46.

Il secondo ritratto Jasper Gwyn lo fece a una donna di quarant’anni, single, che dopo aver studiato architettura adesso si divertiva a fare import-export con l’India. Tessuti, artigianato, di tanto in tanto il lavoro di qualche artista. Viveva con un’amica italiana, in un loft alla periferia di Londra. Jasper Gwyn fece una certa fatica a convincerla che non era il caso di tenere il cellulare acceso e di arrivare ogni volta in ritardo. Lei imparò in fretta, e senza apparente fastidio. Era evidente che le piaceva molto restare nuda e farsi guardare. Aveva un corpo magro, come divorato da qualche attesa irrisolta, e una pelle scura, dai riflessi lucidi da animale. Era piena di braccialetti, collane, anelli, che non si toglieva mai e che ogni giorno cambiava. Jasper Gwyn le chiese, dopo una decina di giorni, se poteva presentarsi senza tutta quella paccottiglia addosso (non la definì in questi termini) e lei rispose che ci avrebbe provato. L’indomani rimase completamente nuda, con l’eccezione di una cavigliera d’argento. Quando fu il giorno giusto per parlare non riuscì a farlo senza camminare avanti e indietro, e gesticolando come se le parole fossero sempre inesatte e bisognose di un apparato di note corporali. Jasper Gwyn osò chiederle se si era mai innamorata di una donna e lei disse Mai, ma poi aggiunse Vuole la verità? Jasper Gwyn disse che raramente c’è una verità.

L’ultima lampadina si spense che lei la fissava, ipnotizzata. Nel buio Jasper Gwyn la sentì ridere, nervosamente. Grazie, Miss Croner, è stata impeccabile, disse. Lei si rivestì, aveva giusto un abitino leggero, quel giorno, e una borsetta. Ne tirò fuori una spazzola e si lisciò i capelli, che sapeva belli e portava lunghi. Poi, nella luce meridiana che a stento filtrava dagli scuri alle finestre, andò verso Jasper Gwyn e disse che era stata un’esperienza incomprensibile. Era così vicina che Jasper Gwyn avrebbe potuto fare quello che da giorni desiderava fare, ma giusto per curiosità – toccare quei riflessi sulla pelle. Stava convincendosi che proprio non era il caso di farlo quando lei lo baciò sulle labbra, velocemente, e se ne andò.

Miss Croner ebbe il suo ritratto in cambio di quindicimila sterline e di una dichiarazione in cui si impegnava al più assoluto riserbo, pena pesantissime sanzioni pecuniarie. Quando ricevette il ritratto lo tenne sul tavolo per un po’ di giorni. Aspettò, per leggerlo, una mattina in cui, svegliandosi, si sentì una regina. Ce n’erano, di tanto in tanto. Il giorno dopo telefonò a Rebecca e lo stesso fece, più volte, nei giorni seguenti, fino a che non si convinse che proprio non era possibile reincontrare Jasper Gwyn e discutere un po’ con lui. No, anche solo un aperitivo come due vecchi amici era fuori discussione. Allora prese un foglio della sua carta da lettere (carta di riso, color ambra) e scrisse poche righe di getto. L’ultima diceva: “Le invidio il suo talento, maestro, il suo rigore, quelle belle mani e la sua segretaria, davvero deliziosa”. Sua, Elizabeth Croner.

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