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King e Michelle scesero dalla Lexus e si guardarono in giro. Avevano cambiato vettura alla casa galleggiante di King perché uno dei fari del fuoristrada di Michelle si era bruciato. King estrasse di tasca una piccola torcia elettrica, ma il sottile fascio di luce serviva a poco nel buio fitto.

«Il suo camioncino è qui» disse Michelle battendo la mano sulla fiancata dello scalcinato pickup con il cassone carico di attrezzi e materiale edile.

«Junior!» gridò l’investigatore. «Sono Sean King. Vogliamo parlare con te.»

Michelle giunse le mani a coppa intorno alla bocca. «Junior! Signor Deaver!»

Si scambiarono un’occhiata.

«Forse è dentro la casa.»

«A far cosa, lavorare al buio?» disse King.

«Magari nello scantinato, e non riusciamo a vedere la luce da qui.»

«D’accordo, allora mi sa che dobbiamo andare dentro.»

«Hai un’altra pila in macchina?»

«No, ma forse Junior ne ha una sul camioncino.»

Si misero a cercare e ne trovarono una sul pavimento. Due fasci di luce gemelli avanzarono nel buio.

Entrarono dalla porta anteriore e si guardarono intorno.

«Junior» chiamò di nuovo King ad alta voce.

Perlustrarono il locale con i fasci di luce delle pile. Nell’angolo più lontano una grande incerata copriva quello che sembrava un grosso mucchio di calcina. Sparsi tutt’intorno c’erano secchi, attrezzi, sacchi di cemento, cataste di legname e altro materiale da costruzione. Un vero caos.

«Ehi, sembra di stare a casa tua» commentò King.

«Ragazzi! Sei proprio in forma oggi! Guarda, i gradini che scendono nello scantinato sono qui.»

In cima alle scale, Michelle gridò di sotto. Non ci fu nessuna risposta.

«Pensi che si sia fatto male?» domandò.

King si guardò intorno. «La cosa comincia a farsi parecchio strana» disse con calma. «Perché non…»

Michelle aveva già estratto la pistola. Cominciarono a scendere le scale con circospezione. Nell’angolo più lontano dello scantinato c’era una catasta di bidoni. Vi guardarono dietro. Niente. La caldaia era in un altro angolo dello scantinato. Sciabolarono i fasci di luce sulla massa di tubi e lamiera, ma di nuovo non videro nulla.

Dietro una delle grosse condutture dell’impianto di riscaldamento, in uno spazio non sfiorato dai fasci di luce, l’uomo con il cappuccio li teneva d’occhio mentre risalivano le scale. Lentamente, scivolò fuori dal suo nascondiglio.

Di sopra, King e Michelle si guardarono intorno con maggiore attenzione. Fu Michelle a notarlo per prima.

«Oh, no!» sussurrò. Afferrò la mano di King e lo tirò a sé.

«Sangue» gli bisbigliò all’orecchio, e poi puntò la pila sull’impiantito. Gli schizzi e la lunga chiazza rosso scuro erano chiaramente visibili. I fasci di luce seguirono la traccia fino alla fonte: il telone.

Avanzarono adagio, attenti a non calpestare le macchie di sangue. King si abbassò sulle ginocchia, sollevò l’incerata e videro che si trattava di Junior. Gli tastò subito il polso, ma non avvertì nessuna pulsazione.

«Maledizione! È morto.» Con la luce della pila esaminò il cadavere. «Oh, merda!»

«Che cosa?»

«Ha un cappio a garrota al collo.»

«Non dirmi che…»

King ritrasse il telo un altro po’ e illuminò il braccio del morto. «E il suo orologio è regolato sulle cinque… e c’è una freccia nera disegnata sul pavimento per indicarlo.»

Michelle diresse la luce della sua pila sul volto di Junior, illuminandone i tratti. «Non è morto da molto, Sean.»

«Lo so. È ancora caldo.» Improvvisamente King restò come paralizzato. «Cos’è stato?» sussurrò.

Michelle guardò dietro di sé, sondando l’oscurità con dei rapidi archi di luce. «Cosa?»

«Mi è sembrato di aver udito dei passi.»

«Io non ho sentito niente…» Michelle restò con il fiato sospeso quando vide il punto rosso del laser comparire sulla nuca di King. Il significato di quella luce fu subito chiaro e lampante all’esperta di armi da fuoco, ex agente speciale Maxwell. «Non muoverti, Sean» disse con voce roca. «Sei inquadrato da un mirino laser.»

«Sono cosa…?» Ma un attimo dopo King comprese quello che la sua compagna stava dicendo. Il perfezionato sistema di mira laser poteva essere seguito da un istante all’altro da un proiettile che avrebbe centrato il bersaglio nel punto preciso in cui era proiettato il punto rosso: in questo caso il suo cervello.

