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Dei quattro omicidi seriali di Wrightsburg fu data notizia quel pomeriggio su tutte le reti televisive nazionali e nei radiogiornali, e i servizi proseguirono fino a sera. La maggior parte dei cittadini di quel piccolo centro rimase incollato allo schermo TV mentre cupi conduttori televisivi blateravano spiegando dove si trovava la piccola municipalità rurale della Virginia, e come fosse stata devastata da una serie apparentemente casuale di violenti omicidi. Le autorità federali e di Stato erano sul posto, dicevano i giornalisti televisivi, e si sperava che il killer fosse presto arrestato. Veniva tuttavia taciuto il fatto che nessuna delle persone attivamente coinvolte nell’inchiesta riteneva che questa fosse una reale possibilità.

Come i loro concittadini, King e Michelle sedevano davanti al televisore nell’ufficio di King e seguirono i servizi che documentavano che razza di mattatoio fosse diventato la loro modesta cittadina. Quando il fatto che due lettere erano state recapitate alla redazione della “Wrightsburg Gazette” dall’assassino venne annunciato all’intera nazione, King esclamò: «Merda!».

Michelle annuì con comprensione. «Pensi che l’assassino stia guardando la televisione?»

«Certamente» la rimbeccò King. «La fama fa parte del gioco.»

«Pensi davvero che gli omicidi siano stati fatti a casaccio?»

«Non c’è nessun legame evidente tra una vittima e l’altra.» King tacque per qualche secondo. «Tranne il riferimento a una sola “creatura” nella lettera relativa a Canney e Pembroke. La domanda è: quale dei due?»

«Non riesco a seguirti.»

King la guardò direttamente in faccia. «Se Janice Pembroke fosse stata un bersaglio meditato, per esempio, e Canney si fosse trovato là per caso quando è accaduto, significa che c’era un preciso motivo perché la Pembroke morisse. Ora, se c’era un motivo perché fosse uccisa, allora forse c’è una precisa ragione anche per le altre vittime. E forse queste motivazioni sono in qualche modo connesse.»

«E gli orologi?»

«È evidente. È il marchio di fabbrica dell’assassino. Ma forse significano qualcosa di più.»

«Speriamo che Sylvia trovi presto qualche risposta.»

King controllò l’orologio. «C’è una cena a cui devo essere assolutamente presente.»

«Dove?»

«Al Sage Gentleman, con certe persone venute apposta da fuori città. Vuoi aggregarti?»

«No. Anch’io ho delle cose da fare.»

«Un appuntamento?» King le sorrise.

«Già, con il mio istruttore di kick boxing. Abbiamo in programma di sudare e gemere un bel po’ con le tute addosso.»

Se ne andarono in direzioni opposte. Com’era sua abitudine, Michelle si mantenne a una velocità media di trenta chilometri orari oltre il limite consentito a bordo della sua Toyota Sequoia che aveva soprannominato la Balena Bianca, in onore di Moby Dick, la creatura inventata da Melville. Oltrepassò l’ultimo incrocio poco frequentato circa trenta secondi prima di arrivare alla strada di ghiaia che si inoltrava nei boschi fino al suo cottage. Non appena superò l’incrocio, le luci della Volkswagen azzurra si accesero e il conducente mise in moto il Maggiolino, svoltò a destra e incominciò a seguirla.

Rallentò quando Michelle imboccò la strada di ghiaia, e restò a guardare le ruote della sua auto che sollevavano polvere e frammenti di sassolini finché la Sequoia si eclissò nell’oscurità del crepuscolo. Si sarebbe fermata meno di mezzo chilometro più avanti, svoltando in fondo a sinistra, lo sapeva, essendo già stato là mentre Michelle era fuori casa. Non c’era nessun’altra abitazione entro un raggio di un chilometro dal cottage. Questo dava le spalle al lago, dove Michelle teneva un’affusolata canoa da gara, un kayak e un acquascooter Sea-Doo attraccati al suo piccolo molo galleggiante. Il cottage aveva una superficie totale di circa 150 metri quadrati ed era stato progettato con un pianoterra aperto. L’uomo del Maggiolino si era accertato che la donna vivesse da sola senza neppure un cane che le tenesse compagnia e le facesse da guardia. Però era un’ex agente federale esperta e specializzata in tante cose, comprese le arti marziali; una persona assolutamente da non sottovalutare. L’uomo si spinse un po’ più lontano lungo la strada principale, posteggiò l’auto in uno spiazzo sterrato dietro un fitto d’alberi che faceva da schermo e si incamminò a piedi nel bosco in direzione dell’abitazione.

