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Così il quarto ritratto Jasper Gwyn lo fece all’unico amico che aveva, poche ore prima che morisse.

Poi gli fu difficile ricominciare, per tante ragioni prevedibili, ma anche per l’inaspettata sensazione che fare quei ritratti fosse anche un modo di sfidare una persona che adesso non c’era più, e attraverso la quale, probabilmente, lui si era convinto di sfidare tutto quel mondo dei libri a cui voleva sfuggire. Ora non aveva più nessuno da convincere tranne se stesso, e il riserbo in cui aveva sempre immaginato il suo mestiere di copista era divenuto una sorta di battaglia privata senza quasi testimoni. Ci mise un po’ ad abituarsi all’idea che fosse così, e a ritrovare la limpidezza di un desiderio necessario. Dovette tornare indietro a ricordarsi la purezza di quello che cercava, e la pulizia che gli era accaduto di desiderare, nel cuore del proprio talento. Lo fece con calma, lasciando che risalisse da sé la gioia che sapeva – la voglia. Poi, gradatamente, si rimise al lavoro.

Il quinto ritratto dovette farlo al ragazzo che dipingeva, e la cosa non gli piacque affatto perché si trattò di ricominciare da capo – una cosa obiettivamente destinata al fallimento. Il sesto lo fece a un attore di quarantadue anni con un corpo stranissimo, da uccello, e un volto memorabile, come intagliato nel legno. Il settimo a due giovani molto ricchi che si erano appena sposati e avevano insistito per posare insieme. L’ottavo lo fece a un medico che per sei mesi all’anno navigava sui mercantili, in giro per il mondo. Il nono a una donna che voleva dimenticare tutto, tranne se stessa e quattro poesie di Verlaine – in francese. Il decimo a un sarto che aveva vestito la regina, senza esserne particolarmente fiero. L’undicesimo a una ragazzina – e quello fu l’errore.

Rebecca, che selezionava gli aspiranti cercando di mettere al riparo Jasper Gwyn da soggetti inadatti, non l’aveva in realtà mai incontrata. Ma c’era una ragione: da lei si era presentato il padre, che non era uno qualunque ma Mr Trawley, l’antiquario in pensione, il primo uomo al mondo che avesse accettato di versare del denaro per farsi ritrarre da Jasper Gwyn. La ragazzina era la sua figlia più piccola, si chiamava Audrey. Con il garbo e la civiltà che Rebecca si ricordava di aver apprezzato quando l’aveva conosciuto, Mr Trawley le aveva spiegato che sua figlia era una ragazza difficile e lui si era convinto che un’esperienza singolare come quella da lui vissuta nello studio di Jasper Gwyn l’avrebbe forse potuta aiutare a trovare una tregua – disse esattamente così – dove recuperare una qualche serenità. Aggiunse che qualsiasi cosa avesse scritto Jasper Gwyn nel suo ritratto sarebbe stata per sua figlia una traccia più nitida di qualsiasi riflesso allo specchio e più convincente di ogni insegnamento.

Rebecca ne parlò con Jasper Gwyn e insieme decisero che si poteva fare. La ragazzina aveva diciannove anni. Entrò nello studio un lunedì di maggio. Erano passati sedici mesi da quando lo aveva fatto suo padre.

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