56.

La ragazzina arrivò al mattino, da sola. Si sedette davanti a Rebecca. Aveva lunghi capelli biondi, dritti e fini, che lasciava cadere ai lati del volto. Solo a tratti, con un movimento del capo, scopriva interamente i lineamenti che erano spigolosi, ma dominati da due incantevoli occhi scuri. Era magra e disponeva del proprio corpo senza tradire segni di nervosismo: sembrava aver scelto una certa elegante immobilità come regola del suo stare. Indossava una giacca aperta su una canottierina viola da cui si potevano intuire i seni piccoli e ben fatti. Rebecca notò le mani, pallide e piene di minuscole ferite.

– Il suo ritratto, disse, porgendole la cartellina. La ragazzina lo lasciò sul tavolo.

– Tu sei Rebecca?, chiese.

– Sì.

– Jasper Gwyn parla spesso di te.

– Mi è difficile crederlo. Mr Gwyn non è il tipo da parlare molto di qualcosa.

– Sì, ma di te lo fa.

Rebecca fece un gesto vago e sorrise.

– Bene, disse.

Poi sporse alla ragazzina un foglio da firmare. Per saldare il conto si era messa d’accordo con il padre.

La ragazzina firmò senza leggere. Restituì la penna. Fece un cenno verso il ritratto.

– L’hai letto?, chiese.

– No, mentì Rebecca. Non lo faccio mai.

– Che stupida.

– Prego?

– Io lo farei.

– Sa, sono abbastanza grande da decidere io cosa è meglio fare e cosa no.

– Sì, sei grande. Sei vecchia.

– E possibile. Adesso avrei molte cose da fare, se non le dispiace.

– Jasper Gwyn dice che sei una donna molto infelice. Rebecca allora la guardò per la prima volta senza prudenza. Vide che aveva un modo odioso di essere incantevole.

– Anche Mr Gwyn ogni tanto si sbaglia, disse.

La ragazzina fece quel movimento col capo che liberava per un attimo il suo volto.

– Sei innamorata di lui?, chiese. Rebecca la guardò e non rispose.

– No, non era questa la domanda che volevo fare, si corresse la ragazzina. Hai fatto l’amore con lui?, chiese.

Rebecca pensò di alzarsi e di invitare la ragazzina alla porta. Era evidentemente l’unica cosa da fare. Ma anche sentì che se c’era un modo di penetrare in tutto ciò che di strano stava succedendo, lì davanti a lei aveva forse l’unica via possibile, per quanto odiosa.

– No, disse. Non ho mai fatto l’amore con lui.

– Io sì, disse la ragazzina. Ti interessa sapere come lo fa?

– Non ne sono sicura.

– Con violenza. Ma poi d’improvviso con dolcezza. Gli piace toccarsi. Non parla mai. Non chiude mai gli occhi. Diventa bellissimo quando viene.

Lo disse senza togliere lo sguardo dagli occhi di Rebecca.

– Vuoi leggerlo insieme a me, il ritratto?, chiese. Rebecca fece cenno di no con la testa.

– Non credo di voler sapere nient’altro di te, ragazzina.

– Non sai niente, di me.

– Ecco, perfetto.

La ragazzina per un po’ sembrò distratta da qualcosa che aveva visto sul tavolo. Poi rialzò lo sguardo su Rebecca.

– Lo abbiamo fatto per due giorni, senza quasi dormire, disse. Lì, nello studio. Poi lui se n’è andato e non è più tornato. Un vigliacco.

– Se non hai altro veleno da sputare, il nostro colloquio sarebbe finito.

– Sì. Solo una cosa ancora.

– Sbrigati.

– Me lo faresti un favore?

Rebecca la guardò sconcertata. La ragazzina fece ancora quel movimento con cui scopriva per un attimo il volto.

– Quando lo vedi digli che mi spiace per quella cosa dei giornali, non pensavo sarebbe successo tutto quel casino.

– Se volevi fargli del male ci sei riuscita.

– No, non volevo quello. Era un’altra cosa.

– Cosa?

– Non so… volevo toccarlo, ma non credo che tu possa capire.

Rebecca pensò con fastidio che poteva capire molto bene. Pensò anche la condanna di quelli, molti, che non sono capaci di toccare senza far male, e d’istinto cercò con gli occhi quelle mani e le piccole ferite. Sentì l’ombra di una lontana pietà e seppe immediatamente cosa aveva piegato Jasper Gwyn, in quello studio, con quella ragazzina.

– La chiave, disse.

La ragazzina cercò nella borsa e posò la chiave sul tavolo. Rimase un attimo a guardarla.

– Non lo voglio il ritratto, disse. Buttalo.

Se ne andò lasciando aperta la porta – camminava un po’ di sbieco, come se dovesse infilarsi in uno spazio stretto e lo facesse per fuggire da ogni cosa che era.

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