Quando vi giunse, vide che la Sequoia era parcheggiata nella rotonda di fronte alla porta d’ingresso. In casa le luci erano accese. Tirò fuori il binocolo e scrutò attentamente la facciata del cottage. Nessuna traccia della donna. Tenendosi bene al riparo degli alberi, avanzò adagio tra la vegetazione aggirando la casa per controllarne il retro. Una luce brillava in una delle stanze al primo piano. La sua camera da letto, supponeva. La finestra aveva la tenda tirata, ma l’uomo intravide due volte la silhouette della donna. I movimenti erano semplici e chiari: si stava spogliando. L’uomo abbassò il binocolo mentre Michelle si spogliava. Pochi minuti dopo rispuntò all’aperto, in tenuta da allenamento, saltò a bordo della Sequoia e partì in quarta schizzando terra ovunque.

L’uomo fece il giro della casa in tempo per vedere ammiccare i fanalini posteriori della vettura, prima che questa sparisse nel buio mentre Michelle imboccava la curva. Di certo si muoveva alla svelta, pensò. Osservò la porta d’ingresso anteriore. Era chiusa a chiave, ma questo non era un problema. Non c’era nessun sistema d’allarme; lo aveva verificato in precedenza. Dalla serie di attrezzi che aveva con sé prese un piccolo grimaldello.

Un paio di minuti dedicati a forzare la serratura ed entrò in casa, guardandosi intorno. Il cottage era un disastro; l’uomo si meravigliò della capacità della donna di operare in mezzo a quel caos. Nascose il dispositivo dietro una pila di libri e CD messi a raccogliere polvere in un angolo del soggiorno. Era un trasmettitore FM della dimensione di una moneta, al quale aveva saldato un microfono, operazione illegale secondo le leggi federali americane perché trasformava il trasmettitore in una microspia di sorveglianza. Non che gliene fregasse qualcosa di violare la legge o la privacy. Si affrettò a salire le scale per andare nella camera da letto di Michelle, dove esaminò il suo guardaroba e trovò diversi pantaloni neri, due camicie bianche, tre paia di décolleté eleganti e poi jeans, felpe, tute in abbondanza, oltre a una grande varietà di scarpe sportive.

Tornò a pianoterra. La donna non disponeva di una vera e propria zona ufficio; comunque passò in rassegna la posta del giorno sparsa sul tavolo della cucina. Non c’era nulla di insolito, ammesso di considerare normale degli abbonamenti a “Shooting Magazine” e “Iron Women”.

Sgattaiolò fuori di casa; aveva un’ultima cosa importante da fare. Siccome stava nascondendo quelle “cimici” in località diverse, non avrebbe potuto controllarle tutte insieme nello stesso tempo. Perciò aveva apportato una modifica al trasmettitore per collegarlo senza alcun cavo a un microregistratore digitale ad attivazione vocale che ora stava per nascondere fuori dal cottage di Michelle. Il trasmettitore aveva un raggio d’azione di un centinaio di metri all’interno di un edificio, e il registratore digitale era dotato di un hard disk capace di tenere in memoria centinaia di ore di registrazione. Tornò dentro casa, provò a parlare e poi corse di nuovo fuori per verificare il funzionamento del microregistratore. La sua finta conversazione era stata rilevata e registrata. Soddisfatto, si allontanò in fretta. Aveva già piazzato delle microspie nella casa galleggiante di King due giorni prima, come pure nell’ufficio dei due investigatori privati, e messo sotto controllo i loro telefoni fissi. Aveva scoperto in fretta che il capo Williams si stava servendo di King e Maxwell nell’indagine, e aveva capito che gli sarebbero stati molto utili. Così adesso almeno due delle persone che lo stavano cercando gli avrebbero fornito involontariamente informazioni di prima mano. Come King aveva previsto, aveva davvero seguito i telegiornali. Era perfettamente consapevole che un esercito di uomini era stato radunato per catturarlo. Be’, sarebbe morto prima. E avrebbe portato con sé più gente possibile.

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