Mentre lo fissava, Michelle vide il punto rosso spostarsi sulla pistola che stringeva in pugno, tremolandovi sopra come una vespa letale pronta a pungere. Anche quel messaggio fu chiaro. Michelle esitò, combattuta tra la resa e la voglia di rischiare, voltarsi di colpo e sparare. Lanciò un’occhiata a King. Anche lui ovviamente aveva notato la nuova mira del punto rosso e, leggendole nel pensiero l’intenzione di tentare una mossa azzardata, scosse la testa in un no deciso.

Con riluttanza Michelle depose la pistola sul pavimento, allontanandola con il piede. Quando il punto rosso comparve sulla sua torcia elettrica, la spense e mise anche quella a terra. King la imitò lentamente subito dopo. Il punto rosso comparve poi sul petto di Michelle e risalì e ridiscese lungo il suo corpo, apparentemente per stuzzicarla, come se la persona che la teneva sotto tiro con il laser la stesse accarezzando sensualmente.

Michelle si stava innervosendo sempre più e cominciò a calcolare la distanza che la separava dalla pistola, preparandosi a un tuffo. Mentre era impegnata nel calcolo delle probabilità di riuscita di un eventuale tentativo di esplodere un colpo prima del loro avversario, non si accorse che il punto luminoso rosso era scomparso.

Rendendosene finalmente conto, scrutò nel buio la sagoma scura e ombreggiata di King.

«Se n’è andato?» chiese sottovoce.

«Non lo so» bisbigliò King. «Non sento niente.»

Il silenzio di tomba fu sconvolto pochi secondi dopo da alcune detonazioni. Si buttarono entrambi a terra sul pavimento. Michelle si allungò strisciando disperatamente verso il punto in cui riteneva di trovare la sua pistola. Due centimetri, dieci, una spanna. Dai! Dai! Quando le sue dita finalmente si strinsero sull’impugnatura della pistola, restò immobile e tese l’orecchio.

«Sean… stai bene?»

Trascorsero alcuni secondi nel più totale silenzio.

«Sean!» sussurrò Michelle, colta dalla disperazione, perdendo ogni speranza poiché non otteneva nessuna risposta.

«Sto bene» bisbigliò King finalmente.

«Maledizione, mi hai fatto quasi venire un infarto. Perché non hai risposto subito?»

«Perché sono caduto addosso a Junior, ecco perché!»

«Oh!»

«Già, oh.»

Aspettarono ancora qualche minuto. Quando udirono il motore di un’auto che si allontanava, Michelle si rialzò di scatto, tastò intorno a sé, afferrò una pila e corse fuori, con King alle calcagna.

Salirono sulla Lexus.

«Chiama il 911» disse King. «Di’ loro di bloccare il più in fretta possibile tutte le strade qui intorno. E poi chiama Todd.»

Michelle stava già armeggiando con il cellulare.

King premette l’acceleratore a tavoletta e la macchina partì traballando. Le poche decine di metri che percorsero furono caratterizzate da tali scossoni e sobbalzi che il cellulare sfuggì di mano a Michelle. King inchiodò subito.

Si scambiarono un’occhiata.

«Porca miseria, ha sparato alle gomme!» esclamò lui in tono incredulo. «Gli spari erano per quello. Vediamo se riesco ancora a guidarla.» Dopo una trentina di metri fu più che evidente che se avessero superato i cinque chilometri orari avrebbero rotto un semiasse.

Michelle balzò fuori dall’auto e illuminò con la pila il pneumatico anteriore e quello posteriore, completamente a terra. Tornò di corsa verso la casa in costruzione ed esaminò il camioncino di Junior. Anche quello aveva due gomme bucate da colpi di pistola. Michelle chiamò il 911, diede tutte le informazioni del caso, poi chiamò Todd Williams mentre King si lasciava scivolare lungo il fianco della sua auto fino a sedersi per terra.

Conclusa la telefonata, Michelle tornò dal suo socio e disse: «Todd e i suoi uomini sono per strada».

«Buono a sapersi» sentenziò King in tono pacato.

«Non si può mai sapere: potrebbero aver fortuna e beccare quel matto, Sean.»

«È raro che i buoni siano così fortunati.» King incrociò le braccia e fissò in fondo alla strada sterrata la casa costruita a metà.

Michelle batté la mano aperta sul cofano dell’auto. «Dio, mi sento la dilettante più scema del mondo per avergli permesso di fregarci. Stento a crederci: probabilmente eravamo a tre metri da quel maniaco! Tre metri! Ed è riuscito a scappare.» Ammutolì e fissò per un po’ il terreno prima di lanciare un’occhiata al suo socio. «Okay, fuori il rospo, a che cosa stai pensando?»

King non rispose subito. Quando si decise a parlare, la voce gli tremava leggermente. «Penso che stanotte tre bambini hanno perso il loro papà e una moglie suo marito. E mi stavo chiedendo quando finirà.»

«Non finché qualcuno non lo ferma.»

King teneva gli occhi incollati alla casa edificata solo a metà. «Be’, a partire da questo preciso istante sarà il nostro lavoro a tempo pieno.»

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