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«Di che cosa si occupa Roger Canney?» domandò Michelle ammirando l’impressionante dimora. Una governante li aveva fatti accomodare ed era andata in cerca del padrone di casa.

«Non ne ho idea, ma di qualsiasi cosa si tratti, se ne occupa egregiamente» rispose King.

«Di che cosa è morta sua moglie?»

«Non so neanche quello. Non appartengo alla loro cerchia di amicizie.»

Michelle continuò a guardarsi intorno. «Sai cosa c’è che manca?»

King annuì. «Non ci sono foto di famiglia.»

«Questo cosa ti fa pensare?»

«Che siano state riposte nei cassetti di recente per l’opprimente sofferenza del padre, o che non ci siano mai state.»

«Opprimente sofferenza? Ha fatto cremare il suo unico figlio praticamente di nascosto.»

«Ognuno manifesta le proprie emozioni in maniera differente, Michelle. Certe persone, per esempio, quando sono in preda all’ira spaccano a metà i paletti dei lampioncini.»

Roger comparve un minuto dopo, uno spilungone dalle spalle curve e l’espressione infelice e smorta. Con un cenno della mano li invitò ad accomodarsi sul divano del salotto, e si mise a sedere di fronte a loro. Quando parlò non si preoccupò di guardarli in faccia, preferendo soffermare lo sguardo sulle travi del soffitto.

«Non capisco perché sia necessario un altro interrogatorio» esordì.

King ribatté: «So che è un momento terribile per lei…».

Canney lo interruppe. «Va bene, va bene, passiamo ad altro.»

Gli fecero le domande di rito, alle quali Canney rispose a monosillabi del tutto inutili.

Frustrato, King domandò: «Perciò suo figlio non aveva inimicizie a scuola di cui lei sia a conoscenza? O alle quali potrebbe aver accennato qualche volta?».

«Steve era molto popolare. Gli volevano bene tutti. Non faceva mai errori.»

Il tono della dichiarazione non fu quello di un padre orgoglioso, bensì quello beffardo di un padre amareggiato. King e Michelle si scambiarono un’occhiata perplessa.

«Ha mai menzionato il fatto che stesse frequentando Janice Pembroke?» domandò Michelle.

«Steve non si confidava mai con me. Se scopava in giro con qualche puttanella erano affari suoi. Aveva diciassette anni e scoppiava di ormoni. Ma se avesse messo incinta una ragazza, mi sarei irritato moltissimo.»

«Da quanto tempo è vedovo?» domandò Michelle.

Lo sguardo di Canney si portò di colpo dal soffitto a lei. «Che importanza ha?»

«È una semplice curiosità.»

«Be’, limiti la sua curiosità alla questione per cui è qui.»

«D’accordo, le viene in mente niente che Steve potrebbe averle detto o che potrebbe casualmente avergli sentito dire senza volerlo, o a cui potrebbe aver accennato uno dei suoi amici un giorno in grado di far luce sull’omicidio?» insistette Michelle.

«Senta, le ho già detto che non eravamo proprio in buoni rapporti. Abitavamo nella stessa casa, ma la cosa finiva qui.»

«C’è un motivo specifico per cui lei e suo figlio non andavate d’accordo?» interloquì King.

«Ognuno aveva le sue ragioni, e non riguardano la sua morte.»

«Temo che tocchi a noi deciderlo. Perciò se vuole avere la cortesia di rispondere alla domanda…»

«E io temo di dover rifiutare» ribatté Canney in tono acido.

«Be’, è una sua scelta. Rivediamo quello che ci ha detto finora. Lei e suo figlio avevate quello che ragionevolmente può essere definito un rapporto apertamente ostile. Può darsi che lei fosse irritato per il fatto che stesse frequentando una puttanella, come l’ha definita lei stesso, ed era preoccupato di dover pagare a un certo punto per un bimbo indesiderato. E poi Steve e questa “puttanella” sono stati uccisi a fucilate. Possiede un fucile, signore?»

Canney si alzò di scatto: il suo volto esangue adesso era paonazzo. «Cosa diavolo vuole insinuare? Come osa! Ha completamente frainteso le mie parole.»

