King aveva chiesto a Harry di concedere a Calpurnia la serata libera per poter cucinare personalmente per loro quattro.
«Hai una cucina che sembra una reggia, Harry» proclamò King mentre serviva in tavola aiutato da Michelle. «Apprezzo molto che tu mi abbia permesso di venire presto per preparare tutto quanto.»
Harry esaminò gli elaborati manicaretti preparati con estrema cura da King. «Veramente, Sean, sarei portato a credere che in quanto a organizzazione avrei fatto meglio di te.»
Harry indossava uno dei suoi completi più belli, anche se in effetti sembrava un po’ troppo attillato. «Il mio peso non è cambiato da quarant’anni a questa parte, ma la sua distribuzione sì» spiegò in un finto tono depresso.
«Dici bene» osservò Remmy, a sua volta vestita con estrema eleganza. Lei e Harry erano seduti fianco a fianco di fronte a Sean e Michelle nella spaziosa sala da pranzo.
«Spero solo vivamente che il vostro ritorno a casa sia meno movimentato dell’ultima volta che avete cenato con me.»
«A dire il vero sono convinto che questa serata potrebbe comportare delle sorprese uniche» disse King in modo vago mentre iniziava a servire la cena. Michelle nel frattempo lo assisteva con espressione assente.
«Michelle, mia cara, cosa c’è?» chiese Harry.
La giovane si affrettò a tranquillizzarlo. «Niente, è solo che non mi sento tanto bene. Probabilmente è un lieve disturbo primaverile.»
La cena trascorse serenamente. Finirono il dessert e poi si trasferirono in biblioteca per il caffè. La sera si era fatta fredda, e il fuoco nel caminetto era un sollievo. King andò a osservare da vicino un enorme paravento di legno e stagno inciso a stampa, posizionato in diagonale in un angolo del vasto salone.
«È un magnifico pezzo d’antiquariato» disse.
«Del diciottesimo secolo» spiegò Harry. «È stato fatto a mano proprio qui nella nostra proprietà.»
King si mise davanti al fuoco del caminetto. Lanciò una nervosa occhiata a Michelle e poi dichiarò: «Temo di essere stato un po’ disonesto stasera».
Harry e Remmy smisero di chiacchierare e lo fissarono sorpresi.
Remmy esclamò: «Come?».
«Lo scopo della cena in realtà non era la compagnia.»
Harry posò la tazzina di caffè, lanciò occhiate prima a Remmy e poi a Michelle, che era a capo chino e con la mano affondata nella tasca della giacca. «Non capisco, Sean. Intendi forse dire che volevi parlare ancora un po’ del caso?»
«No, in effetti non mi serve più discutere del caso. Penso di sapere tutto quello che mi occorre.»
La coppia continuò a fissarlo sorpresa.
Alla fine Michelle sbottò: «Diglielo, Sean».
Harry le fece eco: «Dirci cosa?».
La mano con cui Remmy reggeva la tazzina e il piattino cominciò a tremare.
Tutti si voltarono. L’uomo dal cappuccio nero era entrato in biblioteca, con la pistola in pugno e il punto rosso del mirino laser proiettato sul cuore di Harry.
King si interpose immediatamente tra l’incappucciato e Harry.
«Adesso basta» disse con calma. «Basta con gli omicidi.»
«Togliti di mezzo o sarai il primo a morire!»
Remmy si alzò dal divano. La pistola fu puntata nella sua direzione. «Seduta!» le intimò l’uomo.
King avanzò di un passo ma si bloccò quando la pistola tornò a puntare nella direzione precedente. «Michelle» disse l’uomo dal cappuccio nero «tira fuori la pistola e posala sul tavolo. Subito! Niente eroismi.»
Michelle obbedì, impugnandola per la canna.
«Non puoi ucciderci tutti» disse King.
«Veramente ci sto pensando, eccome» ribatté l’uomo mentre osservava Remmy.
«Be’, allora immagino che sia arrivato il momento di chiarire la tua intuizione errata» disse King in tono tranquillo. «Remmy e Harry non c’entrano nulla con la morte di Bobby. Era una trappola. Una trappola per farti uscire allo scoperto.» King effettuò una pausa e aggiunse: «Ho trovato la microspia».
L’uomo arretrò di un passo, e la pistola si abbassò leggermente. «Cosa?»
«La conversazione che si è svolta tra Michelle e me, e che tu hai sentito, è stata tutta una farsa. Okay!»
King schioccò le dita e la sala si riempì istantaneamente di poliziotti armati e di agenti dell’FBI. Vennero fuori da dietro l’enorme paravento settecentesco, da un grande studio interno e da dietro i pesanti tendaggi. Con una dozzina di pistole contro di sé, l’uomo dal cappuccio nero arretrò fino ad avere le spalle al muro.
«Buttala!» ordinò Todd Williams, con la pistola puntata esattamente contro il cerchio a rette incrociate cucito sul cappuccio nero.
Michelle aveva ripreso possesso della sua pistola e stava mirando nello stesso punto. L’incappucciato diede l’impressione di valutare se scatenare un conflitto a fuoco. Il suo corpo parve irrigidirsi.
«Mettila giù!» ruggì Williams, che evidentemente aveva intuito il pericolo.
«Sarebbe molto meglio che tu obbedissi» disse King in tono equilibrato. «Se non altro così potresti chiarirci gli ultimi dubbi. Penso che tu ce lo debba.»
«Oh, davvero?» A dispetto del sarcasmo, lasciò cadere la pistola sul pavimento. Fu immediatamente afferrato da tre o quattro poliziotti e ammanettato.
«La casa è stata circondata tutto il giorno» disse King mentre spingevano in avanti il prigioniero. «Per tutto il tempo sapevamo esattamente dov’eri. Quando mi sono avvicinato ad ammirare il paravento, in realtà ho dato il segnale convenuto che eri in casa e che potevo dare inizio alla mia piccola recita.» Si interruppe brevemente. «Avevamo posizionato Harry e Remmy in punti sicuri della stanza per escludere la possibilità che tu fossi precipitoso nell’usare la pistola. Ti abbiamo imposto le nostre condizioni. È stato assai piacevole, in effetti.» King si avvicinò al prigioniero. «Ti dispiace?» domandò, osservando le sue mani ammanettate. «Dal momento che non sei in condizione di levartelo da solo.»
«A questo punto che importanza ha?»
King lanciò un’occhiata a Remmy. «So che lo ha già riconosciuto dalla voce, Remmy. Però tu Harry faresti bene a sorreggerla lo stesso.»
Harry cinse le spalle tremanti di Remmy con un braccio protettivo. La vedova Battle si coprì la bocca con la mano, trattenendo un singhiozzo.
King levò il cappuccio all’assassino. L’uomo indietreggiò leggermente quando la stoffa scivolò via scoprendo i suoi tratti mascolini.
«È finita, Eddie» proclamò King.
Circondato da uomini armati, ammanettato e smascherato, Eddie Battle ebbe ugualmente l’insolenza di sorridere. «Lo credi davvero, Sean?»
«Sì.»
«Diavolo, fossi in te non ci scommetterei, amico.»