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Junior Deaver scaricò a fatica dal suo camioncino una grossa catasta di assi catramate, che cadde a terra fragorosamente nella quiete del mattino. Poi si concesse un istante per rimirare la casa che stava costruendo per la sua famiglia. La struttura in legno era completa, il tetto era finito e presto sarebbe stato coperto dalle assi catramate. Però i lavori procedevano a rilento, pensò. Aveva fatto lui stesso gran parte dell’opera, chiedendo qualche favore ai suoi amici di tanto in tanto. Non era una casa grande, ma era di gran lunga più ampia della roulotte in cui abitavano. Prese la cintura degli attrezzi dal camioncino, se la allacciò in vita e andò ad accendere il generatore a batteria che avrebbe fornito energia alla pistola sparachiodi per fissare le assi sul tetto.

Fu solo a quel punto che udì i passi felpati che si stavano dirigendo verso di lui. Si voltò. Non si aspettava visite in quel posto isolato. Nessuno, a parte sua moglie, sapeva che era lì. E non aveva neppure sentito arrivare un’automobile.

La vista della donna lo fece sbiancare in volto.

Remmy Battle indossava un lungo soprabito di pelle nera con il bavero rialzato. Portava un paio di grandi occhiali da sole, stivali di pelle e guanti, benché non facesse freddo.

«Mrs Battle! Che cosa ci fa qui?»

La donna si fermò a mezzo metro dal carpentiere. «Volevo parlarti, Junior, a quattr’occhi.»

«Come diavolo faceva a sapere che ero qui?»

«So tante cose, Junior, molte di più di quello che la maggior parte della gente pensa. Ecco perché volevo parlare con te.»

Junior alzò le mani in un gesto di resa. «Senta, mi sono preso un avvocato. Farebbe meglio a parlare con lui.»

«Ho già parlato con lui. Adesso voglio parlare con te.»

Junior la osservò con diffidenza, poi si guardò intorno come se si aspettasse di veder sbucare gli agenti di polizia venuti ad arrestarlo. La sua espressione si fece ostinata. «Non capisco di cosa dovremmo discutere. Mi ha già fatto sbattere in galera.»

«Ma ora sei fuori, no?»

«Be’, sì, ma abbiamo dovuto pagare una bella cauzione. Ci ha quasi prosciugato. Noi non disponiamo di cifre del genere.»

«Ma andiamo, Junior, tua moglie guadagna molto bene in quel… club. Lo so per certo. Mio marito frequentava quel locale. È probabile che Lulu abbia guadagnato una piccola fortuna proprio grazie a lui.»

«Non ne so niente.»

La donna ignorò l’affermazione. «Il mio defunto marito.»

«L’ho sentito dire» borbottò Junior in risposta.

«È stato assassinato, sai?» disse lei in un tono stranamente basso e piatto.

«Ho sentito anche questo.»

«Tu esci di prigione e lui finisce morto ammazzato.»

Junior la guardò con occhi sbarrati. «Senta, non vorrà incolparmi anche di quello, signora, eh?»

«Oh, sono sicura che hai un alibi.»

«Ci può scommettere.»

«Buon per te, ma non è per questo che sono qui.» Remmy gli si avvicinò ulteriormente e si levò gli occhiali da sole. Aveva gli occhi gonfi e arrossati.

«Allora perché è venuta?»

«La rivoglio, Junior. La rivoglio subito.»

«Maledizione, Mrs Battle, non l’ho presa io la sua fede!»

Improvvisamente Remmy cominciò a urlare: «Non me ne frega un cazzo di quella dannata fede! Rivoglio le altre cose. Tutto. Devi restituirmele. Ridammi subito le mie cose!»

Junior si batté una mano sulla coscia in un gesto di frustrazione. «Quante volte dovrò ripeterlo? Io non ce l’ho quella roba perché non sono entrato in casa sua per rubare!»

«Ti pago quello che vuoi» insistette Remmy, ignorando il suo rifiuto. Guardò la casa costruita a metà. «Pagherò una squadra di operai specializzati perché vengano qui a finire la casa al posto tuo. La farò raddoppiare di superficie, ti darò una dannata piscina, qualunque cosa vorrai.» Gli si piantò davanti, e con una mano gli afferrò il giubbino jeans sbiadito con una stretta saldissima. «Qualsiasi cosa tu o Lulu vogliate ve la darò. Ma in cambio voglio che mi restituisci quelle cose. Non devi fare altro che restituirmele e ritirerò la denuncia, e avrete una casa veramente bella. E potrai tenerti quella dannata fede.»

«Mrs Battle, io…»

Remmy lo schiaffeggiò in piena faccia, facendolo ammutolire. Junior avrebbe potuto uccidere chiunque avesse osato fargli una cosa simile. Eppure non mosse un solo dito per reagire.

«Ma se non mi ridai ciò che voglio ti farò desiderare con tutta l’anima una condanna a vent’anni di galera. Implorerai per averla dopo che avrò finito con te. Conosco le persone giuste, Junior, non credere. Verranno a trovarti. E non ti scorderai mai la loro visita.» Remmy gli lasciò andare il giubbino. «Ti concederò un po’ di tempo per pensarci su, ma non troppo.»

La donna si voltò per andarsene, ma poi girò la testa per guardarlo un’ultima volta. «Ancora una cosa, Junior. Se cercherai di usare qualcosa di quello che hai rubato, in qualsiasi modo, o se la farai vedere a un altro essere umano, tornerò qui di persona. Con un fucile calibro dodici che mi regalò mio padre prima di morire. E ti farò saltare quella grossa brutta testa dal collo. Mi hai capito bene, figliolo?» Tutto ciò fu pronunciato con un tono estremamente calmo ma nondimeno raggelante. Junior sentiva il sangue pulsargli nelle orecchie.

Remmy Battle non mostrò di dover ricevere una risposta. Inforcò di nuovo gli occhiali da sole, si voltò e se ne andò in silenzio proprio come era venuta.

Junior restò fermo là, in piedi, con lo stomaco che gli si rivoltava, a guardarla allontanarsi. In vita sua si era trovato coinvolto in molte risse da bar con energumeni più grossi di lui che avevano tutta l’intenzione di fargli del male. Si era perfino preso delle coltellate. Nel corso di quegli incidenti si era anche spaventato. Tuttavia non era nulla in confronto al terrore che provava in quel preciso istante, poiché non aveva nessun dubbio che quella pazza credesse veramente a ogni parola che aveva pronunciato.

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