43.

Un paio di giorni dopo quella telefonata con Tom, Jasper Gwyn si incontrò con Rebecca – il tempo era mite, gli era venuto in mente di darle appuntamento a Regent’s Park, in quel viale in cui tutto, in un certo senso, era cominciato. Aveva portato con sé la cartellina con i sette fogli stampati. Aspettò seduto su una panchina con cui aveva una certa consuetudine.

Non si erano più visti da quell’ultima lampadina, nel buio. Rebecca arrivò e si trattava di capire da che punto ricominciare.

– Scusi il ritardo. C’era uno che si è ammazzato nella metropolitana.

– Sul serio?

– No, ero in ritardo e basta. Mi scusi.

Si era messa delle calze a rete. Si intravedevano appena, sotto la gonna lunga. Una faccenda di caviglie e basta. Però intanto erano a rete. Jasper Gwyn notò anche due orecchini piuttosto spettacolari. Non portava roba del genere quando consegnava cellulari nelle lavanderie.

Fece qualche blando complimento, ma senza trovare le parole giuste. Ne venne fuori qualcosa di orrendamente banale. Stava pensando di cambiare argomento quando notò una cosa che lo lasciò sconcertato e che lì per lì gli fece dimenticare le calze a rete e tutto quanto.

– Le piace Klarisa Rode?, chiese, indicando il libro che Rebecca teneva in mano.

– Da matti. E Tom che me l’ha fatta scoprire. Doveva essere una donna straordinaria. Lo sa che nessuno dei suoi libri è mai stato pubblicato mentre era in vita? Lei non voleva.

– Sì, lo so.

– E almeno per settantanni non se n’è saputo più niente. Li hanno riscoperti solo una decina d’anni fa. Li ha mai letti?

Jasper Gwyn esitò un attimo.

– No.

– Male. Dovrebbe.

– Lei li ha letti tutti?

– Be’, ce n’è giusto due. Ma sa, in quei casi dai cassetti poi continua a uscire roba per anni, quindi attendo fiduciosa.

Risero.

Jasper Gwyn non smetteva di fissare il libro così Rebecca gli chiese, scherzando, se l’aveva fatta venire lì per parlare di libri.

– No, no, scusi, disse Jasper Gwyn.

Sembrò cacciare via qualcosa dai suoi pensieri.

– Le ho chiesto di vederla perché avevo questo da darle, disse.

Prese la cartellina e gliela porse.

– Sarebbe il suo ritratto, disse.

Lei fece per prenderlo, ma Jasper Gwyn lo tenne ancora nelle sue mani perché voleva aggiungere una cosa.

– Mi dovrebbe fare la cortesia di leggerlo qui, sotto i miei occhi. Pensa che sia possibile? Mi aiuterebbe.

Rebecca prese la cartellina.

– Io ho smesso di dirle di no un sacco di tempo fa. Posso aprire?

– Sì.

Lo fece lentamente. Contò i fogli. Passò le dita sul primo, e aveva l’aria di godersi la trama della carta.

– L’ha fatto leggere a qualcun altro?

– No.

– Ci contavo, grazie.

Appoggiò i fogli sulla cartellina chiusa.

– Vado?, chiese.

– Quando vuole.

C’erano intorno ragazzini che correvano, cani che volevano tornare a casa e coppie di anziani con l’aria di essere scampati a qualcosa di terrificante. La loro vita, probabilmente.

Rebecca lesse adagio, con una concentrazione mite che Jasper Gwyn apprezzò. Un’unica espressione sul volto, per tutto il tempo: giusto l’accenno di un sorriso, immobile. Quando finiva un foglio lo faceva scivolare sotto agli altri. Ma esitando un istante, mentre già stava leggendo le prime righe della pagina dopo. Giunta alla fine rimase un po’ lì, con il ritratto in mano, lo sguardo sollevato verso il parco. Senza dir nulla tornò ai fogli e prese a scorrerli, fermandosi qua e là, a rileggere. Ogni tanto stringeva le labbra, come se qualcosa l’avesse punta, o sfiorata. Riordinò i fogli, alla fine, e li rimise nella cartellina. La chiuse con gli elastici. La tenne appoggiata sulle ginocchia.

– Come fa?, chiese. Aveva gli occhi lucidi.

Jasper Gwyn riprese la cartellina, ma con dolcezza, come se fosse inteso che doveva andare così.

Poi a lungo parlarono, e a Jasper Gwyn piacque spiegare più cose di quanto si sarebbe aspettato. Rebecca chiedeva, ma con riguardo, come se stesse aprendo qualcosa di fragile – o lettere inattese. Parlavano in un tempo loro, e intorno non c’era più niente. Ogni tanto, tra una domanda e l’altra, passava del silenzio vuoto, in cui entrambi misuravano quanto erano disposti a sapere, o spiegare, senza perdere il piacere di un certo mistero, che sapevano indispensabile. A una domanda più curiosa delle altre Jasper Gwyn sorrise e rispose con un gesto – il palmo di una mano passato sugli occhi di Rebecca, come quando a un bambino si dà la buona notte.

– Terrò tutto per me, disse Rebecca alla fine.

Non poteva sapere che non sarebbe stato così.

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