo di carica, seguito da King.
Che fosse etica professionale o meno, era di nuovo nel proprio ambiente, e si calò immediatamente nel suo ruolo di autorità locale, con tutta l’intenzione di agire da incontestabile capo della polizia. Chiamò con voce tonante il suo vice, lo stesso che lo aveva informato della lettera in codice, e afferrò al volo anche un flacone di Advil dalla sua segretaria. Si riunirono nell’ufficio di Williams, dove questi si lasciò cadere pesantemente sulla poltrona dietro la sua scrivania e inghiottì tre pastiglie di antidolorifico senza acqua. Prima di prendere il foglio di carta e la busta dalle mani del suo vice, disse: «Per favore, dimmi che li hanno già esaminati in cerca di impronte digitali».
Lo avevano fatto, rispose il vicecapo. «Anche se Virgil Dyles, il proprietario della “Gazette”, quando ha ricevuto la lettera con la posta del giorno sulle prime ha pensato a uno scherzo» precisò. «In teoria non ne saremmo neppure stati informati, ma una mia amica giornalista mi ha telefonato dalla redazione del giornale e me lo ha detto. Sono andato subito là e me la sono fatta consegnare. Però per me è incomprensibile.»
«Allora cos’è che ha fatto Virgil?» tuonò Williams. «L’ha mostrata in giro a tutta la redazione?»
«Qualcosa del genere» rispose il vice nervosamente. «È assai probabile che l’abbiano maneggiata in parecchi. Ho raccomandato alla mia amica al giornale di mantenere il massimo riserbo, ma penso che possa aver detto ad alcune persone di ritenere che fosse una faccenda grave.»
Il poderoso pugno di Williams calò con tale forza sul piano della scrivania che sia King sia il vice sussultarono spaventati. «Dannazione! L’inchiesta ci sta sfuggendo di mano. Come diavolo faremo a tenere il massimo riserbo sul caso, se non siamo neppure capaci di tenere sotto controllo la gente di Wrightsburg?»
«Diamo un’occhiata al messaggio» disse King. «Ci preoccuperemo più tardi della fuga di notizie attraverso i media.»
King si sporse sopra la spalla di Williams mentre l’uomo di legge esaminava la busta. Il timbro postale era locale; la lettera era stata imbucata quattro giorni prima, con un francobollo applicato con precisione geometrica. Era indirizzata, in stampatello, a Virgil Dyles alla “Wrightsburg Gazette”. Nell’angolo inferiore destro c’era una piccola croce cerchiata. Lo spazio destinato al mittente era in bianco.
«La busta non rivela granché» sentenziò Williams mentre apriva il foglio piegato in tre. «Forse un esperto è in grado di dirci qualcosa da come lui ha scritto in stampatello l’indirizzo, ha incollato il francobollo e roba del genere. Ma sono dannatamente sicuro di no.»
Il messaggio era scritto con inchiostro nero un po’ scolorito, sempre in stampatello, e le righe erano disposte in colonne a struttura stretta e regolare, sia in orizzontale che in verticale.
«La parte leggermente scolorita e confusa è dovuta alla ninidrina» spiegò il vice. «La usano per “bollire” la lettera in cerca di impronte digitali, sapete.»
«Grazie. Non ci sarei mai arrivato da solo» commentò Williams in tono stizzito.
Tutte le righe erano in codice. Alcuni caratteri erano lettere dell’alfabeto; altri semplici simboli. Williams rimase seduto per alcuni minuti a fissare attentamente l’arcano messaggio. Alla fine emise un sospiro e si abbandonò contro lo schienale della poltrona.
«Non è che per caso sai come decifrare i codici segreti, eh?» chiese a King.
In quell’istante, l’agente Rogers — che aveva fatto coppia con King quando quest’ultimo aveva prestato servizio a tempo parziale nel corpo di polizia di Wrightsburg — bussò alla porta ed entrò, stringendo in mano un fascio di fogli. «Questi sono appena arrivati via fax per Sean.»
King prese in consegna i fogli e disse a Williams: «Ora te lo decifro».
Portò la lettera e le pagine del fax a un tavolino nell’angolo dell’ufficio, si accomodò su una sedia e si mise al lavoro. Dieci minuti dopo alzò lo sguardo. Non c’era di che stare allegri, pensò. Anzi, probabilmente era peggio che avere qualcuno che si dava da fare nella zona imitando il killer dello Zodiaco.
«Lo hai decifrato?» domandò Williams.
King annuì. «Ho un po’ di esperienza con i crittogrammi grazie agli anni passati nel Servizio segreto. Ma mi sono ricordato che l’insegnante di un liceo di Salinas, in California, anni fa riuscì intelligentemente a decifrare il codice delle lettere del killer dello Zodiaco di San Francisco. Ho un amico che lavora ancora nel Service e ha estrema familiarità con il caso. Così ho pensato che forse sarebbe riuscito ad avere libero accesso agli appunti dell’insegnante. È quello che mi ha inviato via fax: la chiave di interpretazione del codice. Che ha facilitato molto le cose.»
«Allora cosa dice?» chiese Williams, deglutendo nervosamente.
King consultò le annotazioni che aveva fatto. «Contiene errori ortografici, grammaticali e di sintassi, errori fatti apposta, credo. Proprio come faceva lo Zodiaco originale.»
L’agente Rogers guardò Williams con aria interrogativa. «Lo Zodiaco? Chi diavolo è?»
«Un famoso serial killer che operava in California» spiegò Williams. «Massacrava la gente molto prima che tu fossi nato. Non venne mai catturato.»
Un’espressione di panico apparve negli occhi azzurri da ragazzo ingenuo dell’agente Rogers.
King cominciò a leggere a voce alta.
Ormai, avete trovato la ragazza. È tutta a pezzi, dissezionata, ma non sono stato io. Dissezionata in cerca di indizi. Non ce n’è nessuno. Credetemi. L’orologio non mente. Lei è stata la prima, la numero uno. Ma ne seguiranno altri. Una caterva. Un’altra cosa. Non sono, ripeto, non sono lo Zodiaco. O la sua seconda o terza o quarta incarnazione. Sono io e basta. Non sarà così facile, sapete? Quando avrò finito, vi augurerete che fosse solo lo Zodiaco.
«Così non è ancora finita» disse Williams lentamente.
«A dire il vero, temo che sia solo l’inizio» gli fece eco King.