Mentre Kyle Montgomery stava commettendo il suo crimine e Eddie, King e Michelle erano nel bar, Bobby Battle giaceva nel suo letto d’ospedale collegato a un groviglio di cannule. Remmy Battle gli era seduta vicino, con la mano destra a stringere quella, ancora pallida, di suo marito.
Gli occhi di Remmy non lasciavano i monitor che registravano il tenue legame che Bobby aveva con la vita. Quella sera aveva avuto una ricaduta e di nuovo aveva avuto bisogno del respiratore. La macchina emetteva il suo acuto stridio ogni volta che il suo respiro deviava dalla regolare sequenza di inspirazione ed espirazione. La stessa respirazione di Remmy aumentava e diminuiva irregolarmente in base allo squittio dell’apparecchio.
Entrò l’infermiera. «Buonasera, signora Battle, tutto bene?»
«Per niente!» ribatté brusca Remmy. «Non mi riconosce. Non riconosce nessuno.»
«Ma si sta riprendendo, lo hanno detto i medici. È solo questione di tempo. Le sue funzioni vitali sono migliorate molto. Anche se è tornato ad avere bisogno del respiratore, le cose vanno al meglio, davvero.»
Il tono di Remmy cambiò. «Grazie delle buone parole. Lo apprezzo molto, cara.» Tornò con lo sguardo all’uomo robusto disteso nel letto.
L’infermiera le rivolse un sorriso e poi parve a disagio. «Signora Battle…» esordì in un tono deferente indubbiamente riservato ai pochi fortunati che avevano il privilegio di avere i loro nomi sulla targa dei benefattori dell’ospedale.
«Lo so» disse Remmy in tono tranquillo.
«Ha intenzione di dormire qui stanotte?» domandò l’infermiera. «Nel caso, le faccio subito preparare il letto.»
«Stanotte no. Tornerò domattina presto. Ma grazie lo stesso.»
Remmy si alzò e se ne andò. L’infermiera eseguì un controllo rapido sul suo paziente e uscì dalla stanza pochi minuti dopo.
Battle era l’unico degente di quel reparto privato, in cui il breve corridoio sul quale si apriva la sua camera metteva in comunicazione con magazzini e ripostigli. Il resto dei dieci letti di cui disponeva il reparto era in comunicazione con una zona centrale di fronte alla postazione dell’infermiera di turno. Remmy Battle aveva fatto espressa richiesta di quella particolare camera singola per suo marito perché permetteva una maggiore privacy. In fondo al corridoio c’era anche un’entrata posteriore, accessibile con uno speciale codice, dalla quale poteva andare e venire senza dover passare davanti a un gran numero di stanze, infermiere e sguardi indiscreti. La stanza in cui a volte dormiva era in fondo a quel corridoio, a pochi passi da suo marito.
Erano trascorse da poco le dieci e in quella parte dell’ospedale, isolata dal resto, stava per verificarsi il consueto cambio di turno del personale per la notte. L’infermiera addetta a Battle avrebbe trascorso i successivi quarantacinque minuti nella saletta di reparto con la sua sostituta, a controllare le condizioni dei vari pazienti sotto la sua supervisione, oltre alle relative somministrazioni di farmaci e alle istruzioni dei medici.
Ogni camera di degenza di quell’unità era controllata da una telecamera; monitor installati nel centro di controllo della caporeparto ricevevano suoni e immagini dalle varie stanze. I monitor avrebbero dovuto di norma essere tenuti sotto costante sorveglianza dall’infermiera di turno, sebbene durante il cambio questa procedura non venisse osservata per una ventina di minuti circa mentre le infermiere, sottoposte a ore e ore di eccessivo lavoro e sfruttate al limite delle forze, si davano disperatamente da fare per concentrare un’ora di lavoro in un terzo dello stesso tempo. Tuttavia gli apparati di controllo delle funzioni vitali dei pazienti in ogni stanza erano dotati di sistemi d’allarme elettronici, che avrebbero immediatamente avvertito il personale ospedaliero di ogni cambiamento delle loro condizioni.
Poco dopo che Remmy se n’era andata, una persona entrò nel reparto dallo stesso ingresso posteriore da cui Remmy Battle era uscita pochi minuti prima. Abbigliato con un camice bianco da medico, soprascarpe asettiche, cuffietta e mascherina che gli copriva la parte inferiore del volto, e con l’aria di essere perfettamente a suo agio nell’ambiente ospedaliero, l’individuo passò davanti alla porta della camera di Bobby Battle, lanciò un’occhiata all’interno e vide che il paziente era solo. Una fugace sbirciata oltre l’angolo del corridoio rivelò che la postazione dell’infermiera di turno era incustodita. L’intruso entrò nella stanza di Bobby Battle e chiuse la porta.
Senza perdere tempo mosse leggermente la telecamera di controllo fissata sulla parete di fronte al letto in modo che l’angolo di ripresa in diretta non mostrasse la zona a sinistra del letto. Poi si affrettò a oltrepassare l’apparecchiatura di controllo vicino al letto, estrasse da una tasca del camice una siringa ipodermica e con l’ago bucò una delle sacche di soluzioni collegate al braccio del paziente, premendo poi lo stantuffo della siringa e iniettandovi tutto il contenuto della stessa. Lo sconosciuto lanciò solo una volta una rapida occhiata a Bobby Battle che giaceva nel letto, sereno e tranquillo nel suo sonno profondo nonostante un tubicino in gola. L’intruso gli prese la mano sinistra, gli allacciò al polso l’orologio che aveva portato con sé e lo regolò sulle cinque. Infine estrasse da un’altra tasca del camice l’oggetto che intendeva lasciare in bell’evidenza e lo depose con cura sul torace di Battle.
Era una piuma bianca.
Pochi secondi dopo l’intruso si era precipitato fuori dell’entrata posteriore, aveva sceso le scale, si era allontanato dalla zona sparendo nel parcheggio esterno ed era salito su un’auto. La vettura si allontanò velocemente dall’ospedale.
Il conducente aveva una lettera ancora da scrivere e da imbucare.
Più o meno dieci minuti dopo che l’auto si era allontanata, un segnale d’allarme acustico cominciò a trillare a intermittenza su uno degli apparecchi elettronici nella stanza di Bobby Battle, seguito poco dopo da un altro. Nel giro di qualche secondo tutte le spie e i segnali dell’apparato di controllo delle funzioni vitali del paziente trillavano e lampeggiavano i loro sinistri allarmi.
Le infermiere si precipitarono in massa nella camera. Un minuto dopo un codice blu fu trasmesso sull’interfono della stanza e un’équipe medica altamente specializzata arrivò di corsa. Tutto per niente. Alle 22.23 Robert E. Lee Battle fu dichiarato morto.