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Uno degli agenti di custodia piantonava la porta dall’interno; l’altro sostava davanti alla finestra.

«Pare proprio che là sotto siano scoppiati dei tumulti» commentò quello alla finestra. Era alto come Eddie, ben piantato, con i capelli ricci. «Ecco che sparano i lacrimogeni.»

«I lacrimogeni!» disse il suo collega, un tipo basso e tarchiato con un torace da bulldog, la vita piena e i fianchi larghi che facevano sì che tutto l’equipaggiamento agganciato al cinturone gli sporgesse di lato. «Come vorrei essere là fuori a sparare un po’ di quella roba a quei figli di puttana!»

«Be’, vacci. Qui ci penso io.»

«Non se ne parla neanche. Il capo ha detto di non muoverci di qui.» Lanciò un’occhiata verso il gabbione degli imputati in cui Eddie Battle era seduto a osservarli in silenzio. «Questo qui ha accoppato un mucchio di persone. Ha le rotelle fuori posto.»

«Non scoppiano disordini per chi attraversa fuori dalle strisce pedonali, ragazzi» commentò Eddie.

I due agenti si voltarono a guardarlo. Quello alto se la rise. «Questa è buona. Non scoppiano disordini per chi attraversa fuori dalle strisce pedonali!»

Il poliziotto tarchiato guardò il collega.

«Vai» gli disse il collega. «Questo bellimbusto non va di certo da nessuna parte.»

«Be’, senti, se vedi comparire il capo, chiamami con la radio. Tornerò in un lampo.»

«D’accordo.»

Il poliziotto tarchiato se ne andò, e rimasero solo Eddie e quello alto.

Eddie si alzò e si accostò alla porta. «Hai una sigaretta?»

«Sì, stai fresco che ci casco. Mia madre non ha allevato un idiota. Tu resta lì che io sto qui.»

«Dài, mi hanno perquisito da capo a piedi e in tutti i buchi. Non ho niente con cui potrei farti del male. Ho davvero bisogno di fumare.»

«Uh-huh.» Il poliziotto continuò a guardare dalla finestra. Di tanto in tanto lanciava un’occhiata dietro di sé per sorvegliare Eddie, ma alla fine concentrò lo sguardo unicamente su quanto stava avvenendo in strada.

Eddie Battle aveva avambracci muscolosi, con grosse vene sporgenti. Una di queste vene era più grossa delle altre, un particolare probabilmente notato dagli agenti di polizia che lo avevano perquisito, ma che però non aveva sollevato dei sospetti. Dopotutto era una vena come tante altre, piena di sangue. Tuttavia, per un tipo astuto come Eddie Battle, non sempre una vena era una vena. Quella, in realtà, era fatta di plastica, resina e gomma ed era completamente cava. Nel corso della sua carriera di figurante nelle rievocazioni storiche Eddie era diventato un vero esperto di trucchi, travestimenti, costumi e creazione di ferite e cicatrici finte. Si sedette nella penombra per un po’, armeggiando con le dita sulla vena artificiale. Alla fine questa si “ruppe”, e Eddie estrasse dall’interno gli oggetti sottili che vi aveva nascosto. Il rischio di essere scoperto era stato reale, e si era premunito per evitare a tutti i costi quell’eventualità. Nessuna perquisizione corporale, per quanto completa, avrebbe mai scoperto il ferretto da scasso e la forcina nascosti nella grossa vena cava.

Continuò a mantenere gli occhi incollati sull’agente di custodia, che stava ancora guardando dalla finestra. Eddie si piegò in avanti lentamente e appoggiò le mani ammanettate sulle sbarre della gabbia in modo che coprissero la serratura. Inserì i minuscoli strumenti da scasso nel buco della serratura e piano piano cominciò a lavorarci. Si era impratichito in quella stessa manovra per ore e ore, più di una volta, allenandosi sulla vecchia serratura della porta di una cella carceraria recuperata personalmente in un penitenziario che era stato demolito. Finalmente, attraverso la forcina e il ferretto da scasso riuscì a sentire i perni interni della serratura che si spostavano. Improvvisamente in strada risuonò un rumore forte, e Eddie sfruttò quel momento per coprire il rumore della serratura che scattava. Si aggrappò con una mano alle sbarre e nascose i due minuscoli strumenti tra il polso e le manette.

«Ehi, razza di idiota! Ehi, parlo con te, pezzo di cretino.»

L’agente si voltò e lo fulminò con lo sguardo. «Perché non tieni chiusa quella bocca? Non sono io quello che sta per andare sulla sedia elettrica.»

«Iniezione letale, cretino.»

«Va bene, fa lo stesso, allora chi sarebbe l’idiota?»

«A mio parere tu.» Dai, perticone, avvicinati soltanto.

«Continua pure a blaterare.»

«Come? Manganelli e pietre ti spezzano le ossa, ma le parole non ti feriscono? Come diavolo ha fatto uno come te a diventare poliziotto? Ma non un vero piedipiatti, solo uno sbirro di campagna.» Dai, fatti sotto, lo so che muori dalla voglia di farmi a pezzi. Vieni qui, sbirro, sbirro.

