L’agente Clancy era alto e ben piantato, e si sforzava di non apparire agitato mentre fissava il vuoto tra Sylvia e Michelle.
«Sicuro di stare bene?» domandò Sylvia osservandolo attentamente. «Ci mancherebbe solo che mi svenisse davanti.»
«Sto benissimo, dottoressa» ribatté lui coraggiosamente.
Sylvia chiese: «Ha mai visto un cadavere sottoposto ad autopsia prima d’ora?».
«Naturalmente» rispose in tono brusco l’agente Clancy.
«Questi hanno estese ferite di arma da fuoco alla testa.» Mentre parlava, Sylvia scrutò anche Michelle.
Michelle inspirò a fondo. «Sono pronta.»
«Fa parte del mestiere» disse Clancy, sforzandosi di trasmetterle fiducia. «Tanto per dirla tutta, il mese prossimo il capo Williams mi manderà alla Forensic Crime Scene School.»
«Ha un programma fantastico. Imparerà tante cose. Non permetta che quello che sta per vedere la dissuada dal frequentare il corso.»
Sylvia si avvicinò a una porta d’acciaio temprato a due battenti. «Questa è quella che in gergo chiamiamo la “stanza macabra”. È per i cadaveri che hanno subito traumi estremi: incendi e roghi, esplosivi, lunghi periodi di tempo trascorsi sott’acqua. E ferite di arma da fuoco alla testa.» Sylvia aggiunse l’ultima frase scandendola con enfasi. Poi premette un pulsante sulla parete e la porta a due battenti si aprì automaticamente. Entrò nel locale e tornò fuori pochi secondi dopo spingendo un lettino con sopra una salma, lo collocò accanto alla sua postazione di lavoro e accese la lampada sovrastante.
Clancy ebbe un conato passeggero e si portò una mano alla mascherina. Sylvia gli impartì rapidamente la stessa lezione sulla rapida attenuazione dell’olfatto propinata a Michelle. Clancy levò malvolentieri la mano dalla bocca e dal naso, e parve un po’ malfermo sulle gambe. Sylvia sospinse verso di lui con un piede una poltroncina a rotelle. Michelle notò il movimento. Clancy no. Le due donne si scambiarono in silenzio un messaggio.
«Questo è Steven Canney.» Non appena scoprì il cadavere, Michelle allungò di scatto la mano e spinse la poltroncina sotto l’agente in tempo perché questi vi cadesse di peso. Gorgogliò un istante e svenne.
Lo spinsero in un angolo della stanza, dove Sylvia spezzò una fialetta di ammoniaca e gliela passò sotto le narici. Clancy rinvenne, si tirò su di scatto e scosse la testa, con una faccia impressionante.
«Se ha intenzione di vomitare, là c’è una toilette» disse la dottoressa, indicandogliela.
Il giovane poliziotto avvampò. «Mi scusi, dottoressa. Sono davvero desolato.»
«Agente Clancy, non c’è nulla di cui scusarsi. È una vista orripilante. La prima volta che vidi qualcosa del genere la mia reazione fu la stessa.»
L’agente parve sorpreso. «Dice davvero?»
Certo, gli assicurò Sylvia, era stata la stessa. «Ho un referto scritto che posso darle. Se desidera andarsene, può farlo liberamente. Se vuole tornare a unirsi a noi non appena si sentirà meglio, va benissimo anche così. Se invece preferisce restare seduto qui, va bene comunque.»
L’agente Clancy decise per l’ultima proposta, anche se, non appena le due donne si allontanarono, si accasciò sulla scrivania, sorreggendosi la testa con le mani.
Sylvia e Michelle tornarono al lettino su cui giaceva il cadavere di Steven Canney.
«È davvero svenuta la prima volta?» domandò Michelle sottovoce.
«No, certo, ma perché farlo sentire peggio di come sta? Gli uomini quasi sempre perdono i sensi. E più sono grandi e grossi, più in fretta svengono.»
Sylvia indicò con una lunga bacchetta di acciaio varie zone delle estese ferite di Canney. «Come vede, il tentorio cerebellare è stato molto danneggiato, una cosa non certo improbabile in una ferita provocata da una fucilata a bruciapelo in faccia.»
La dottoressa depose la bacchetta di acciaio e si rabbuiò in viso. «Il padre di Canney è venuto qui a vedere suo figlio. Gli avevo consigliato di non farlo, dicendogli che le ferite erano orribili, ma ha insistito. È la parte più dura di questo lavoro. È stato in grado di fornire un’identificazione presunta da una voglia e una cicatrice al ginocchio per una vecchia ferita di football. Abbiamo poi ottenuto un’identificazione certa dai calchi dentali e dalle impronte digitali.»
Sylvia emise un sospiro profondo. «Ho sofferto per lui, nonostante l’abbia presa piuttosto stoicamente. Non ho mai avuto figli, ma posso immaginare come ci si deve sentire, a essere costretti a venire in un posto simile e…» La voce le mancò.
Dopo qualche secondo di silenzio Michelle chiese: «E la madre di Canney?».
«È morta diversi anni fa. Suppongo che in un certo senso sia stata una benedizione.»
