– Jasper! Messo l’ammorbidente?
– Ciao Tom.
– Disturbo?
– Stavo scrivendo.
– Bingo!
– Non in quel senso.
– Non mi risulta che ci siano molti sensi, se uno è uno scrittore scrive, tutto lì. Te l’avevo detto, nessuno riesce a smettere davvero.
– Tom, sono in una lavanderia.
– Lo so, sei sempre lì. E a casa non rispondi.
– Non si scrivono libri in lavanderia, lo sai, e comunque non li scriverei io.
– Palle. Vuota il sacco. Cos’è, un racconto?
La biancheria era ancora al prelavaggio, e non c’era nessuno a sfogliare riviste. Così Jasper Gwyn pensò che poteva provare a spiegargli. Raccontò a Tom Bruce Shepperd che gli piaceva metter in fila parole, e incastrare frasi, come avrebbe potuto scrocchiarsi le dita. Lo faceva nel chiuso nella sua mente. Lo rilassava.
– Fantastico! Vengo lì, tu parli, io registro, e il libro è fatto. Non saresti il primo a usare un sistema del genere.
Jasper Gwyn gli spiegò che non erano neanche storie, erano frammenti, senza un prima e senza un dopo – andava già bene se si potevano chiamare scene.
– Geniale. Ho già il titolo.
– Non dirmelo.
– Scene di libri che non scriverò mai.
– Me l’hai detto.
– Non muoverti, sistemo due cose e arrivo.
– -Tom.
– Dimmi fratellone.
– Chi è questa qui tutta elegante?
– Rebecca? E una nuova, bravissima.
– Cosa fa oltre a portare in giro un cellulare nelle lavanderie?
– Sta imparando, da qualche parte bisogna pur iniziare.
Jasper Gwyn pensò che se c’era una cosa che gli dispiaceva, nell’aver smesso di fare lo scrittore, era che non avrebbe più avuto alcuna ragione di lavorare con Tom Bruce Shepperd. Pensò che un giorno lui avrebbe smesso di inseguirlo con le sue telefonate, e quello sarebbe stato un brutto giorno. Si chiese se non era il caso di dirglielo. Lì, in lavanderia. Poi gli venne un’idea migliore.
Chiuse il cellulare e fece un cenno alla ragazza grassa, che si era allontanata di qualche passo, per educazione. Notò che aveva un volto molto bello, per il resto limitava i danni scegliendo bene i vestiti. Le chiese se poteva lasciarle un messaggio per Tom.
– Certo.
– Sia così gentile allora da dirgli che mi mancherà.
– Certo.
– Voglio dire che prima o poi smetterà di rompermi i coglioni ovunque io vada, e io proverò lo stesso sollievo che si prova quando in una stanza si spegne il motore del frigorifero, ma anche lo stesso sgomento inevitabile, e la sensazione, che lei certo conoscerà, di non essere sicuri di sapere cosa farsene di quell’improvviso silenzio, e forse di non esserne in fondo all’altezza. Le sembra di aver capito?
– Non ne sono sicura.
– Vuole che gliela ripeto?
– Forse dovrei prendere un appunto.
Jasper Gwyn scosse la testa. Troppo complicato, pensò. Riaprì il cellulare. Gli arrivò la voce di Tom. Come funzionassero esattamente quei cosi non lo avrebbe capito mai.
– Tom, stai zitto un attimo.
– Jasper?
– Voglio dirti una cosa.
– Spara.
Gliela disse. Con la faccenda del frigorifero e tutto il resto. Tom Bruce Shepperd diede un colpo di tosse e per qualche secondo tacque, una cosa che non faceva mai.
La ragazza, poi, se ne andò camminando in quel modo un po’ navale che hanno i grassi di andare, ma prima di questo sorrise a Jasper Gwyn, nel salutarlo, con una luce negli occhi radiosa, le labbra splendide e i denti bianchi.