Sean King si svegliò di buon’ora sulla houseboat di dodici metri ancorata al suo posto d’attracco sul molo. La casa galleggiante presa in affitto era la sua casa, almeno finché non avesse finito di costruirsi una nuova abitazione che sostituisse quella sparita in un cratere provocato dalla mano di un uomo. Indossò una muta da sommozzatore, inspirò una rapida boccata d’aria e poi si tuffò di testa nell’acqua. Dopo una nuotata energetica di parecchie centinaia di metri, tornò alla houseboat e iniziò una vogata di due miglia a bordo del suo kayak Loon. Le salutari abitudini sportive della sua socia lo stavano contagiando, doveva ammetterlo, anche se a malincuore.
Proprio mentre stava pagaiando sul lago pensando a questo, alzò lo sguardo e la vide. Non rimase sorpreso, nonostante l’ora. Spesso si domandava se Michelle dormisse. Poteva darsi che la sua socia fosse in realtà un vampiro che non aveva problemi con la luce del sole?
Michelle era sulla sua canoa da gara e vogava con una perizia, una forza e un’intensità che King poteva solo sognarsi. Si muoveva così in fretta che chiunque non la conoscesse avrebbe creduto che la sua imbarcazione fosse spinta da un motore entrobordo.
King la richiamò con un grido, e le sue parole furono portate lontano sopra le acque piatte.
«È ora di un bel caffè, o stamattina hai intenzione di arrivare fino all’Atlantico?»
Michelle sorrise, lo salutò agitando la mano e si diresse verso di lui.
Issarono le rispettive imbarcazioni sul pontile e le legarono.
Nella casa galleggiante King preparò il caffè, mentre Michelle estraeva una barretta energetica dal suo marsupio e cominciava a divorarla, guardando intorno a sé l’interno molto bene organizzato.
«Sai una cosa? Questo barcone è quasi più grande del mio cottage» osservò tra un morso e l’altro.
«Ed è molto più pulito, lo so» disse King, versando il succo di frutta e il caffè.
Erano trascorsi due giorni dal colloquio con Lulu e Junior. Avevano riferito ogni cosa a Harry Carrick, che era parso soddisfatto dei loro progressi, ma li aveva informati che il suo cliente, com’era prevedibile, era stato rinviato a giudizio dal gran giurì. Era stato rintracciato il falegname che aveva costruito gli scomparti segreti nei guardaroba dei Battle. Era un tipo anziano, in pensione, e sembrava non avere alcun motivo di commettere un’effrazione nell’abitazione dei suoi ex clienti. Quella traccia era sembrata un vicolo cieco finché King non gli aveva domandato quando Robert Battle gli aveva chiesto di installare nel suo guardaroba un cassetto segreto.
A quella domanda, il vecchio era parso un po’ a disagio. “Non mi piace spifferare ai quattro venti i segreti della gente” aveva detto. “Mrs Battle è una gran dama. Non conosco una signora più fine di lei.”
“Sicché Mr Battle non voleva che sua moglie lo sapesse, eh?” lo aveva pungolato Michelle quando il vecchio era parso poco incline a proseguire.
“Entrare e uscire di nascosto quando lei non era presente non mi andava, nossignore” aveva ribattuto l’uomo, evitando di rispondere direttamente alla domanda.
“Ha idea del motivo per cui Mr Battle voleva un nascondiglio del genere?” aveva domandato allora King.
“Non gliel’ho chiesto perché non erano fatti miei” era stata la secca risposta.
“In che periodo, più o meno, è successo?” si era informata Michelle.
L’uomo aveva impiegato un minuto buono a pensarci. “Dev’essere stato cinque o sei anni fa. Tempo prima avevo eseguito lo stesso lavoro nel guardaroba di Mrs Battle.”
King aveva ponderato un momento la cosa e poi aveva chiesto: “E Mrs Battle era a conoscenza dello scomparto segreto di suo marito?”.
“Non so se lo sapesse oppure no. Ho sentito che Mr Battle è in fin di vita.”
“Non si può mai sapere, con un uomo come quello” aveva ribattuto King.
Poi avevano verificato gli alibi di tutti gli amici di Junior. Al momento del furto o erano in un bar a scolare qualcosa o a letto con le rispettive consorti, fidanzate o amichette. Le signore naturalmente avrebbero potuto benissimo mentire al riguardo, ma sarebbe stato difficile contraddire le loro testimonianze senza un duro lavoro di ricerca, e in ogni caso King aveva intuito che stavano dicendo la verità. Comunque, nessuno degli amici di Junior sembrava anche solo minimamente in grado di effettuare un furto con scasso di quel tipo, e nel contempo di tendere una trappola a Junior in modo così astuto. Le loro competenze sembravano limitate a piantare chiodi, trangugiare boccali di birra e portarsi a letto le donne.
«Hai intenzione di vivere qui tutto il tempo necessario per ricostruire una nuova casa?» domandò Michelle.
«Non ho molta scelta.»
«Il mio cottage ha una camera da letto in più.»
«Grazie, ma non credo che il mio gene della pulizia sopravvivrebbe.»
«L’ho sistemata meglio.»
«Meglio?! L’ultima volta che sono venuto da te c’era di tutto, dagli sci d’acqua alle pistole, ammassato su un tavolino da poker in sala da pranzo, un mucchio di biancheria sporca nel lavello della cucina e una pila di piatti lerci su una sedia in soggiorno. Mi hai servito la cena su dei piatti di carta sopra un’asse posta tra due sedie accostate… era la prima volta per me, te lo assicuro.»
«Be’» disse Michelle in tono offeso «pensavo che avresti apprezzato che cucinavo per te. Sai quanti barattoli ho dovuto aprire?»
«Sono sicuro che è stato un vero cimento.»
King stava per aggiungere qualcos’altro quando il suo cellulare trillò. Era Todd Williams. La conversazione fu breve e concisa, ma quando King spense il telefonino, era molto scosso.
«Un altro omicidio?» chiese Michelle posando la tazza di caffè e guardandolo dritto negli occhi.
«Sì.»
«Chi era?»
«Una persona che per caso conoscevo» rispose.