Sylvia tornò all’esame in corso. «Determinare la distanza dell’arma in una ferita da fucile a pallettoni è complicato. Il metodo più affidabile è quello di sparare lo stesso tipo di cartuccia con la stessa arma precisa e con la stessa identica taratura. In questo caso non possiamo permetterci un lusso del genere, ma noterà che il foro principale d’entrata non presenta slabbrature dei margini né lesioni satellitari. Perciò la distanza tra la punta della canna e la vittima è compresa tra il contatto diretto e meno di sessanta centimetri.» Sylvia coprì ciò che restava del cranio di Canney con un lenzuolino.
«Sa che calibro aveva la cartuccia?»
«Oh, sì. La borra della cartuccia da fucile è stata recuperata dalla ferita. Anche tutti i pallettoni erano rimasti dentro. Ecco perché la ferita è così devastante. Tutta l’energia cinetica si è scaricata all’interno.» Sylvia consultò i suoi appunti. «Era una calibro dodici a nove pallettoni, di fabbricazione americana.»
«E Janice Pembroke è morta nello stesso modo?»
«A lei l’assassino ha sparato alla schiena. Le ferite sono state immediatamente fatali, ma non così devastanti. Nella pelle erano piantati anche numerosi frammenti di vetro del parabrezza andato in frantumi. In conclusione: l’assassino ha sparato il primo colpo attraverso il parabrezza. Osservando solo le ferite, si sarebbe portati a ritenere che la distanza dell’arma dalla vittima nel suo caso sia stata maggiore. Tuttavia, penso che la canna del fucile fosse vicinissima al parabrezza quando è esploso il colpo, o a una distanza totale di poco meno di un metro da Janice Pembroke. I fori di entrata della ferita sulla sua schiena hanno dei margini smerlati caratteristici e lesioni satellitari aggiuntive, determinate dal fatto che i diversi pallettoni si sono separati dalla massa principale. Siccome i pallettoni hanno dovuto infrangere e attraversare il vetro del parabrezza, all’apparenza è come se la fucilata sia stata sparata da una distanza maggiore di quella effettiva.»
«Perché ritiene che la ragazza avesse le spalle rivolte al parabrezza?»
«Stavano facendo l’amore» disse Sylvia. «Nella sua vagina ci sono residui di spermicida lasciati dal profilattico indossato da Canney. Probabilmente la Pembroke era a cavalcioni di Canney e in posizione frontale rispetto a lui, con la schiena rivolta al parabrezza. È una posizione molto naturale per un rapporto sessuale nello spazio limitato di un’automobile. Il corpo della ragazza ha fatto da scudo al ragazzo; altrimenti anche Canney sarebbe rimasto ucciso con il primo colpo di fucile.»
«È sicura che non sia morto per effetto della prima fucilata?»
«In totale sono stati sparati due colpi. Il numero dei pallettoni trovati lo dimostra. Ce n’erano nove in ciascun corpo.» Sylvia si interruppe un istante, poi aggiunse in tono asciutto: «Una simmetria mortale».
«Immagino che non sia stata trovata nessuna cartuccia espulsa dal fucile, eh?»
Sylvia scosse il capo. «O l’assassino ha raccolto le cartucce vuote o il fucile non era a pompa, bensì del tipo a estrazione manuale delle cartucce.»
«E immagino che, dato che si trattava di un fucile a canne lisce, non ci sia la possibilità di un confronto balistico nel caso trovassimo un’arma sospetta. Dico bene?»
«A volte certe piccole irregolarità nella parte terminale delle canne di un fucile rivelano dei segni di graffi o rigature su un tampone di plastilina. In questo caso è andata effettivamente così. Non sono un’esperta di esami balistici, ma la polizia potrebbe avere quanto basta per eseguire dei confronti, casomai trovassero il fucile che ha sparato. E in quanto ad analisi balistiche abbiamo anche il proiettile trovato nel corpo di Rhonda Tyler.»
«Si è detto che la fucilata che ha ucciso Steve Canney potrebbe aver fermato l’orologio che aveva al polso, segnando così l’ora del decesso.»
«No. L’orologio gli è stato allacciato al polso quando era già morto. Era fermo perché il perno era stato tirato all’esterno. Ho notato il particolare sul luogo del delitto. Ho poi trovato dei frammenti di vetro piantati nel polso sinistro del ragazzo, proprio dove l’orologio avrebbe dovuto essere, ammesso che fosse suo.»
«Ha idea del motivo per cui l’assassino gli avrebbe messo al polso l’orologio dopo averlo ucciso?»
«Forse come biglietto da visita? Ho notato che era regolato sulle tre. Quello di Janice Pembroke segnava le due. Questo potrebbe anche confermare l’ordine in cui sono stati ammazzati.»
«E la sconosciuta del bosco — cioè Rhonda Tyler — aveva al polso un orologio che non le apparteneva nemmeno e che segnava l’una. Ed era uno Zodiac.»
Sylvia la fissò a lungo. «E ora abbiamo una lettera in stile Zodiaco.»
«E tre cadaveri.»
«Quindi devo ritenere che la prossima ora saranno le quattro, a rappresentare la quarta vittima?»
«Ammesso che ce ne sia una prossima» precisò Michelle.
«Questo è poco ma sicuro. La prima vittima era una spogliarellista. Però le altre due erano ragazzi del posto che si davano piacevolmente da fare in un’auto. Una volta che incominciano a uccidere, i serial killer di solito si attengono a una sola tipologia della popolazione. Questo omicida ha già dimostrato che non sta giocando secondo le vecchie regole.» Sylvia si interruppe un secondo, poi soggiunse a bassa voce: «Perciò il vero interrogativo diventa: “Chi sarà il prossimo?”».