«Sbirri di campagna ma ti abbiamo catturato, no?»

«Lo ha fatto un ex agente del Servizio segreto, sacco di merda. Il vostro capo me lo sarei potuto mangiare per colazione ogni giorno della settimana.» Eddie osservò la mano sinistra dell’agente e notò che portava la fede nuziale. «Dopo essermi scopato la tua donna, proprio così. Dannazione, un bocconcino succulento, eh?»

«Uh-huh.» Una goccia di sudore imperlò il collo taurino del poliziotto. La sua mano continuava ad aprirsi e chiudersi sull’impugnatura della pistola.

Ci siamo quasi.

«I vostri figli sono brutti come te, oppure tu e quella culona di tua moglie li avete adottati per non avere tra le palle nessun mostriciattolo?»

L’agente si girò di scatto e si diresse verso il gabbione. Le sue grosse scarpe d’ordinanza rimbombavano a ogni passo sul pavimento di cemento verniciato. «Senti, pezzo di merda, considerati dannatamente fortunato a essere là dentro…»

Eddie aprì la porta del gabbione con un calcio e il pesante cancello colpì il poliziotto in piena faccia. L’uomo crollò sulla schiena. Eddie si slanciò fuori dalla gabbia e aggredì l’agente a terra; la catena delle manette finì intorno al collo del malcapitato e Eddie flette i muscoli delle poderose braccia. In trenta secondi il poliziotto alto non esisteva più. Eddie perquisì il cadavere, trovò le chiavi delle manette e si liberò. Corse alla porta dell’aula, la chiuse a chiave, trascinò l’agente morto nella gabbia, lo spogliò, indossò i suoi abiti e lo issò sulla panca, mettendolo seduto contro il muro.

Eddie inforcò gli occhiali da sole del poliziotto e si mise in testa il suo cappello a tesa larga con il distintivo, aprì la porta dell’aula e sbirciò fuori. C’erano altri agenti appostati lungo il corridoio.

Nessun problema: c’era sempre la finestra. Chiuse di nuovo la porta, corse alla finestra e guardò fuori. Fortunatamente per lui, la polizia ormai aveva respinto la folla sull’altro lato del palazzo di Giustizia. Eddie guardò in basso. Non sarebbe stato facile, ma l’alternativa era molto più sgradevole. E poi aveva un lavoro da portare a termine. Aprì la finestra, scavalcò il davanzale, si calò adagio fino a sentire il cornicione sotto i piedi e vi si appoggiò. Accovacciato, si aggrappò con le dita forti al bordo di mattoni del cornicione, vi appoggiò le ginocchia e si calò di colpo, dondolando un po’. Guardò a destra e a sinistra. Si dondolò di lato, lo rifece, spingendosi di più stavolta, e poi ancora un’altra volta, più forte, finché il suo corpo non fu quasi parallelo al cornicione. Al quarto ondeggiamento si lasciò andare, come un acrobata da circo sul trapezio. Atterrò sulla sporgenza del tetto del primo piano del palazzo, mantenne l’equilibrio e poi si calò a terra dalla grondaia.

Invece di fuggire, si diresse verso l’altro lato del palazzo di Giustizia ed entrò nel bel mezzo della folla, facendosi largo tra la gente e fingendo nello stesso tempo di dare una mano a riportare l’ordine. Raggiunse alcune auto della polizia vuote, controllò nell’interno l’una dopo l’altra finché non scoprì le chiavi di accensione che penzolavano dal cruscotto di una voluminosa Ford Mercury. Si mise al volante, innestò la retromarcia e partì. I tumulti non erano ancora cessati; le troupe televisive riprendevano allegramente tutto quanto in ogni minimo dettaglio a beneficio dell’audience nazionale. Tuttavia si erano appena persi il più grande scoop della giornata: la fuga riuscita di Eddie Lee Battle.

Nel portacenere della volante trovò un pacchetto di chewing gum, si infilò in bocca un Juicy Fruit e accese la ricetrasmittente, alzando il volume in modo da sentire subito quando avrebbero scoperto che non era più in stato di arresto. Respirò l’aria fresca e salutò con la mano un bambino in bici che pedalava nella sua stessa direzione. Rallentò la volante e abbassò il finestrino dalla parte del marciapiede.

«Ehi, hai intenzione di diventare una brava persona rispettosa della legge, figliolo?»

«Sì, signor agente» gridò in risposta il bambino. «Voglio diventare come lei.»

Eddie lanciò al bambino una barretta di chewing gum. «No, non farlo, figliolo.» Non desiderare di essere come me. Io sono un malato terminale. Mi restano da vivere solo pochi giorni.

Ma accelerando considerò il lato positivo. Era libero e di nuovo in attività. E gliene restava solo uno. Soltanto uno!

Questo lo fece sentire maledettamente bene.

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