Quando John Septimus Hill gli allungò il dossier da compilare, dove si chiedeva al cliente di chiarire le proprie esigenze, Jasper Gwyn provò anche a leggere le domande, ma alla fine alzò lo sguardo dai fogli e chiese se non si poteva fare tutto a voce.
– Sono sicuro che riuscirei a spiegarmi meglio.
John Septimus Hill prese il dossier, lo guardò con scetticismo, poi lo buttò nel cestino.
– Non mi è ancora capitato una volta di incontrare qualcuno che avesse la compiacenza di compilarlo.
Poi spiegò che era stata un’idea di suo figlio, da qualche mese lavorava con lui, aveva ventisette anni: si era messo in mente di modernizzare lo stile dell’azienda.
– Io sono propenso a credere che il vecchio modo di fare le cose andasse benissimo, continuò John Septimus Hill, ma lei può immaginare come nei confronti dei figli si abbia sempre una sorta di demente accondiscendenza. Lei ha dei figli, per caso?
– No, disse Jasper Gwyn. Non credo nel matrimonio e non sono adatto a figliare.
– Ragionevolissima posizione. Vuole iniziare col dirmi che metratura le servirebbe?
Jasper Gwyn si era preparato e diede una riposta precisa.
– Mi servirebbe un’unica stanza grande come mezzo campo da tennis.
John Septimus Hill non fece una piega.
– A che piano?, domandò.
Jasper Gwyn spiegò che se l’era immaginata affacciata su un giardino interno, ma aggiunse che forse anche un ultimo piano poteva andare, l’importante era che risultasse assolutamente silenziosa e tranquilla. Gli sarebbe piaciuto, concluse, avesse un pavimento trascurato.
John Septimus Hill non annotava niente, ma sembrava impilasse in qualche angolo della sua mente tutte le informazioni, quasi fossero state lenzuola stirate.
Parlarono di riscaldamento, bagni, portineria, cucina, rifiniture, serramenti e parcheggio. Su ogni argomento Jasper Gwyn mostrò di avere le idee molto chiare. Fu categorico nel chiarire che la stanza doveva essere vuota, anzi molto vuota.
I1 solo termine “arredato” lo infastidiva. Cercò di spiegare, riuscendovi, che non gli sarebbe dispiaciuta qualche macchia di umidità, qua e là, e forse delle tubature a vista, preferibilmente in cattivo stato. Si raccomandò che ci fossero persiane e scuri alle finestre, per poter regolare a suo piacimento la luminosità della stanza. Qualche traccia di vecchia carta da parati sui muri non gli sarebbe dispiaciuta. Le porte, se proprio erano necessarie, dovevano essere di legno, possibilmente un po’ gonfiato. Soffitti alti, decretò.
John Septimus Hill impilò tutto per bene, tenendo gli occhi semichiusi come se avesse appena finito un pranzo pesante, poi stette un po’ in silenzio, apparentemente soddisfatto. Alla fine riaprì gli occhi e si schiarì la voce.
– Posso permettermi una domanda che sarebbe lecito definire ragionevolmente privata?
Jasper Gwyn non disse né sì né no. John Septimus Hill lo prese come un incoraggiamento.
– Lei fa un mestiere in cui è indispensabile un grado assurdamente elevato di precisione e perfezionismo, vero?
Jasper Gwyn, senza capire bene perché, pensò ai tuffatori. Poi rispose che sì, in passato, aveva fatto un mestiere del genere.
– Posso chiederle di cosa si trattava? E semplice curiosità, mi creda.
Jasper Gwyn disse che per un po’ aveva scritto libri.
John Septimus Hill soppesò la risposta, come se aspettasse di scoprire se poteva capirla senza mettere troppo disordine nelle proprie convinzioni.