King restò impassibile. «No. Sto semplicemente arrivando alle stesse conclusioni di un qualsiasi giudice che abbia un minimo di competenza. Quello che ci ha detto finora la rende un possibile sospetto nell’omicidio di suo figlio. Sono sicuro che le hanno chiesto dove si trovava quando è stato ucciso. Gradirei che lo dicesse anche a noi.»

«Ero a casa, e stavo dormendo.»

«Da solo?»

«Sì!»

«Perciò non ha un alibi» concluse King. «Be’» disse rivolto a Michelle «torniamo alla stazione di polizia a fare rapporto. Se non altro è un’altra pista investigativa che l’FBI può seguire attivamente.» King riportò lo sguardo su Roger Canney. «Sono certo che il Bureau la contatterà al più presto. La preghiamo di non lasciare la città nell’immediato futuro e di tenersi a disposizione.» King fece per alzarsi dal divano.

Canney, di nuovo pallido, disse: «Aspetti un momento, aspetti solo un dannato momento. Io non c’entro niente con l’omicidio di Steve».

«Con tutto il dovuto rispetto, signor Canney, non ho mai conosciuto un assassino che dicesse il contrario» replicò King.

Canney restò fermo in piedi, a stringere e ad allargare i pugni ripetutamente mentre King lo osservava in attesa. Finalmente si decise a sedersi nuovamente.

Dopo un minuto di silenzio, come se stesse cercando le parole giuste, disse: «Steve era, in parole povere, figlio di sua madre. La adorava, la venerava. Quando lei morì, in un modo o nell’altro mi ritenne responsabile».

«Non ricordo la causa del suo decesso» osservò King.

Canney ora si stava sfregando nervosamente le mani.

«Rimase vittima di un incidente stradale. Sono passati più di tre anni ormai. Uscì di strada e finì in una scarpata. Morì sul colpo.»

«Com’è possibile che suo figlio abbia incolpato lei dell’incidente?» volle sapere Michelle.

«Come diavolo si aspetta che lo sappia?» ruggì improvvisamente Canney. Poi si calmò con la stessa rapidità con cui si era infiammato. «Mi scusi. Sono sicuro che capisce che per me è molto difficile parlare di queste cose.» Rimasero tutti zitti per un po’. «C’entrava… c’entrava l’alcool, a quanto pare…» disse finalmente Canney, con voce quasi impercettibile.

«Sua moglie era ubriaca quando morì nell’incidente?»

«Pare di sì. Fu una sorpresa, perché non era mai stata una forte bevitrice.»

«E il vostro matrimonio era felice?» domandò Michelle.

«Era un matrimonio come tanti altri» rispose Canney, sulla difensiva.

«Cioè?» insistette Michelle.

«Cioè con i suoi alti e bassi.»

In quel momento la governante entrò in salotto e disse a Canney che lo desideravano al telefono. Roger Canney si scusò e li lasciò soli.

Michelle si voltò verso il suo socio. «Be’, non è proprio come mi aspettavo. Pensi che c’entri qualcosa con la morte di sua moglie?»

«Non posso escluderlo a priori.»

«È chiaro che nasconde qualcosa. Pensi che abbia ucciso suo figlio?»

«Figlio. È una parola interessante.»

Michelle guardò King con aria sconcertata. «Che cosa intendi dire?»

«Solo che Canney non si è mai riferito a lui chiamandolo figlio. Solo Steve.»

«Hai ragione. Anche se potrebbe essere solo perché Steve era quasi un uomo fatto e i loro rapporti erano molto tesi.»

«No, ritengo che avrebbe potuto darci una risposta più precisa.»

«Okay, Sean. Che cosa hai scoperto?»

«Ci stava spiegando perché i loro rapporti si fossero guastati. Ha detto che Steve lo riteneva responsabile della morte di sua madre.»

«E allora?»

«Be’, giusto un istante prima, ha detto…» King estrasse da una tasca il suo taccuino e lesse. «Ha detto: “Steve era, in parole povere, figlio di sua madre”.»

«Esatto, come a voler dire che preferiva sua madre a suo padre.»

«O, in senso più letterale, che lei era sua madre…» King si interruppe e fissò Michelle.

Finalmente ciò che lui intendeva le balenò in mente. «E che Roger Canney non era suo padre.»


Fuori, il motore del pickup si avviò. L’uomo al volante non aveva bisogno di sentire altro. Era arrivato il momento di agire. Ma prima doveva preparare il terreno.

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